Collide
Fumò la decima sigaretta solo in quell'ora, buttando fuori quel fumo con rabbia e svogliatamente, come se aspettasse la più grande delle occasioni.
Quei capelli neri erano tenuti su col gel, quelle guance con della colla, e quegli occhi con la vendetta.
Mordendosi l'interno guancia, spense anche quella miccia, prendendo in mano il pacchetto, con presa ferrea e dura, quasi rischiando di romperlo.
Vi erano ancora quattro malboro, quelle che teneva dure tra le labbra, quelle che usava solo per sfogarsi, quelle che le mani odiavano, procuravano dolore tanto quanto i ricordi.
-Lorenzo- in vano Bea lo richiamò, dolcemnte poggiata alla spalla di Chris, che osservava confuso l'amico, ma lui non l'ascoltó.
Quel giorno il sole era abbastanza caldo, illuminava i pavimenti attraverso i vetri, mentre le persiane erano parzialmente abbassate.
Quel ragazzo sembrava in collisione con se stesso, mentre stringeva coi denti l'ennesima sigaretta della giornata, portando l'accendino alla bocca -Lorenzo- provò Chris, senza ottenere risposta.
La sua completa attenzione era verso quella valvola di sfogo ancora da accendere, macchina di morte.
-Cazzo, Lorenzo!- gli strappò, incazzato la sigaretta di bocca, strattonando persino Bea nel movimento, prima che quegli occhi pieni di rabbia si incontrassero coi suoi, pieni di compassione.
E fu quello l'attimo in cui capì, mentre teneva la malboro in mano e gli occhi del ragazzo dai capelli corvini gli urlavano contro.
-Sono passati anni- si limitó a dire, prima che lui si alzasse, trovandosi alla medesima altezza, tutto di loro si fondeva, dalla rabbia allo stupore, dalla vendetta ai ricordi, dall'amore alla compassione.
-Cazzi miei- il suo pettò si alzò ed abbassò ad un ritmo che preoccupó anche la rossa, seduta sul divano, col libro di chimica tra le mani, prima di chiuderlo e trovarsi alla stessa altezza dei due, senza però proferire parola.
E fu quando Lorenzo evitó lo sguardo indagatorio di entrambi, camminando per quel grande salone a falcate molto veloci, borbottando frasi incomprensibili e tentando di calmarsi, che Christian si rese conto che non erano coincidenze.
-Dimmi che non c'entri niente- niente mezzi termini, sapevano entrambi di essere a conoscenza di cosa stessero parlando, persino la ragazza dagli jeans a vita alta aveva afferrato il concetto.
Lui non rispose, camminò semplicemente avanti ed indietro, appoggiandosi ovunque trovasse un mobile o il muro, quel fumo gli offuscava i sensi.
Si era reso conto di aver esagerato solo una volta che fu rimasto scottato, come si é soliti fare.
-Sta andando tutto storto, tutto storto!- blaterava, la ragazza dai boccoli perse il filo del discorso, ma il suo ragazzo aveva capito tutto.
A passi lenti, la sigaretta ancora fra le dita, il pacchetto e l'accendino a terra, le emozioni nell'aria.
-Dimmi che tutto questo é un enorme malinteso, ti prego dimmelo- provò, i loro corpi erano sempre più vicini, tutto andava lentamente a puttane.
Tutto stava fallendo.
-Ti prego..- quasi la voce si spezzò, non poteva averlo fatto, non lui.
Alzò gli occhi, l'altro, la mano contro il muro, l'urlo di Bea e il silenzio asfissiante, l'eco rimbombava.
-Dovevo vendicarmi, Chris..- non riuscì a trattenere una lacrima, il petto che scoppiava, la vendetta che ardeva -dovevo fargliela pagare.-
*****
Passare due giorni senza parlarsi, o anche solo guardarsi, é tremendo per qualsiasi persona scelga di amarsi. É avvilente per qualunque persona scelga di aver bisogno dell'altro. É triste per chi non può fare a meno di amarsi e di avere bisogno dell'altro.
