Epilogo

N/A: vorrei lo commentaste tutte. O almeno votaste. Significherebbe tanto per me.

La stanza é davvero strepita di persone e Martina si ritrova sommersa di domande.

Le pare semplice, rispondere, e guardarmi nel mentre. Come se le concedessi ulteriori risposte che neppure io posseggo, ma lei é speciale, l'ho capito dalla prima volta che me la sono ritrovata davanti alla porta di casa.

Nelle sue scarpe rotte, i jeans stretti e una felpa buffa, i capelli bagnati ed una valigia quasi del tutto vuota. Sono la sorella di James, aveva detto e mi sorprese ad osservarla ambiguamente.

Non sono un'aliena, ma un'artista. Rispose ai miei sguardi curiosi ed indiscreti, ancora non avevo capito che tipo di artista fosse.

Portava con sé tanti libri, in poco riempì l'intera casa che ci ritrovammo a condividere. E scriveva, era una delle poche cose che, nei primi tempi, sapevo di lei. E capii cosa intendesse per l'essere artista.

Scriveva, o meglio, scrive, ancora, sempre. Quando era in bagno, quando faceva colazione, di notte, sotto le coperte, o di giorno, al parco. E capitò che trovassi cosa scrivesse, me lo rigirai fra le mani e lessi.

E fu come rispecchiarmici in quelle frasi, una nausea costante e il camminarci attraverso.

Il resto é scritto in quel libro che sta presentando, perché ho scelto di fidarmi delle sue abili parole, di scegliere di scagliare un po' dei miei rimpianti su qualche foglio bianco e la sua biro é qualcosa che m'ha fatto sentire libera.

Kiss me again, please é il titolo che ha scelto, non le ho mai chiesto il motivo, non che mi interessasse. Quella copia di brividi é diventata best seller in un tempo minimo e questa consapevolezza mi manda in estasi. La mia storia, la nostra storia é una delle più discusse del momento.

Cosa cerchi? le avevo chiesto, guardandola presa ad osservarsi attorno.

Devo riuscire a scrivere un best seller, Blake. Fino ad allora mi aveva rivolto solo parole di cortesia e quelle nuove note che avevano fatto vacillare la sua acuta voce mi fecero notare quanto, anche se me ne fossi dimenticata, l'uomo potesse aver l'ansia che trabocca dalle crepe.

Osservo Martina sollevare una copia e rispondere a qualche giornalista. La copertina bianca e nera, disegni bianchi sullo sfondo nero, disegni neri sullo sfondo bianco. Una moneta, due ragazzi che si baciano, un pennello ed un vortice nel quale sembrano essere sul punto di essere trascinati le varie figure.

-Come mai ha scelto di terminare il suo romanzo con una lettera?- una voce é più alta della restante folla rumorosa, macchine fotografiche troppo indiscrete e blocchettini che vacillano fra il reale e l'intuito. Quelle penne colorate e i registratori attenti, i dettagli fanno sì che ci sia il diavolo e mi pare ovvio quale cosa loro, in questi momenti confusionari, venerino.

Martina si lecca le labbra e mi lancia uno sguardo. Sorrido, cerco di far sì che le labbra possano sembrare seta sul mio viso con troppo trucco, ma lei scuote la testa.

-Perché non c'é bisogno di nient'altro per queste storie.- si limita a rispondere, posa una ciocca di capelli dietro l'orecchio e lascia un sorriso educato alla donna con la camicia a righe che le ha posto la domanda.

Incrocio le gambe, lasciando le braccia strette al ventre, nel mio completo cipria. La sala che ospita la conferenza é spoglia di dettagli, mi sento soffocare ed annegare con lentezza.

Perché quello che siamo si spezza, improvvisamente, risale in vortici dissoluti e si mischia in una miscela micidiale con l'aria che respiro. Se avessi speranza e fortuna, penso che mi ritroverei a vagare tra i nostri sorrisi.

Le varie poltroncine sono di un nero sporco, i banchi bianchi e le porte di un rosso acceso, sotto quello che é il piano attualità della libreria.

-Cosa pensa dei pareri che hanno dato al suo best seller?- é un giornalista sulla trentina a porre la domanda, occhiali suggestivi sul naso e registratore nel palmo della mano.

