Chapter 5: Amarezza
Katsuki teneva in braccio la piccola Chihaya. Riposava con la guancia sulla sua spalla, perfettamente sazia e pulita. La camera da letto che li accoglieva, nel buio della sera, aveva tanti ricordi.
Il grande letto dietro di loro era spazioso, freddo e perfettamente ordinato. Odorava di Kappei ma quell'aroma non riusciva a rasserenarlo, com'era sempre accaduto in passato.
Guardò la piccola, poi sé stesso nel riflesso dell'ampia vetrata che affacciava su un balcone pieno di piante ben curate e i palazzi scuri all'orizzonte. Le luci urbane sembravano costellazioni.
In quel lussuoso appartamento, dove aveva convissuto con Kappei per ben cinque anni, lo faceva sentire un completo estraneo. Quando lavorava come Pro Hero a pieno regime il suo stipendio era regolarmente alto e poteva concedersi parecchi lussi.
Retrocesso a svolgere il suo dovere di Number Two Hero dietro le quinte a causa del suo infortunio - e ora la gravidanza che nessuno conosceva - ciò che percevipa ogni mese si era drasticamente ridotto.
Ecco perché si era cercato una seconda occupazione.
Il biondo sfiorò timidamente il ventre sotto la larga t-shirt nera a maniche lunghe. Di nuovo la sua espressione mutò, ancora una volta era affranto e per nulla felice. La verità era che addossava la colpa al cucciolo per aver perduto Kappei.
In primo luogo nessuno dei due aveva mai voluto figli; ma durante uno dei calori dell'Omega, l'Alpha aveva infilato un preservativo bucato ed era rimasto incinto subito.
-Non ho il coraggio di abortire...- pensò. -Lo darò in adozione, dopo averlo partorito-.
Sì, era la scelta migliore.
Non lo amava ma si assicurava di dargli tutti i nutrienti necessari per farlo crescere in salute. Chihaya fece un versetto, agitando un pugnetto. Katsuki le piantò un bacio sulla testolina, dopodiché prese posto sul bordo del letto continuando a guardare la vetrata.
Era innamorato della figlia di Eijiro Kirishima. Ma non provava nulla per il suo cucciolo biologico.
Red Riot gli tornò in mente e il suo cuore spremette nell'angoscia.
«Ci sta mettendo troppo...» sospirò. «Quella testa di rapa di Kappei».
L'Alpha lo aveva tirato verso la motocicletta blu metallizzata dopo che si erano incontrati per puro caso. Durante il breve viaggio non si erano scambiati una singola parola, neanche quando si erano infilati nell'ascensore del lussuolo edificio nero abitato solo da Pro Hero di un certo calibro.
Kappei lo aveva invitato dentro e lui era entrato quasi timidamente.
Tutto era rimasto uguale. Non un singolo oggetto spostato.
L'appartamento era moderno proprio come ci si aspettava da un amante del minimalismo e oggetti pratici come Kappei, ricco di vetrate che rendevano ogni ambiente più che luminoso.
Il salotto e la camera da letto erano quelli più spaziosi, con mobili di legno pregiato, mura dipinte tra il grigio e il bianco.
«Sembra di essere in una casa di qualche ricco governatore» fu il borbottio di Katsuki. «Ogni volta che metto piedi qui lo penso». Chihaya si mosse tra le sue braccia. «Non ti lascio, signorina» gli mormorò contro la testolina.
«Ti sei affezionato a quella cucciola».
Il tono divertito gli fece puntare istintivamente gli occhi verso la porta: Kappei si stava avvicinando al letto, fresco di doccia, con indosso un morbido accappatoio bianco. I suoi capelli erano il cielo notturno e le goccioline d'acqua che si riflettevano nei due abajour aranciate rappresentavano le stelle.
Le guance di Katsuki arrossirono leggermente. All'Alpha, però, non sfuggì il modo frettoloso e iper-protettivo con il quale il più minuto strinse a sé Chihaya. Perfino la mano sulla piccola testolina era volata con uno scatto, in fretta, pur di proteggerla.
Da cosa?
L'Omega Interiore iniziava a vedere Kappei come una presenza scomoda, a discapito dei sentimenti contrastanti che infiammavano ancora il cuore del biondo.
Quando sollevò gli occhi, sussultò. Kappei gli teneva le mani sui fianchi e accarezzava dolcemente. Le sue guance si fecero ancora più rosse. Katsuki non riuscì a sottrarsi a un bacio e, cosa peggiore, concesse alle lingue di danzare insieme in un ballo d'esplorazione.
