27. Tra stress da gara, magliette personalizzate e non fa niente

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In diciannove anni non ricordo di aver mai provato stress prima di un evento importante. A scuola, quando tutti ripassavano con foga i cinque minuti prima di un compito in classe, io me ne stavo lì tranquilla a scrivere sul banco cose che non c'entravano assolutamente niente con la scuola. Ero calma, rilassata, non me ne fregava nulla in quel momento del fatto che il mio voto sarebbe potuto essere un sei o un nove o magari un quattro. Quando mi presentavano davanti il compito in questione, però, iniziavo a sudare freddo. La gamba destra cominciava a tremare sotto il banco e io iniziavo a strapparmi dal labbro inferiore delle pellicine inesistenti fino a farlo sanguinare.

Allo stesso modo, fino a stamattina non me ne è fregato niente della gara. Ero emozionata, sì, ma non stressata. Ho avuto per tutta la giornata la voce di mia madre nella testa che mi diceva "Mija, si vale la pena hacerlo, vale la pena hacerlo bien!", ovvero "se vale la pena farlo, vale la pena farlo bene". Me lo diceva sempre perché già da quando ero piccola prendevo le cose sotto gamba: facevo le cose tanto per farle, per lo più perché mi costringevano. All'inizio era stato così anche con lo skate, motivo per il quale quando sono caduta la prima volta e mi sono sbucciata le ginocchia ho pensato di lasciar stare. Stella García, però, era talmente convincente che non sono mai riuscita a dirle di no. La sensazione di libertà che mi infondeva la mamma ogni volta che la guardavo skateare era una sensazione troppo bella e troppo forte per potermela lasciare scappare.

Sento qualcuno posarmi un braccio sulle spalle, mentre col piede sinistro continuo a far fare avanti e indietro allo skate sul pavimento del park. I partecipanti a questa gara sono venti, vale a dire uno per regione, ed io gareggio per il Lazio. È un torneo misto, il che vale a dire che gareggerò anche contro dei ragazzi. L'idea non mi spaventa, ma il mondo delle gare è così nuovo per me.

Prendo un bel respiro, voltando la testa verso Davide al mio fianco, che mi stringe a sé come un padre amorevole.

«Gli altri sono bravini, ma niente di che» prova a rassicurarmi il mio amico, ma proprio mentre dice questo Ivan Federico ci chiude un half-cab davanti. Il ragazzo in questione, che di sicuro Davide non conosce ma che io seguo con tanta ammirazione su Instagram, mi fa l'occhiolino e mi rifila un sorriso amichevole, per poi tornare ad allenarsi sulle rampe.

«Quello è Ivan Federico. È tipo fra i primi venti a livello mondiale, Davide. Quindi non è "bravino".»

Le parole che volevo pronunciare io, vengono pronunciate prima da Marco. Davide mi stringe più forte con entrambe le braccia, come a volermi chiedere scusa per quello che ha detto, ma rischiando soltanto di strozzarmi. La mia faccia si ritrova schiacciata contro i suoi pettorali scolpiti.

«E togliti, fa caldo!» lo scaccio, col sorriso sulle labbra, dando poi un colpetto alla tavola col tallone e sistemandomela tra le braccia come se fosse una bambina.

«Sempre la solita acida. Se Augusto fosse qui!» Davide non continua la frase, semplicemente mi fa un cenno con la mano come a dirmi "poi facciamo i conti" e se ne va lontano dalla pista, seguito da Jessica e Chiara che mi salutano con un sorriso, mentre tengono per mano Giorgino. Noto solo in quel momento che tutti hanno una maglietta con su scritto VAMOS ELISSA, con una stellina disegnata al posto del puntino della "i" del mio nome.

«Vamos Elissa! Che la vida es una, non c'è tempo per fermarsi!»

Serro gli occhi, per evitare di piangere proprio ora, soprattutto perché non voglio la vista appannata mentre gareggio. Se solo lei fosse qui, cosa mi direbbe di fare?

Rialzo lo sguardo sui miei amici, che mi osservano quasi preoccupati per la mia reazione, ma appena vedono che sto sorridendo si tranquillizzano.

«Grazie, ragazzi. Mamma vi avrebbe voluto bene» dico, mordendomi le labbra per trattenere il pianto.

