Capitolo I
Capitolo I
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Anche sette anni dopo quella promessa sul lago, se c'era una cosa che non mancava proprio mai a Stansbury, era la noia.
Incessante, logorante, apatica noia. Gli unici momenti che Randall poteva ritenere quasi divertenti erano quelli che dedicava allo studio dei testi di Donald Rutlage sugli Aslant e i misteri che aleggiavano intorno a quell'antica civiltà. Aveva liberato una parete in camera sua, spostando un armadio verso la finestra e, senza premurarsi troppo di cosa avrebbe potuto dire suo padre, aveva iniziato a segnare dei nomi, delle usanze e dei codici che Rutlage aveva trascritto nei suoi tomi accademici, alcuni ancora in attesa di essere decifrati e, più che convinto di questo, Randall sapeva che sarebbe stato lui a tradurre quei segni e a trovare la Maschera del Caos – e, ovviamente, diventare famoso.
A volte Erik si univa a lui e, quella fiducia che riponeva nel suo maggiordomo, la doveva al fatto che, un giorno, era entrato in camera sua portandogli del tè e, casualmente, dopo che Randall gli aveva chiesto cosa ne pensasse della sua parete artistica, lui aveva risposto che tra alcuni segni aveva visto delle curiose correlazioni – cosa che Randall non aveva notato.
Dunque, lo ammetteva senza problemi, Erik era un ottimo compagno di studio e un amico sincero ma, purtroppo, non aveva la possibilità di aiutarlo tutte le volte in cui ne aveva bisogno; troppo impegnato con le sue faccende domestiche e a supportare il lavoro di Raphael Ascot, il padre di Randall, che pareva contare molto più sul maggiordomo che sul figlio.
Qualcosa su cui Randall era quasi sceso a patti, non restandoci poi così male come un tempo. Faceva male ogni giorno meno la consapevolezza che, dopotutto, a suo padre di lui importasse meno di zero.
Tolto Erik, Randall non poteva fare affidamento su Angela. Aveva tutt'altri interessi e non avrebbe capito quella sua passione che, molto poco carinamente, a volte osava definirla un'ossessione. Forse lo era, chissà...
Poi c'era Alphonse, ma anche lui aveva altre cose a cui dedicarsi. Da quando avevano compiuto quindici anni, ovvero quasi due anni prima, Al non faceva che parlare di quanto ricco sarebbe diventato, cominciando ad aprire alberghi in tutto il paese e amministrandoli, a detta sua, con la sua grande capacità finanziaria e il suo occhio sveglio puntato sull'economia del turismo.
Balle, pensò Randall, come se a qualcuno potesse interessare davvero visitare Stansbury e i suoi dintorni. Sarebbe stato un pessimo affare ma, dopotutto, un sogno era un sogno e questo, di certo, lui non poteva giudicarlo, visto quanto era ambizioso il suo.
Rise. Reclinò la schiena verso lo schienale della sedia, sulla quale era seduto, ancora troppo intento a studiare la civiltà Aslant e i suoi contorti codici runici. Si stiracchiò, convinto che avesse bisogno di una pausa e, quando fece per alzarsi, qualcosa che picchiettò contro il vetro della finestra attirò la sua attenzione.
Era di certo Angela che lo stava chiamando dal giardino. Ormai quello era il suo modo di suonare il campanello.
Randall raggiunse la finestra e, affacciandosi, il suo sorriso si distese di più, quando la vide: portava una gonna lunga fino alle ginocchia color lilla e una camicetta di seta bianca con le maniche corte. I capelli biondi erano legati in una piccola coda alta e, sul viso, indossava il sorriso più dolce che le avesse mai visto fare in vita sua.
«Angela! Che ci fai qui?», domandò, sebbene il motivo gli importasse ben poco. Era lì, e quando Angela era nei paraggi, Randall era sempre felice.
«Ti ho distolto dai tuoi studi? Se l'ho fatto ti chiedo scusa, ma c'è una novità in città. Mi piacerebbe che tu venissi con me a indagare.»
«Non sono mica una suocera di paese», cercò di difendersi, sentendo addosso l'accusa di essere, in verità, un vero e proprio impiccione.