Era da troppo tempo che bramava un contatto fisico con un Alpha. Quest'ultimo gli infodeva continuamente i suoi feromoni, leccava vogliosamente la ghiandola sul collo e sfiorava il suo ventre poco più sporgente.
Le dita che si facevano strada sotto la maglia e toccavano gentilmente la sua pelle portarono l'Omega a fare instintivamente alcuni passi indietro. Kappei non ne fu oltraggiato ma, con una risata maliziosa, lo spinse di schiena sul letto.
Chihaya fece un vagito infastidito. Un attimo dopo piangeva con forza.
Katsuki guardava con occhi ampi l'uomo che un tempo amava: lo teneva immobilizzato sotto il suo corpo a quattro zampe. Il suo non era uno sguardo gentile; di tanto in tanto rimbalzava dalla bambina al viso del biondo e si rabbuiava sempre di più.
«Katsuki» mormorò con voce bassa e un ginocchio in mezzo alle sue cosce. «Mettila a dormire e permettimi di amare te e il nostro cucciolo».
Il modo in cui quelle parole uscirono dalle labbra di Kappei, fecero rabbrividire il biondo. «E' spaventata» disse, ben poco convinto.
Kappei lo fissò per interminabili minuti, poi la sua espressione parve addolcirsi ma i suoi occhi ancora rimasero melliflui. Katsuki deglutì e non appena fu libero si sedette sul bordo del letto, dall'altra parte.
Se la bambina aveva iniziato a piangere era per l'odore di Kappei. Quest'ultimo continuava a fissare la schiena di Katsuki con un'espressione di disgusto.
Aspettò con grande impazienza che quell'intrusa si calmasse. La sua pazienza, però, si assottigliava con gran velocità. Kappei sospirò pesantemente, lasciando la camera da letto. Un po' di whisky lo avrebbe di sicuro calmato.
Katsuki, intanto, nuotava nell'incertezza.
Il motivo che l'aveva portato a rifiutare le attenzioni del suo Alpha non l'aveva affatto chiaro. Chihaya, almeno, si stava calmando e i suoi singhiozzi erano meno forti.
Improvvisamente, una fitta alla schiena lo fece trasalire. Katsuki strinse i denti per soffocare un gemito. La cicatrice doleva durante i temporali; bruciava come l'acido da appena sotto le scapole e scendeva trasversalmente fino a sfiorare il rene sinistro.
Un odore sgradevole arrivò da Chihaya: il pianto si fece un po' più forte. Katsuki si dedicò a lei ancora un po'. La pulì, la cambiò e pensò di darle il biberon.
Con forza ricadde a peso morto sul letto.
«Cosa?» si chiese, incredulo.
Riprovò di nuovo e questa volta riuscì a rimanere in piedi ma nel compiere il primo passo le sue gambe si intorpidirono. Katsuki si aggrappò al bordo del comò bianco per paura di rovinare in terra e far del male a Chihaya che si mordicchiava i pugnetti.
Le sue gambe erano come gelatina e non riusciva a camminare bene, per di più la cicatrice doleva con non mai. Ma il tutto durò solo pochi secondi.
Katsuki raggiunse molto lentamente la cucina, dove Kappei stava sorseggiando il whisky e fumando una sigaretta accanto alla finestrella del cucinino.
«Spegnila» ordinò freddo il biondo.
Kappei sbuffò ma obbedì. Chihaya guardò la sigaretta che si spegneva sotto il rubinetto del lavello ed emetteva una debolissima scia di fumo. Katsuki lo ignorò per tutta la preparazione del biberon.
«La stai abituando troppo in braccio».
Il biondo, che era di spalle e intento ad regolare la fiamma del fornello, fece un sogghigno che mascherava di poco l'irritazione. Odiava quelle inutili manifestazioni di gelosia verso la figlia di Eijiro Kirishima.
I suoi occhi si oscurarono al pensiero di quell'Hero dai rossi capelli.
«E' piccola» rispose dopo qualche istante. «Non la lascio da sola».
«E al nostro bambino non ci pensi?».
Keppei lo spinse verso il suo bacino, le mani volarono sul ventre rigonfio. Di nuovo, la sensazione di fastidio ma soprattutto di violazione. L'Omega Interiore si sentiva minacciato da quelle interazioni non gradite.
Il biondo non fece nulla.
«Tu non ci hai pensato quando mi hai abbandonato dinanzi a tutti, però» replicò freddo.
Keppei gli alitò in un orecchio prima di baciargli una guancia. Le dita erano delicate nel massaggiare il ventre e sensuali durante la scesa verso l'orlo dei pantaloni neri del pigiama. Il ginocchio si fece strada tra le sue cosce, giusto sotto le natiche.
