26. Tra vecchie storie, Milano e smettila di fissarmi
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«Hai preso tutto?»
«Sì, papà.»
«Non dimenticare lo skate.»
Mi volto verso mio padre, mentre mi sistemo lo zaino sulla spalla destra, lanciandogli un'occhiata quasi arrabbiata.
«Secondo te vado ad una gara di skate e non mi porto lo skate?» lo rimprovero, mentre faccio strisciare le ruote del trolley sul pavimento, diretta al portone di casa. Mi fermo davanti ad esso, guardando per un secondo papà che mollerebbe volentieri tutto pur di venire con me. Gliel'ho proposto, ma la ditta per cui lavora è a corto di personale e non può permettersi nemmeno di assentarsi per tre giorni. Dunque, sono costretta a prendere un autobus sotto il Sole cocente di Luglio per arrivare in orario all'aereoporto.
Il tempo è passato in fretta, tanto che sono già trascorse due settimane dalla gara. In questo incredibile lasso di tempo devo ammettere che sono successe parecchie cose: Giorgino ha deciso di tenere testa al Francesco che lo prendeva in giro a scuola. Gli è costato un occhio nero, ma dopo la lavata di testa di sua madre, Francesco ha smesso di prenderlo in giro. Chiara ha continuato ad andare in skate, migliorando parecchio, con grande stupore di tutti. Davide e Jessica invece ancora si evitano, diventando rossi ogni volta che si toccano per sbaglio. Luca è stato dimesso dall'ospedale e, per quanto ne so, Marco e lui hanno dato fondo a tutti i loro risparmi per ripagare il debito. Sono stati lasciati in pace, a quanto sembra, ma Luca si è dovuto far assumere da Fiore per riuscire a saldare il debito che ora si ritrova con suo fratello. Jessica era poco contenta di avere un nuovo collega, mentre a Fiore fa piacere dover fare sempre meno turni all'Hip Pub. Io e Marco, ad ogni modo, non abbiamo ancora parlato.
Sospiro, buttando le braccia al collo di mio padre e stringendolo a me. Vorrei veramente poterlo mettere in valigia e portarmelo a Milano.
«Mi raccomando, divertiti.»
Sorrido alla sua affermazione, pensando che avrebbe potuto dirmi "mi raccomando, vinci!" ma ha preferito essere più diplomatico. Ci saranno skater molto più bravi a questa gara, rispetto a quella di Roma, e le probabilità che io possa vincere si assottigliano sempre di più.
«Lo farò di certo» rispondo, scompigliandogli i pochi capelli brizzolati che ha in testa. Tre giorni non sono niente, le mie gite scolastiche duravano di più ed erano sempre in posti decisamente più lontani di Milano. Mi arrabbiavo sempre perché non volevano farmi stare mai in stanza con Davide, che era praticamente il mio unico amico, e finivo a dover fare finta di non essere una zavorra per le altre ragazze della mia classe. Se dovevano parlare con me ci parlavano, e andavamo anche d'accordo, ma se avessero potuto scegliere di certo non sarei stata io il loro primo nome. Un po' era anche colpa mia, che mi isolavo con Davide, ma forse lo facevo perché in lui ci avevo sempre visto un po' di Jessica.
Le porte dell'ascensore si aprono davanti all'ingresso del mio palazzo, costringendomi ad uscire da esso con la valigia arancione al seguito. Poco prima che possa sbuffare, pensando di star perdendo l'autobus per Ciampino, mi ritrovo Jessica appostata davanti all'edificio, che una volta era anche casa sua, poggiata alla portiera della Jaguar di Davide. La guardo interrogativa, notando anche Marco a poca distanza da loro fuori dalla sua Jeep, che mi sorride timidamente e accenna un saluto con la mano.
«Pensavi davvero che ti avremmo lasciata andare a Milano da sola?» mi chiede Davide, allontanandosi dalla sua auto e venendo ad abbracciarmi. Continuo a non capire davvero cosa diavolo stiano dicendo questi malati mentali, capendo ancora di meno perché ci sono anche Chiara e Giorgino seduti nei sedili posteriori dell'auto di Davide. Non capisco se mi stiano facendo uno scherzo o se davvero Maria abbia permesso a Davide di portarsi suo figlio a Milano, facendolo salire su un mezzo tanto pauroso quanto un aereo.
«Siete impazziti? Quanto avete speso? Chi rimane al negozio? Quant...»
Davide mi tappa la bocca con la mano, guadagnandosi una mia occhiataccia che gli fa togliere l'arto in questione dalla mia faccia con una risata.
«Il negozio è chiuso per tre giorni, non ci vedo niente di male, e al volo e all'hotel ci ho pensato io.»