E lo era. Lo era eccome.
Angela nascose una risata dietro la mano, poi saltellò sul posto e indicò la strada principale.
«Ti aspetto sul sentiero appena fuori la proprietà. Non far tardi, o ci perderemo il meglio!»
Randall si chiese cosa accidenti fosse successo di così eclatante in un posto noioso come Stansbury così, incuriosito – e incapace di nasconderlo – infilò una giacca fucsia e legò un fazzoletto arancione al collo e si precipitò al piano inferiore, dove suo padre era seduto alla scrivania e sua madre, come al solito, era immersa nel suo lavoro di sartoria su un vestito di velluto lilla.
«Dove vai così di corsa, Randall?», chiese la donna, curiosa. «Un incontro galante?»
«Una specie. Angela dice che ci sono novità in città.»
«E tu muori dalla voglia di fare il detective», aggiunse lei per lui e Randall rise in imbarazzo, mentre si avvicinava alla porta.
«Non fare tardi. Domani mattina hai la prima lezione di scherma dell'anno. Non voglio che mio figlio non dia il meglio di sé», disse suo padre, e quando Randall indirizzò lo sguardo verso di lui, quello dell'uomo non si era mosso dai documenti che stava consultando.
Non c'era contatto visivo tra loro, nemmeno fisico, nemmeno un dialogo. Non c'era mai stato niente di genere, solo rimproveri e raccomandazioni, sempre legate ai suoi risultati. Il signor Ascot non si era mai dimostrato orgoglioso, gli aveva sempre fatto notare che, anche quando aveva dato il meglio, non era mai il massimo e questo... questo faceva più male di qualunque altra cosa.
Randall fingeva che la cosa non lo toccasse minimamente, ma la verità era che, se si era messo in testa di voler trovare la Maschera del Caos e risolvere l'enigma degli Aslant e diventare famoso, era anche e soprattutto per dimostrare a suo padre che, il massimo, lui lo aveva sempre dato. Non c'era mai stato motivo di non mettercela tutta, ed era convinto che prima o poi le cose sarebbero cambiate, tra di loro. Un giorno lo avrebbe guardato con rispetto, come un pari e magari e, chissà, avrebbe anche messo da parte tutta quella autorevolezza e gli avrebbe confessato di aver sempre creduto in lui.
Fino ad allora Randall preferiva non scambiarci più di due parole ogni tanto e, per di più, evitava come la peste argomenti che potessero creare un conflitto.
Randall era arrogante, a volte. Ogni tanto irragionevole e un rompiscatole, ma era furbo. Forse la sua migliore qualità — e il suo peggior difetto.
Ignorò dunque quel monito e, quando uscì di casa e incontrò gli occhi gioiosi di Angela, quasi gli parve di aver dimenticato tutto. Persino il fatto di non ricevere abbastanza amore dal proprio padre.
«Allora? Che cosa mi devi mostrare di così eclatante?»
Lei si portò un dito vicino alla punta del naso, intimandolo di abbassare la voce. «Non che sia una specie di segreto, lo ammetto, ma ho sentito che oggi si sono trasferite delle persone in quella casa disabitata da anni all'angolo di Belton Road. Sono una coppia un po' anziana, ma hanno un figlio che a quanto pare ha la nostra età. Mi faceva piacere conoscerlo prima che si trovasse a doversi presentare in classe e magari sentire il peso dell'imbarazzo addosso», lo informò lei e Randall quasi perse un battito al cuore.
Una novità a Stansbury. Chi l'avrebbe mai detto!
Non che fosse chissà che cosa, ma lì non succedeva davvero niente di niente, specie ultimamente e, molte delle persone che conoscevano, si erano trasferite a Londra, tra cui alcuni loro amici più grandi che avevano iniziato l'università. Sapere che era arrivata una ventata di freschezza chissà da dove gli fece vedere quel paesino triste, per un istante, sotto una luce diversa.
«D'accordo, che male c'è in fondo? Non avevo niente di meglio da fare, dopotutto. A parte risolvere l'enigma più importante della mia vita. Una cosa rimandabile, no?»
Angela gli colpì il braccio, fingendosi offesa. «Quanto ti piace farmi sentire in colpa?»