Può sembrare la medesima cosa, volere e potere, scegliere ed essere obbligati, si tratta pur sempre di un'azione, qualcosa che l'uomo compie, senza ma o forse.
Ma scegliere e non potere, non vanno a braccetto, miei cari, non quando le persone si sono ritrovate a bere in cerca di dimenticare o a piangere in cerca di sollievo.
Manuel lo guardava, lo osservava da quasi un'ora, dallo stipite, mentre il fratello era sdraiato sul soffice letto, vittima di tanti ricordi, mentre diceva di stare bene.
Gli occhi socchiusi, le labbra screpolate ed i capelli disordinati, l'anima assente, il cuore imprigionato nelle spine.
-La smetterai mai di guardarmi?- la voce era così sottile che a stento lo riconobbe, le guance con quegli accenni rosei, erano rigate da lacrime versate in notti insonni, le macchie violacee sotto gli occhi blu mare erano sinonimo di notti insonni. -Sto bene-
In quel momento gli ritornarono in mente tutte le volte in cui, in soli due giorni, di nascosto dai loro genitori, si era ritrovato a mantenere le spalle del fratello che rigettava anche l'anima, lacrime, oltre l'alcol che aveva ingerito.
Quando si poggiò sui gomiti, guardandolo truce, come in cerca di solitudine, si morse il labbro, gli doleva il cuore alla vista di tanta disperazione. Lo aveva sentito ripetere di stare bene, costanentemente, bevendo stupide tisane e avendo lo sguardo assente, avere incubi sempre più insistenti, pregare di riportargli Blake e darsi dell'idiota, darsi dell'egoista e del solo, per poi rimangiarsi tutto e giurare di star bene.
Più volte pronunciava frasi senza senso, le borbottava, le assimilava e le richiudeva in sé. Le sue ciglia, in quei momenti, si chiudevano, nel vano tentativo di prendere sonno.
Manuel respirò, la camicia era leggermente sbottonata sul petto, i suoi capelli erano tirati su con la gelatina e le sue labbra erano, come solito, curvate in una smorfia di preoccupazione.
-Perché l'hai fatto?- gliel'aveva posta più volte questa domanda, lo aveva guardato sviarla e riprendere a bere strane tisante, prima di addormentarsi e risvegliarsi in preda agli incubi.
Lo guardò di sottecchi, le parole gli rimasero incastrate in gola, le sue ciglia erano ancora leggermente bagnate mentre tutte le emozioni danzavano assieme, creando un vortice che non faceva altro che divorarlo.
Le avrebbe voluto dare il meglio di lui, tutto quello che aveva, ma era semplice, non aveva nulla, se non oblio e buio.
-Hai mai sentito che anche le parole sbagliate a volte sembrano avere una rima?- vaneggiava, così fragile in quegli attimi, tutta la sua forza apparente andava via via sgretolandosi, ogni ricordo e senso di colpa lo divorava, neppure avesse chissà quale maledizione che lo marchiava.
Rideva, improvvisamente, cominciò a ridacchiare, tra le sensazioni che gli solcavano le guance fino a mischiarsi con la saliva nella bocca, facendogli sentire il dolore come impresso in ogni parte del corpo -Sto bene, Manuel, va via!-
Fu serio, indicò la porta, la felpa grigia gli dava un'aria da ragazzino, le coperte color blu lo facevano parere uguale, ma era diverso.
Lo sappiamo, lo sapeva. Il diverso é ciò che fa più male, non riuscire a trovare qualcuno che capisca, che é come te.
Era in collisione con se stesso, era in burrasca, il suo destino era quello.
Vagare, ma in tempesta, come un naufrago disperato. Dov'era la riva per lui?
Manuel sospirò, i suoi occhi quasi piansero a quella vista, quel bambino tremante che prendeva le cuffie, in cerca di sollievo.
