7. Tra giubbotti di jeans e ho voglia di proteggerti

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Cado battendo il sedere a terra, probabilmente per la ventesima volta. Giorgino è andato in bagno già quattro volte da quando siamo qui ed essendo quel bambino un orologio svizzero, questo mi fa capire che sono passate ben due ore da quando ho iniziato ad allenarmi. Mi stendo a terra senza provare neanche a rialzarmi, sospirando, mentre lo skate scivola via lontano da me. Chiara e Davide parlano del più e del meno sgranocchiando patatine ad una distanza imprecisata da me, con Giorgino seduto accanto a loro che gioca con il cellulare dello zio a qualche stupido gioco per bambini. Probabilmente Subway Surfers, influenzato dalla situazione che Chiara rende angosciante. Ad ogni minimo rumore di sirene (assurdo sentirne uno a Roma) sobbalza, iniziando a dire che sono venuti a prenderci. Ha elencato almeno sedici volte i reati di cui potremmo essere passabili: violazione di domicilio, furto con scasso (anche se abbiamo usato le chiavi e non abbiamo rubato niente) e il tutto aggravato dalla presenza di un minore.

Il mio petto si alza e si abbassa mentre riprendo fiato respirando affannosamente, tenendo gli occhi socchiusi e facendo una smorfia decisamente poco attraente. A dirla tutta, nonostante passi le mie giornate sullo skateboard,  non mi definirei proprio un tipo sportivo. Forse è per questo che ora sto rischiando di morire soffocata.  Il sorriso di Marco mi si para davanti, senza riuscire a farmi togliere dalla faccia l'espressione affaticata e imbarazzante che ho.

«Non ce la farò mai» mi lamento come una bambina mentre riprendo fiato, provocando la risata del ragazzo che mi sta fissando, che prontamente mi si siede a gambe incrociate davanti.

«È proprio per questo che non ce la fai, Kickflip» mi dice, dandomi un buffetto sulla fronte non appena mi metto dritta e imito la sua posizione. Quello schiaffo appena accennato mi fa corrugare la fronte, mentre il vento inizia ad alzarsi leggero. Mi chiedo come faccia Giorgino ad essere ancora in piedi, visto che probabilmente sono quasi le due di notte, ma ancora di più mi chiedo perché Maria non abbia ancora chiamato per vedere se suo figlio è stato investito, rapito o ucciso da qualche serial killer a piede libero. È molto protettiva, ma forse quando c'è Davide a tenerlo d'occhio si preoccupa un po' meno. Fa bene, perché è davvero uno zio meraviglioso e sono certa che Giorgino lo ami come amerebbe un padre. Peccato che non possa dirlo con certezza, visto che suo padre non ne ha mai voluto sapere niente.

«Marco, ti ringrazio per continuare a provare ad aiutarmi, ma sono un caso perso» affermo rassegnata, nascondendo la faccia nei palmi.

«Ti devo ricordare di me con lo shove it?» prova a consolarmi ancora il ragazzo, facendomi ritornare con lo sguardo su di lui, che sul volto ha dipinto un leggero sorriso. Come suo solito, d'altronde.

«Sì, ma tu alla fine ce l'hai fatta»  mi lamento con gli occhi palesemente stanchi, portando le mani dietro la schiena per sorreggermi mentre lo guardo. È notte, eppure lui ha sempre una strana luce attorno, davvero come se fosse un angelo. O magari no e sono solo io che fumo troppo.

«Si vede che tu non sei ancora arrivata alla fine.»

Lo guardo, tenendo gli occhi incastrati nei suoi, dopo che le sue parole mi hanno strappata ai miei pensieri sulla sua presunta natura di angelo. Guardandolo rifletto sul fatto che, nonostante io conosca Marco da così poco tempo, non credo di aver mai visto la sua bocca curvata in una smorfia di rabbia o tristezza. Più in generale, non credo di averlo mai visto non sorridente.

«Come fai a sorridere sempre?» gli chiedo, cambiando il tema della conversazione, dando libero sfogo ai miei pensieri. Il suo modo di essere costantemente felice mi da' quasi fastidio, perché io ho sempre lo sguardo scocciato e tutti quelli che guardo anche per sbaglio pensano che voglia ucciderli. Vorrei sembrare più allegra, ma l'ombra di una tristezza oppressiva non abbandonerà mai la mia anima. La parte più solare di me se ne è andata via con la stella più luminosa che conosco.

«Perché ho pianto già troppo» mi risponde prontamente il ragazzo, senza smettere di sorridere, facendo ridacchiare alla fine anche me. Riporta lo sguardo che aveva precedentemente spostato sulle stelle sul mio volto, beccandomi a fissarlo.

«Che c'è?» mi chiede, ridendo sotto i baffi. Io smetto di ridere, abbassando lo sguardo fino alle sue labbra, persa nella sua bellezza così particolare. I capelli lunghi sono legati dietro la testa in maniera ordinata, come al solito, mentre una maglia a maniche corte nera basic è coperta da un giubbotto denim. I jeans sono neri proprio come la maglia, mentre ai piedi porta le sue Sk8-Hi rigorosamente nere, con i lacci legati attorno alla caviglia.