«Come biasimarla.»

La considerazione sempre poco egocentrica di Jessica viene sovrastata dal suono degli altoparlanti che si accendono, seguiti dalla voce del presentatore che ci informa dell'inizio della gara nei prossimi cinque minuti. Sospiro, salutando tutti con la mano, rendendomi conto che Marco non se ne sta andando via con gli altri. Mi continua a guardare con le braccia incrociate sul petto, dondolandosi appena sui talloni, facendomi quasi ridere. Da quando quello che si vergogna, tra i due, è lui?

«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» gli chiedo, con un sopracciglio inarcato e un sorriso beffardo dei miei stampato sul volto. Marco sbuffa, abbassa lo sguardo, lascia cadere le braccia sui fianchi e si muove tante di quelle volte nel giro di cinque secondi che temo stia per venirgli un attacco epilettico.

«Volevo dirti... Cioè, augurarti... Buona fortuna, ecco...»

Per un attimo dimentico anche che sono arrabbiata con lui perché mi ha piantata in asso e, probabilmente per colpa dello stress dovuto alla gara, lo abbraccio. Mi sembra di essere ritornata a quella sera fuori dall'Hip Pub, quando ho scoperto che mi aveva iscritta alla prima gara senza chiedermi nulla e mi ha offerto il suo aiuto col kickflip. Forse senza quell'iscrizione non avrei mai avuto l'incentivo a chiudere una volta per tutte il trick. Di sicuro, ora non sarei qui a Milano a gareggiare con skater famosi in tutta Italia.

«Tutti i partecipanti sono pregati di recarsi al centro della pista.»

La voce del presentatore all'altoparlante non fa che richiamare ancora la mia attenzione, costringendomi a staccarmi controvoglia dall'abbraccio premuroso di Marco. Lui mi guarda negli occhi per un po', scompigliandomi con la mano i capelli che già per loro natura sono arruffati.

«Metticela tutta, Kickflip» mi dice soltanto, prima di andare via diretto dagli altri.

«Puoi giurarci, Pop Shove It» gli rispondo, mentre si allontana. Già, sembra facile. La prima gara è stata leggera per me, l'ho affrontata con il cuore libero, ma ora il mio cuore pesa fin troppo. Marco è qui, ma è comunque lontano. Sono in una città che non conosco, in uno skatepark che non conosco, con davanti skater che tutto sono meno che principianti. Mentre mi dirigo verso il centro della pista come mi ha detto la voce dall'altoparlante sento le gambe tremare. Cristo, Elissa, calmati. Getto un occhio al pubblico, cercando disperatamente i volti rassicuranti dei miei amici, ma purtroppo l'ansia mi annebbia talmente tanto la vista che non riesco a trovarli. Il cuore mi martella nel petto ad una velocità esorbitante, mentre attendo pazientemente il mio turno. Sono la quarta, ciò vale a dire che non dovrò aspettare tanto.

«Sofia ci chiude davanti agli occhi un perfetto kickflip!» La ragazza che sta gareggiando ora, per il Molise, il kickflip me lo chiude proprio davanti. Beata te, Sofia. Grazie per sbattere in faccia a noi poveri mortali il tuo strepitoso modo di chiudere questo trick, a cui io non potrò aspirare mai.

«Ora è il momento del Lazio, con la romana Elissa De Santis!»

Strabuzzo gli occhi all'udire quelle parole, mandando giù il groppo che mi si è formato in gola proprio ora e infilandomi il casco. Continuo a guardarmi attorno cercando quantomeno gli occhi marroni di Davide, ma non ho idea di dove si sia infilato. Mi sento tremendamente sola in una pista che è decisamente troppo grande per me. Chiudo uno shove it, tanto per cominciare, sperando che Marco lo veda e sorrida.

Marco.

Se non dovessi essere concentrata alzerei gli occhi e cercherei anche lui, ma purtroppo non posso. In fondo, vorrei davvero guardarlo ora? Dopo che mi ha allontanata, scacciata e tenuta a debita distanza fino ad oggi? Al ricordo del ragazzo di cui mi stavo innamorando sento un colpo al cuore. Chiudo un boneless, non perfettamente come avrei desiderato, non come lo chiudo di solito. Cavolo, Elissa, riprenditi!

