Happiness
Blake's pov
Bevevo tranquillamente la mia tazza di thé, godendomi una di quelle poche mattine in cui non si correva da una parte all'altra per arrivare puntuali a lavoro, o a scuola.
Mi strinsi nel mio maglioncino rosa chiaro, quando sentii l'impetuoso vento battere contro le persiane socchiuse delle varie finestre.
Accanto a me Aurora si dedicava all'impasto delle crepes, come ogni volta che era festa dalle attività scolastiche e lavorative. Canticchiava varie canzoni, cambiandone anche le parole, come era solita fare.
Sorrisi alla scena, guardandola così spensierata, mentre sistemava la pellicola sull'impasto, per lasciarlo riposare mezz'ora nel frigo, come la ricetta prevedeva.
-Bene,- si vantò, aggiustandosi la vestaglia, una volta tolto il camice -E anche questa é fatta. Io salgo su, sicura di non voler dormire un altro po'? Sono appena le sei e mezza-
Mi limitai ad annuire dolcemente, bagnando nuovamente la lingua col caldo liquido, facendo si che le guance si arrossassero per via del calore provocato dalla bevanda.
-Va bene,- sorrise, tornando al piano di sopra, tranquillamente, lasciandomi sola con il mio thè, tra i pensieri e ricordi che si dimostravano sempre più dominanti.
Il mio rapporto con Federico era andato via via migliorando, così come quello con Bea stava degenarando, per solo lei sa quale motivo.
Giocai coi fili di lana uscenti dalla maglia che mi aveva regalato Maila, pochi giorni prima, fatta dalle sue mani.
Sospirai, lasciando che le mie mani poggiassero senza che il cervello porgesse comando, la tazza sul bancone, permettendo ai pensieri di avvolgermi.
Nonostante tutto, non riuscivo a capire perché Federico si fosse avvicinato dopo anni, dopo avermi ignorato, me e il mio dolore, per tanto tempo. Tutto risultava strano, tutto sembrava portarmi al paradiso, ma qualche strana sensazione era come se mi annunciasse che ne sarei uscita distrutta.
Come se fosse stato tutto un gioco, più grande di me, più grande di ciò che potevo lontanamente immaginare.
Tracciai alcuni figure sulle mie gambe nude, dischiudendo le labbra, accoccolandomi nei ricordi laceranti.
Sbadigliai nuovamente, notando le borse sotto i miei occhi, marcanti e violacee, come per ricordarmi il casino in cui mi ero cacciata.
Le mie dita toccarono la pelle sensibile del viso, e gli occhi viaggiarono sulla pelle scoperta del mio corpo, dove era possibile vedere le vene per il pallore e oserei dire, adesso, anche le ossa, quasi fossi stata un fantasma.
Chiusi istintivamente gli occhi, non sorreggendomi in piedi, e mi sedetti, stanca, sulle ginocchia.
Sospirai amareggiata portando quest'ultime contro il petto, poggiando il mento su di esse, e lasciando che le lacrime parlassero al posto mio, come sempre.
La porta si aprii rumorosamente, per la prima volta dopo giorni, e sentii dei passi provenire da dietro di me, conoscevo quelle falcate, e sorrisi, nonostante il resto, pensando che forse quello non era il giorno peggiore.
-Sei diventata un fantasma,- constatò, secco, nessuna emozione sembrava trapelare dalla sua voce, nessuna nota di amore.
Tentai di placare quei singhiozzi, alzando la testa, per osservarlo in piedi, con le mani nella tasca e lo sguardo infinito lontano, come fosse pronto per andarsene.
-E sembri un mostro- non capivo dove volesse andar a parare con quel discorso, nessuna nota di scherzo, solo odio, rilasciava solo quello.
-Non ho dormito molto,- ammisi, scostando da me i perché e la curiosità dominante. Magari ero talmente stanca da non rendermi conto che stesse solo scherzando.
Magari.
-Bene,- schioccò la lingua sotto il palato, leccandosi seguentemente le labbra screpolate e passandosi una mano nei capelli corvini, prima di sedersi accanto a me, mantenendo le distanze.
