12. Tra cambi di turni, tentate fughe ed equilibri ritrovati

━ ✿ ━

«Gli dovresti parlare.»

«Te lo scordi.»

Incenerisco il mio migliore amico con uno sguardo, mentre Jessica mi passa una Schweppes al limone. Io e lei ci siamo ritrovate non si sa come nella stessa identica situazione: costrette a fare un lavoro che non avremmo mai pensato di accettare perché non abbiamo un soldo bucato. Jessica ha fatto talmente tanta pena a Fiore che alla fine l'ha assunta all'Hip Pub, quindi ora è qui costretta a riempirmi i bicchieri di qualsiasi bevanda al limone esistente. La costringerei ad offrirmi almeno un drink al giorno per ripagarmi del danno morale, ma siccome versa in questa situazione economica che lascia a desiderare cerco di non essere perfida.

«Non ho ancora capito cos'è successo» dice proprio la bionda, poggiando i gomiti sul bancone e adagiandosi il volto tra le mani. La guardo storto, smuovendo il ghiaccio nel bicchiere con la cannuccia, per poi portarla alla bocca ed assumere un tono di sufficienza.

«Non sono tenuta a dirti tutto, non ho ancora dimenticato il fatto che mi hai accannata per i soldi» le rispondo io, facendo spuntare sul suo volto un'espressione quasi triste. Rido sotto i baffi pensando di averle dato un bel servizio, ma poi il mio migliore amico decide di aprire la bocca.

«Marco le ha regalato delle scarpe che voleva da tanto, lei non le ha accettate perché è una cretina, Marco allora le ha detto che gli piaceva, si sono baciati, anche lei gli ha detto che le piaceva e alla fine Elissa è scappata con la coda fra le gambe.»

Davide rovina le parole che ho appena rivolte sprezzante alla mia ex migliore amica, provocandole addirittura una risata. Probabilmente riderei anche io, se non fossi la protagonista di questa figuraccia.

«Bacia così male?» mi chiede Jessica, rimettendosi dritta e prendendo una pezza per pulire un lato del bancone dove prima erano seduti due ragazzi a bere un caffè. Io sbuffo, riprendendo a girare la cannuccia nel liquido trasparente senza riuscire a bere. Persino il limone mi sembra più aspro, oggi.

«Io non lo so perché me ne sono andata, okay? So solo che entrare in quella casa mi ha fatto capire che non conosco niente di lui» rispondo, senza riuscire ad alzare lo sguardo verso i due ragazzi con cui sto conversando. Un attimo di silenzio aleggia tra noi tre, silenzio che poi viene prontamente spezzato da Davide.

«Che tu lo conosca o meno sono tre giorni che mi chiedi di cambiare turno per non incontrarlo, non può mica continuare per sempre!» mi riprende il mio amico palestrato, assestandomi un colpetto sul braccio sinistro. Mi lamento per il colpo, alzando lo sguardo su di lui per poi riabbassarlo subito. Ha ragione, per quanto odi ammetterlo. Non posso continuare a nascondermi da ogni persona che mostra un minimo interesse per me.

«Non vieni nemmeno più allo skatepark, la gara è tra dieci giorni e ancora niente kickflip» continua Jessica, beccandosi un'occhiataccia da parte mia. Forse è vero che guardo sempre male tutti, ma se se la cercano non è di certo colpa mia. Mi riprendo con uno sbuffo, poggiando i gomiti sul bancone come Jessica poco prima e piegandomi per bere dalla cannuccia.

«Dai, stasera vieni ad allenarti. Porto anche Giorgino, non vede l'ora di fare il tifo per te!» ridacchio all'affermazione di Davide, per poi rimettermi dritta sullo sgabello e guardare il mio migliore amico e la mia ex migliore amica, stranamente sorridendo anche a lei.

«Sì, avete ragione. Stasera parlerò con Marco.»

━ ✿ ━

«Non ce la faccio, io vado a casa.»

Davide alza gli occhi al cielo, per poi spingermi per l'ennesima volta verso l'entrata. Purtroppo è più alto di me e decisamente più muscoloso, quindi anche se tentassi di scappare non avrei molte probabilità di riuscire nel mio intento. Mi aggrappo al cancello dello skatepark, cercando di non fare rumore così che Marco, Chiara e Jessica non mi vedano. Giorgino mi guarda dal basso, alla mia sinistra, quasi preoccupato. Faccio pena anche ad un bambino di nove anni?

