New classemates

N/A: UOH UOH UOH, pubblicare su kmap fa strano, ma sto riprendendo confidenza col fatto che mi mancano tipo sei capitoli e ho terminato la correzione yeah. (Ovviamente li ripubblico tutti assieme eheh)

Allora, ciance agli sbandi, molte di voi (tantissime, ma quante siete diventate, diavolo !) mi hanno fatto notare che manca un capitolo, in quanto sì, wattpad mi ha sfracassato le palle per mesi, eliminandolo, per poi (destino amaro) perdere io stessa la chiavetta con molta roba, speriamo che trevor me la riporti, vah.

HO RISCRITTO IN TIPO MEZZ'ORA DUE MILA PAROLE DI UN CAPITOLO CHE AL TEMPO NE CONTENEVA 2000 MA COMPLETO, e qui siamo solo a metà. Ma ve lo voglio pubblicare, anche se a metà, e domani arriva l'altra parte. (Ovviamente sono stata tanto stupida da scriverla in prima persona, quando nella correzione è in terza, ma succede). Questa è la prima parte, ho ahimé da fare altro e vi posso dire, per voi pecore che leggerete questo capito prima che io posti l'altra parte, che nella seconda parte c'è un litigio FORTE FORTE fra Blake e la mammina Priscilla che io amo (è vero). E la seconda, in seguito a tanti avvenimenti, decide di lasciare la daughter in balia di una sua amica mentre lei per lavoro si sposta in Inghilterra (paese fulcro portante di sta storia, poi capirete). Ho detto tutto, a domani con la seconda parte e spero non ci siano errori in questa, che non mi va di rileggere. Tanti petardi e unicorni che scorreggiano, ciao.


Calpestavo l'asfalto, ancora leggermente inumidito dalla consona rugiada mattutina, provocando un suono monotono ad ogni passo.

La mia bocca lasciava sbadiglio dopo sbadiglio, e le occhiaie erano più visibili che mai.

Dopo le parole di Marco della sera prima, non riuscii quasi a chiudere occhio, e quando ci provavo gli incubi mi assalivano, ancora più forti di quelli precedenti.

Una macchina del tempo che mi prendesse e portasse ovunque non ci fosse angoscia insensata e rancore inappropriato.

Le stelle brillano, non di certo hanno i capelli smossi e la voce che trema ad ogni parola. Le stelle, e stavo entrando nella già affollata scuola gremita di studenti con dizionari tutti aggiustati con lo scotch e zaini sporchi perché -- volendo o meno, quel vecchio zaino delle superiori fai fatica a cambiarlo, e dicevo, non erano timorose. Non hanno paura di chiudere un capitolo, le stelle.

Uno scalino, poi un altro ed un altro ancora. Perché andare avanti non era poi così difficile; se ci pensavi, forse, lo diveniva. La vita mi attraversava sicura che avrei colto, per ciò che mi spettava, quel che era necessario che apprendessi per fare passi in più.

Ed invece, beffardamente e col fiato corto, camminavo fra i corridoi con le mattonelle con le macchie nere e color crema, attenta a non pestare le fessure fra un rettangolo ed un altro, sola col senso di non appartenenza.

A vedermi, diceva bene mia madre, mi avrebbero detto che la vita non faceva per me, stupida, con qualcosa in meno. Ma puoi diventare chi vuoi, Blake. No, no che non era vero che il volere coincideva col potere.

Il potere c'era, che se non ci fosse stato, pure sarebbe stato concepibile. Ma il volere, quello mi fotteva tutte le volte che provavo a porci delle riflessioni.

Potrei, potrei -- innanzitutto avrei dovuto poter di volere e non basarmi su quello che altri vedevano di me, dicevano o cantavano. Scrivevano. Esatto, scrivermi ! E perché, che nemmeno mi accorgevo di quel che mi stava capitando?

Col dizionario di latino fra le braccia per l'esercitazione a scuola, una mano a scostare i capelli dalle labbra ed un po' di posa eretta data dalla danza, entrai in classe e trovai le solite ragazze sedute ad urlare fra i banchi o su di essi, altri a ripetere per l'interrogazione di filosofia, alcuni neppure c'erano, ma non mi disturbai a chiedermi se percepirli o meno.

Che le persone avrebbero dovuto darmi qualcosa, ma nulla arrivava, nulla volevo che arrivasse. 

Dizionario appoggiato con silenzio e delicatezza sul banco verde pieno di scritte e zaino a terra, con le cinghie ad incastrarsi con la sedia e già Bea che mi richiamava, che voleva  la mia attenzione.

-Oggi c'è la presentazione della nuova ragazza ! Già sai qualcosa?- sentii solamente, lei che batteva emozionata le mani. I capelli arancioni le cadevano sulla spalla destra raccolti in una treccia disordinata. -Ehi! Parlo con te, sa'! Che fai dormi?- non era mica consono che una ragazza di diciassette si interrogasse sul senso della sua prepotente vita, che a discapito di altre, le sembrava fosse lì -- in terza persona poiché mi avvinceva maggiormente non rivolgermi proprio a me, poiché si necessitava di riempire uno spazio.