Quei commenti, un tuffo al cuore. Ma Martina si incupisce maggiormente, si morde l'interno guancia ed avvicina il microfono alle labbra -La maggior parte dei contemporanei mi ha definita ragazzina senza un briciolo di talento con una realtà sfasata, voglia di una rivincita che non ho ottenuto con questo libraccio.- cala il silenzio, qualche sussurro riesco a percepirlo e mi stringo nel mio abito, non del tutto pronta a ciò che può essere. Prendo una ciocca di capelli con le dita e osservo Martina dondolare i suoi piedi e rido quando incontro, con gli occhi, le scarpe -Ma la restante parte, composta da critici, mi reputa la realtà che si respira. E ne sono contenta, davvero. Ma ciò nonostante, presto più attenzione alle critiche, sapete, quelle persone che hanno comprato il libro e che marciscono di invidia.-

-É così che definisce i suoi lettori?- una voce femminile, piuttosto roca, eccheggia nella stanza e storco il naso, non é quello che la ragazza castana ha detto.

-É così che definisco le persone che non si sono neppure prese la briga di capire il messaggio.- sta difendendo la mia storia, sta cercando di non farmi cadere nel burrone dei pregiudizi.

-Non può negare che sia una storia frivola e priva di messaggi ovvi.- un'altra voce.

E così mi giro, cerco un po' di sollievo poggiandomi al muro. La nausea persiste nel mio organismo, sento mancarmi, sento come se qualcosa mi stesse corrodendo man mano.

La pelle, i muscoli, poi le ossa. E sono le etichette che stanno dando alla mia storia. Ogni pregiudizio, la mancanza di controllo delle parole.

Vengono buttate lì, senza darsene conto. Vengono lasciate marcire nelle menti di chi le sente, le prova a capire. E demoliscono le ovvietà, le speranze, i principi.

-Quel che per lei é ovvio, per me é banale, scontato. Volevo pestare qualche cliché e penso di esserci riuscita. Questa storia é per i malati d'amore, ho raccontato qualcosa che uscisse dai soliti margini.-

-Ci sarà un altro libro?- evitano la risposta, ovviamente. La faranno sembrare una ragazza spumeggiante e vanitosa, per niente disposta al dialogo. Ma lei mi sta difendendo, le si stanno arrossando le gote per la rabbia. Prego quel Dio nel quale credo che mi faccia tornare indietro e stringo una copia della mia vita fra le mani.

-E per raccontare cosa? Blake e Federico sono troppo giovani per durare in eterno.-

Percepisco il cuore morirmi nella gabbia toracica parola dopo parola e cammino lontana da quella conferenza, cercando un bagno.

Mi scuso con diverse persone e mi faccio spazio fra la folla emozionata, scorcendo molti fan in coda per l'autografo.

Mi fermo e mi avvicino lentamente, provando a contarli.

Sono tenuti in fila da diversi uomini della sicurezza che borbottano fra loro, stringono fra le mani un caffé caldo e si lamentano della confusione, chiedendosi quale sia la motivazione.

-Un libro- risponde una donna, i capelli biondi e ricci legati, la divisa più ordinata rispetto a quella delle restanti guardie della sicurezza.

Alcuni di loro mi notano, mi pongono domande, ma persevero nell'avvicinarmi a quelle persone.

-Quanti siete?- chiedo ad una ragazza sulla quindicina, i capelli rossicci e degli occhiali sul naso. Ha un fisico prosperoso e mi sorride -Non ne ho idea, fin quando ero fuori siamo arrivati al numero seicento.-

Deglutisco rumorosamente e ringrazio, prima che lei mi parli ancora -Piacere, sono Matilde.-

Sorrido ed annuisco, facendo un cenno con la mano e muovendomi il più lontano possibile.

Il respiro irregolare, le gambe tremano e la paura mi trapassa la pelle, torturando le mie fragili ossa.

Tutto in una danza, si prendono le mani, indulgenti, e le mie consapevolezze scelgono di amare i miei tormenti.

Provo a regolarizzare il mio respiro, inspirando più a fondo, mentre mi appoggio al muro e chuudo gli occhi, disinvolta.