Guardo Davide confusa, non riuscendo a credere che abbia fatto davvero tutto questo solo per me.
«Ma oggi è giovedì, non puoi chiudere.» Le mie parole sono interrotte da una risata di Marco, che si sposta dal cofano dell'auto e ci raggiunge posando un braccio sulle spalle del nostro amico.
«L'ha capito anche lui, che quella dell'affluenza il giovedì è una stronzata» commenta il ragazzo, la cui vista mi provoca un arrossarsi repentino delle mie guance. Non parliamo da esattamente sedici giorni e stavo iniziando a pensare che probabilmente non avremmo parlato mai più, visto che ormai il problema-aggressori poteva giudicarsi ufficialmente finito.
«Tuo fratello?» gli chiedo, non capendo perché sia disposto a lasciare da solo il fratello che ha quasi rischiato di perdere solo per seguirmi. Ormai vive da lui, almeno fino a quando non si ristabilisce completamente.
«Sta meglio, ce la fa anche da solo. È stato lui a dirmi di andare, e poi tuo padre ha detto che se ha bisogno di aiuto può chiedere a lui.»
Strabuzzo gli occhi. Quindi anche mio padre sapeva di tutto questo bel teatrino? Non posso fare comunque a meno di sorridere, perché l'idea di andarmene da sola a Milano per tre giorni non era di sicuro allettante. Sapere di poter affrontare questa situazione in compagnia dei miei migliori amici mi scalda il cuore.
«Grazie, ragazzi» dico soltanto, avviandomi verso il cofano della macchina di Davide per metterci la valigia, salvo poi essere bloccata dalla mano di quest'ultimo prima di arrivarci. Gli rifilo uno sguardo interrogativo, mentre lui risponde con un cenno della testa a Marco. Volto velocemente lo sguardo verso il mio ex (?) per poi tornare sul mio migliore amico.
«Io ti prendo a calci» gli dico tra i denti, riducendo gli occhi a due fessure, beccandomi una pacca sulla spalla da parte di Davide che ride soddisfatto.
«Allora siamo in partenza!» urla poi, dirigendosi verso il lato del guidatore della sua Jaguar, facendomi sbuffare esasperata.
«Tu verso il cimitero» sussurro tra me e me, spostandomi al cofano della Jeep aspettando che Marco lo apra. Mi si para dietro, sfiorandomi impercettibilmente col corpo e facendomi sussultare. Mi volto a guardarlo, notando solo in quel momento che la valigia era diventata magicamente leggera solo perché lui mi stava aiutando ad alzarla da terra.
«Un po' pesante per due giorni e mezzo, no?» mi chiede sorridendo, quasi arrossendo anche lui. Mi schiarisco la voce e ritorno con lo sguardo sul cofano che Marco finalmente ha aperto, per stiparci dentro la mia valigia arancione il più velocemente possibile.
«C'è solo lo stretto necessario» mi giustifico, cercando di entrare in auto senza guardarlo in faccia neanche una volta. Se anche lui è complice di questo stupido teatrino stile liceo allora può anche evitare e tornare direttamente a stare con me. Si comportano tutti come se fossi io ad aver troncato con lui all'improvviso, dimenticandosi che in realtà non è andata esattamente così. Ricordo bene di essere stata io quella che si è sbattuta la porta di casa di Marco alle spalle, mentre piangeva come una disperata.
Il lato del passeggero di questa macchina ormai era diventato mio di diritto, ma mi sento a disagio ora. Seguo con lo sguardo l'auto di Davide davanti a noi, immaginandomi anche lui un po' a disagio perché è seduto vicino a Jessica, ma gli sta bene. Magari la prossima volta evita di agire da app d'incontri e mi lascia salire in macchina con lui.
Sospiro, cercando di non aprire bocca perché intimidita dal silenzio e chiudendo gli occhi per fingere di dormire. Per fortuna il viaggio fino all'aereoporto dura poco più dieci minuti e poi, finalmente, sull'aereo potrò stare sola e tranquilla, a debita distanza da Marco.
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Di tanti posti che questo aereo riesce a contare io, Elissa De Santis-García, mi devo ritrovare seduta vicino a Marco Testa. Sono nel posto al centro, Chiara è in quello accanto al finestrino che dorme beata e Marco è seduto in quello alla mia sinistra. Vorrei dargli un calcio e farlo cadere giù dall'aereo. Per dieci minuti di viaggio in auto non ha fatto altro che tentare approcci vari chiedendomi se avessi caldo, freddo, se dovesse aprire il finestrino o sdraiarmi il sedile. I miei "no" continuati e ripetuti non sono serviti a niente. Per non parlare di come mi stava addosso durante il check-in! Continuava a ripetermi che se avessi avuto paura, lui ci sarebbe stato per me. Non si è reso conto che l'unica che stava andando in iperventilazione era Chiara. Non ha mai preso un aereo prima di oggi, in più abbiamo scoperto che soffre di vertigini. Era comunque troppo tardi per tirarsi indietro, quindi le ho parlato in spagnolo fino a quando non si è addormentata come una bambina.
