Capitolo IV

Capitolo IV

«Quindi, alla fine, ha deciso di andare.»

La voce di Erik gli arrivò improvvisamente alle orecchie, mentre era troppo concentrato a preparare il suo zaino per il mattino seguente, quando sarebbe partito insieme ad Hershel verso le rovine di Akubadain. Avvertì un leggero tono malinconico in quella frase ma, come sempre, quando si voltò, Erik aveva messo su uno dei suoi timidi sorrisi, che rendevano luminosi i suoi occhi azzurri – un colore che Randall aveva sempre considerato unico e che, ogni tanto, glielo aveva anche fatto presente, mettendolo spesso in imbarazzo di fronte a dei complimenti che quel ragazzo non era abituato a ricevere.

«Sì. Ho convinto Hershel a partire con me. Lo sai, vero, che se tu avessi potuto avrei portato te?»

Erik rise. «Lo so. E, mi creda, se non fossi costretto a restare qui verrei volentieri.»

«In verità potresti anche farlo. Dopotutto, dopo questa scoperta, diventeresti così famoso da non aver più bisogno della famiglia Ascot. Il tuo talento e la tua intelligenza verrebbero riconosciuti Erik. Tu sei sprecato a stare qui, credimi!», gli disse, e come sempre Erik abbassò lo sguardo, incapace di gestire certe emozioni.

«Lei ha un'opinione troppo alta di me, signorino Randall», disse, e non fu niente di diverso da quello che Randall si aspettava di sentirgli dire.

Ridacchio. «O forse sei tu che hai un'opinione troppo bassa di te. Comunque non importa, quando tornerò e diventerò famoso, tu diventerai il mio braccio destro! Ti porterò con me a Londra, diventeremo soci, avrai una vita autonoma e farai tutto quello che vorrai! Te l'ho promesso e così sarà.» Gli fece l'occhiolino e, tornando a arrotolare il sacco a pelo e legandolo poi sulla parte superiore dello zaino, sentì addosso lo sguardo dell'altro e seppe, dentro di sé, che avrebbe voluto dirgli qualcosa ma che non sembrava aver trovato il coraggio per farlo.

Non lo spronò. Conosceva Erik, sapeva quanto fosse difficile per lui esternare anche solo un sentimento al di fuori di quella sua aria servizievole e sempre composta. Era gentile, generoso, a volte esageratamente buono. Aveva sempre una buona parola, non lo contraddiceva mai e Randall sapeva, per certo, che a volte avrebbe voluto dissentire su alcuni suoi atteggiamenti.

E, quel giorno, ebbe l'impressione che volesse fermarlo, solo perché sapeva quanto poteva essere pericoloso quel viaggio e che, nella peggiore delle ipotesi, non si sarebbero visti mai più.

«Stia attento, signorino Randall.» Disse solo, alla fine, tartassandosi le pellicine delle mani, che gli vide tremare.

«Lo farò, tu aspetta il mio ritorno e una nuova vita!», sorrise, infine, e quando gli mostrò la mano per stringerla, Erik esitò, prima di chiudere quella promessa contraccambiando, ma poi lo fece e Randall si sentì comunque in colpa per non aver insistito abbastanza nel portarlo con sé.

Prima di partire per le rovine, Randall e Hershel si diedero appuntamento di fronte al mulino, dove Angela era già lì ad aspettarli, con le lacrime agli occhi.

Era uno straccio; non aveva dormito e si vedeva dalla stanchezza che le pesava addosso ma che, pensò Randall, non la rendeva meno bella di quanto non fosse. Cercò di rassicurarla, la abbracciò così forte, prima di andare, che per un secondo pensò di volerla inglobare dentro di sé e portarla con lui. Piangeva così tanto che, per la prima volta in vita sua, esitò sul da farsi. Quasi ci ripensò ma, quel futuro da archeologo, quella passione che aveva finalmente la possibilità di brillare, e la promessa che questo avrebbe reso felici entrambi, non lo fermò. Fu quello a spingerlo a staccarsi da lei, baciarla così a lungo che parve una vita e, infine, partire.

La mappa sul muro di Norwell aveva rivelato un percorso che partiva dall'uscita ad est di Stansbury, e che portava al deserto di Dungeness, dove, proseguendo verso nord, avrebbero incontrato un canyon e, scendendo la fenditura del terreno, avrebbero raggiunto le rovine di Akubadain, mai trovate prima da nessun altro.