Randall alzò gli occhi al cielo, ridendo. «Non sai quanto...» Lei lo prese sottobraccio e, incamminandosi verso la zona più abitata del paese, la conversazione tornò a toccare quella curiosa novità. «Chi ti ha detto che c'erano dei nuovi arrivati?»
«Alphonse, a dire il vero.»
Randall strabuzzò gli occhi. «Alphonse? Alphonse Dalston?»
«Ti vedo sorpreso!» sorrise lei.
«Eccome! Mi pareva di capire che non fosse poi così interessato al prossimo, ultimamente. Non fa che parlare di quel suo assurdo progetto di aprirsi una catena di hotel qui a Stansbury, come se fosse la città turistica più interessante al mondo.»
«Beh, solo perché a te non piace non significa che non possa essere interessante per qualcun altro», ribatté lei, con un sorrisetto.
«Magari a qualche geriatra...»
«Randall, per l'amor di Dio, sei incontentabile!»
«Io sono stufo di stare qui, Angela! Io voglio girare il mondo, scoprire le antiche civiltà, carpirne i segreti!»
«Ti lamenti degli anziani di Stansbury e poi vuoi andare alla ricerca di civiltà vecchie come il mondo!»
«Non sono vecchie, sono antiche ed è ben diverso! Perché nessuno riesce a capire quanto io mi senta soffocare in questo posto? Io ci sto stretto!»
«È il tuo ego, a starci stretto», ironizzò Angela, e Randall sbuffò, sentendosi per l'ennesima volta per nulla preso sul serio.
Da quando aveva iniziato a rincorrere quel sogno e a metterci tutto se stesso per realizzarlo, ogni volta che menzionava quel fatto, sembrava che nessuno lo prendesse sul serio; come se quella sua ambizione fosse solo una fase, una fissa del momento, che sarebbe poi passata.
Non era così, ed era assurda l'idea che nessuno riuscisse a comprendere, anche solo in minima parte, quel suo bisogno di evasione, soprattutto Angela.
Angela, con il quale avrebbe voluto costruirsi un futuro; colei a cui avrebbe donato il cuore e che, più di tutti, avrebbe voluto veder gioire dei suoi sogni che si realizzavano.
Eppure nemmeno lei sembrava credere in quelle sue aspettative.
Era solo, e probabilmente lo sarebbe sempre stato.
Si rabbuiò in volto, ma decise di non replicare a quella frase che, dovette ammetterlo a se stesso, l'aveva un po' ferito proprio perché era uscita dalla bocca della persona più importante che avesse accanto.
Angela, quasi avesse percepito quel suo discorso mentale, strinse tra le dita la moneta che aveva al collo, stretta in una corda nera di caucci. Un regalo che Randall le aveva fatto dopo averla trovata in una delle sue prime escursioni – una di quelle in cui aveva coinvolto il povero Erik, che come al solito non era stato capace di dirgli di no, anche se Randall lo sapeva che a quel ragazzo faceva piacere lasciarsi coinvolgere.
«Tu lo sai già, vero?», domandò lei, ad un tratto.
«Cosa?»
«Il perché io non voglio che tu te ne vada in giro a profanare tombe o ad avventurarti in situazioni più grandi di te.»
«Angela...»
«Fammi parlare, ti prego», lo zittì, poi tentò un sorriso che le riuscì in parte, velato da una tristezza che la coprì di tristezza. «Sai cosa è successo a Rick, e sai anche che non è più tornato. Sai quanto ci ho sofferto e quanto ancora ne sto soffrendo. Io non voglio che ti accada lo stesso. Non voglio perdere un altro pezzo importante di me.»
Richard. O meglio noto come Rick, il fratello di Angela, partito per la guerra e mai più tornato. Un argomento che non usciva mai fuori, eccetto in quelle situazioni in cui si toccava la possibilità che Randall potesse andarsene da Stansbury e avventurarsi tra le rovine di una vecchia civiltà.