«Smettila di fissarmi!» sbotto, voltandomi verso Marco, sentendo i suoi occhi addosso. Gli sguardi di Jessica e Davide, seduti nella fila di sedili accanto ai nostri, con Giorgino seduto fra di loro che dorme beatamente proprio come Chiara, si piantano su di me.
«Non ti sto fissando, sto guardando fuori dal finestrino!» si giustifica lui. Inarco un sopracciglio, voltandomi verso il finestrino velocemente, per poi tornare a guardare il ragazzo con uno sguardo truce dipinto in volto.
«Ma se è chiuso!» replico, dandogli un colpetto sulla spalla. Marco questa volta guarda davvero il finestrino, tossendo per schiarirsi la voce, imbarazzato.
«È una bella tendina.»
Passa un secondo dopo che io abbia sbuffato, fino a quando non sento la cintura di Marco slacciarsi.
«Vado in bagno» mi avvisa. Sbuffo ancora, chiudendo gli occhi. Voglio solo arrivare a Milano il prima possibile e mettere fine a questo viaggio infernale. Ho letto da qualche parte, probabilmente sullo stesso sito dell'articolo sulla gelosia, che anche ignorare qualcuno lo induce ad innamorarsi. Forse con Marco sta funzionando, ma ad ogni modo sono arrabbiata con lui per il modo in cui è scomparso dalla mia vita.
Sento un peso sul sedile accanto, sbuffando ancora.
«Già fatto?» chiedo, scocciata. Il bagno doveva proprio essere occupato? A rispondere, però, è la voce di Jessica anziché quella di Marco.
«Ti prego, uccidimi adesso, buttami giù dall'aereo, avvelenami le noccioline, strangolami con la cintura del sedile.»
Guardo la mia amica con uno sguardo più confuso del solito, cercando una risposta nello sguardo di Davide che però è puntato solo su Giorgino che dorme, mentre gli accarezza i capelli neri.
«Vorrei chiederti che ti succede, ma ho paura di non voler sapere davvero la risposta.»
«Guarda com'è carino!» mi ignora la mia amica. In un primo momento credo stia parlando di Giorgino che sta dormendo, ma poi ridacchio e poggio la testa sulla spalla di Jessica.
«Allora è vero che ignorare qualcuno lo fa innamorare» affermo, con un pizzico di sarcasmo nella voce. Vorrei poter dire che sono io ad ignorare Marco, ma a pensarci bene credo che sia più il contrario. Se avesse voluto parlarmi davvero l'avrebbe fatto, lo conosco, per questo mi sento completamente messa da parte. Se non ha ancora aperto il discorso è perché non vuole farlo.
«Ignorare? Io sono completamente inesistente, per il tuo amico! Eppure mi vesto sempre di fucsia, dovrei saltare all'occhio.»
Scoppio a ridere, rialzando lo sguardo su Jessica che a discapito del suo tono ha gli occhi lucidi.
«Perché non mi hai più cercata?» chiedo alla bionda seduta alla mia sinistra, vedendola puntare lo sguardo sulle sue gambe scoperte dagli shorts. Sospira, iniziando a giocare con le sue stesse dita come una bambina. Per un secondo la rivedo come quando ci siamo conosciute, nel giardino del condominio, a soli tre anni. Non so perché io stia tirando fuori l'argomento ora, o più in generale perché non l'abbia tirato fuori prima. La verità è che non ne abbiamo davvero mai parlato. So che si è pentita, ma non so perché abbia deciso di chiudere ogni rapporto con la sua vecchia vita.
Lei prende un bel respiro, puntando gli occhi sulle sue Vans identiche alle mie.
