28. Tra richieste di perdono, di chi sono le mutande e matrimoni

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Una volta ho letto che le lacrime che vengono prodotte in seguito ad un'emozione contengono un composto chimico chiamato leu-encefalina. Di chimica non ci ho mai capito niente, come testimoniano i miei debiti in scienze per cinque anni di fila, però la leu-encefalina dovrebbe servire come un analgesico. In pratica, piangere quando si è tristi equivarrebbe a prendersi una pasticca di Moment quando si ha il mal di testa. Io non so dire se a farmi stare meglio sia stata la leu-encefalina contenuta nelle numerose lacrime che ho versato ieri sera o Marco che confessa di essersi innamorato di me, ma mentre lo guardo dormire al mio fianco mi rendo conto che è la sua sola presenza a farmi tranquillizzare.

Mentre la mano che tengo sul suo petto si alza e si abbassa seguendo i suoi respiri, la mia bocca non può fare a meno di curvarsi in un sorriso. Ho dimenticato addirittura di aver sbattuto il sedere a terra davanti a tutta la nazione meno di ventiquattro ore fa. Alla fine era una diretta su Youtube, chi vuoi che l'abbia guardata? Tornerò a Roma e continuerò ad essere Elissa De Santis-García, e va bene così. Riproverò il torneo il prossimo anno, nel frattempo cercherò altre competizioni a cui prendere parte.

Gli occhi di Marco iniziano ad aprirsi lentamente, accompagnati da uno sbadiglio. Quando la mia sagoma inizia a farsi chiara davanti al suo volto non riesce a trattenere un sorriso, spostando una mano sulla mia guancia per poterla accarezzare piano.

«Buongiorno» dice con la voce roca, allungandosi per lasciarmi un bacio sulla fronte. Beh, sì, in effetti è un buongiorno. Mi stringo a Marco, poggiando il mento proprio sopra la sua spalla.

«Scusa se ieri sera ho fatto la pazza isterica» mi lascio sfuggire, mentre il ragazzo a cui sono abbracciata inizia ad accarezzarmi i capelli arruffati, con fare amorevole. Vorrei avere la sua capacità di restare calmo e pacato in ogni situazione.

«Niente di diverso dal solito.» Appena Marco dice ciò gli assesto uno schiaffo sull'addome, facendolo piegare mentre ride. Non che abbia tutti i torti. «Dobbiamo anche comprare uno skate nuovo» riprende, dopo aver finito di ridere. Alzo di poco lo sguardo su di lui, tenendomi dritta facendo forza sul braccio destro.

«Noi? Adesso parliamo anche con la prima persona plurale?» dico divertita, facendo ridere di nuovo anche Marco, che si mette dritto come me per poi alzarsi dal letto.

«Scusami, tu sei una donna indipendente! Tu devi comprare uno skate nuovo ed io ti accompagno.»

Mi ributto sul letto appena lui va in bagno, strofinandomi gli occhi impastati dal sonno con le mani. Mi chiedo che ora sia, allungando una mano sul comodino al lato del letto per afferrare poco elegantemente il mio vecchio Nokia Lumia di quando andavo alle medie, che sono costretta ad usare da quando ho rotto il mio telefono. Per fortuna l'avevo conservato, perché altrimenti ora non saprei assolutamente come comunicare col mondo esterno senza dover usare il computer del negozio per mandare e-mail a mio padre. Forse continuerò a farlo, perché mi diverte parecchio inserire nell'oggetto cose come: Richiesta passaggio fino a casa De Santis oppure Modulo da compilare per (eventuali) specifiche richieste della cena.

La prima cosa che colpisce i miei occhi quando sblocco lo schermo sono le dodici chiamate perse da Davide, seguite da altrettanti messaggi.

Da: Davide Rodolfo
Elissa??
ELISSA!!
SVEGLIATI IMMEDIATAMENTE!!!
Elissa giuro che ti prendo a calci.
ABBIAMO UN AEREO DA PRENDERE
Eli mancano venti minuti, siamo tutti qui

L'ultimo messaggio, quello che recita dei venti minuti, è stato letteralmente appena inviato. Vedendo che sono finalmente online, vengo chiaramente placcata dal mio migliore amico con un'ulteriore telefonata. Rispondo scocciata, mentre mi alzo in fretta e furia dal letto e inizio a lanciare tutto quello che trovo di mio per la stanza dentro la valigia.

«Elissa, si può sapere che hai in testa?» urla Davide, costringendomi ad allontanare il telefono dall'orecchio per non rischiare di rimanere sorda.