Perché non ho paura, non c'é inquietudine o male, vi è solo una strana consapevolezza di essere nuda davanti a così tante persone.

E se liberarsi, scagliare le proprie fecce di peccati, costa tanta angoscia, mi pento d'averci provato.

E i miei tacchi sono l'unico rumore nel bianco e retrostante corridoio, qualche cartellone rosso e avvertimenti vari. Ma sono solo io, nel silenzio del mare.

Non vi é di certo quell'acqua salmastra qui, ma una volta mi dissero che il mare fosse immenso. E non c'é parola più adeguata per le mie sensazioni.

Immenso. Immensa é la consapevolezza di essermi sperduta in tante mani, sulle bocche di migliaia di lettori, nei loro occhi, tra i loro pensieri, sui loro scaffali. Immensa è l'angoscia per essermi comportata al medesimo modo, non preoccupandomi di curare quelli che erano segreti trovati sulle nostre labbra. Immenso è quel corridoio, troppo spazioso e troppi i pensieri che non aspettano altro. Immenso é il dolore allo stomaco, che mi fa accasciare su me stessa, con le mani sul muro intonacato, seguito da una nausea determinata.

E so che l'adrenalina di un bacio é autocombustibile in mancanza di tatto, quel calore che saliva ad un solo sfiorarci e viverci.

Lui che affondava in me, con lentezza, quel punto che come del vino ci faceva ubriacare l'uno dell'altro.

Passo dopo passo, urla dopo urla, l'ho ritrovato nei sogni, nelle lacrime, nel sudore sulla mia pelle.

Come la sigaretta, esatto. Come quella sigaretta che lentamente si spegne, in un posa cenere su un tavolino in un giardino. La cenere spinta via dal vento, la fiamma che arde nel silenzio di ciò che é stato, ogni bacio che raffiora nei ricordi, ogni tocco. L'unione di due corpi più forti anche del tempo, perché il tempo sa passare.

Perché come se nulla fosse, tutto si solleva e mi avvolge, ricordandomi di ciò che ho passato, vissuto, ogni dettaglio che mi tormenta anche solo sfiorandolo con un dito in una giravolta maledetta.

Immensa é la mancanza involontaria del profumo di muschio mischiato al troppo fumo, quel che era divenuto il mio aroma preferito.

Immensa è la sensazione del ricordo dell'immergere la mia bocca nella sua, esatto, immergere. Il perderci ad ogni bacio, con ogni forza che c'é nei nostri organismi. Una sola danza.

Immensa é la voglia di accarezzare la sua pelle, i suoi capelli corvini e ogni suo lineamento sempre contratto. La vita non dona una possibilità a tutti. Ma lui, diavolo, era ciò che mi spingeva oltre i miei soli limiti.

La vista si appanna e a stento riesco a stare in piedi, nessuno aveva detto che avrebbe fatto così male.

Il libro mi sfugge da mano e cade accanto ai miei tacchi, cerco di abbassarmi, ma dei passi mi provocano timore.

Quella sensazione del conoscere che avverrà qualcosa di brutto, come nei sogni, ma non potersi avvertire.

-La storia che muta il dolore in parole concrete, ci inciampi dentro, leggendo.- sbarro lo sguardo, sento i conati di vomito nella mia gola e stringo le mani in pugni. Non é possibile, a stento mi tengo all'impiedi e rompo un tacco nell'intento.

E i passi si avvicinano, non oso alzare la testa, provo a coprire il capo coi capelli biondi.

-Mi si sono attorcigliate le budella, leggendo.- mi dò della visionaria, sento quell'altalena sconfortante, il cigolio, la voglia di darsi uno slancio maggiore, ma l'incostante forza.

-Mi sono ubriacata di simili personaggi, una storia d'amore che lascia vivere. Nessuna fine, per un'eternità del genere.- e sento che batte le mani, cerco di scuotere la testa e una mano davanti alla bocca, vorrei dissolvermi nell'aria.

-Vera, amore puro, i dannati che camminano fra le pagine- lascia cadere anche il suo di libro, accanto ai suoi piedi, a pochi passi da me.