Puoi diventare chi vuoi, Blake. Ma l'angoscia stava ancora lì, a perforarmi la gola, le tonsille e poi mangiucchiava le viscere, a modo suo, e non era solo un amore accresciuto negli anni, la mia disgrazia di poco conto.

-Stai annichilita.-

-Sorprendente, conosci anche questo termine.- la schernì Chris, apparendo di fronte a noi, o meglio, a me, che Bea gli stava di spalle, toccandole una spalla con la mano e attirandola a sé.

Era prassi che sorridessi, sedendomi, fingendo di aver ascoltato tutto ciò che Bea aveva da dirmi. 

-Giulia mi ha detto che si chiama Delancy.-

-Che razza di nome.-

-Come quello del cartone che mia cugina vede,- fece Chris, abbracciando la sua ragazza e storcendo il naso, con intuito investigativo scarso.

-Barbie, Christian?- risi, aggiustando lo zaino, prima messo dietro la spalliera della sedia, mentre la rossa parlava ed io pensavo, per prendere i libri della prima ora. 

-Adoro Barbie !- esclamò Beatrice, saltellando stupidamente, per poi raccontare quanto quei film le siano stati di ispirazione alle elementari  e -Perciò sei così, ho capito.-

-Sono così perché sono venuta su bene, sai !- si imbronciò ed io ridacchiai, aprendo il libro grigio sull'argomento da studiare, prima che altri ragazzi entrassero in classe, seguiti dalla professoressa indaffarata di filosofia, nonché coordinatrice scolastica della sezione. -E tu potresti trovarti single, caro mio!- gli sbottò contro, sedendosi al banco bianco ed afferrando dallo zaino nero il suo porta pastelli colorato e buffo.

-Fossi in te, starei attenta- mi girai, appoggiando il braccio sul bordo e lui scosse la testa, solamente per concludere l'idilliaco momento con un'alzata di occhi al cielo. 

Poco in avanti, poco più indietro, con l'esattezza, morì il mio sguardo. A lui che nascondeva le sigarette nella tasca sinistra del giubbotto. A lui moriva lo sguardo, ma a lui che a volte pensavo spesso. A lui che nemmeno mi notava, ma che con l'indifferenza nei ricordi troppo consumati sapeva mettermi a tacere come un'allocca, fino a starmene a guardarlo presa dal volerlo solo a me. A lui, che con spesso intesi sempre ed erano anni che vivevo qualcosa che ancora non propriamente si poteva chiamare amore.

A lui che mi guardò e mi provò, poco piú in là, che l'amore è fatto piú di -- no, è fatto e basta, l'amore. Non occorre altro.

La donna sulla quarantina batté le mani e richiamò la nostra attenzione, o almeno, tentò. Il pantalone le fasciava le gambe magre ed i capelli, li portava raccolti con quell'assurdo fermaglio orientale, come il solito -- lei, la cara Maria Claudia Belluccini, che affermava, talvolta, che gli orientali fossero troppo gonfiati.

Marco sussurrò qualcosa all'amico e l'altro rise, ripetendolo a Diego, che inclinò leggermente la schiena e gli si arrossò il volto, forse per la vicinanza, forse per il caldo.

-Vorrei che accoglieste- credo ebbe detto, perché i miei occhi erano a tutt'altro, accompagnato dal vicino autunno, se non iniziato, che si innalzava al di fuori della finestra. -perché si troverà a disagio, capite.- penso poi avesse aggiunto e -Secondo me ha le tette grandi, che odio.-

-Non ci vuole molto a superare te,- fece il fidanzato, e Bea, con modi raffinati, lo mandò a farsi in culo, perché se ne poteva cercare una con le tette grandi.

-Che ti importa come ha il seno?- scossi la testa, incrociando le braccia al petto e lasciando i capelli ricadere tutti in avanti nei miei soliti boccoli.

-Giulia lo aveva piccola, c'era un equilibrio.-

Mi voltai, per riderle in faccia -Quante canne ti sei fatta stamattina?-

-In realtà una ieri sera, anzi neppure mi ha sballata. Che spreco di soldi,- schioccò le dita, emettendo un versaccio con la bocca e giocando, poi, con i lembi del segno di cotone bianco che usciva dal diario.

-Non ha fatto solo quello ieri sera, ti assicuro !-

-Ti ha fatto un pompino, Chris?- lui annuì fiero, beccandosi una gomitata dalla rossa che lamentava la sua inopportuna indiscrezione. -Se stessi zitto, te ne farei di più.- risi ancora, accovacciandomi sul banco davanti a me e notai, non che non fosse già stato così, che non c'era Giulia. Ed allora risaliva l'inerzia, che era per abitudine, ma era inerzia piena d'angoscia stramba. Volere, volere che non c'era.

La donna persisteva nel parlare, io non ascoltavo o non mi andava. C'era da definirlo, ma mi arrogai la presunzione di rimandare, quel definirlo scomodo.

-E quindi,- e poi, venne interrotta. La bizzarra vicepreside dai capelli biondi la camicia lilla (e pantaloni cachi, non che importasse), aprí la porta con fare affrettato, fogli fra le mani, trucco sul volto e la camminata leggermente sporta in avanti, come se volesse a tutti i costi arrivare prima di quanto fosse previsto.