Lo guardai, e lui assunse un'aria strafottente, prima di rispondare alla mia domanda silenziosa -Hanno chiuso l'inchiesta sulla morte di tuo padre-
Schiusi le labbra, ponendo i miei sensi di colpa al primo posto, deglutendo singhiozzi amari -Ho sentito mia madre parlarne-
-Sai, sei stata tu-
Piansi ancora, ero stanca fisicamente e psicologicamente per farlo, ma in quei momenti sembrava l'unica risposta abbastanza confortante.
-E sai, fossi in tua madre ti sbatterei fuori di casa-
Concepire che un ragazzo di appena tredici anni potesse dire una cosa simile, era sconcertante, ma era così, e capii che in lui c'era solo un malsano risentimento, dovuto solo a Dio sapeva cosa.
-Sai come sono morti i miei?-
-In un incendio- pensava non lo avessi mai ascoltato? Pensava che mi fossi scordata tutte le volte che aveva rotto i suoi giocattoli implorando di tornare a casa?
-E sai chi pensò a salvare mio padre?- dove voleva andare a parare?
Mi limitai ad annuire, tracciando il contorno delle vene con le dita fredde, come la pelle che toccavo.
-Bene,-
-Cosa succede?- intravidi dalla tshirt più alzata, che non era solito tenere in quel modo, la cictrice sul fianco, che gli aveva procurato quell'incendio, a forma di foglia, come scordarla.
Si alzò, semplicemente si alzò, e se ne andò da camera mia,
-Sappi che adesso puoi tagliarti per due morti, piccola depressa-
E non ci tornò più, fino a che le coincidenze non ci fecero rincontrare, chiamarle destino, quelle scelte umane.
Sobbalzai quando imponenti falcate scesero dalle scale, sebbene fosse ancora presto, spingendosi l'un l'altro, ricoprendo con i ghigni i ticchettii dell'orologio e il vento che soffiava.
-Party hard- rise Manuel, prima di accorgersi, assieme al fratello, della mia presenza, insuale a quell'ora, -La bella addormentata si é svegliata prima stamattina- mi spettinò i capelli, gesto che fu accompagnato da un mio ringhio di disapprovazione, ma che non gli impedì di rendere i miei capelli, già disordinati, un'indomabile bosco.
Federico mi lasciò solo un cenno, al quale risposi con un roteare degli occhi, a causa della sua bipolarità innata, prima di rivolgermi a Manuel -Cosa fate già alzati?-
-Party hard- ghignò, prendendo una bustina di thé verde dalla credenza e mettendo a bollire l'acqua nel pentolino -e tu?-
-Thé hard- rise, lanciandomi uno strofinaccio, prima di sedersi accanto a me, e Federico accanto a lui, come usualmente.
L'aria si sentiva essere imbarazzante, schiazzi di silenzio e tossi varie, interrompevano la routine, l'uno dell'altro.
-Non potevi metterti dei pantaloni?- ringhiò Federico, quando notò che fossi ancora nel mio pigiama, che consisteva in un pantaloncino e la maglia regalatami da Maila.
-Fino a prova contraria voi siete a torso nudo e la casa é riscaldata,- scrollai le spalle, lieta di averlo stuzzicato, data la sua bipolarità. Non potei non notare la sua cicatrice, che sembrava cambiare dimensione ad ogni respiro.
Ma era sempre lì, faceva parte di quel che era.
-Sì ma non c'entra,- mi alzai, sculettando di proposito fino al lavabo dove posai la tazza, prima di rigirarmi e guardarlo più innocentemente -Blake- respirò.
Manuel ci guardava sconcertato e divertito dall'atteggiamento assurdo del fratello minore, che si mordeva l'interno guancia, quasi volesse fare un attentato.
-Federico- lo sfidai, sedendomi accanto al lavabo, sul ripiano freddo, ed accavallai le gambe, scoppiando quasi a ridergli in faccia.
