16. Tra kickflip, mojito ed Elissa e Marco

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«Ce la fa.»

«Secondo me non ce la fa.»

«La gara è domani, ce la deve fare.»

Sorvolo su Giorgino e sul fatto che abbia dubitato che io possa riuscire ad eseguire il trick mentre Jessica mi abbia dato fiducia contro ogni pronostico, per poi sbottare.

«Se magari chiudeste la bocca, riuscirei a concentrarmi!»

Tutti quanti i miei amici smettono di parlare, probabilmente anche di respirare, così poggio piano lo skate a terra dopo aver ricambiato il sorriso rassicurante di Marco. Siamo qui da quanto, due ore? Ancora niente, ovviamente, e inizio a credere che non ce la farò mai. Prendo un grande respiro, mettendo un piede sulla tavola e dandomi lo slancio. La gara è tra solo qualche ora ed io sono quasi peggio di quando ho iniziato ad allenarmi. Continuo a tremare, impaurita, prendendo la rincorsa.

Per la prima volta, mentre salto, cerco di non pensare a niente, di fare mente locale per un secondo e rilassarmi. Immagino di essere Stella García, adesso, mentre do' un calcio allo skate per imprimere la rotazione. Mi sento quasi in slow-motion, pensando che o la va' o la spacca. Sono due ore e mezzo che siamo qui, ed io non voglio rischiare di arrivare a domani senza kickflip. Mi figuro nella mente Marco che mi chiude il kickflip davanti. La sua spensieratezza e il suo sorriso, nonostante tutto ciò che ha passato, sono per me ogni giorno fonte di ispirazione.

Come si fa? Come si fa ad accettare che qualcuno non ci sia più?

«Vai, mija, ci sei quasi!»

Senza rendermene conto cado a terra, sbuffando. Sembrava troppo bello per essere vero, per un attimo mi sembrava addirittura che la mamma fosse accanto a me mentre saltavo.

«Elissa, l'hai fatto!» sento dire da una voce alle mie spalle. Mi volto verso Marco che sta sorridendo aprendo la bocca completamente, mostrandomi i suoi perfetti trentadue denti, mentre Jessica batte le mani felice. Davide, Chiara e Giorgino, inesperti, non saprebbero dire se io ci sia effettivamente riuscita visto che la mia caduta da pera cotta lascia intendere il contrario.

«Che dici, sono caduta» rispondo contrariata, afferrando la mano che mi tende Marco per rialzarmi. Quando mi rimetto in piedi mi afferra per i fianchi e mi fa girare in aria, senza darmi neanche il tempo di mettermi dritta, rendendomi solo più confusa. «Ma la smetti?» mi lamento, spintonandolo via dalla frustrazione. Il sorriso radioso, però, sembra non voler abbandonare la sua faccia. Si può sapere che ha da sorridere tanto? La mia schiena dolorante per la caduta non è così entusiasta.

«Eli è vero, sei solo atterrata male!» lo spalleggia Jessica, seduta poco lontano da noi. Guardo i due ragazzi con la bocca schiusa, per poi afferrare con uno scatto la tavola e rimettermici su. Passo persino sopra al fatto che Jessica mi abbia chiamata Eli, notando nel suo sorriso del vero e proprio orgoglio.

Respira, Elissa, respira.

Ora capisco. Sta tutto qui: nel non pensarci. Io non devo farlo, io voglio farlo. La promessa mia e di mamma non è più solo la nostra, ora è anche la promessa di Marco. È la promessa di Davide, Jessica, Chiara e persino Giorgino. È la promessa di mio padre e anche di Pia. È la promessa di Tony Hawk e Rodney Mullen con cui ho parlato in sogno ed è la promessa di praticamente chiunque mi conosca. Salto, imprimo la rotazione con un colpo, ho visto come si fa tre miliardi di volte, ricado a terra.

Sono in piedi. Sono in piedi sullo skate.

«Ce l'ho fatta!» grido, ridendo. Sento le voci dei miei amici che esultano felici, battendomi le mani, mentre io cerco di rifarlo di nuovo. Ripeto gli stessi identici passaggi, riuscendo a ricadere di nuovo in piedi. Mi do' la spinta fino ad arrivare davanti agli altri, lasciando andare la tavola e saltando in braccio a Marco ridendo, allacciando le gambe dietro la sua schiena. Lui ride stringendomi, facendomi pensare per un attimo che tutto questo sia surreale.