«Il cervello Davide, che c'ho in testa?!» dico sarcastica, lanciando il telefono con il vivavoce sul letto, per poter infilare alla meno peggio le mie cose in valigia. Busso poco elegantemente alla porta del bagno nel quale si è rinchiuso Marco, avvisandolo che si deve muovere ad uscire per andare a recuperare la valigia nella sua stanza.

«Fai meno la simpatica, che forse non sai come funziona, ma gli aerei non ti aspettano a meno che tu non sia la regina Elisabetta!» mi riprende il mio migliore amico. Apro velocemente la porta della stanza, senza affacciarmi sul corridoio dato che sono quasi completamente nuda, allungando un braccio per recuperare lo skate mezzo rotto che ho lasciato davanti la porta ieri sera dopo la mia sfuriata.

«La regina Elisabetta ce l'ha privato l'aereo» mi lamento, finendo di spezzare a metà la tavola che ormai è del tutto malmessa con il ginocchio, lanciandola alla rinfusa nel trolley. Mi dispiace per Monica, ma prima o poi tocca a tutti.

«Beh, Elissabetta, tu no! Quindi muovi il culo!» La chiamata si interrompe, seguita dal rumore della porta del bagno che si apre rivelandomi la figura di Marco seminudo. Chiudo in fretta la valigia posandola a terra, avviandomi verso la porta della stanza, senza prestare troppa attenzione ai pettorali di Marco. Non è assolutamente il momento di dare retta ai miei ormoni.

«Dai Marco, è tardi!» gli dico, quando il ragazzo mi afferra per i fianchi da dietro e mi blocca prima che possa raggiungere l'uscita, facendomi sbottare. Mi volto verso di lui, dandogli un colpo sul petto. «Ti sembra il momento di amoreggiare?» lui ridacchia, dandomi un buffetto sulla guancia.

«No, ma magari vestiti prima di uscire.»

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«Avvicina il divano!»

«Ma non si può mangiare mica su un divano, Augusto!»  Io e mio padre siamo quasi offesi dalle parole di Pia, che nel vedere le nostre facce sconvolte sorride e con un cenno della mano ci da' il via libera. «Va bene, giriamo questo divano, ci mangio con voi.»

Io e papà ci lasciamo sfuggire un "daje", mentre ci affrettiamo ad allineare il tavolino più basso e il divano alla posizione del tavolo da pranzo. L'unico modo per cenare tutti insieme a casa mia è questo, visto che l'appartamento è quello che è.

«Possiamo ancora cenare a casa nostra, senza problemi» dice Maria, la sorella di Davide, allungando la tovaglia sul tavolo mentre Giorgino prova ad aiutare sua madre ad apparecchiare. Io scuoto la testa, facendole "no" col dito.

«Dobbiamo festeggiare me, quindi si festeggia a casa mia. Io e papà mangiamo sempre sul divano, a volte scordiamo anche che abbiamo un tavolo. Non ci pesa.»

Mio padre sorride alle mie parole, dandomi una scompigliata ai capelli. Sembra essere un modo di fare comune a tutti gli uomini della mia vita, cosa che effettivamente spiega la mia chioma sempre arruffata. Marco, Davide e Luca stanno trafficando al cellulare per ordinare le pizze su Glovo e il mio sguardo si posa sul mio ragazzo. Ancora non mi sembra vero di aver aggiustato le cose con lui. Finalmente riesco a vederlo sorridente, in compagnia di suo fratello. Luca sta facendo molti sforzi per farsi passare il vizio dell'alcol, ma la vicinanza di Marco lo aiuta. Continua a chiamarmi Elisa, ma credo che ormai lo faccia per ridere e a me non da' fastidio. Fa parte anche lui della famiglia strana che abbiamo creato.

Raggiungo Jessica e Chiara in cucina, per aiutarle a trovare i bicchieri e i tovaglioli nella credenza, visto che mi sembrano parecchio in difficoltà.

«Ma come, non ti parla ancora?» sento sussurrare da Chiara alla nostra amica bionda, mentre le due aprono tutti gli sportelli della credenza alla ricerca dei bicchieri. Ridacchio, parandomi tra le due e aprendo l'unica parte del mobile che ancora non avevano passato in rassegna.

«State pianificando un attacco terroristico?» dico a voce forse un po' troppo alta, facendomi dare un colpo sulla spalla da entrambe le ragazze che con questo gesto mi schiacciano, facendomi lamentare con un "ahia".

«Sì, ai danni del tuo amico body builder» risponde Jessica sussurrando come Chiara poco fa, avvicinandosi al mio orecchio sinistro.