Quelle labbra corrucciate, in cerca di salvezza.
Perché gli angeli si dimenticano che esistono dannati che aspettano solo di essere salvati?
Si scostò, chiudendo con lentezza e delicatezza la porta, poggiandosi ad essa, riprendendosi da tanta solitudine, le sue mani erano ancora attaccate alla fredda maniglia, sapeva che da lì a poco sarebbe scoppiato.
E a quel punto avrebbe travolto tutto quello che gli era attorno, come una mina, qualcosa di incontrollabile.
Dentro di lui bruciava la voglia di vivere, fuori una corazza contro la felicità.
Prima o poi, quella sarebbe caduta, lasciandolo indifeso, in balia di un amore che neppure conosceva, non lo accetteva, lui non era debole.
Fu quando sentì una canzone triste partire, che un tonfo si fece spazio in quella stanza. Cocci sul pavimento, ricordi in frantumi, lampada rotta, tanto quanto quel cuore.
Quei cocci come le lacrime che gli distruggevano il viso, come una cosa irriparabile, era così.
Il moro aprì velocemente la porta, ritrovandosi sulle note di una canzone che conosceva bene e davanti ad un Federico accovacciato, le mani scheggiate, sanguinanti, che tremava dalla paura nella vana speranza di riparare quella lampada disintegrata.
Gli si avvicinò, i passi indecisi e le mani inesperte, gli occhi vaganti, ma emanavano affetto.
Si accovacciò, con naturalezza, accanto al fratello, gli prese la felpa e lo tirò in un abbraccio, mentre borbottava disperato, chiedendo perdono.
Another day
Without your smile
-Fa male, abituarsi a sorriderle, abituarsi a credere che quello sia un per sempre, essendo pronto a dare il meglio di sé, senza riuscirci.-
Perché sì, quel sorriso uccideva più delle sigarette, gli mandava in puttane l'intero corpo, l'unico collegamento tra cervello e cuore.
Another day just passes by
-Giorni che passano, Manuel, e lei mi odia... Mi odia desiderando di non aver mai intrecciato una ghirlanda per me- ricambiò, con incertezza e disperazione, l'abbraccio del moro, che lo stringeva come una creatura da proteggere.
I suoi borbottii riempivano la stanza, le emozioni negative li avvolsero, che sorrideva ad una tale scena.
But now I know
How much it means
For you to stay
Right here with me
-Perché non é rimasta?! Me l'ha promesso, di stare qui, vicino a me... di non abbandonarmi..- caddero all'indietro, ritrovandosi sul pavimento impolverato abbracciandosi.
Perché nulla in quel momento, lo avrebbe fatto stare meglio che la sua presenza pronta a stringerlo.
The time we spent apart will make our love grow stronger
But it hurt so bad I can't take it any longer
-E sono un idiota, l'avrei dovuta tenere accanto a me. Il tempo usato per stare insieme.. ho distrutto tutto... sono una persona che metita di stare sola, un mostro!- batté i pugni sul petto e l'altro lo lasciò fare, quelle pareti li costudivano dal mondo, riportandoli in una zona di guerra, qualcosa solo per le lacrime.
I wanna grow old with you
I wanna die lying in your arms
-E quando mi abbraccia cazzo.. - si staccò, poggiando la testa sul materasso, sentendo il petto esplodere. Respirava irregolarmente, i muscoli tesi e le guance rosse.
I wanna grow old with you
I wanna be looking in your eyes
I wanna be there for you
Sharing everything you do
I wanna grow old with you .
Faceva male, pensare di essere la causa dei propri dolori, così tremendo, da divorarti più del dolore stesso.
Ma effettivamente, perché mai aveva baciato Zoe?
Per dimostrare cosa?
L'orgoglio ci distrugge mie cari, rendetevene conto.
Per ogni uomo vi é quel momento in cui si sceglie se usare il cuore o l'orgoglio, voi cosa credete abbia scelto?
