Letter

La mattina dopo scesi prima per evitare mia madre, non aveva di certo inte

nzione di rivolgermi la parola, quindi decisi di allentare un po' la presa.

Lasciai la porta chiudersi dietro di me, più delicatamente possibile. Scesi le scale, ritrovandomi nel vialetto e percorrendolo in assoluto silenzio. Quello era il giorno libero di mia madre, ed ero uscita mezz'ora prima, non proprio come di mia abitudine.

Percorsi la strada in silenzio, sentivo dentro di me la voglia di piangere, urlare, ma non era da me farlo.

Sospirai, quando i ricordi vennero a galla, per l'ennesima volta in quei giorni, soffocandomi, di loro spontanea volontà.

In quei momenti avrei voluto avere Giulia accanto a me, lei sapeva sempre cosa dire, era un po' la mia ancora, ma non c'era, ero sola.

Sola nel silenzio del mondo, quel silenzio era assordante.

Camminavo lentamente, non avevo poi tutta quella voglia di accellerare il passo. Sapevo di aver un aspetto infernale, ma in quel momento era l'ultima cosa che davvero mi importava.

Intravidi la scuola, ancora totalmente vuota, e ciò mi faceva piacere. Mi sistemai sulla panchina, poggiando lo zaino accanto a me, e chiusi gli occhi, respirando lentamente, per calmarmi.

Decisi di prendere la lettera dallo zaino, era da tanto che non la leggevo. Da quando l'avevo scritta, e mia mamma lo aveva scoperto, tentando di buttarmela. Tre anni.

Aprii il foglio, stropicciato e mal ridotto, leggendo ogni singola parola, perdendomi in quelle frasi, ancora e ancora.

Caro papà,
Ti scrivo pur sapendo che non leggerai mai queste righe, sperando però di potertele consegnare.
Oggi avresti compiuto quaranta anni, e per colpa mia, non hai potuto.
Vorrei dirti poche cose, quelle che non ti ho mai detto, sai? Quelle che tengo per me.
Papà, tu hai sempre creduto in me, lo ricordo. Mi hai sempre detto che ognuno era perfetto a modo suo, e che bisognava credere in sé stessi.
Ricordo quelle parole, ma non ci riesco, papà, sebbene io te l'abbia promesso.
Quando cadevo, mentre cercavo di andare sulla bici, c'eri tu a rialzarmi, mentre cadevo dalle punte, da bambina, tu mi incitavi a rimetterle.
Ora non credo più in me stessa, ballando, non provo più nulla.
L'altro giorno, la mamma, mi ha detto che sono un errore della natura, ma come biasimarla? Ti ho ucciso, papà.
Avrei voluto che quel giorno tu avessi scelto te stesso, che non avessi girato quella macchina, per salvare me.
Non ricordo molto, i miei pensieri si fermano a te steso sul sedile, inerme, e anche la cicatrice sulla mia gamba, non mi aiuta a ricordare.
Mamma mi ha detto che sono stata io, che ho provocato l'incidente, che avrebbe voluto che fossi morta io. Sai, anche io lo avrei voluto.
So che mi odierai, non sono neanche venuta al funerale. Ma non potevo, piansi, lo sai? Pregai mamma di permettermi di vederti, ma lei mi odiava, lo si vedeva in faccia, e mi disse che sarei rimasta a casa. Non feci in tempo a rialzarmi da terra, che la porta di ingresso era stata chiusa a chiave.
Scrivo questa lettera, non per giustificarmi, ma per parlarti, per farti sapere che mi faccio schifo, papà, per quello che ho fatto.
Ma sappi che tu resti il mio eroe, seppure tu mi odierai, tu resti il mio eroe. Mi hanno insegnato che nella nostra vita ci saranno persone speciale, che lasceranno impronte, che ci salveranno. E tu sei il mio
eroe papà.
Ogni notte, gli incubi mi perseguitano, ricordandomi che mostro sono.
Mi taglio, non ne vado fiera, ma lo faccio.
Mamma ha visto i tagli, ma mi ha riso in faccia, dicendomi di prendere qualche vena.
Ma non é cattiva, papà, lei ti ama, e sono io che ho distrutto tutto. Non odiare la mamma, perché non é cattiva. Te lo dico, perché Maila poco tempo fa le ha detto che meriterebbe il tuo odio, ma non é vero. Lei non é cattiva, é solo ferita, la colpa é mia.
Ultimamente anche Federico si é allontanato, papà. Da quando ha saputo come sono andate le cose quel giorno, anche lui si é allontanato.
Forse é meglio così, però, faccio male alle persone che ho accanto, quindi forse dovrei stare da sola.
Spero di riuscir a portare questa lettera al cimitero papà, almeno per salutarti un'ultima volta.
Ti voglio bene,
B.