Mi stringo nelle spalle, quando il vento si alza più forte e mi muove i capelli lisci e rossicci facendoli finire davanti la mia faccia, creando un quadretto molto poco attraente. Marco ridacchia e si avvicina a me, che gli ho lasciato più spazio davanti visto che per il freddo mi sono stretta le ginocchia al petto. Poco prima che io possa scostarmi i capelli da davanti la faccia visto che ormai sembro Samara, Marco mi anticipa e mi libera gli occhi permettendomi di osservarlo ancora.

«Hai freddo?» mi chiede Marco, a voce bassa, iniziando a togliersi il giubbotto prima ancora che io possa rispondere. Me lo poggia delicatamente sulle spalle ed io gli sorrido, per poi ringraziarlo mentre le mie guance ormai hanno raggiunto un punto di rosso assimilabile a quello del Teletubbie Po.

«Perché sei così gentile con me?» riesco a chiedergli, mentre con i capelli cerco invano di nascondere il colore delle mie gote. Dalla prima volta che l'ho incontrato non è mai stato scortese, se si passa sopra alle battutine a sfondo sessuale. Ha sempre cercato di darmi una mano senza chiedere niente in cambio, nonostante non mi conosca minimamente. Addirittura rischiare di essere licenziato dallo skatepark, facendomici entrare di notte solo per farmi allenare con il kickflip, non è di certo una cosa che farebbero tutti. Conoscendo Davide, ad esempio, mi avrebbe liquidato con un dovrei rischiare il posto per te? Ti voglio bene, ma ai soldi di più!

«Perché mi piaci.»

Quelle parole escono fuori dalla bocca di Marco con una facilità disarmante, come se prima stesse soltanto aspettando il momento adatto per pronunciarle. Non rispondo, semplicemente mi stringo di più nel giubbotto che ho sulle spalle e che conserva il profumo di Marco, quel suo profumo che tanto mi ricorda casa. Si accorge probabilmente dal mio silenzio che quello che ha detto poteva risultare leggermente imbarazzante e si ricompone velocemente, iniziando a balbettare dopo essersi schiarito la voce.

«Cioè, come persona... Mi piaci molto, come persona...» prova a correggersi, facendomi sorridere e facendo ritornare le mie guance del colore naturale della mia pelle. Passa dall'essere così sicuro di sé all'essere imbarazzato quanto un quindicenne nel giro di un minuto.

«Anche tu mi piaci» rispondo, prendendo coraggio da non si sa quale angolo del mio corpo. Marco mi guarda per un attimo aspettandosi di sentirmi dire che scherzavo, ma quando si accorge che non lo farò mi sorride e allunga una mano per scompigliarmi i capelli, come se fossi sua sorella minore. Sbuffo scocciata facendolo ridere e penso che forse lui non mi piace solo come persona, perché quando ride sento il cuore che mi esplode di gioia. Saperlo felice mi rende automaticamente felice, come se il mio sorriso e il suo fossero legati da qualche filo invisibile ed indistruttibile.

Marco si alza finalmente da terra, porgendomi la mano per aiutarmi a rimettermi in piedi. Quel gesto mi ricorda la seconda volta che ci siamo visti, proprio in questo posto, dopo che ero caduta nel tentativo di chiudere il dannato kickflip. Afferro la sua mano sentendo il cuore accelerare un battito per il contatto con la sua pelle, capendo finalmente cosa siano le farfalle che tutti dicono di sentire nello stomaco quando hanno una cotta per qualcuno, per poi infilare le braccia nelle maniche del giubbotto e ripiegarle su se stesse data la taglia troppo grande.

Io non ho mai amato nessuno. Ho amato mio padre, ho amato mia madre, ho amato Jessica prima che se ne andasse, ho amato Davide. Se si parla di un amore come quello di mio padre per mia madre, però, non posso dire di aver mai provato qualcosa di anche lontanamente simile. I miei genitori sono sempre stati l'unico esempio di amore vero che ho avuto nella vita, da cui ho potuto trarre ispirazione, ma nessun ragazzo che avevo conosciuto mi aveva mai dato un minimo brivido come quello che volevo. Quando i miei amici mi parlavano di farfalle nello stomaco, occhi a cuoricino, battiti accelerati, io alzavo gli occhi al cielo e dicevo che tutte quelle cose erano esagerate, impossibili. Ed ora eccomi qua, a sbavare dietro ai capelli lunghi di Marco Testa.

«Ancora niente?» chiede Davide alzandosi da uno dei tanti gradoni dello skatepark seguito da Chiara e Giorgino, che prontamente lo zio prende per mano. Scuoto la testa triste, portando lo sguardo a terra, ma poi Marco mi da' un colpetto sulla spalla richiamando la mia attenzione.

«Sta migliorando.»