Un argomento che sembrava non trovare mai una vera e propria risposta per dissipare dubbi, o darle alcuna certezza. Ogni volta lo spiazzava, perché Randall iniziava a pensare crudeli, come il fatto che fosse egoistico, da parte sua, non lasciargli la libertà di scegliere come vivere la sua vita solo perché aveva paura di perderlo. Come il fatto che Angela era importante, ma mai quanto il suo sogno. O come il fatto che, dopotutto, se avesse mai dovuto scegliere, avrebbe sempre scelto i suoi obiettivi, pure se questi avessero comportato la solitudine eterna.
Evitò di dirle tutte quelle cose, che avrebbero solo alimentato la sua tristezza e l'avrebbero di certo ferita, ma Randall in cuor suo sapeva che Angela sapeva già, ed era per questo che non riusciva ad accettare che lui, un giorno, l'avrebbe lasciata lì da sola a Stansbury.
«Non mi perderai, Angela. Te lo prometto. Tornerò sempre da te e... quando mi trasferirò a Londra per studiare alla Gressenheller University ti porterò con me. E se non vorrai venire con me o vorrai andare altrove farò sempre in modo di vederci il più possibile. Per favore, non credere che sia importante solo per te, quello che siamo.» Era stato sincero, dopotutto. Angela non veniva sopra al suo sogno, ma era comunque importante. Se fosse riuscito a coronare il suo sogno di diventare Archeologo – e ci sarebbe riuscito, eccome se ci sarebbe riuscito, ormai se lo era promesso – e allo stesso tempo quello di crearsi un futuro con lei, sarebbe stata la vita meglio spesa di sempre.
Lei lo guardò per qualche secondo senza dire una parola, poi annuì e, senza che potesse ribattere, lui le baciò leggermente le labbra e poi la fronte, per rassicurarla. Dopo quel gesto la calma, tra loro, parve tornare in perfetto equilibrio con la brezza che si era appena sollevata e, quando arrivarono di fronte alla casa dei nuovi arrivati, Randall non riuscì a nascondere una nota di emozione, saltellando di fronte al campanello – e l'onore di suonare fu tutto di Angela.
Ad aprire la porta fu una donna minuta, dai capelli bianchi raccolti in uno chignon, una camicia rosa e un grembiule rosso legato intorno alla vita, chiazzato di farina e carbone. Un sorriso radioso e una nota di confusione negli occhi, ma un calore sulle guance che lo rassicurò.
«Buonasera, ragazzi.» La donna parve salutarli senza sapere davvero cosa dire, presa alla sprovvista da quella visita. Sembrava stanca, e doveva esserlo, siccome il trasloco era stato fatto dalla mattina stessa e dovevano averlo finito da poco. Alcuni scatoloni vuoti erano appoggiati vicino al cancello che separava la porta di casa dalla strada principale; in mezzo un grazioso giardinetto ancora spoglio.
«Buonasera signora. Ci dispiace disturbare a quest'ora ma abbiamo saputo che vi siete appena trasferiti e ci faceva piacere presentarci.» Fu Angela a parlare, Randall si limitò a sorridere e a sistemarsi gli occhiali sul naso.
La donna parve emozionarsi. «Ma che cari ragazzi! Venite, entrate pure, vi preparo una tazza di tè e facciamo le dovute presentazioni. C'è anche mio figlio, Hershel. Avrà più o meno la vostra età, mi farebbe piacere farvelo conoscere.»
Angela e Randall si scambiarono uno sguardo di intesa e, percependo che la donna aveva davvero piacere nell'ospitarli, la seguirono in casa.
Si ritrovarono di fronte ad uno spazio aperto, con un salotto ben arredato e una cucina ad angolo in muratura. Sul lato destro della casa c'erano una manciata di gradini; di certo portavano alle stanze da letto, anche se da lì si poteva vedere solo un ballatoio e delle porte chiuse. Seduto al tavolo della cucina c'era un uomo, un signore dai capelli bianchi e la folta barba, che stava pelando delle patate.
«Oh, ma stavate preparando la cena. Non vorremmo recare distur-»
«Nessun disturbo», interruppe la donna, dando un buffetto sulla guancia di Angela e invitandola a sedersi, così come Randall che, meno in imbarazzo, si sedette immediatamente. «Io sono Lucille Layton, e lui è mio marito Roland. Ci siamo trasferiti qui per esigenze lavorative. Vado a chiamare Hershel, sarà entusiasta di conoscervi, visto che era un po' diffidente sull'esistenza di giovani qui a Stansbury. Lo riteneva un luogo pieno di gente anziana.» La donna fece l'occhiolino e, senza aspettare che rispondessero, salì le scale e andò a bussare alla camera del figlio.