L'idea che fosse così lo elettrizzava a tal punto da renderlo quasi iperattivo; un comportamento che Hershel, a quanto pareva, a fatica riusciva a gestire. Layton era più calmo, più cauto, Randall tendeva troppo a buttarsi nelle sue imprese e, malgrado si compensassero abbastanza, quelle diversità a volte tendevano a dividerli su certe idee.

E fu proprio all'arrivo al canyon che Hershel, esausto, parve quasi voler gettare la spugna.

«Randall, mi avevi detto che il percorso sarebbe stato più semplice di così. Avevi promesso ad Angela che non ci sarebbero stati pericoli!», lo redarguì, facendo un passo indietro dopo aver guardato giù, da sopra a una montagna. Randall ci poté giurare di averlo visto rabbrividire.

Si accigliò: «So cosa ho detto, eppure... la fortuna aiuta gli audaci, Hershel. Questa qui è l'occasione di una vita e noi dobbiamo afferrarla finché ne abbiamo l'opportunità!»

«Ma hai detto ch-»

«Non mi interessa discutere oltre. Ho lavorato duramente per arrivare fin qui e non sono nessuno per costringerti a venire con me, dunque se non te la senti puoi tornare indietro, io continuo.»

Hershel sussultò, poi sospirò. «Randall...»

«Io... non getterò la spugna proprio ora e so di aver insistito tanto per averti con me, al mio fianco, in questa avventura. Sei libero di andare ma... vorrei che restassi, senza sentirti costretto a farlo. Non voglio riuscire in questa impresa da solo, voglio gioire con te del traguardo raggiunto. Sono certo che ce la faremo, Hershel», si sentì di dire e, forse per la prima volta nella sua vita, si mostrò debole. Per la prima volta mostrò il suo lato vulnerabile, quello più umano che avesse.

Layton restò in silenzio per un po', poi scosse la testa e, risoluto, strinse le spalline del suo zaino con una certa e determinata convinzione.

«E va bene, Randall. Andiamo!»

Grazie, gli disse, con un sorriso e, senza esitare, iniziarono a scendere giù, in silenzio.

Si ritrovarono, grazie alla mappa – disegnata accuratamente da Erik che Randall ringraziò mentalmente – di fronte ad una porta di pietra, molto simile a quella che avevano trovato dietro al vecchio mulino, al muro di Norwell.

Ci volle un bel po' per riuscire a risolvere l'enigma per aprirla ma, quando ci riuscirono, il suono della roccia che si spalancava, pur essendo quasi inquietante, fu un invece un sollievo.

Entrarono, trovandosi di fronte ad una grotta scolpita nella montagna, fatta di corridoio divisi da porte aperte e colonne; alcune di queste erano crollate, forse in seguito a dei terremoti nel corso dei secoli e che, per un attimo, li preoccuparono.

«Sarà sicuro stare qui sotto? Non crollerà niente?»

«Mi auguro di no!», fu la risposta di Randall che, accendendo una torcia, decise di andare avanti lui. Hershel, invece, lo affiancò e questo, in un certo senso, gli diede maggiore sicurezza.

«Bene! Questo è molto rassicurante», ironizzò Layton, sebbene nella sua voce vi fosse una vena di paura che Randall decide di ignorare.

Si addentrarono nelle rovine, dovendo risolvere alcuni enigmi per entrare in nuove aree o scendere sempre più in fondo.

Dovettero combattere contro dei Golem che gli Aslant avevano di certo costruito, con una delle loro sofisticatissime tecnologie, per difendere i loro tesori e segreti. Ringraziarono il cielo di aver studiato scherma sin da bambini e di cavarsela piuttosto bene con la spada – arma che non avevano pensato di portare con loro ma che, per solita fortuna sfacciata di Randall, riuscirono a rubare a due dei dodici Golem che li avevano attaccati.

Riuscirono a superare quella prova, scoprendo con piacere che fosse l'ultima, prima di arrivare di fronte ad uno scenario che li lasciò senza parole.