«Non sono in vena» mormorò.
«Lo so. Appena avrai finito con lei, ti amerò molto, te lo prometto. E recupereremo il tempo perduto».
Katsuki, però, non era granché d'accordo. «Di cosa volevi parlarmi prima?» domandò.
Keppei gli sfiorò di nuovo la ghiandola odorosa con la lingua. Ci volle tutta la calma del mondo per non assestargli una testata contro il cranio per farlo smettere.
«Di sposarti».
Per poco il biberon di Chihaya non gli finì in terra. Katsuki si voltò di poco con un'espressione incredula. Kappei sorrideva dolcemente e teneva in una mano un cofanetto di velluto rosso. Quando lo aprì, l'anello argentato con una pietra preziosa dai mille colori illuminò gli occhi rossi dell'Omega.
«Kappei...» mormorò con un fil di voce.
«Katsuki, ho sbagliato. Ti ho perduto a causa della mia codardia ma il fatto è che... ero così stupito quando mi hai detto che sarei diventato padre, che sono scappato senza volerlo».
Il biondo andò a sedersi sul divano beige di pelle per poter nutrire l'affamata bimba.
Kappei gli sostava dinanzi con ancora il cofanetto nel palmo della mano. Fissava con astio Chihaya.
«Sono il tutore della bambina. Se hai intenzione di sposarmi, lei è inclusa!» mormorò gelido.
Un guizzo di fastidio balenò negli occhi del giovane uomo di ventidue anni, tuttavia sorrise e gli si sedette accanto, con una gamba sull'altra.
«Puzzi di tabacco! Sono incinto e ho una bambina piccola in braccio... ci stai appestando!».
«Scusami, è solo l'abitudine. Ti prometto che smetterò».
Katsuki sbuffò. Chihaya aveva già preso metà del biberon e ora procedeva più moderatamente. Kappei lo fece poggiare al suo petto con gentilezza; ancora una volta il cuore gli si divise a metà. Da un lato era grato di quell'evidente voglia di ricominciare, dall'altro, invece, provava solo fastidio.
L'Omega Interiore era cupo.
«Non ti ho perdonato affatto. Non voglio sposarti».
L'Alpha incassò duramente il colpo. Poggiò la scatolina con l'anello sul divano ma non scappò, non quando aveva la possibilità di riconquistare l'Omega più bello del mondo.
«Non mi arrenderò».
Katsuki sorrideva al faccino curioso di Chihaya e non si accorse del bagliore di rabbia che attraversò il volto del più alto.
«Il bambino» riprese gelido il biondo. «Che intenzione hai?».
«Lo terremo e lo cresceremo» fu la dolce risposta eccitata.
Kappei gli portò la mano sulla pancia per accarezzare. Ma Katsuki non era per nulla convinto.
«Io voglio darlo in adozione».
«Ti stai prendendo cura del cucciolo di un altro Alpha morto e sepolto...» Kappei lo disse freddamente ma sempre sorridendo. «Perché stai dando la priorità a lei? Sei addirittura il suo tutore legale adesso. Invece al nostro cucciolo, sangue del mio sangue, neanche un po' di affetto».
«Tu non hai mai voluto figli e mi hai ingravidato! E poi abbandonato! Non ti permetto di farmi la cazzo di morale!» urlò improvvisamente il biondo, schiaffeggiandogli la mano.
Chihaya scoppiò in lacrime, spaventata.
Il biondo si alzò per portarla in camera da letto e sperare di cullarla e di non mostrarsi sull'orlo delle lacrime ma una fitta alla pancia lo fece piegare su sé stesso.
«Tsuki!» esclamò spaventato Kappei.
«V-vattene! Toglimi le mani di dosso!».
La prossima cosa che sapeva erano le braccia forti dell'Alpha che lo sostenevano appena sotto la pancia. Katsuki gemette a causa della cicatrice alla schiena e al torpore delle sue gambe. Il biberon cadde in terra, in un fragoroso rumore.
«Mi dispiace» sussurrò Kappei.
Lo prese in braccio e con cura lo adagiò al letto. Il biondo portò la bimba al petto: solo quando l'altro lo lasciò da solo si concesse di piangere.
-Eijiro...- pensò.
Se ne stupì ma non volle prestarci davvero attenzione...
***
«Lei lo sa che avrebbe dovuto immediatamente abortire?».
Katsuki corrugò le sopracciglia, un po' colpito dalle fredde parole del ginecologo Beta che leggeva le sue analisi. Kappei gli era seduto a fianco. Chihaya sonnecchiava nella fascia, con il faccino premuto sul petto dell'Omega.