«Elissa, smettila di fare la ragazzina in preda ad una tempesta ormonale e assumiti le tue responsabilità!» mi dice il mio migliore amico, mentre continua a spingermi dentro ed io continuo ad aggrapparmi al cancello opponendo resistenza. Mi volto un attimo verso Giorgino, che pur non avendoci capito un accidenti annuisce come ad approvare le parole dello zio. Alzo gli occhi al cielo, smettendola finalmente di resistergli e prendendo un grande respiro, voltandomi verso Davide.

«Va bene, va bene, entro» mi lascio sfuggire. Un attimo di silenzio aleggia fra di noi, attimo in cui cerco con lo sguardo una via di fuga. Se mi mettessi a correre non credo che Davide avrebbe una prontezza di riflessi tale da potermi fermare. Dopotutto sono più piccola e leggera di lui, quindi dovrei avere un certo vantaggio. Faccio così per correre via, ma per farlo devo comunque passare accanto al ragazzo muscoloso, che mi ferma con le sue maledette e possenti braccia, facendomi piagnucolare davvero come se fossi una ragazzina in preda ad una tempesta ormonale.

«Ma si può sapere di che hai paura?» mi chiede Davide, afferrandomi per le spalle e riportandomi di fronte a lui per potermi guardare dritto negli occhi marroni.

«Che si stanchi di me!» esclamo, alzando la voce. Il mio migliore amico lascia cadere le braccia lungo i fianchi ed io mi siedo a terra poggiando la schiena contro il cancello, senza dire una parola. Davide imita il mio gesto e Giorgino si siede in silenzio davanti a noi.

«Perché dovrebbe stancarsi di te?» mi chiede Davide guardandomi apprensivo, con un tono che solo un fratello maggiore potrebbe avere. Tengo gli occhi puntati a terra per evitare il suo sguardo, portando le gambe più vicino possibile al petto come facevo da bambina quando volevo rimanere da sola con me stessa.

Ridacchio sconsolata con le lacrime che mi pizzicano gli occhi minacciando di scorrere a momenti, per poi rispondere.

«Perché non dovrebbe? Guardami...» mi lascio sfuggire, accompagnata dal silenzio di Davide, «...Sono scorbutica, cattiva, egoista, non sono alta nemmeno un metro e sessanta e ho i capelli che sembrano paglia perché ho avuto la brillante idea di tingerli di rosso tre mesi fa, soltanto perché volevo essere diversa.» Mi fermo ancora, voltando lo sguardo verso il ragazzo seduto alla mia destra. «Invece mi sembra solo di essere uguale a tutte le altre.»

«Non sei scorbutica, hai difficoltà ad aprirti subito agli altri e non c'è niente di male in questo. Se le persone non vogliono rispettare i tuoi tempi il problema non sei tu, ma loro. Poi, cattiva ed egoista? Parliamo della stessa ragazza che al liceo ha fatto una protesta da sola nel cortile perché la scuola non aveva rampe ma solo scale e i ragazzi in carrozzina non potevano salire?»

Al ricordo di quell'aneddoto scoppio a ridere, mentre mi asciugo una lacrima che ha deciso di scorrermi lungo la guancia sinistra.

«La Bianchi voleva sospendermi perché diceva che avevo utilizzato gli spazi scolastici per propaganda politica.»

Anche Davide ride quando si ricorda questo altro piccolo particolare.

«E non insultare i capelli rossi, visto che te li ho tinti io.» Davide termina il suo discorso scompigliandomi i capelli che già ricadono disordinatamente sulle mie spalle, inducendomi ad abbracciarlo più forte di quanto abbia mai fatto. Se non avessi avuto lui, in questi anni, non sarei di certo la persona che sono ora. Se non avesse accettato di tingermi i capelli ogni volta che glielo chiedevo, se non mi avesse aiutata a sistemare il mio skate quando aveva qualche problema, se non mi avesse proposto di lavorare assieme a lui, che persona sarei oggi?

«E poi sei bella.»

La voce che sento, stavolta, è quella di Giorgino, verso il quale mi volto per poi sorridergli in risposta. Con uno slancio lo afferro e abbraccio forte anche lui, facendolo ridacchiare contro la mia spalla quando comincio a riempirlo di baci sulle guance.

«Grazie» affermo, guardando Davide con un sorriso dipinto sul volto mentre stringo Giorgino al mio petto. Segue un attimo di silenzio che con indecisione, come se non volesse rovinare quel momento, il bambino spezza.

«Devo fare la pipì.»

Scoppio a ridere, così come Davide, che si alza e prende per mano il nipote. Li seguo a ruota, recuperando il mio skate e prendendo un grande respiro prima di varvare la soglia del park.

«Nessuno si stancherebbe mai di te, Elissa. L'essere umano non è programmato per potersi stancare di una come te.»