«Fa pugilato, non bodybuilding» la corregge bonariamente Chiara, avvicinandosi all'altro mio orecchio. Jessica la fulmina con lo sguardo, ma la mora le sorride in risposta. Ormai gli sguardi gelidi della mia migliore amica non gelano proprio nessuno, neppure una come Chiara che ha paura più o meno di tutto.

Metto due bicchieri a testa nelle mani delle due ragazze, facendo un cenno con la testa per avvertirle che è il caso che vadano ad apparecchiare e la smettano di complottare. Jessica sbuffa, girando i tacchi bofonchiando qualcosa di incomprensibile alle mie orecchie. Chiara mi guarda con un mezzo sorriso, alzando semplicemente le spalle e seguendo l'altra ragazza. Apro il frigo non appena le due lasciano la cucina, afferrando al volo una confezione di birra. Rigorosamente al limone, neanche a dirlo.

«Ma mi spieghi perché quella non mi parla?» la voce di Davide mi fa sussultare, visto che me lo ritrovo alle spalle con le braccia incrociate, poggiato al muro. Per un attimo non capisco di chi stia parlando, così lo guardo confusa, ma mi basta gettare uno sguardo a Jessica che ci fissa dal tavolo per capire a chi si riferisce. Ritorno con gli occhi sul mio amico, sbattendogli la confezione di birra sul petto per fargliela portare a tavola.

«Quella dice che sei tu che non le parli. Mettetevi d'accordo, prima di venirmi a chiedere consigli di cuore!» Le mie parole vengono bloccate dal suono del campanello, che mi fa sbuffare scocciata. Non so perché ho organizzato questa cena, è tutto troppo caotico ed io non sono abituata a tutto questo stress. L'appartamento è decisamente pensato per contenere un massimo di tre persone, ma io ho deciso di infilarci nove adulti e un bambino di nove anni.

Cammino velocemente verso la porta, bloccando Marco che vuole aprirla e facendolo io, sperando di trovarmi davanti il fattorino con le pizze. Metterci a mangiare è l'unico modo per festeggiare, chiudere questa serata e tornare ognuno nella propri accogliente casa. Il fattorino con le pizze in effetti io e Marco ce lo ritroviamo davanti, ma inaspettatamente lo conosciamo entrambi.

«Riccardo?» esclamiamo insieme, ritrovandoci davanti lo skater che ci guarda da dietro i cartoni di pizza che tiene tra le braccia. Sorride, provando a salutarci con la mano, rischiando di farsi cadere le pizze. Marco si fionda ad afferrare i cartoni per salvare la nostra cena, lanciandomi uno sguardo cercando la mia approvazione. Sembra un po' scocciato, ma non vedo nei suoi occhi la voglia di picchiare Riccardo. Gli annuisco, tornando con lo sguardo sul ragazzo dagli occhi verdi mentre Marco fa per andarsene, ma l'altro lo blocca.

«No, volevo parlare anche con te. Per piacere.» Gli occhi di Riccardo si bloccano su me e Marco, che ci lanciamo uno sguardo confuso ma ascoltiamo con piacere (almeno io, visto che mi dispiace per lui) ciò che ha da dire.

«Che succede?» gli riesco a chiedere, alleggerendo nel frattempo il peso sulle braccia di Marco prendendo la metà dei cartoni che regge.

«Volevo scusarmi per tutto quello che è capitato. Per le scatole saltate in negozio, per aver fatto le scenate di gelosia immotivate...» Vedo che Riccardo punta gli occhi sul pavimento, quasi vergognandosi. È la prima volta che non sorride, da quando lo conosco. «È che a volte esagero un po'.»

«Parecchio» sussurra Marco, beccandosi una gomitata nelle costole da me. Riccardo però non se la prende, al contrario annuisce tornando a sorridere.

«Sì, parecchio. Per questo sono qui per chiedervi se accettate le mi scuse.»

Segue un attimo di silenzio, ma quando io finalmente inizio a prendere la parola la voce di Marco prova a sovrastarmi.

«Sinceramente n...» inizia, beccandosi un'altra gomitata, seguita da un mio sorriso rivolto nei confronti di Riccardo.

«Certo che le accettiamo.»

Spero che questa mia affermazione lo faccia finalmente andare via in pace, ma Riccardo apre la bocca in un sorriso smagliante buttando letteralmente le braccia al collo di entrambi. Io e Marco ci guardiamo impauriti, guardando come Riccardo si fa strada da solo dentro il mio appartamento.

«Menomale che ho portato una pizza in più, allora!»