E batte le mani. Non urla, non gesticola, non fuma neppure. Batte le mani.

-E nessuno ha pensato al povero Federico al risveglio, quando non trovò la ragazza con cui aveva fatto l'amore la notte prima.- e batte ancora i palmi, il suo tono vacilla fra il sarcastico e l'arrabbiato, sento la tensione palpabile.

-Cosa ci fai qui?- mi esce, il tono strappato dalle ferite. Ho i tessuti interni lacerati per la sua mancanza, e le guance per la sua presenza.

-Cercavo un po' di libertà, qui, a Londra. Non pensavo che l'altra metà avesse avuto la mia stessa idea.- sarcasmo, sento solo quello.

Scatto e finalmente lascio che i nostri occhi si incontrino. I suoi sono sempre blu, quel colore immenso, infinito, sconfortante. Ci trovo il mare nei suoi occhi.

Ci siamo noi, lì dentro.

E lui é cambiato. I tatuaggi ricoprono il suo collo, indossa un maglioncino grigio ed ha un piercing su sul suo sopracciglio, persino un tatuaggio sulla guancia, sulle nocche.

Ed é vuoto, esattamente come me.

-Quando mi avresti detto che vendevi quello che siamo stati ad una fottuta scrittrice troppo magra?!- la sua voce é ottusa, spaccata, quasi come se cercasse un po' di pace. I suoi lineamenti si induriscono e gli occhi si incupiscono.

Non reggo. Senza parole o sguardi maggiori, prendo dei lembi di vestito fra le mani e piango. Non mi trattengo, singhiozzo. Poi, mi copro le orecchie e lui mi dà dell'ipocrita. Poi lui mi dice di non amarmi più, poi se lo rimangia.

Si copre le orecchie, come me, con le mani ed afferma che l'ho ferito.

Gli ribadisco quello che anche lui mi ha fatto del male puro.

Il ragazzo dai capelli corvini piange e chiede scusa, poi ammette di amarmi anche più di prima.

E ci sediamo a terra, continuando ad urlarci contro tutti i nostri sbagli.

Perché arriva il momento nella vita di un uomo, in cui il dolore bussa e fai il resoconto di ciò che le tue mani hanno creato.

E, poi, gli confesso che lo amo con tutte le fibre del mio corpo.

E lui sorride, piangendo.
Ed io piango, sorridendo.

*****

-Martina era lì, al momento sbagliato.- scrollo le spalle, dopo un'ora, le teste una vicina all'altra, le ginocchia al petto. Le spiegazioni non desiderate sono i segreti inconfessabili.

E ci diciamo tutto.

-Perché porti i capelli lisci, ora?- se ne esce.

-Penso che quelli mossi mi ricordino ciò che siamo stati. Sempre in movimento, qualcosa di illogico.-

-Perché te ne sei comunque andata, quella mattina?-

-Penso che se non fosse finita allora, sarebbe durata per sempre.- ammetto e annuisce.

Il silenzio, in questo caso, é confortante. Accompagnato dalle nostre risatine, da tutto ciò che siamo che fluttua tra le nostre bocche.

-Vorrei poterti dire che ho imparato a non cadere e che non ho più paura. Ma il freddo di Dicembre mi ha fatto sentire ancora più solo, senza di te.- si scusa. Esatto, si scusa. Perché lui non vorrebbe essere così vulnerabile, non vorrebbe aver bisogno di ciò che abbiamo trovato e cercato con le nostre lingue.

-Mi piace il titolo.-

-Anche a me.- sorridiamo.

Un po' di dolce ed agoniato silenzio.

-Potrei dovertelo chiedere per favore.- conclude, sollevando il capo e muovendo le dita verso il mio mento. Fa incontrare i nostri sguardi.

-Cosa?-

-Di venire in un posto con me.- si alza.

-Non abbiamo ancora chiarito e--

-Non ho detto di volerti amare in qualche posto o baciarti contro pareti.- si lecca le labbra e mi porge la mano.

-Perché dovrei accettare?- allungo la mano e mi solleva, ridacchiando.

-Perché potrei avertelo chiesto per favore, di riconcedermi un po' del tuo tempo.- e ridiamo.

THE END
Alla mia metà.

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