Randall pensò, tra a sé e sé, che in fin dei conti quell'Hershel ci aveva visto lungo Stansbury non era un paese giovane, tutt'altro e di certo c'erano più vecchi che giovani e persino le scuole iniziavano a essere vuote, ogni anno che passava, siccome i trasferimenti nelle città principali si erano incrementati vertiginosamente per milioni di cause diverse, la prima di certo la noia.
Stansbury era destinata a sparire, prima o poi e forse, pensò malignamente Randall, un po' se lo meritava.
«Hershel sarà felice di vedervi, ve lo assicuro. È un po' timido all'inizio, ma quando prende confidenza si apre molto e dà anche il suo cuore.» La voce del signor Layton spezzò in un secondo quel brutto pensiero e, automaticamente, sia Angela che Randall si girarono a guardarlo. Non aveva smesso di pelare le patate ma aveva comunque sorriso quando aveva percepito il loro sguardo addosso.
Fu caldo.
«Siamo qui per agevolargli le cose. Non è bello trovarsi il primo giorno di scuola senza conoscere nessuno, così abbiamo pensato di fare un salto. Mia madre vi ha visti arrivare, così abbiamo deciso di darvi il benvenuto.» Come al solito Angela era di certo più portata in quel tipo di conversazione, e il signor Layton finalmente li guardò.
«Un pensiero davvero carino. Sapete, ci siamo trasferiti qui per lavoro. Io e mio fratello ci occupiamo di edilizia e entrambi siamo stati chiamati qui per mettere a posto alcuni problemi che sono insorti in città, per colpa di alcune gallerie sotterranee.»
«Dunque ve ne andrete quando avrete finito?»
«Il lavoro è molto lungo, richiede almeno una manciata di anni ma, a quel punto, sia io che mio fratello Doug andremo di certo in pensione. Nulla ci vieta di restare qui. È un posto tranquillo, dopotutto.»
«Fin troppo», si fece sfuggire Randall, guadagnandosi un'occhiata in tralice da Angela e una risata cordiale da parte di Roland.
«Sei giovane per piantare le tue radici. Quando sarai grande avrai bisogno anche tu di un po' di calma, specie se condurrai una vita frenetica. Fino ad allora è bene che tu non ti poni limiti.»
Un colpo al cuore e un blocco d'aria da mandare giù tutto assieme; questo sentì Randall, dentro di sé. Da una parte vi era l'entusiasmo di aver avuto una sorta di benedizione da parte di un adulto che nemmeno conosceva, per la sua voglia di evasione e di avventura, Dall'altra c'era la paura che Angela potesse rabuiarsi di nuovo e sentirsi in ansia per lui.
Fu l'entrata in scena del figlio della coppia a salvare la situazione: una montagna di capelli castani e mossi, occhietti piccoli e marroni e un'aria dolce e timida, che mostrò tutta in un sorriso spaventato. La madre lo incitò ad avvicinarsi e lui obbedì lentamente.
«Coraggio, Hershel, Sono venuti per te!»
Angela si alzò in piedi, porgendogli la mano e Randall si sentì di fare lo stesso.
«Piacere di conoscerti, Hershel. Io sono Angela, mentre lui è il mio fidanzato Randall. Ci sembrava carino fare le nostre presentazioni, e farvi sentire già parte della comunità di Stansbury.»
«Tranquillo», esordì Randall, quando fu il suo turno di stringere la mano al ragazzo. «Non è difficile ricordare i nomi di tutti, visto che contiamo il minor numero di abitanti di tutta l'Inghilterra.»
«Randall...», cercò di riprenderlo Angela, ma Hershel rise.
«Avevo questo sentore. Grazie per essere venuti fin qui, è un bel pensiero e un piacere fare la vostra conoscenza.»