Lo guardo con gli occhi che brillano, come a chiedergli se ciò che sta dicendo sia vero o se lo dica solo per farmi felice. «Davvero» risponde sorridendomi, come se mi avesse letto nel pensiero. Senza darmi il tempo di assimilare quei suoi sguardi inizia a camminare verso l'uscita, lasciandomi indietro. Mi ricompongo velocemente, afferrando la tavola e seguendo i miei amici verso il cancello.

«Sbrighiamoci, prima che ci vedano uscire da qui e ci arrestino!» sussurra Chiara, tirandosi il cappuccio nero della sua felpa sulla testa e correndo verso l'uscita dello skatepark, mentre si sistema lo zaino su entrambe le spalle, in caso di fuga improvvisa. Alzo gli occhi al cielo, raggiungendola velocemente visto che è già sulla soglia del cancello.

«Chiara, dovresti farti una canna» le consiglio, mentre Marco chiude il cancello a chiave. Davide mi da' un colpo sul braccio con il gomito  e, prima di arrabbiarmi con lui, mi rendo conto del perché l'abbia fatto, visto che Giorgino parla.

«Zio, posso farmi anch'io una canna?»

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«Quindi eri serio?»

«Elissa,» Marco mi afferra per le spalle, per guardarmi dritto negli occhi, un po' esasperato, «per la dodicesima volta: è verissimo!»

Tiro fuori un sorriso a trentadue denti, saltellando felice come una bambina di cinque anni. Siamo fuori dalla porta di casa mia e ormai abbiamo constatato che sono ufficialmente le due di notte. Domani avrò il turno di mattina da sola con Davide, visto che al mattino c'è molta meno gente. Di conseguenza dovrò alzarmi presto, ma ho paura che dopo stasera faticherò a trovare il sonno. Tra l'adrenalina per i presunti miglioramenti decantati da Marco e la sua sola vicinanza, è stata una bella montagna russa.

«Oh, il giubbotto!» dico prima di aprire la porta, iniziando a toglierlo, ma il ragazzo che ho davanti mi blocca prima che possa riuscirci.

«Tienilo» afferma deciso, sorridendomi. Lo guardo corrugando la fronte, confusa. Me l'ha dato solo perché avevo freddo, quindi ora potrebbe benissimo riprenderselo. Dovrebbe riprenderselo.

«Sei sicuro?» chiedo. Lui annuisce e rimane a guardarmi per un po', nel bel mezzo del corridoio. Fa per parlare, ma si blocca subito e semplicemente mi abbraccia. Ricambio la stretta sebbene io non capisca il perché di questo slancio di affetto, ma comunque contenta che l'abbia fatto. Il bisogno che ho di contatto con lui è qualcosa di estremamente incontrollabile ed insensato. Non sono un tipo estremamente affettuoso, o almeno non sono troppo tipo da effusioni esplicite. Lui, però, desidero sempre che mi sfiori. È questo che significa avere una cotta per qualcuno?

«Non so perché, Elissa, ma sento il bisogno di proteggerti» mi sussurra nell'orecchio, senza staccarsi da me. Mi stringo più forte a lui, per assicurarmi che non si allontani in questo momento, visto che sono più rossa di quanto non sia mai stata e non voglio dargli ulteriore materiale per prendermi in giro domani. Le sue parole mi scaldano il cuore, perché nonostante non senta di aver bisogno di essere protetta mi fa piacere che lui voglia farlo. Sentirsi speciali per qualcuno è davvero una bella sensazione.

«Allora continua a farlo» gli rispondo semplicemente, allo stesso tono di voce. Rimaniamo un po' così, non so dire di preciso quanto, ma poi ci rendiamo conto di doverci staccare e Marco mi da' la buonanotte con un bacio sulla guancia, proprio come ieri sera. Lo saluto recuperando lo skate che avevo poggiato al muro, cercando le chiavi di casa nelle tasche dei miei pantaloni. Cerco di non fare rumore perché papà sta di sicuro dormendo e siccome è costretto a svegliarsi alle quattro ogni mattina preferisco farlo riposare. Vado dritta in camera senza accendere le luci e mi getto a peso morto sul letto, dopo aver chiuso la porta. In ogni angolo della mia stanza sono appesi poster di Tony Hawk, Rodney Mullen, Elissa Steamer e ovviamente di Stella García. Ogni coppa vinta dalla mamma in vita è sul mio scaffale, posto sopra la mia scrivania, mentre ogni articolo di giornale che parli di lei è appeso al muro accuratamente incorniciato. La sua tavola, che ora è diventata la mia e a cui lei aveva dato l'affettuoso nome di Monica (probabilmente perché era una fan di Courtney Cox), l'ho lasciata scivolare a terra accanto al letto. Mi tolgo il giubbotto di Marco con cura, adagiandolo sulla sedia della mia scrivania. Riluttante mi ci avvicino ancora, inspirandone il profumo, prima che possa andare via. Mi sento una ragazzina, quando mi sorprendo ad immaginare gli abbracci di Marco appena il suo profumo entra in contatto con le mie narici. Mi ributto sul letto sospirando, portandomi le mani sulla faccia, ma appena chiudo gli occhi mi accorgo che riesco ad immaginare solo un volto. Il suo.

«Che diavolo mi sta succedendo?»

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