A thousand miles between us now
Ed ogni minuto, semplice secondo fungeva da separazione per quelli che erano i loro sentimenti, che lottavano, contro le menti.
It causes me to wonder how
Our love tonight remains so strong
It makes our risk right all along
-Ed eravamo forti insieme... sai, prima che distruggessi tutto..
The time we spent apart will make our love grow stronger
But it hurt so bad I can't take it any longer
Non doveva sceglierla, non aveva intenzione di ricadere in quella ragnatela, non voleva che le loro strade, assieme alle labbra, si rincontrassero.
I wanna grow old with you
I wanna die lying in your arms
I wanna grow old with you
I wanna be looking in your eyes
I wanna be there for you
Sharing everything you do
I wanna grow old with you
Ma era tardi per essere felice, no?
Ormai non sapeva più dove andare, non piangeva, non rideva.
Cosa mai gli stava capitando?
Things can come and go I know but
Baby I believe
Something's burning strong between us
Makes it clear to me
Dentro di lui bruciava qualcosa, insieme al cuore, ricordi soppressi.
Gli avevano dato degli occhi per osservare, versare lacrime.
Un cuore immerso nelle spine, graffiato da esse, eppure batteva. Poteva amare, se solo avesse saputo farlo.
La bocca, l'aveva, ma la usava per commettere errori, pronunciare parole di cui si sarebbe pentito, baciare persone che lo avrebbero soffocato e tremare ogni qual volta sbagliava.
Le persone gli davano del forte, dell'indistruttibile, la gente credeva che fosse così insormontabile, da non provare dolore.
Ma lui aveva le vene di uragani confusi, viveva di essi, li sfruttava e ne rimaneva traflitto.
-Due specchi rotti non possono funzionare Manuel.. sono troppo rotto per permettere di riparare le sue crepe...- era la prima volta che buttava fuori quelle cose, non lo avrebbe mai fatto, ma il moro sapeva che c'era qualcosa che non diceva, quel pezzo che ancora lo teneva composto.
-Non é tardi per rimediare..- provò l'altro, senza neppure crederci. Era tardi per rimediare, era tardi anche per tirarsi indietro ed entrambi lo sapevano, tanto da accoccolarsi al silenzio.
Sapeva che Blake non scordava nulla, quell'aiuto che gli aveva concesso, un'opportunità data senza davvero riflettere, gli aveva preso la mano e lui aveva spezzato il legame.
Eppure la pensava, continuava a tornare a lei, era un dilemma. Qualcosa che neppure lui capiva, guardava tutto passargli avanti, senza volerlo inseguire.
E si era ubriacato, le sue mani avevano vagato, aveva osservato persone camminare per strada, dalla sua finestra.
Aveva avuto tante ragazze che lo desiderassero, che lo volessero solo per quello che poteva offrire e lì, non servivano parole giuste, lì non serviva saper dire quali erano i sentimenti, perché, semplicemente e tristemente, non vi erano.
Si era legato a tante di loro, pronunciando frasi che irritavano anche lui, solo per copiacerle. Qualcuna per gioco, altre per scommessa, altre per desiderio e altre per il broken.
Di labbra, ne aveva assaggiate tante. Bevande che si mischiavano al movimento delle loro lingue. Di fisici, ne aveva visti e toccati, esplorandoli con tutta la sua forza apparente.
Ma quelle labbra rosee e perennemente screpolate, quei capelli al profumo di pesca, quel seno giusto e quelle guance chiare, lo aveva stregato.
Dietro vi era una bambina di appena sette anni, che viveva nella speranza di trovare la propria favola.
Nelle sue, di vene, vi erano sogni. Viveva di quelli, lei.
-Da quanto tempo non parlate?- si accostò a lui, accompagnandolo nell'osservazione del muro che sembrava appena dipinto.