Respiro profondamente, dandomi una spinta. È l'ultimo, posso farcela, devo farcela. Salto, cercando di liberare la mente. Era quello il trucco, no? Alzo lo sguardo mentre tento di regolarizzare il respiro, ma nel farlo finalmente trovo i miei amici senza neanche volerlo. Le loro magliette, con scritta la frase che mia madre mi diceva più spesso e quella maledetta stellina disegnata sopra il mio nome non fanno altro che appannarmi la vista. Mentre le lacrime mi creano un velo davanti gli occhi, quello che riesco a vedere è la sagoma di mia madre che agita le braccia e mi incita. Ma mia madre, purtroppo, non è qui. E io cado a terra non chiudendo il kickflip.

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«Elissa, ti vuoi fermare? Non è successo niente!»

«Ho fatto una figuraccia davanti a tutta Italia, Davide, quindi sì che è successo qualcosa!» Le mie urla si fanno strada per tutto il corridoio dell'hotel, mentre sottobraccio mi tengo questo maledetto skate che vorrei vivamente buttare nell'immondizia e non rivedere mai più. Dopo oggi dubito che salirò ancora su una tavola. Ho sbagliato. Poteva essere una gara strepitosa, l'occasione della mia vita, ed io ho sbagliato un kickflip.

«Eli, non fa niente, è solo una gara. Avrai altre possibilità!» Le parole di Jessica mi fanno fermare di colpo in mezzo al corridoio, proprio a pochi passi dalla porta della mia camera. Lei, Davide, Chiara, Marco e persino Giorgino mi guardano quasi compassionevoli. Forse perché mentre urlavo ho anche pianto e le mie guance sono diventate tranquillamente paragonabili alla cascata delle marmore.

«No Jess, io su questo skate non ci salgo più!»

Lo sbatto a terra con quanta più forza posso, senza spezzarlo ma sicuramente danneggiandolo, senza neppure guardarlo. Probabilmente è da buttare, ma neanche me ne curo e semplicemente tiro fuori la chiave della camera dalla tasca per aprire la porta. Voglio solo dormire, riposare e non pensare più a questo susseguirsi di brutte giornate. Mi sveglierò domani facendo finta che si sia trattato solo di un brutto sogno.

«Elissa, adesso stai esagerando.» La voce premurosa di Marco mi giunge alle spalle, mentre lui mi posa amorevolmente una mano dietro la schiena. Mi dimeno in maniera scomposta per allontanarlo da me, visto che di sicuro è il momento peggiore per ricominciare ad essere gentili.

Apro la porta cercando di richiudermela alle spalle con un colpo, senza considerare che in mezzo ci si mette Marco ed entra in camera dopo di me. Vorrei davvero spaccare questa stanza e radere tutto l'hotel al suolo, per quanto sono arrabbiata. No, forse non arrabbiata: delusa. Questa è la parola più appropriata per descrivere come mi sento ora.

«Sono caduta!» urlo, evitando gli occhi del ragazzo nella stanza con tutta la forza di volontà che ho nel corpo. Pensavo di essere finalmente riuscita a superare l'enorme scoglio del kickflip, ma il fallimento di oggi mi ha fatto capire che in realtà non lo supererò mai davvero.

«Non fa niente, succede anche ai migliori.»

Il tono calmo e pacato di Marco si contrappone perfettamente alle mie urla strozzate dalle lacrime. Mi sento quasi una bambina per star reagendo così, ma la vergogna e la delusione sono così tante che non riesco a fare altro. Mi siedo sul letto, afferrandomi la testa tra le mani. L'immagine di me a terra in mezzo alla pista mi fa solo iniziare a dondolare sul letto, tremante. Sento la gola chiudersi, mentre nella mia testa si fa strada la consapevolezza che sto per avere un attacco di panico. Le mani di Marco si posano delicatamente sulle mie, spostandomele dalla faccia per potermi guardare negli occhi. Devo sembrargli un caso perso, visto lo sguardo compassionevole con cui mi fissa.