«Ce l'hai fatta, Kickflip!» mi dice il ragazzo rimettendomi a terra, permettendo anche agli altri di abbracciarmi, Jessica compresa. Sono troppo felice per mandarla via. Giorgino mi salta in braccio, lasciandomi un innocente bacio sulla guancia.

«Vi offrirei da bere per festeggiare ma non ho un soldo bucato, famo che ognuno paga per sé?» constato infine, facendo ridere tutti quanti.

«Non posso credere che ci sia voluto così poco!» afferma Davide scioccato, probabilmente ripercorrendo con la mente tutti i momenti in cui mi ha visto cadere nel tentativo di riuscirci negli anni in cui siamo stati amici. Rido tra me e me, pensando che tutti i torti non li ha, per poi mettere a terra Giorgino.

«E guarda ora che mago» dico, rimettendomi sullo skate per eseguire ancora una volta il kickflip. I miei amici mi sorridono, realmente sollevati nel vedermi riuscire ad eseguire il trick, fermi impalati come se avessero appena assistito a Leonardo mentre dipingeva la Gioconda.

«Mo' non te monta' la testa!» riesce a sfarsi sfuggire Davide, prima di avviarci tutti verso l'Hip Pub.

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«Volevano espellerti perché ti vestivi troppo da emo

«Quell'arpia della Bianch» dico sottovoce a denti stretti, bevendo un sorso del mio gin lemon. Io sono seduta su un divanetto fra Marco che mi tiene un braccio sulle spalle e Jessica che beve tranquilla il suo mojito, mentre di fronte a noi ci sono Chiara e Davide che tengono stretto fra di loro Giorgino, ormai sprofondato nel mondo dei sogni. Lancio con la coda dell'occhio uno sguardo a Marco, che mi stringe a sé facendomi arrossire.

Come dovrei comportarmi, ora? Il kickflip l'ho fatto, ma non ho idea di cosa fare con lui. Forse aveva ragione, la vita è molto più difficile di uno stupido trick. Dovrei chiedergli se siamo una coppia? Mio Dio, no, non devo correre! Però ha un braccio sulle mie spalle... E con questo? Non significa niente!

«Mi dispiace di essermi persa questo periodo dark» dice Jessica ridendo, strappandomi dai miei pensieri ossessivi. Mi volto di scatto verso di lei, sgranando gli occhi sconvolta.

«Ma se è stato colpa tua, il periodo dark!» replico, per la prima volta non arrabbiata per il fatto che sia andata via. Forse sono... divertita?

«Mia?» chiede lei ridendo più fragorosamente, meritandosi un colpetto sul braccio da me.

«Ero provata dalla tua assenza!»

L'atmosfera è strana, stasera, ma uno strano positivo. Mi sento felice, mi sento bene, mi sento libera. Mi sento come se non fosse mai stato così semplice ridere. Il sorriso dei miei amici si trascina dietro anche il mio e mi sembra assurdo pensare che, fino a qualche settimana fa, non eravamo altro che un gruppo di pseudo-conoscenti che si ritrovavano in uno skate park di notte.

Mentre Arrogante di Irama risuona nel locale, io e gli altri ci dirigiamo verso l'uscita.

«Allora ci vediamo domani mattina. Puntuali, mi raccomando!» ci intima Davide che tiene in braccio uno Giorgino addormentato. Porto la mano sulla fronte a mo' di comandante rispondendo con un "sì, capitano", cosa che mi costa un'occhiataccia del ragazzo palestrato, ma che mi fa solo ridere.

«E che vinca la migliore» mi dice Jessica facendomi un occhiolino, entrando nella sua Porsche.

«Quindi io» replico, sorridendole. Davide e Chiara entrano nella Jaguar del ragazzo, mentre a me tocca la Jeep di Marco, come sempre. Salgo su con un colorito già assimilabile ad un pomodoro maturo, schiarendomi la voce e stringendomi nel giubbotto di jeans. Il pensiero che il suddetto giubbotto sia di Marco non fa altro che peggiorare la situazione.

«Sei pronta?» spezza il silenzio Marco. Pronta? Pronta alla gara? Pronta a noi?