Sorpasso la cattedra, la Belluccini stava appoggiata allo stipite destro della cattedra e lei fece il giro (intendo, quella coi pantaloni color cachi), per raggiungerla e pararsi i fogli davanti alla bocca, solo per comunicarle una probabile notifica.

Maria Claudia, come ci piaceva chiamarla, si distrasse e diversi chiacchiericci presero largo, pose che ritornavano scompose, urla che riemergevano con facilità e qualche telefonino non nascosto, gli altri restavano sotto i vari banchi.

Una manata sulla cattedra, ma nemmeno qualcuna in piú smorzava un branco di adolescenti viziati e ricchi di un'energia, seppur travisata e non piú forte, da godersi. 

-Ragazzi !- parole forti, schiamazzi in aggiunta e minacce di note disciplinari, la prassi, ancora, e la donna annuì, massaggiandosi la fronte e circondandosi il bacino col braccio; annuiva mentre la vicepreside faceva nuovamente il giro della cattedra smaltata di verde, lasciando aperta la porta dietro di sé, una volta uscita dall'aula numerosa.

Maria Claudia (era prassi anche chiamarla così), cancellò alla lavagna e disse ad un ragazzo di andare a scrivere Benvenute, non a e non quadrava qualcosa.

-Che c'è, saranno mica due?- sussurrai a Bea che scrollava le spalle, giocando col suo cellulare in bella vista.

-Ci avranno mandato due inglesi perfettine, che dirti?- la bocca sboccata aveva Bea. E non controllava, né tanto meno filtrava quello che le veniva da rigettare fuori. 

-Cambio di programma, ragazzi,- un battito di mani, qualche busto che tornò a voltarsi e le gambe in posizione più a modo, mentre la bizzarra Maria Claudia dai capelli mori si proponeva di fare qualche passo, prima che due ragazze della nostra età, una distaccata dall'altra, e ben attenta che ci fosse spazio, entrassero nella classe, prese dal momento improvvisato e spaesate, ovviamente, nell'accogliersi -- perché non se erano ancora date il benvenuto in qualcosa che non era nella normalità, si guardavano attorno.

La ragazza dai capelli un po' rossi, un po' viola, un po' castani, per via della ricrescita, fu anche ben attenta a guardarci tutti per bene con i suoi occhi chiari, attorcigliando i lembi della sua maglietta attorno alle dita che facevano trapelare il nervosismo.

La professoressa si avvicinò loro e toccò la spalla dell'altra, dai capelli mori ed i zigomi piú accentuati, alta e magra, quasi da spaventarsi, che era visibilmente piú tranquilla, che guardava esattamente dietro di me. Sapevo dove, non dovevo girarmi. E notavo, perché lo leggi negli occhi se lo sguardo è ricambiato, che altre persone la stessero scrutando con insistenza.

Messe accanto, dai movimenti della prof, si notava la differenza di trucco ed il fatto che non amavano parlarsi, perché non ci provarono a sfiorarsi con l'attenzione, stavano alla grande anche senza.

-Loro sono Zoe,- indicò la più alta, con la pelle ambrata, - e Delancy- l'altra non sorrise, stava solo più ingobbita e a struggersi con distacco le mani fra loro.

-Vedi un po' tu, il destino.- bisticciò fra sé e sé Chris, per dirlo, e sapevo, anche senza guardare, che Bea avesse intuito cosa volesse dire.

-C'hai detto bene,- e quella volta era Diego, a dargli la risposta, mentre Maria Claudia (prassi, prassi) chiedeva loro nozioni, aneddoti, come fosse possibile che erano giunte in due -È stato un errore, all'ultimo ci hanno avvertito, hm, e siamo qui.- accento marcato, ma pronuncia impeccabile, la più alta, mentre Delancy annuiva, silenziosa.

-Hai una buona pronuncia, te, eh?- cara Maria Claudia, la filosofia ti vestiva bene.

-Sono stata per anni in Italia, poi sono tornata in Inghilterra. Lì è diverso, ma l'Italia mi mancava.- poi mi persi i passaggi, poi non concepii che Delancy, dalla figura formosa, si stesse trascinando verso il mio banco con indecenza e che l'altra fosse capitata accanto a Chiara -- che eravamo dispari, in classe, prima di loro, e captai solamente -È sempre quel fottuto destino infame.-  aggiunse Diego, sporgendosi ancora verso Chris (che lo intuii, stavo voltata in avanti). Infine, percepii solo che Delancy li guardò di nuovo profondamente, sedendosi e porgendomi la destra con -Ciao, io sono Delancy.-

La strinsi che ancora non capivo, io, e -Sono Blake, è un piacere.- potere o volere certe cose stanno lí e ti capitano, e non puoi farci altro. 

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QUI CI DOVREBBE ESSERE LA PARTE DOVE PRISCY E BLAKE SI INCAZZANO E PRENDONO A CEFFONI, MA ARRIVA DOMANI PERCHE' NON HO TEMPO NOW. PT2

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