Le ultime parole di Davide mi procurano un ulteriore sorriso, convincendomi finalmente a muovere un passo verso l'entrata, lasciando cadere lo skate sotto i miei piedi diretta verso Marco, Jessica e Chiara. La prima ad accorgersi di me è la mia collega, che mi sorride e mi saluta con la mano, attirando l'attenzione di Jessica che apre la bocca in un sorriso sincero, il primo da quando conosco il suo alterego da riccona. Marco sembra non essersi ancora accorto di me mentre prova dei trick sulla tavola, così decido di parlare.

«Buonasera!» affermo semplicemente, un po' ironica, facendolo voltare verso di me. Mi fermo a qualche metro da lui, che arresta contemporaneamente a me la sua corsa. Perdiamo qualche secondo a guardarci, prima che il ragazzo si muova verso di me per stringermi in un abbraccio. Devo averlo proprio confuso, scappando da casa sua dopo avergli detto che mi piaceva ed evitandolo per tre giorni. Marco mi stringe forte il tessuto del suo giubbotto dietro la schiena, come se avesse paura di vedermi scappare di nuovo. Ricambio la stretta, ancora un po' riluttante, sentendo in sottofondo i versi inteneriti di Chiara e Jessica, che mando poco gentilmente a quel paese con il dito medio facendole ridacchiare.

«Mi sei mancata» dice Marco allontanandosi, per guardarmi negli occhi. Prendo un grande respiro, ripassando nella mia mente discorso che ho formulato poco prima di uscire di casa, pronta a recitarlo a macchinetta davanti a Marco.

«Mi piace stare con te, Pop shove it, ma voglio concentrarmi. Quella gara è davvero importante per me. Se arrivo prima, oltre che a vincere i soldi, posso vincere anche la partecipazione ad una gara a Milano. Milano, capito? Non sono mai andata oltre Torpignattara.» Il ragazzo scoppia in una fragorosa risata, senza spostare le mani dai miei fianchi e, come suo solito, senza spegnere quel sorriso che lo contraddistingue. «Quindi ho deciso di cambiare motto: niente kickflip, niente Marco.»

Marco mi guarda inizialmente un po' confuso, senza dire niente, lasciando subito lo spazio ad un sorriso amorevole. Mi libera il volto dai capelli con le mani, stampandomi un bacio sulla fronte chiudo gli occhi,abbandonandomi a quel contatto così puro. Qualcuno mi aveva mai toccata così? Con questa tenerezza, con questo bisogno naturale di proteggermi. Per tutta la mia adolescenza ho sempre cercato di tenermi lontana da cose così astratte come l'amore, perché non ero mai riuscita a trovare qualcuno che mi smuovesse qualcosa dentro. Io avevo mai smosso qualcosa a qualcuno? Ricordo solo di aver ricevuto dei cioccolatini a San Valentino in primo superiore da un mio compagno di classe. Si chiamava Giacomo, ma non ricordo il cognome perché subito dopo averlo ringraziato gli ho anche detto che non cercavo niente di sentimentale e aver fatto a metà i cioccolatini con Davide, ha cambiato classe. Ricordo ancora come Giacomo mi aveva guardata da dietro le lenti dei suoi occhiali tondi, mentre all'ultimo banco mangiavo i suoi cioccolatini come se stessi mangiando il suo povero cuore.

«Sicuramente è più motivante una scopata con Marco Testa che mille euro.»

La battutina di Jessica fa ridere tutti quanti, tranne Davide che copre le orecchie al nipote.

«Jessica, Dio mio, c'è un bambino qui! Ti sembra il modo?» la rimprovera, senza però mettere in conto che Giorgino ha sentito tutto ormai.

«Zio, cos'è una scopata?» gli chiede, infatti, calcando su quella parola sconosciuta e scacciando via le mani possenti di Davide dalle sue orecchie. Il bambino lo osserva in attesa, mentre lo zio arrossisce e inizia a boccheggiare in cerca di una risposta soddisfacente da dare.

«È quella che si è fatta tua madre nove anni fa per farti nascere.»

Jessica si becca uno schiaffo sul braccio dal mio migliore amico, facendole lamentare un "ahia" seguito dalle nostre risate. Vedo Giorgino che ci guarda ancora confuso, non soddisfatto della risposta ricevuta, ma non chiedendo altro. Spero solo che non ripeta quelle parole davanti a Maria, perché sarebbe di sicuro un motivo per impedire a suo fratello di tenerlo. Continua a farlo venire qui perché dice che Giorgino si incanta sempre a parlare di quanto si diverte a vedere me e Marco sullo skate, Davide e Jessica che si punzecchiano di continuo e Chiara che cerca sempre di riportare la pace. Siamo un po' come una grande famiglia, per lui. Mi piace pensare che quando sia con noi, non gli interessi più avere o meno un padre.