-Mettiti dei pantaloni-
-Tu mettiti una maglia-
-Alle ragazze piaccio così- gli urlai quasi in faccia a quell'affermazione, mentre Manuel sembrava appoggiarmi con lo sguardo, stuzzicando anche lui il fratello lanciandomi finte ammicatine.
Risposi ad esse con stupidi sorrisi e battei le ciglia, lasciando ringhiare capelli neri, che stringeva il ripiano di marmo dell'isoletta della cucina quasi volendola distruggere.
-Tra voi due non so chi sia peggio,- scoppiammo quasi a ridere quando si imbronciò come un bambino, serrando dolcemente le braccia al petto e ottenendo una smorfia dalle sue labbra.
Manuel sembrò tornare serio, sospirando, prima di guardarmi -Hai pensato a quella cosa che ti ho proposto?-
Come dimenticarlo.
Una volta tornati da quella 'gita' improvvisata, parlai con Manuel, anche per la data che si avvicinava repentina, anche se speravo, come ogni anno, che non si facesse mai quel ventidue novembre.
Eppure eccoci lì, mancava meno di una settimana, e sarebbe passato un altro anno senza vedere mio padre.
Manuel aveva proposto di fare ricerche sulla morte, dato il fatto che conoscevo pochissimi dettagli, ma ero stanca di procurarmi dolore, i sensi di colpa lavoravano da sé.
Lui si avvicinò, non seppi leggere i suoi occhi, mi toccò la spalla, sorridendo amichevolmente.
Avrei voluto rendermi prima conto di quanta falsità ci fosse dietro uno di quei suoi sorrisi, che non sembravano trasmettermi niente.
Alzai il capo, dopo averlo tenuto basso per un po', per assimilare quei pensieri che tentavano di farsi largo in me.
Ne valeva la pena?
Ero pronta? Una serie di domande che si facevano sempre più spazio in quel puzzle incompleto.
Cos'era giusto o cosa sbagliato, in quei momenti, non l'avrei saputo dire.
Sospirai, e scappai via.
Feci solo questo.
Ogni momento vissuto in passato si riprodusse nella mia mente, ogni lacrima e ogni parola.
Non sentivo nulla, i piedi sembravano muoversi su una nuvola e i pensieri spargersi nel cielo.
Problemi in paradiso, avrei detto.
Corsi in camera e chiusi la porta dietro di me, accasciandomi davanti ad essa, spalle contro il legno freddo.
Respirai profondamente, tentai di dare qualche assurdo senso alla mia mente, ma ottenni solo delle lacrime.
Scoppiai a piangere, senza una motivazione, solo perché, in quei momenti, pareva il modo migliore per liberarmi.
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Martina's pov
Mosse una pedina, e poi ancora un'altra.
Osservava quella scacchiera come se ne stesse studiando le sottigliezze. Ormai mi sembrava guardasse così tutti.
Mi concentrai a tal punto nel guardarla, che appena mi accorsi che mi aveva mangiato la torre, sorridendo soddisfatta.
Mossi l'alfiere, l'unico con una via di uscita, in quei momenti.
-Mossa azzardata,- emise un ghigno, mangiando la pedina che avevo appena mosso, senza nemmeno rifletterci troppo.
Mi lamentai, dondolando la testa da un lato all'altro, in cerca di una spiegazione che mi facesse capire il principio secondo il quale lei aveva mangiato otto mie pedine, ed io solo tre, e pure pedoni.
-Tocca a te,- mi servì una mossa sul piatto d'argento, permettendomi di mangiare con l'altra mia torre due sue pedoni. Gongolai, guardandola soddisfatta, prendendo quei due pedoni, arrivando a quota cinque.
Lei, senza riflettere apparentemente, mosse la regina e mangiò la torre, lasciandomi a bocca aperta.
-Non é possibile, stai barando!- mi lamentai nuovamente, mettendo il broncio ed annunciando che fossi ormai scocciata da quella partita che si stava prostrando da oltre mezz'ora.