«Cari, sedetevi pure sul divano. Io vi preparo un buon tè», li invitò Lucille, indicando il salotto. Obbedirono. Randall si rese conto che, quello meno a proprio agio, era proprio Hershel, il padrone di casa ma, dopotutto, quella era una novità anche per lui.
«So che può sembrare un paese piccolo, ma questo ha i suoi vantaggi: ci conosciamo tutti e siamo come una grande famiglia. Randall poi è quello che vive più vicino a te, dunque puoi contare su di lui per qualsiasi cosa», lo rassicurò Angela e, prima che Hershel potesse rispondere, Randall reagì alzando un sopracciglio.
«Mi stai già delegando tutti gli oneri, Angela?»
«Gli sto dando dei riferimenti!»
«E io sarei un buon riferimento?»
«A pensarci bene no, dunque lascia stare Randall, Hershel. Sono certa che avrebbe una pessima influenza su di te. Ci vuole la mia pazienza per sopportarlo.» Randall avrebbe voluto ribattere ma, a interrompere quell'azione, fu una caldissima risata che Hershel si fece sfuggire e che, in qualche modo, spezzò un po' il ghiaccio.
«Non sono molto bravo a fare amicizia, specie se c'è da fare la prima mossa. Già il fatto che voi siate qui mi fa sentire meglio. Mi avete tolto un problema, diciamo. Non voglio essere scortese e spero non vi siate offesi.»
«Figurati, ci vuole ben altro e siamo felici di aver alleggerito la cosa.» Stavolta fu Randall a parlare e, sorpreso di se stesso, continuò quando vide che l'attenzione del giovane si era catalizzata su di lui. «Dimmi, hai degli hobby? Ti piace fare qualcosa in particolare nel tempo libero? Magari possiamo trovare delle cose in comune e farle tutti insieme.»
«Mi piace risolvere enigmi. Sono abbonato ad ogni tipo di rivista che riguarda l'argomento. Poi mi piace la letteratura; leggo un sacco e... beh, quando ero a Londra frequentavo il club di scherma della scuola e... sì, insomma, mi piacerebbe continuare a frequentarlo anche qui, in caso ve ne fosse uno.»
«Scherzi? Io pratico scherma! Non ci posso credere! E è ovvio che ci sia un club anche qui, e ti costringerò con la forza ad iscriverti!»
«Davvero? Questa è un'ottima notizia!» Hershel parve illuminarsi di una luce tutta nuova, ancora una sfumatura diversa da quella che Randall gli aveva visto in faccia quando aveva fatto capolino in cucina.
«Fantastico! Ed io che credevo non avrei mai trovato un compagno con cui condividere questa passione! E che mi dici dei libri? Che autori ti piacciono? Hai letto per caso "Storia Antica" di Donald Rutlage?»
«Randall, ti prego... per favore, non iniziare con Rutlage, per l'amor di dio», intervenne Angela, ma lui la zittì con un gesto della mano, saltellando sul divano in attesa di una risposta.
«Beh, mi piacciono molto John Donne e la poesia metafisica. Poi Milton, Byron, ovviamente Jane Austen», esordì Hershel e, vedendo Angela rizzarsi sulla schiena felice nel sentire il nome dell'autrice di Orgoglio e Pregiudizio, una delle sue opere preferite, sorrise. «Ma no, non ho mai letto Rutlage e, a dire il vero, non so nemmeno chi sia.»
«No? Accidenti, sembravi proprio un tipo interessato all'archeologia», disse Randall, incrociando le braccia al petto, quasi deluso.
«Archeologia?»
«Oh, non farci caso, Hershel. Randall è un fanatico di archeologia e sta cercando l'anima gemella con cui parlarne. È evidente che non lo sia nemmeno tu», sorrise Angela e, di tutta risposta, Randall la zittì di nuovo.
«E se ti dicessi che sto per diventare l'archeologo più famoso del mondo e che sto reclutando gente che mi aiuti in questa impresa? Cosa mi diresti, Hershel?»
Layton tacque e, se possibile, il sorriso di Randall si allargò quando vide, nei suoi occhi timidi, una piccola luce espandersi e dare un senso a una vita intera. Qualcosa che, probabilmente, nemmeno Hershel sapeva di avere.
Fine Capitolo I
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