-49 ore, diciassette minuti e ventiquattro secondi.- rispose di scatto, nessuna nota attraversò quella flebile voce, solo una risposta secca -Venticinque.-
-Prova a parlarle- lui scosse la testa, non avrebbe funzionato, tralasciando il fatto che non sapeva dove fosse. Lui, dal canto suo, era semplicemente rimasto in camera, a rinnegare quello che provava.
Manuel lo guardava stordito, stava crescendo troppo in fretta, pareva che i modellini della lego gli fossero stati tolti prima del dovuto.
Eppure sapeva che, in fondo, era lui ad aver permesso quella cosa, sotto il vano tentativo di fare il giusto.
Permettergli di entrare in quel giro, respirarne le regole, accettarle e viverle con tutto se stesso. Allora, nemmeno al moro il prezzo sembrava così alto, ma lo aveva lasciato fuggire dai problemi, nella maniera più codarda.
-Stai blaterando che sei entrato in quel cazzo di giro?!- spinse il corpo del fratello, che già a stento si reggeva in piedi, che già a stento riusciva a controllarsi, tentando di calmarsi.
Non poteva averlo fatto davvero.
Lui annuì, bizzarramente, attirando a sè, ubriaco fradicio, a soli quattordici anni, la ragazza che l'aveva condotto verso la reclusione dalla libertà.
Lei rideva, ubriaca quanto il primo, in una piccola gonnellina e in un top che a stento le copriva il seno. Era la sua nuova famiglia, non l'aveva mai avuto.
E poi da quando andare a letto con qualcuno era reato?
-Hai idea di che cazzo di giro sia?!- sbraitò, provando a separarli, prima di buttare suo fratello contro il muro e tenerlo per la camicia -hai solo quattordici anni e già puzzi di alcol- sparò disgustato da quella figura.
-É la mia fottuta vita, non la tua!- riuscì a rispondere, sfacciatamente il ragazzo dai capelli neri, aveva un occhio nero per via di una rissa.
-Non tornare a piangere da me, quando ci saranno delle conseguenze!- sputò, togliendosi da dosso la polvere procuratagli dallo scontro col fratello.
-Non ci saranno conseguenze, Manuel- rispose lui, ovviamente. Credeva di aver trovato una famiglia, qualcuno che lo sostenesse, qualcuno che per lui ci fosse sempre.
Così, andarano uno per una strada, l'altro per un'altra.
-Tu non provi niente per Zoe..- sussurrò, non s'arrendeva, doveva farlo uscire da quel giro e Blake era la chiave.
L'aria viziata era molto più presente, perforava le narici, sembrava piena di sensi di colpa, come l'anima di quei due, seduti accanto ad un letto, tentando di trovare una via.
-Nemmeno per Blake- ringhiò, ma la voce si ruppe a metà frase, solo a pronunciare quel nome.
Il maggiore rise, lo trovava davvero infantile, segno che alla fine, Federico era lo stesso, la società mutava. -Come dici tu, ma mi pare tu sia qui a piangerti addosso.-
Federico si morse il labbro, quella sensazione la conosceva, il torto cresceva, la ragione dal lato di Manuel era più evidente del dovuto -Se vuoi stare qui a piangere dentro, urlando a pieni polmoni, fallo.- si alzò Manuel, pulendosi la polvere dal pantalone beige -Ma invece di raccogliere i cocci distrutti sul pavimento, potresti anche dismotrare di non essere poi tanto rotto, Federico.-
-Non siamo fatti per stare assieme, Manuel.- se ne uscì, lo ammetteva più a sé e concedeva che fosse una fitta al petto, ripeterlo, ad alta voce, come se il mondo potesse sentirlo -Ed usarla per il Broken, spezzerebbe entrambi.-
Era maturato, non avrebbe mai pronunciato quelle paroli, così irritanti per l'orgoglio, se non fosse cresciuto, lentamente, certo, ma pur sempre cresciuto.