«Mi scusi, Yurusei-san... che intende dire?» domandò perplesso l'Alpha.
«Con l'avanzare della gravidanza, il suo compagno avrà serie ripercussioni a causa dell'infortunio grave subito in precedenza» replicò. «I sintomi che mi ha descritto sono legati al feto. Più cresce e più vi sarà una compressione sui nervi degli arti inferiori. E' comunque comune nella gravidanza ma nel tuo caso, Bakugo-san, che hai già un infortunio importante, potrebbe verificarsi una totale paralisi nel momento del parto».
Il biondo chinò la testa con un'espressione sconvolta.
«Non sei più in tempo per abortire. Hai superato la ventiduesima settimana di gestazione» riprese il Beta dai capelli neri. «E' importante monitorarti ed, eventualmente, pensare a un parto prematuro prima che tu ti ritrovi su una sedia a rotelle. Mi dispiace se sono molto franco ma qui la soluzione è molto delicata».
Katsuki si escluse completamente.
Il medico parlava con voce muta e Kappei annuiva, mentre gli stringeva la mano tremante. Perché era così strano? Perché non riusciva più a fidarsi dell'Alpha che gli gettava occhiate spaventate?
Un debole calcetto contro la parte più pronunciata del ventre lo riportò alla realtà. Katsuki si alzò con foga senza dire una parola. Guardò la piccola che sgambettava con gli occhi chiusi, poi lasciò quell'ambulatorio così claustrofobico.
Si infilò in un'ascensore che si stava chiudendo in quel momento, spinse un bottone qualsiasi infine si appoggiò con la schiena allo specchio dietro di lui. Sentiva le gambe formicolare e la cicatrice dolore.
«Chihaya... avrei dovuto saperlo... avrei dovuto abortire!» mormorò a denti stretti.
Non ebbe il tempo di abbandonarsi al pianto perché le porte di metallo si riaprirono con uno sbuffo. Katsuki sussultò: aveva pigiato inconsapevolmente il piano per l'Oncologia.
«Siamo fortunati, signorina» disse con un lieve sorriso. «E' ancora l'orario per le visite. Ti porto a conoscere il mio migliore amico».
La bimba fece un versetto, muovendo le manine.
L'Omega superò la metà del corridoio dal forte odore di medicinali; il silenzio era interrotto a tratti dal mormorio dei familiari e i pazienti. Di tanto in tanto squillava qualche cellulare.
Katsuki entrò senza bussare nella settima porta a destra. In uno dei due letti giaceva Izuku Midoriya.
«Kacchan!» salutò festosamente.
«Ciao, Izuku. Ti ho portato una visita».
Quando le mostrò completamente Chihaya, il volto di Izuku si intenerì. Mentre le sfiorava una guancia con lo scheletrico indice ripensò alla tragica fine di Eijiro.
«Come stai?» chiese il biondo.
Izuku non gli rispose, neanche lo guardò. La bambina lo studiava curiosamente e tentava di toccargli le mani con le sue. Era adorabile. Katsuki decise di raccontargli tutto, senza tralasciare il fatto che provasse solo fastidio per il bambino dentro di lui.
«Non posso più abortire» concluse alla fine.
Il verdino le riconsegnò Chihaya. Dalla posizione semi-distesa qual era rimasto per gran parte del pomeriggio piovoso, si distese. Gemette un po' al dolore nelle povere ossa.
Ormai del suo corpo allenato non rimaneva nulla.
Il suo tempo era quasi scaduto.
«Kacchan, confido nel fatto che saprai prendertene cura» gli disse.
«Appena nascerà lo darò in adozione. Non voglio tenerlo! Non ho mai voluto figli in primo luogo!» esclamò il biondo, furioso.
Izuku guardava Chihaya. Era stata un'ottima mossa far diventare Katsuki il suo tutore perché era sicuro che quella piccola orfana sarebbe stata al sicuro. Dopotutto, quel burbero Omega era da sempre stato attento ai bambini e gli piacevano.
«Kacchan, Shoto dov'è?».
Fu il turno di Katsuki di non rispondere.
«Grazie per essere venuto da me. E' stato bello vederti e conoscere la piccola Chihaya».
Il biondo aprì la bocca ma non un suono ne uscì. Solo silenziose e pesanti lacrime...
Angolo di Watchie
Siamo ufficialmente a metà storia. Rileggere e correggere questo capitolo mi ha riportato in mente un periodo amaro per me. Vi ringrazio per seguirmi, amici lettori: a domani.
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