-Sto osservando, é diverso- come sempre, il suo tono risultava freddo e distaccato. La osservai in quel viso delicato e quasi di porcellana, i suoi occhi verdi risaltavano assieme alle labbra rosee, i capelli biondi cadevano ordinatamente lungo le spalle, in semplici ricci, e le contornavano il dolce volto.
Apparentemente dava l'impressione di una ragazza felice, ma c'era qualcosa che non tornava.
-C'é qualcosa che dovresti dirmi?- non alzò gli occhi dalla scacchiera, mentre con le unghie giocava con l'anello che portava al collo, con dei labirinti nella parte dorata.
-No..- raggirai il fatto che avessi perso il notebook con la sua storia, ma non era importante, in fondo i nomi erano anche stati cambiati.
Mosse la torre e mangiò l'altro dei miei alfieri, facendomi sbuffare.
-Nemmeno il perché hai cambiato notebook?- mangiò uno dei due cavalli ed un pedone. Schiusi le mie labbra, un po' per l'andazzo della partita, considerando che fossi brava a scacchi, ma soprattutto per il fatto che avesse notato il notebook diverso.
-Uh... potrei averlo perso- strinse lo sguardo, mordendo l'interno guancia, prima di mangiare due miei pedoni.
-Potresti?- mosse una torre, permettendomi così di mangiarla, ma qualcosa non quadrava. Lei non perdeva attenzione, e teneva lo sguardo fisso.
-L'ho perso,- ammisi, piangendo quasi quando mangiò la mia regina.
Schioccò la lingua al palato -Perché sei così attenta? É solo una partita- constatai, osservandola subito dopo accigliarsi.
-Non é un buon motivo per non essere attenta- mi permise di mangiare un suo pedone, prima che muovesse ancora.
-Sì, ma..-
-Anche la vita é una partita, ci sono momenti che sono semplici amichevoli e altri in cui le partite sono serie- mosse ancora un pedone, in uno schema che non ero in grado di seguire -Sai cosa succede se non hai gli occhi aperti?-
Scossi la testa, muovendo un pedone, nella vana speranza di bloccare uno schema di cui non sapevo neppure le regole.
-Che la vita ti fotte,- mosse un'altra pedina, che mangiai, ingenuamente -Che le persone ti fottono- e fece scacco matto.
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Camminavo in quella stradina abbandonata, nessuno ne ricordava le dimensioni o che esistesse.
Maila passeggiava accanto a me, il suo sorriso illuminava anche il più cupo degli sguardi.
Si abbassò per raccogliere delle margherite, porgendomene alcune, prima di raccoglierne altre, anche esse un po' ammaccate dal tempo come le prime.
-Perché le stai cogliendo?- domandai, perdendomi nel guardare l'anziana donna intenta a raccogliere quei fiori che mi sapevano tanto della mia infanzia.
-Ricordi come ti rendeva felice raccogliere margherite?- mi domandò, porgendome altre, anche quelle ammaccate, e i ricordi si fecero nuovamente spazio in me.
Annuii, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio con la mano libera, mentre dalle mie labbra era rilasciato un sospiro.
-É strano come smettiamo di fare ciò che ci rende felice, no?- si accovacciò, per prendere qualche filo di erba, assottigliandoli poi con le sue sottili dita.
-Si cresce, Maila-
Lei rise, non impegnandosi per trattenersi, e non capii cosa le procurasse tante risate.
-Sai, mio nipote risponderebbe lo stesso.- scosse la testa, passandomi anche i fili d'erba, che non indulgiai ad afferrare, continuandola a guardare.
-Mi intrecceresti una di quelle corone di fiori?- chiese, dolcemente, porgendomi anche delle violette -Una di quelle che solo tu sai fare-
Osservai il bambino camminare a disagio verso di noi, nonostante Aurora gli tenesse la mano, per donargli evidente sicurezza.
Ma sembrava non riuscirla a cogliere, voleva solo spiccare il volo.
Ma Aurora non sembrava capirlo, e sembrava capitare che quel bambino si scocciasse a spiegarlielo.