«Mio padre ha sempre sognato di diventare ricco e andare a vivere ai Parioli, da quando era un bambino. Roma Est non faceva per lui, diceva. Quando ci è riuscito davvero ha voluto tagliare ogni rapporto con la sua vita di prima e pretendeva che io facessi la stessa cosa. Ero piccola e non mi opponevo più di tanto, ero anche d'accordo con lui forse, ma non c'è stato un giorno in cui non ti abbia pensata.» Jessica mi guarda e finalmente posso notare le lacrime che scorrono sulle sue guance. «Crescendo, il vuoto che mi aveva lasciato l'andarmene dalle popolari diventava sempre di più una voragine. La Roma bene è stupenda, ma non era la mia casa. La mia casa era lo skate park sotto le popolari, dove mi sbucciavo le ginocchia. Era giocare con te a nascondino tra i corridoi del palazzo, sentire tua madre chiamarci in spagnolo per farci fare merenda con qualche churro. A sedici anni ho iniziato a farmi, come il novanta percento dei ricchi viziati che erano alla privata con me.» Si ferma per tirare su col naso, dandomi modo di stringerle la mano. «Un giorno sono finita in ospedale e ho capito che dovevo smetterla, che quella non ero io, che non era il mio mondo. Speravo che almeno quello potesse servire a far capire a mio padre quanto mi sentissi sbagliata in quel contesto, che non serviva a niente costringermi a fare finta di essere una ricca borghese. Mamma è sempre stata sua succube, bastava comprarle qualche gioiello e stava zitta e buona. È così che ho capito che i soldi non comprano l'amore.»
La abbraccio, stringendola più forte che posso appena scoppia a piangere. L'ho giudicata senza sapere, come ho fatto con Marco tempo fa e come faccio sempre con tutti. Forse era lei ad avere bisogno di me, più di quanto io avessi bisogno di lei.
«Mi dispiace così tanto di non averti cercata, Eli, ma credevo che la persona che ero diventata non fosse degna della tua amicizia.» La stringo ancora di più, per non farla parlare.
«Dio, Jess, dovrei scusarmi io con te.» Le lacrime minacciano di sfuggire al mio controllo, così mi allontano per poterla guardare in quei suoi occhi azzurri che tanto mi sono mancati in questi anni. «L'importante è che tu sia qui, adesso, e che recuperiamo tutto il tempo che abbiamo perso. Non hai bisogno di soldi, per comprare il mio amore, intesi?»
Jessica mi guarda davvero con gli occhi di una bambina, gettandomi le braccia al collo.
«Ti voglio bene anche se dici che non so andare in skate» dice piagnucolando, facendomi ridere. Apro gli occhi che avevo precedentemente chiuso per godermi l'abbraccio con la mia ritrovata migliore amica, beccandomi davanti il cavallo dei pantaloni di Marco, cosa che mi fa sobbalzare indietro. Jessica se ne accorge, voltandosi per capire cosa ha provocato in me quella reazione.
«Ti sembra questo il modo di fissare due ragazze che si abbracciano?» sbotta lei a Marco, perdendo quel briciolo di dolcezza e tristezza che avevo intravisto in lei e facendomi ridere.
«E una che dorme» completo, indicando Chiara con il dito, che dorme con la bocca semiaperta come se non avesse avuto un attacco di panico meno di un'ora fa.
«Ti sei appropriata del mio posto, Jestica» la provoca il ragazzo, dandole un colpetto sulla fronte e facendola irritare.
«Sentimi bene Pocahontas, perché non ti siedi vicino a The Rock-coi-capelli e insieme non parlate di quanto non siate capaci di tenervi una raga...»
Tappo la bocca a Jessica con la mano afferrandola per le spalle da dietro, rifilando un sorrisino a Marco che invece di offendersi pare divertito dalla situazione.
«Jessica voleva dire che magari potresti sederti un po' vicino a Davide e Giorgino così io e lei parliamo dei vecchi tempi.»
Marco sposta lo sguardo su di me, trattenendo un sorrisetto questa volta quasi imbarazzato e annuendo.
«Avevo capito che non mi volevi vicino» dice, con un filo di dispiacere nella voce, facendomi quasi sentire in colpa. Jessica emette strani versi con la bocca ancora sotto la mia mano, ma non me ne curo più di tanto, visto che probabilmente sono insulti.
«Non ho detto che non ti voglio vicino» rispondo, senza staccare gli occhi dai suoi. Lui scuote la testa, abbassando lo sguardo sui suoi piedi.
«Tranquilla ti capisco. Dopotutto ti ho allontanata io.» Dice l'ultima frase quasi a sé stesso, girandosi e sedendosi al posto precedentemente occupato da Jessica sotto lo sguardo interrogativo di Davide. Non riesco a staccare lo sguardo da Marco, che scosta i capelli ricci di Giorgino dalla sua fronte mentre dorme come un piccolo ghiro. A volte mi dimentico di quanto Marco riesca ad essere dolce e mi dimentico anche che dovrei smetterla di fare il gioco del silenzio, perché tutto questo non farà che allontanarci ancora di più. Io però non voglio allontanarmi, voglio stargli più vicino che posso e...
Un morso alla mano sinistra mi fa sussultare, risvegliandomi dai miei pensieri su Marco, facendomi rendere conto che ancora la tenevo sulla bocca di Jessica.
«Se provi a rimettermi quella mano sulla bocca giuro che te la mordo come fosse l'ultimo supplì dell'Hip Pub il sabato sera.»
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