«Non respiro» riesco a dirgli con un filo di voce. Il ragazzo mi prende il volto tra le mani, mentre io gli afferro le braccia sperando che stringendogliele forte possa passarmi la paura. Lui mi accarezza delicatamente i capelli, mentre io cerco di regolarizzare il respiro. Ormai ho una certa confidenza con gli attacchi di panico.

«Ci sono io, va tutto bene» mi sussurra asciugandomi le lacrime. La stretta alla gola diminuisce, mentre le sue labbra si avvicinano piano al mio volto. Poggia la fronte sulla mia, facendomi perdere un battito, mentre i miei occhi non smettono di fissare la sua bocca. La vergogna lascia lo spazio alla tristezza che mi provoca lo stargli vicino, sapendo che non è più soltanto mio.

«Io non ti piaccio» affermo ad alta voce, più a lui che a me. Lo sento ridere piano, vedendo la sua bocca curvarsi in un sorriso.

«No, non mi piaci più» confessa Marco. Il mio cuore potrebbe spezzarsi, tanto che mi trattengo dall'urlargli in faccia che cosa ci trovi di tanto divertente nel dirmi una cosa del genere. Il mio grido isterico, però, viene bloccato ancora dalle sue parole. «Perché mi sono innamorato di te.»

Colpo al cuore. Più forte di ogni caduta a terra dopo un kickflip, più forte di ogni schiaffo dato dietro la nuca da mio padre ogni volta che mi trovava a fumare dietro lo skatepark con Davide.

Me? Perché me? Perché amare una ragazza così piena di problemi, di insicurezze, la cui unica decisione certa è che al bar ordinerà qualcosa con del limone dentro? Quello che capisco, vedendo Marco sorridermi a tre centimetri dalla bocca, è proprio che tentare di razionalizzare tutto manda inesorabilmente le cose a puttane. Ho tentato di razionalizzare il mio kickflip, non ricordandomi che le uniche volte in cui mi era riuscito era proprio quando avevo fatto le cose di pancia. È solo grazie a Marco, grazie al suo modo di vedere la vita, se adesso mi ritrovo a pensare che sì, lo amo anche io. Perché la vita è più difficile di un trick, che nella vita vera se cadi a volte non trovi la forza di rialzarti, come è successo a suo padre e come poteva succedere a Luca. La forza mia, di Marco e di papà, invece, mi fa capire che a confronto un kickflip non è mai stato così semplice.

«Ti amo, Elissa» ripete, mentre le lacrime ormai bagnano anche il suo volto. «Amo ogni cosa di te. Mi sembra di essere stato in apnea per anni, ma da quando ti ho vista entrare nel negozio ho ricominciato a respirare. Quando ti ho allontanata, l'ho fatto perché volevo proteggerti. Non volevo trascinarti nel casino della mia vita, volevo sistemare tutto per poter essere pronto per te. Tu meriti qualcuno che riesca ad amarti con ogni fibra del suo essere, io voglio essere quel qualcuno. Ho aspettato per tanto tempo qualcuno che mi facesse vedere la luce in fondo al tunnell e tu hai illuminato ogni angolo della mia esistenza.»

Mi curvo sulla sua bocca per farlo smettere di parlare, mentre lui solleva lentamente le ginocchia da terra fino a farmi stendere sul letto, sotto il suo peso. Le mie mani gli stringono i capelli mentre lo bacio, come se fossi impaurita dal fatto che potrebbe tirarsi indietro e ritirare tutto quello che ha detto. Hai illuminato ogni angolo della mia esistenza. Le sue dita mi scivolano sui fianchi, raggiungendo il bordo del top marrone che indosso e sfilandomelo, costringendomi a staccarmi da lui per un attimo. Prima di afferrargli il volto fra le mani lo aiuto a sfilarsi la maglietta, buttandola alla rinfusa sul pavimento. Interrompo il bacio all'improvviso, rimanendo a fissarlo negli occhi per qualche secondo. Lui ne approfitta per accarezzarmi la guancia, facendomi sorridere. Il suo volto, la sua voce, le sue mani, riescono a risanare ogni ferita possibile. I giorni senza di lui mi sono sembrati incredibilmente grigi, come se la mia vita acquisisse colore solo quando sente la sua voce. Non sapevo cosa significasse essere innamorati, ma ora ne sono certa.

«Ti amo anche io, Marco.»

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