Mi accorsi dopo poco, di star bagnando con le lacrime la lettera, di star rovinando alcune parole.

Dischiusi le labbra, leccandomele, sperando di eliminare la secchezza. Ma la bile mi soffocava, il cuore batteva lentamente, da solo, come se me avesse abbastanza.

Gli occhi piangevano per l'ennesima volta, e la colpa, veniva a galla.

Ero un mostro.

Sospirai, rimettendo la lettera a posto e asciugandomi con una mano le lacrime.

A volte, la cosa migliore, era sparire, evaporare. A volte, nascere vento, avrebbe risolto le cose.

Non mi accorsi che qualcuno si sedette accanto a me, lo riconobbi dall'anello al dito, e sperai non mi avesse visto piangere.

-C'é qualche motivo per il quale i tuoi bellissimi occhi starebbero piangendo?-

-Federico..- scossi la testa, cercando di asciugare le lacrime, che bruciavano assieme al leggero vento che mi attraversava, freddo, ma rassicurante.

-Ieri non c'eri a casa, dovevamo ripetere matematica.- disse, allungando le gambe, e mettendo le mani dietro la nuca.

La t shirt bianca si spostò di lato, lasciando intravedere i suoi boxer.

-Scusa io.. io ero..- cercai di giustificarmi, non trovando peró una buona scusa.

-Da mia nonna.- finì lui, di rimando, lasciando a bocca aperta.

-Come lo sai?- chiesi, scioccamente.

-Lo sai che ho un fratello, Blake?- il suo tono vagava tra il sarcastico e il seccato.

Abbassai lo sguardo, non sapendo che dire.

-Non vedo perché devi affliggere la mia famiglia con i tuoi cazzo di problemi.- affermò duro, sistemandosi meglio, e poggiando i gomiti sulle ginocchia. I suoi occhi blu erano cattivi, non rassicuranti come di solito.

-C..cosa?-

-Blake, hai rotto il cazzo con i tuoi litigi con tua madre, mia nonna non sta bene, e non ha bisogno che tu vada lì a deprimerti.- il mio cuore fece un tuffo, non avevo idea che Maila non stesse bene, ma nelle sue parole c'era veleno, come tanti anni prima.

-Non sapevo che tua nonna stesse male.- dissi, sincera.

-Beh, adesso lo sai.- si leccò il labbro, e in quel momento desiderai morire.

Restammo in silenzio per un po', prima che lui continuasse, rompendomi definitivamente.

-E per la cronaca, non mi serve che tu faccia la depressa perché mi scopo le altre.- accompagnó la sua affermazione con una risata amara, velenosa.

-Non..-

-Oh, Marco é il mio migliore amico, lo sai, vero?- rise ancora, il mio cuore intanto cedeva.

-Beh, Marco non ha raccontato bene, allora.- mi difesi e toccai nervosamente le mani, lo facevo quando ero arrabbiata.

-Fidati, lo ha fatto.-

-Io non credo.- ribattei, con altrettanto tono duro.

-L'importante é che tu sappia che i baci che ci sono stati, erano solo perché tu eri disponibile, lì, e avevo gli ormoni a mille. Non significhi niente per me, Blake.- mi distrussi, poche parole che mi uccisero.

Si alzò, non trovavo la voce per ribattere. I suoi capelli neri gli cadevano sulla fronte, sembrava un angelo.

Un angelo che procurava dolore, però.

Un angelo che strappava le ali.

Se ne andò, così, lasciandomi da sola, nel silenzio della solitudine, della rottura.

Fu lì che mi resi conto che l'amore poteva romperti, poteva disentigrarti.

Lì mi resi conto che ero innamorata di Federico, ma che sarei rimasta rotta.

Nell'andare avanti nella settimana, lo ignorai, ci ignorammo. Andai da Maila, per scusarmi e lei mi disse che non era affatto vero quello che il nipote aveva detto, e mi chiesi il perché avesse mentito.