Mio padre gli si avvicinò, sorridendo calorosamente, prima di sussurrargli qualcosa all'orecchio.
Le rughe sul viso del mio papà erano visibili, i suoi sorrisi le mostravano sempre, e non tentava di nasconderlo.
Il bambino alzò lo sguardo, finalmente, e fui immediatamente attratta dai suoi occhi color blu profondo, quasi mare.
Manuel accanto al padre gli sorrise, amichevolmente, porgendogli un giocattolo, che rifiutò.
Mio padre gli sussurrò qualcos'altro all'orecchio, ma lui nulla.
Scappò.
-Ha qualche problema?- subito intervenne mia madre, che ovviamente capiva meno di tutti. Voleva solo essere lasciato in pace, ecco qual era il suo problema.
-I suoi genitori sono morti in un incendio, il fratellino minore aveva solo qualche mese ed é già stato adottato-
-Sembra un piccolo dannato- osservò il signor Ruggero.
Io guardai Maila, che ricambiò lo sguardo, e subito dopo si aggiunse quello comprensivo di mio padre.
E così andò per giorni e giorni. Tentavano di presentarci il nuovo arrivato, annunciando il suo nome, regalandogli cose, ma il risultato restava quello: la fuga.
Capitò un giorno in cui lo seguii, di sottecchi, notando che se ne stesse tutto solo nel giardino, rompendo le piccole margherite, lasciando che il vento portasse via i petali.
Mi ci avvicinai, in assoluto silenzio, e con altrettanta mossa taciuta, lo interruppi, togliendogli da mano la margherita che aveva appena strappato.
Lui mi guardava, mentre mi sedetti, tranquillamente, per terra, più in basso rispetto al suo esile corpo. Cominciai a raccogliere le margherite più ammaccate, ma non troppo, e le intrecciai una ad una, con dei fili d'erba.
Infine, quando notai che quella corona di fiori fosse perfettamente uguale a ognuna delle altre che avessi mai intrecciato, aggiunsi delle violette, poche, ma che la diversificassero.
Gliela porsi, in un semplice gesto, gliela porsi.
Lui mi guardò e si passò le mani sulla lunghezza delle sue braccia, fasciate dalle maniche di una vecchia felpa marrone.
Quando la avvicinai ancora di più, mosse una delle sue mani, piccole quanto le mie, per prenderla delicatamente.
-É più bello così- sorrisi, e lui annuì.
-Alla mia mamma piacevano i fiori- per la prima volta sentii quella sua voce, era così piccola ed esile.
-Anche a me- risposi tranquillamente e per la prima volta notai sul suo volto un sorriso.
Muovevo le mani, non con molta velocità, ma con agilità, ed intrecciavo quei fiori che Maila aveva raccolto.
Sentivo le lacrime combattere per uscire, ma lottai per far sì che non avvenisse.
-Bambina, non piangere- mi alzò il capo, con due delle sue delicate dita. Trattenni un singhiozzo, con insuccesso, prima di annuire.
Quel giorno non faceva molto freddo ed il vento si era placato dalla mattina.
In quel posto non vi era anima viva. Le panchine erano quasi tutte rotte o mal ridotte, tra scritte e cose varie.
Nel cielo non c'erano molte nuvole, ma quelle che c'erano minacciavano un temporale in serata, andando in contrasto con l'erba, stranamente, verdissima del prato abbandonato.
Terminai di unire le margherite e notai con la coda dell'occhio Maila sorridere compiaciuta dell'effetto che quelle azioni ripercuotevano in me.
-Vedi, bambina, senza questa ghirlanda, magari Federico non si sarebbe mai aperto, con nessuno di noi- spiegò, passandomi una ad una le violette -Senza questa ghirlanda il tuo papà non se ne sarebbe mai andato nel modo in cui avrebbe voluto-
-Maila- la avvertii, affinché non continuasse, e mi bloccai dall'intrecciare quegli stupidi fiori.