Un'oasi sotterranea, composta di una cascata, un lago, dove una lunga passerella di rocce faceva da percorso verso quella che era l'ultima porta, l'entrata che li avrebbe condotti alla sala del tesoro degli Aslant.

«Ci siamo», mormorò, e cercò di nascondere a Hershel quel senso d'ansia che sentiva, incanalando aria nei polmoni prendendo un profondissimo respiro.

Dalle rocce cadevano giù rivoli d'acqua pulita e purissima; ne bevvero un po', scoprendo che era ghiacciata. Randall si sciacquò la faccia, rifocillandosi per un attimo, prima di tornare a guardare ciò che c'era oltre il lago, e che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.

«Non ci posso credere, siamo davvero arrivati a destinazione?», chiese Layton, retorico, e Randall sì voltò a guardarlo, senza riuscire a dire una sola parole.

Annuirono, dandosi silenziosamente il via per attraversare l'ultimo tratto, e partirono.

Saltarono da un masso all'altro, accorciando le distanze tra loro e il tesoro, e tutto sembrò semplice, troppo semplice per essere vero.

E fu quello l'ultimo pensiero che attraversò la mente di Randall, prima che uno dei massi del percorso sul lago iniziasse a sprofondare, lentamente, cercando di portarli giù.

No, non era il masso che sprofondava, ma il livello dell'acqua che si abbassava. Si lanciò un'altra occhiata con Hershel e, saltando velocemente sui massi rimasti, tentarono disperatamente di raggiungere comunque l'altra parte.

Un ultimo salto e ci sarebbero riusciti quando Layton riuscì a raggiungere il punto finale, Randall si lanciò troppo tardi, non riuscendo a fare lo stesso.

Hershel lo afferrò abilmente e lo tenne sospeso in quello che, ora, era diventato un vero e proprio burrone: l'acqua era sparita, lasciando spazio al nero piò oscuro, il quale caderci dentro avrebbe trovato solo l'inesorabile impatto col suolo e... e la morte.

Randall strinse la mano di Hershel cercando di rimanere aggrappato. Tra le dita dell'altra teneva stretta la Maschera del Caos.

«Lascia andare la Maschera!», urlò Layton, inginocchiato, mentre tentava con tutte le forza di tirarlo su. «Dammi l'altra mano, Randall!», lo supplicò.

Randall non lo ascoltò. Era sconvolto, stretto solo alle uniche due sicurezze che gli erano rimaste: la mano di Hershel e la Maschera del Caos. Tentò di risalire la roccia aiutandosi con i piedi, ma questa era troppo fragile per poterglielo permettere.

No, non avrebbe lasciato la Maschera; non adesso. Non ora che era arrivato a tanto così dal suo traguardo. Guardò in basso, e vide solo nero. Vide l'oscurità di cui il nulla era fatto e, a quanto pare, quella era l'essenza della morte e dell'esistenza stessa. Aveva lottato così tanto, era arrivato fin lì ma forse... forse non era degno. Non era compito suo scoprire quel che c'era dietro quella porta; era sempre stato così, dopotutto.

Pensò a Erik, pensò ad Angela, pensò a Dalston e al suo sogno di aprire degli alberghi, rimanendo salvo a Stansbury senza mai muoversi in giro e rischiare la vita inutilmente.

Pensò a suo padre, che non avrebbe mai avuto un motivo per essere orgoglioso di lui, ora.

«Eppure mancava così poco...», mormorò, più a se stesso che all'altro – ancora lo sguardo basso, verso la fine. «Perdonami Hershel, ti ho deluso... dì ad Angela che mi dispiace.»

«Lascia andare la Maschera, Randall! Così non ci riesco!»

«Prendila tu, è tua! Devi risolvere l'ultimo enigma.» Allungò la mano che ancora stringeva la Maschera e, sorridendo arreso a quel destino che lo attendeva, sorrise mentre cercava di cederla a Hershel, che tentò di afferrarlo con più decisione.

Il corpo di Randall oscillò; il peso tra le mani  fu insostenibile perché, un attimo dopo, la presa non fu più salda e, con ancora la Maschera tra le mani, Randall Ascot fu inghiottito dal buio, senza fare più ritorno.

L'ultimo ricordo fu quello del viso di Hershel, sconvolto, che tentava ancora inutilmente di afferrarlo.

Poi fu la fine.

Fine Capitolo IV

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