Sorrido e annuisco, strofinandomi le mani sulle gambe come ogni volta che sono nervosa. È la mano di Marco, però, che si posa sulla mia coscia mentre il ragazzo mi sorride amorevolmente. Lo guardo, con le labbra semiaperte, afferrandogli la mano e stringendola nella mia.

«Che ci trovi in me?» gli chiedo, sorridendo amaramente. Le parole mi sono uscite dalla bocca da sole, per quanto io abbia provato a riacchiapparle. Uno come lui, così bello e gentile, potrebbe avere una ragazza più simpatica e cordiale. Magari come Chiara, ma in versione bionda ed etero. Marco scoppia a ridere, così lo guardo storto, ma appena se ne accorge ritorna serio lanciandomi occhiate veloci per tornare a guardare la strada.

«Ah, dici davvero» si ricompone poi, stringendomi più forte la mano come se fosse un riflesso incondizionato. «Te l'ho già detto, sei spettacolare. Sei praticamente tutto ciò che non sono io.»

Stavolta sono io a scoppiare a ridere, scuotendo la testa.

«E cosa non sei? Un scontrosa antipatica?»

Marco sospira alle mie parole, quasi amareggiato.

«Vorrei che potessi vederti con i miei occhi» dice infine, accostando nel parcheggio sotto il nostro palazzo. Rimaniamo in silenzio, mentre la macchina è spenta, con le mani intrecciate. Mi sembra che qualsiasi cosa io dica possa rovinare tutto. Come sempre.

«Che vedrei? Una stronza scontrosa e antipatica?» chiedo, aggiungendo un aggettivo dispreggiativo agli altri due. «Perché io è così che mi vedo» concludo, abbassando lo sguardo. Marco mi afferra il mento tra il pollice e l'indice, per permettermi di guardarlo negli occhi.

«Io invece sai cosa vedo? Vedo una donna. Una donna forte, indipendente, coraggiosa, che lotta per ciò che vuole perché nessuno le regala mai nulla. Una donna che ha sofferto tanto, ma che continua sempre a sorridere. Poi vedo anche una bambina scorbutica, sì, ma solo alla fine»

Scoppio a ridere alla sua ultima frase, facendo sorridere anche lui. Lo guardo negli occhi, avvicinando piano il mio volto al suo. Le sue dita sono ancora intente a sorreggermi il mento, mentre i suoi occhi non riescono a guardare altro che le mie labbra.

«Adesso l'ho chiuso il kickflip» sussurro, a qualche centimetro dalla sua bocca.

«L'hai chiuso» dice lui, al mio stesso tono di voce, azzerando le distanze. Le nostre labbra si uniscono in un bacio tanto atteso, per la seconda volta, mentre le mani di Marco mi afferrano il volto e mi accarezzano piano. Il mio stomaco fa i salti mortali, mentre penso che è accaduto proprio ciò che ho temuto per tutta la sera. Mentre Marco mi bacia, però, mi rendo conto che non c'era niente di cui aver paura. Devo smetterla di temere che le persone che amo se ne andranno.

«Grazie per avermi iscritta a quella gara pur sapendo che ti avrei ucciso» gli dico, allontanandomi piano da lui. Marco ride alla mia affermazione, baciandomi ancora e tenendomi stretta per i fianchi.

«Non mi sembra che tu mi stia uccidendo, però.» commenta poi, alternando le sue parole ad altri baci a fior di labbra.

«Non mi sfidare, Pop shove it.»

Rimaniamo a guardarci in questa macchina, come se il tempo si fosse fermato, come se non esistesse più nessuno, perché è così che Marco mi fa sentire: libera. Prendo il cellulare solo per guardare che ora sia, strabuzzando gli occhi non appena leggo i numeri sullo schermo.

«Sono le due, la gara è alle dieci!» mi lamento, prendendomi il volto fra le mani per la disperazione. Marco ride e scende dall'auto, per venirmi ad aprire la portiera. Lo guardo storto, trattenendo comunque un sorrisino. «Ti preferivo quando facevi allusioni sessuali, troppo romantico sei noioso» affermo, facendogli alzare le spalle.

«Preferiresti che ti saltassi direttamente addosso?» mi chiede fingendosi disinteressato, posandomi delicatamente una mano sulla gamba, cosa che mi fa sussultare per il contatto con la sua pelle. Mi volto verso di lui, sedendomi sul bordo del sedile per avere il suo volto perfettamente davanti al mio, sorridendogli in risposta.