Così, arrivammo al giorno del mio trasferimento dall'amica di mia madre, e rimasi distrutta quando capii di chi si trattasse.

Federico's pov

Una settimana, una settimana da quando avevo detto quelle parole a Blake.

Mi odiavo, per il male che le avevo fatto, ma ero così, facevo del male.

In tutta la settimana Blake mi ignoró, invece Marco le era sempre più vicino, e ciò mi dava non poco fastidio, ma non capii perché.

-Boss, sarà la quinta sigaretta che fumi.- mi disse Lorenzo, mentre ispirai ancora, lasciando che il fumo mi liberasse.

-Il cancro viene a me.- pronunciai, facendo un altro tiro.

Marco era accanto a me, concentrato sul suo cellulare, fregandosene di quello che accadeva attorno.

-Innamorato, ti svegli?- Diego rise, lanciandogli un giornale sulla testa.

-Uno non sono innamorato, due, fallo un altra volta e non farai più figli.- non distolse lo sguardo dal cellulare, neanche nella sua minaccia poco credibile.

-Chi é? La biondina?- Lorenzo la odiava, era percepibile.

-No, e lasciala stare, Lorenzo. Già le hai fatto abbastanza.- rispose duro.

-Ehi, amico, era solo uno scherzo, Davide non l'avrebbe toccata.- rise, come un coglione e avrei voluto picchiarlo, per quello che aveva fatto a Blake.

-Lì esagerasti.- ammise Diego, prendendo una sigaretta e accendendola.

-Ma cosa vi prende? Ricordate perché voi due le state vicino? Allora non rompete le palle!- imprecó, sbuffando, ed io quasi mi sgozzai col fumo.

Ero quasi certo che Marco provasse qualcosa per lei, non era più solo per la situazione iniziale.

Gli avrei dato volentieri un calcio a culo, per allontanarlo da lei.

Ma cosa dicevo? Non mi importava di Blake, Marco poteva tranquillamente fottersela.

Tanto non le avrei parlato più, ormai non avevamo più nulla che ci collegava, avevamo chiesto anche al professori di cambiarci partner per gli studi di matematica.

Una vibrazione nella tasca del mio giubotto, mi fece saltare. Spensi la sigaretta nel portacenere, bevendo un po' d'acqua, prima di leggere il messaggio.

Mamma:
Torna a casa, sai il perché! Forza, Manuel é già qui.

Sbuffai, riponendo il telefono da dove lo avevo preso. Capitavano tutte a me.

-Io vado.- annunciai, alzandomi, e facendo un cenno ai tre sul divano.

-Ti accompagno a casa, tanto poi devo andare da Sonia per ripetere matematica.- disse Marco, alzandosi poco dopo di me, e avviandosi verso l'uscita.

-A domani.- dicemmo all'unisono, mentre gli altri due ci fecero un cenno.

-Ti piace Blake?- mi uscì improvvisamente, mentre eravamo quasi vicini a casa mia.

-Questa domanda perché?- sorrise, alzando un sopracciglio. Gli avrei dato un pugno in faccia.

-Rispondi.- dissi secco.

-No, non mi piace.- rispose, ma non ne ero tanto sicuro.

-Bene,- scelsi di crederci, avviandomi verso casa mia.

-E a te?- chiese poco dopo, facendomi fermare.

-A te piace?- continuò.

Non risposi, rimasi fermo, voltato verso l'altro capo della strada.

Continuai a camminare, ignorandolo, concedendogli solo un cenno, prima che ghignasse.

Alzai lo sguardo, prima di avviarmi verso l'ingresso, inserendo le chiavi nella serratura.

-Sono a casa!- urlai, sbattendo la porta alle mie spalle, buttando le chiavi sul mobile.

-Bene, sta per arrivare!- mia madre scese dal piano di sopra, entusiasta, seguita da Manuel, sconcertato e confuso quanto me.

Una macchina si fermò nel nostro vialetto, segno che la nostra ospite fosse arrivata.

Uscii di casa, seguito da Manuel, mentre mia madre si affrettava ai convenevoli.

Mi si geló il sangue quando la vidi, in piedi, accanto l'auto, che cercava disperatamente lo scherzo nella situazione.

Capelli sistemati in una treccia, felpa porpora, leggins e convers abbinate.

Eccola lì, Blake, che era confusa quanto me.

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