Non capiva come i suoi pensieri fossero mutati, come non desiderasse più solo il contatto fisico, non più strapparle confessioni, solo tenere stretto il suo tempo, come se mai potesse passare.
-Sei al limite Federico, urli a squarciagola il suo nome con lo sguardo- fece qualche passo verso la porta, lasciandolo lì a terra, seduto, le ginocchia al petto, le mani strette alle gambe, il mento su esse -Nei tuoi occhi ci vedo lei,- così aprì la porta, dopo essersi avvicinato maggiormente, ma si girò nuovamente, prima di lasciare che la porta si chiudesse dietro di sé -Anche i migliori, inciampano nelle parole.-
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Martina's pov
Camminare per una Londra innevata era sempre stata una delle cose che sognavo fin da bambina, uno di quei sogni nella lista dei desideri.
Mai avrei pensato di ritrovarmi a studiare giornalismo in quella grande città, ammirandone le strade e le persone, come se fossero quel desiderio lasciato crescere, come un piccolo fiore che sboccia.
Rabbrividii per le temperature dure, mettendo le mani nelle tasche del cappotto grigio e mi prostrai ad entrare in un piccolo caffé, piuttosto affollato, ma accogliente.
Le persone parlavano molto velocemente tra loro, da scrittrice, sapevo che era il loro modo per non far trasparire le vere emozioni, o semplicemente, per non far sapere cosa si stessero dicendo.
Mi avvicinai con naturalezza al bancone di legno, era levigato e pulito, così vi poggiai i comidi, una volta che mi fui seduta e ebbi tolto il caldo cappotto, non proprio indispensabile in quel grande, ma caldo, posto.
Le due cameriere erano già pronte a servire altre clienti, quando mi guardai attorno, così finii per guardare di fronte a me, aspettando qualcuno che potesse servirmi.
Così, senza troppi indugi, presi il notebook nuovo, rileggendo per l'ennesima volta quella trama di cui non ero per nulla sicura, dato che Blake non avesse ancora terminato di raccontarmela.
Ancora non sapevo cosa fosse esattamente il broken, cosa Federico fece dopo quella rottura momentanea e il finale. Ma sapevo, in cuor mio, che mi sarebbe piaciuto di più quello dettato dalla mia fantasia.
Ascoltando le storie di B, avevo capito che non erano prevedibili, erano come adrenalina e, da tale, non potevano essere sotto chiave.
Quando alzai lo sguardo, trovai un ragazzo dai capelli castani sorridermi debolmente dall'altro lato del bancone e ricambiai, imbarazzata.
-Posso essere utile?- il suo accento era imperfetto, lo capii subito, era straniero, una vena diversa in quel tono.
-Una cioccolata calda- sorrisi nuovamente, quella volta più debolmente, prima che lui annuisse, voltandosi per prepararla.
Mi persi nell'osservarlo, le sue spalle erano ben tese, le braccia piuttosto muscolose e quei capelli erano alzati in un ciuffo.
Quando si girò, con naturalezza, notai quei suoi occhi castani, ero certa di conoscerli, conoscevo quel volto dolce, la mascella leggermente quadrata, ma nella mia mente era come nuovo.
Ringraziai, pagando, prima che lui sorridesse, rispondendomi di passare una buona giornata.
Italia, ecco di dov'era quell'accento.
-Sei italiano?- mi permisi di domandare, imbarazzata, fino al punto di colorarmi completamente, e lui annuì.
-Anche tu?- si avvicinò, con una pezza in mano, prima di pulire il ripiano accanto al mio. Abbassai il capo, come per confermare, prima che lui borbottasse un 'che strana coincidenza'
-Posso chiederti il nome?- azzardò, mordendosi la guancia.
-Martina, e il tuo?- feci altrettanto, non aspettandomi quel genere di conversazione con un barista, data la mia timidezza.
-Marco.- sgranai gli occhi, sorridendo falsamente, quando associai quel volto, ad una storia a me molto nota.
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