Rimango quasi scioccata dalla scioltezza con cui Riccardo entra in casa e saluta tutti i presenti, compresa la sua amata "amica" Jestica, che mi guarda sconvolta come a chiedermi perché io abbia invitato lo sciroccato. Ridacchio, alzandole le spalle come a dire "che ci vuoi fare?" iniziando a distribuire le pizze a tutti per cominciare finalmente questa cena.

«Non ti faranno storie se non torni al lavoro?» chiede Marco, che si è ritrovato seduto accanto a Riccardo, sperando che si alzi e se ne vada. L'altro però non batte ciglio, ma ride e gli da' un'invasiva pacca sulla spalla.

«Tanto volevo farmi licenziare.» Scoppiamo tutti a ridere, Marco compreso. Se la smette con questa fissazione per me, potrebbe diventare un ottimo amico. Uno di quelli che ti tira su con un sorriso, anche quando vorresti spararti.

«Se non vi dispiace, vorrei fare un annuncio!» dice mio padre alzandosi proprio mentre io sto per sedermi sul divano. Mi ci butto a peso morto, avvicinandomi il cartone alla bocca per poter dare finalmente un morso alla pizza. Purtroppo non vendevano pizze con del limone, quindi mi sono accontentata di una margherita. Passo in rassegna lo sguardo dei presenti, notando che tutte le persone di cui ho bisogno sono qui. Il cuore mi si riempie di gioia soprattutto nel vedere Marco mentre abbraccia suo fratello Luca, cercando di recuperare gli anni perduti e di superare tutto il dolore.

«Prima di tutto vorrei fare i miei complimenti ad Elissa per essere arrivata addirittura a gareggiare a Milano. Non t'ho mai portato oltre Ponte Milvio.»

Rido, rischiando di strozzarmi con la mozzarella della margherita, accompagnata dalle risate di tutti i presenti.

«Magari, manco er Vaticano m'hai fatto vede'» gli rispondo, facendo ridere anche lui.

«Sono convinto che Stella sarebbe fiera della donna magnifica che sei diventata. Non c'è giorno in cui io non pensi a tua madre, questo lo sai. Il modo in cui l'abbiamo persa è stato tragico, il pensiero di essere colpevole non mi ha mai abbandonato. Ma proprio quando potevo toccare il fondo, Pia mi ha aiutato a risalire, standomi vicina.» Vedo mio padre e la sua fidanzata prendersi per mano, non capendo il perché di questo discorso proprio ora. «È per questo volevo annunciare ufficialmente che la prossima settimana, io e Pia...»

Questo silenzio e questi sguardi mi fanno bloccare il cibo in gola, non riesco davvero a deglutire il pezzo di pizza che ho appeso nella laringe. Che Pia sia incinta? Impossibile, è presumibilmente in menopausa. Non sono pronta ad avere un fratellino!

«Ci sposiamo!» È proprio Pia a concludere le parole di mio padre, facendomi iniziare a tossire visto che il pezzo di pizza ormai ha deciso di uccidermi. Papà inizia a darmi dei colpi sulla schiena, facendo scendere il gola l'oggetto della mia quasi-morte. Quando il momento di paura è passato inizio a fissare mio padre e Pia negli occhi, sentendomi addosso lo sguardo di tutti quanti che si aspettano un mio attacco di panico. Forse la vecchia Elissa sarebbe crollata, avrebbe dato di matto e se ne sarebbe andata sbattendo la porta. Io stessa mi aspetto di iniziare a sentire le mani che tremano, il sudore imperlarmi la fronte e i polmoni svuotati. La nuova Elissa, però, è ben felice di abbracciare suo padre e la sua nuova futura moglie, nonché sua ex maestra delle elementari.

«Sono così felice!» esclamo, stringendo a me i due. L'abbraccio è accompagnato dall'applauso di tutti i presenti, suggellato da una domanda di Riccardo.

«Posso venire anche io?»

Rido asciugandomi una lacrima di gioia che è scesa dall'occhio, tornando a mangiare la mia buonissima pizza sperando che nulla me la faccia bloccare ancora in gola.

«Tanto ormai sei il re dell'autoinvito» commenta Jessica tagliente, ma Riccardo come al solito esulta e ride perché non capisce quando la bionda voglia essere cattiva e pensa che siano tutti suoi amici. Mio padre finalmente si risiede sul divano, ma prima di iniziare a mangiare la sua cena mi avvicina la bocca all'orecchio sussurrandomi qualcosa, con un sorriso falso dipinto sul volto.

«Magari poi parliamo anche di chi sono le mutande da uomo che ti ho trovato nella valigia.»

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