«Dico che magari non sarei completamente contraria» rispondo, inducendolo a sorridere e ad avvicinarsi per baciarmi ancora. «Non voglio perderti» concludo, affondando la faccia nell'incavo del suo collo per stringerlo in un abbraccio. Sento le sue mani accarezzarmi la schiena e le sue labbra muoversi tra i miei capelli mentre parla.

«Non mi perderai.»

━ ✿ ━

Mi sveglio piano, non aprendo subito gli occhi. Quello che sento attorno al mio corpo è un braccio, che inizialmente mi fa raggelare il sangue nelle vene, ma poi quando sento l'inconfondibile profumo di Marco mi tranquillizzo. Mi volto verso di lui, cercando di non svegliarlo, iniziando a guardarlo per un po'. Il suo invito a dormire a casa sua inizialmente mi ha spaventata, visto che l'ansia che nascondesse un set di coltelli sotto il letto non se ne era ancora del tutto andata, ma alla fine ho deciso di restare. La mia mano si posa sulla sua guancia, per poi arrivare sulle sue labbra, leggermente schiuse. Continuo a non capacitarmi di come un ragazzo come lui possa essere preso da una come me, ma non mi va di preoccuparmene ancora più di tanto. Va bene così, io sto bene e lui sta bene. Oggi neanche se perdessi la gara riuscirei ad essere triste, perché saprei di aver comunque vinto lui.

La gara...

Urlo, facendo svegliare Marco impaurito, per poi alzarmi dal letto in fretta gridando "è tardi", ma il ragazzo ancora steso nel letto mi affera per un braccio e mi strattona, facendomi cadere su di lui.

«Sono ancora le otto» dice, con la voce piatta per il risveglio brusco, facendomi calmare almeno un po'.

«Ah» affermo io, facendo ridere Marco che approfitta del mio momento di debolezza per spingermi sotto di lui e incastrare i suoi occhi nei miei. «Se perdessi?» gli chiedo, mentre allaccio le braccia dietro la sua nuca e gli passo la mano fra i capelli raccolti in una mezza coda che la notte ha scompigliato.

«Avresti comunque vinto me» dice, con un tono leggermente arrogante. Vorrei prenderlo a schiaffi per questo, ma quando penso che sono le esatte parole che io stessa ho pensato prima, mi rendo conto di quanto il destino abbia lavorato bene per far conoscere due anime così perfettamente sincronizzate. Marco si muove velocemente verso di me, baciandomi mentre si regge sui gomiti e con la mano sinistra mi accarezza i capelli arruffati.

«Io e te non diventeremo come quelle coppiette smielate che si chiamano "amore", vero?» gli chiedo, accarezzandogli il volto ricoperto da un sottile strato di barba. Lui mi guarda sogghignando e quasi prendendomi in giro, inducendomi a guardarlo storto. «Si può sapere che diavolo hai da ridere?»

Il sogghigno di Marco diventa una vera e propria risata all'udire quelle parole.

«Vedi? Saremo sempre Elissa e Marco. Nessun "amore".»

Lo stringo in un abbraccio, sospirando. Lo spero proprio.

«Devo alzarmi davvero» affermo io, rispingendolo sul letto e alzandomi sotto il suo sguardo indagatore. Schizzo in bagno, poggiandomi al lavandino e guardando la mia immagine riflessa nello specchio davanti a me. Mi do' uno schiaffo mentalmente perché non è da me fidarmi ciecamente di qualcuno in così poco tempo. Conosco Marco da meno di un mese e nonostante senta di conoscerlo da tutta praticamente sempre, mi giudico una cretina per avergli messo in mano tutta la mia vita nel giro di poche settimane. Mi do' una veloce sciacquata alla faccia, perché tanto devo tornare a casa per cambiarmi e preferisco fare la doccia lì, visto che l'accenno al set di coltelli sotto il letto non è mai del tutto da dimenticare.

Esco dal bagno, dirigendomi verso il salotto, ritrovando Marco seduto sul divano a petto nudo, proprio come aveva dormito, con in mano una scatole di scarpe e Kento che lo guarda seduto sul tappeto. Gli occhi sorridenti di Marco si fissano su di me ed io mi dipingo in faccia un'espressione confusa. Lui apre finalmente la scatola, mostrandomi le famigerate Old Skool.

«Credo che sia il momento di metterle, Kickflip.»

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