-Vedi, Blake? Ti fa male sentire solo pronunciare il nome di tuo padre- sospirò, porgendomi l'ultima violetta -Se tu sapessi come é andata davvero, magari i sensi di colpa non ti divorerebbero-
-E se lo avessi ucciso davvero io? Se quel giorno davvero lo avessi distratto dalla guida?- domandai, più a me stessa, che a Maila -Non è meglio lasciare tutto al favore del dubbio?-
-Dubbio che non dovrebbe esistere, Blake- affermò -Ci sono troppi magari, non credi?-
Scossi la testa, mettendole nelle mani la coroncina che avevo creato, per la prima volta dopo anni dalla morte di mio padre.
Ero confusa.
-Sai qual é il primo passo verso la felicità che cerchi, Blake?-
Scossi, nuovamente, la testa, stringendo i lembi del mio maglioncino blu, osservando le mie scarpe, improvvisamente interessanti.
-Ricordarsi quanto era bello essere felici. Chiudersi nel passato non salverà il presente, é aprirne le porte, che ti permetterà di stare bene-
Piangevo, piangevo e piangevo ancora.
Ero un disastro.
Le mie mani si muovevano velocemente e con agilità per permettermi di finire in tempo quella coroncina.
Intrecciai assieme alle margherite dei ciclamini, i fiori preferiti del mio papà, o quelli che lo erano.
Una crepa al cuore, mi percosse, al pensiero di non poter vedere più il suo sorriso, il suo volto familiare.
Asciugai le lacrime con il polso, affrettandomi ad agganciare bene il cestino alla mia finestra, per non distruggere quella piccola schifezza, come aveva detto la mamma.
La mamma, già, lei mi aveva lasciato in casa, il giorno del funerale del mio papà, mi aveva lasciato in casa, chiusa.
Poggiai la coroncina nel cestino e quando la figura di Federico, accompagnato da Maila, totalmente vestita di nero, furono nella mia visuale, calai giù l'oggetto, tentando di sorridere loro, con insuccesso.
Federico mi sorrise, come faceva solo con me, annuendo come per promettermi che avrebbe portato quei fiori a mio padre.
Quando andarono via, chiusi la finestra, accasciandomi contro il muro e scoppiando in uno di quei pianti che ti divoravano l'anima.
Tentai di rimettere assieme idee e pensieri, ma nulla di quello che c'era nella mia testa poteva aiutarmi a capire come avevo potuto uccidire mio padre.
L'odio di mia madre, le occhiatacce delle persone, la compassione di chi mi era amico, ogni piccola azione che non faceva altro che divorarmi ancora di più l'anima.
Presi tra le mani la mia bambola e l'abbracciai, piangendo e guardando le foto con mio padre, per quella che fu l'ultima volta.
Le guardai, fino a che non mi addormentai, troppo esausta per avere gli occhi aperti.
La mattina, quando riaprii quelle iridi verdi, le usai solo per piangere, perché la mia mamma mi aveva tolto anche le foto da guardare.
-Maila- la richiamai, improvvisamente, riemergendo dal mio stato di trance -Credo che dovremmo tornare a casa-
Lei mi guardò interrogativa, stringendo, ancora, tra le mani, la coroncina che le avevo intrecciato.
-Ho una felicità da conquistare, e se non posso, ho da capire che ognuno di noi ne merita una.-
-Ogni angelo, B-
-Non scordarti dei demoni, Maila.-
N/A: 11,3k. Pazzi.
Vorrei solo sottolineare la differenza tra il primo, il secondo ed il terzo flash back. Poi taccio, giuro. Si parla in tutti e tre di Federico, che in tutti e tre, compie delle azioni importanti.
Vorrei che notaste la bipolarità (lol si fa per dire) del suo carattere.
É qualcosa su cui Blake dovrà lavorare molto ahah. Una variazione psicologica dominante e contrastante. Il cambiamento, a volte anche drastico, di un ragazzo durante la crescita.
Stessa cosa per Blake, nel futuro.
GRAZIE PER LEGGERMI. 🐼🐼
XOXO
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