«Ti aspetterò. Ce la farai, Elissa, ne sono sicuro» mi dice Marco a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri, strappandomi dai miei pensieri. Ha ancora le mani sulle mie tempie, per tirare indietro i capelli, e i suoi occhi sono dritti su di me. Sento Jessica e Davide che stanno continuando a battibeccare in sottofondo, come da copione, con Chiara che cerca di riappacificarli, come da copione. Ricambio a Marco il sorriso che mi sta rivolgendo e lo abbraccio, stringendogli le braccia al collo, perché so che è come dice lui. Mi fido ciecamente delle sue parole, per qualche strano motivo. Dal mio cuore sento provenire una voce, che dolcemente mi sussurra con un accento spagnolo: ce la farai, Elissa, e ne sono sicura anche io.

━ ✿ ━

Lancio le chiavi di casa nel piatto che si trova sul mobiletto all'ingresso, senza curarmi più di tanto del fatto che potrei svegliare papà con il rumore che produce, visto che è seduto sul divano a bere una birra mentre tiene gli occhi puntati sulla la televisione. All'inizio penso che si tratti di una partita della Roma che ha registrato mentre era al lavoro per riguardarla con calma, ma la voce che sento non è quella di un cronista, bensì quella inconfondibile di mia madre. Mi siedo a peso morto accanto a lui, strappandogli la birra di mano e bevendone un sorso, per poi ripassargliela. Lui non dice niente, visto che ormai si è rassegnato alla mia vena lievemente alcolista. Mi dice sempre di non esagerare, ma non si arrabbia perché sottolinea sempre che la mia mamma fosse come me, in questo come in tante altre cose. La sua immagine sullo schermo mi rallegra, perché è così come la vedo ora che la ricordo: con il sorriso.

«Ancora niente?» mi chiede papà riferendosi al kickflip, inducendomi ad alzare le spalle con noncuranza.

«No, ma sono ancora fiduciosa.»

Un attimo di silenzio aleggia nella sala, mentre teniamo gli occhi puntati sulla tv. Il sorriso di mamma che mi regge per il mio corpicino da bambina di otto anni mentre cerco di non perdere l'equilibrio sullo skate buca lo schermo. Sorrido anche io, perché il suo sorriso è davvero contagioso. I capelli castani le ricadono disordinati sulle spalle, ricordando i miei sempre arruffati, e mi rivedo anche nei suoi occhi così scuri e pieni di vita. Strabordavano di tutta quella voglia di vivere che le era stata strappata via troppo presto, all'improvviso, senza motivo. C'è mai davvero un motivo per cui qualcuno se ne va? Guardo l'orologio appeso al muro alla mia destra di sfuggita, notando che è mezzanotte passata.

«Oggi sono dieci anni» mi dice papà, come se mi avesse letto nel pensiero, senza guardarmi. Poggia la bottiglia di vetro sul tavolino davanti a noi, dove io successivamente poggio i piedi dopo essermi tolta le scarpe. Poggio la testa sulla spalla di mio padre, senza avere il coraggio di spostare lo sguardo dallo schermo, come se l'immagine di mia madre che ride potesse sfuggirmi all'improvviso ed io non fossi più capace di riacchiapparla.

«Non l'hai uccisa tu.»

«Perché mi sento come se l'avessi fatto, allora?» lo sento chiedere, con la voce incrinata.

Allungo una mano, stringendo mio padre in un abbraccio. Lui ne accarezza il dorso, lasciandovi sopra un tenero bacio.

«Perché ti sei autoconvinto che sia colpa tua. Perché vuoi trovare un colpevole contro cui puntare il dito, come me.»

Ancora silenzio dopo le mie parole.

«Oh, attenta che cadi Elissa!» dice la voce di mio padre da dietro la telecamera che sta riprendendo quella penosa scena. Atterro davvero con un tonfo nel video, facendo scoppiare a ridere mia madre. La me di otto anni la vede e ride anche lei, senza lamentarsi del dolore al fondoschiena. Anche la me diciannovenne che sta guardando il video ride, asciugandosi una lacrima che ribelle è scesa solcandomi la guancia destra.

«Mi manca tantissimo, papà» dico con la voce rotta dalle lacrime, stringendo mio padre più forte. Lui ricambia, stampandomi un bacio fra i capelli.

«Fin quando vivrai tu, avrò sempre un pezzo di Stella qui con me.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top