11. Tra bambini chiusi in bagno e regali inaspettati
━ ✿ ━
«Giorgino, devi tirare la porta, non spingerla!»
Sento l'ennesima spinta destabilizzarmi, mentre sono appoggiata alla porta del bagno in cui Giorgino ha avuto la brillante idea di chiudersi a chiave. Maria, sua madre, rientra nell'atrio delle toilette delle donne (altra parola francese utile nella vita quotidiana), guardandomi preoccupata.
«Ancora niente?» mi chiede, gesticolando ansiosamente. Probabilmente starà già pensando di non poter mai più tirare suo figlio fuori da lì, immaginando la sua laurea in diretta streaming da un gabinetto.
«Devi insegnare a tuo figlio la differenza tra spingere e tirare, Mary» le consiglio, portando una mano sulla maniglia per provare ad aprirla con la forza. Inutile dire che non ci riusco.
«Hai chiamato l'inserviente?» chiedo a Maria, capendo che è inutile continuare a provare. Giorgino non ha la più pallida idea di come si tiri una porta o, più in generale, di come si giri una chiave. Maria annuisce, portandosi le unghie alla bocca per addentarle dal nervoso.
«Sì, sì, è andata a cercarla quel Marco.»
Il pensiero di Marco mi giunge in testa, testa che poi scuoto come se così facendo il ragazzo potesse volare via da essa. Poco fa ci stavamo per baciare, questo mi è abbastanza chiaro, ma la bionda ossigenata ci ha interrotti perché Giorgino, invece di chiedere di sua madre, ha avuto la brillante idea di fare il mio nome. Mossa intelligente, forse, visto che cercare una Elissa è più semplice di cercare una Maria per Roma. Sua madre era uscita per fare una telefonata e quando la bionda è entrata nel bagno ha soltanto sentito i colpi provenire dalla porta chiusa. Per quanto ne sapeva Giorgino sua madre era scomparsa nel nulla.
«Allora Giorgino, non spingere la porta verso di me, okay? Tirala verso di te!»
Sento ancora una spinta, anziché un tiro, cosa che mi fa guardare Maria esasperata mentre lei continua a mangiarsi le unghie ansiosa, guardando il pavimento per non incrociare i miei occhi. Impreco a bassa voce, per non farmi sentire dal bambino di nove anni evitando così di spaventarlo ulteriormente. Non che mi sembri molto spaventato, in realtà. Probabilmente questa è la cosa più divertente che gli sia capitata nell'ultimo periodo.
«Devo fare la pipì» esclama il bambino in questione, facendomi sussultare.
«È già mezz'ora che sei qui dentro?» mentre chiedo questo, Marco entra nel bagno assieme all'inserviente: una donna di forse quarant'anni alta meno di un metro e cinquanta, con i capelli biondo cenere a caschetto tenuti sciolti e uno sguardo svogliato sul volto mentre mastica quella che identifico come una Big Babol. Faccio una smorfia, guardando la donna che dovunque vorrebbe essere, tranne che in quel bagno con un bambino intrappolato. Il rumore della sua pipì ci fa da sottofondo, mentre spiego alla signora menefreghista la situazione di Giorgino. Marco cerca di coprirsi la bocca per non far vedere che sta ridendo, e nonostante vorrei prenderlo a calci, non posso di certo biasimarlo.
L'inserviente non dice nulla, cerca fra le mille chiavi appese alla sua cintura quella del bagno e la infila nella serratura, per poi spalancare la porta rischiando di colpire Giorgino e girandosi per uscire da lì senza dire una parola.
«E io che pensavo fossi tu la più scorbutica del Centro Commerciale» esclama Marco rivolto a me, mentre osserva sconvolto la signora sparire dietro la porta d'ingresso dei bagni.
«Lo pensavo anche io» affermo di rimando, girandomi per vedere Maria prendere finalmente in braccio suo figlio.
«Grazie, Elissa!» dice Giorgino allungandosi verso di me per abbracciarmi. Ricambio volentieri il gesto, nonostante sappia bene che non ho fatto niente. Voglio molto bene a Giorgino, sento di essere un po' sua zia anche io visto che, quando l'ho conosciuto, aveva appena tre anni.
Dopo che anche Maria mi abbia ringraziata usciamo tutti dal bagno delle donne. Madre e figlio prendono la via opposta a quella che prendiamo io e Marco, che torniamo al negozio.
«La teoria di Davide era una cazzata, comunque. Non è venuto nessuno, potevamo anche chiudere» dice il ragazzo spezzando il silenzio, infilando le chiavi nella serratura, per poi spalancare di nuovo le porte del negozio. Riprendo il mio posto dietro la cassa, sbuffando e riaccendendo il computer.
«La bionda ossigenata è venuta, però. Se avessimo chiuso non avresti potuto sbavarle dietro» affermo, senza staccare gli occhi dallo schermo che si sta accendendo. Devo tornare a vedere video tutorial su come fare un kickflip, perché la gara è vicina e sono ancora una frana. Marco ridacchia, venendo verso di me per poggiarmi un braccio sulle spalle, gesto che mi fa arrossire impercettibilmente.
«Sei per caso gelosa, Elissa?» mi domanda ad un centimetro dal mio orecchio, inducendomi a dimenarmi per togliermi dalle spalle il suo stupido braccio e spingerlo via arrabbiata.
«Figurati se sono gelosa di quella Barbie Botulino!» rispondo a tono, rendendomi conto di aver detto una frase che risulta essere carica di gelosia. Anche Marco se ne accorge, per questo non smette di ridacchiare beccandosi una mia occhiataccia. Era di gran lunga meglio quando mi ignorava. Promemoria per la futura Elissa: non dare retta a Tony Hawk.
Faccio per rimettermi all'opera, scrivendo nella barra di ricerca di YouTube kickflip tutorial, ma oggi sembra che l'universo sia contro di me: un'altra bionda, anche se non la Barbie Botulino di prima, entra nel negozio rimanendo però sulla soglia dell'ingresso, tossicchiando per attirare la mia attenzione. Sbuffo quando la riconosco, per poi alzare gli occhi al cielo.
«Allora è vero che gli scarafaggi sono duri a morire» affermo sprezzante, meritandomi uno sguardo assassino da parte di Marco. Mi sembra di sentire la voce di Davide nelle orecchie che mi dice i clienti vanno trattati tutti bene, anche quelli che vorresti uccidere! Mi sono giocata il bonus giornaliero con la bionda ossigenata, quindi ho raggiunto il limite di clienti da insultare. Sono consapevole, però, che quella che mi trovo davanti non è una vera e propria cliente, perché di certo non vuole comprare nulla.
«L'altro giorno non mi hai fatta parlare...» sussurra appena, facendomi alzare lo sguardo verso di lei. Per la prima volta da quando è diventata ricca, la sento a disagio. Sembra proprio che sia ritornata quella di un tempo, ma è difficile dire se stia recitando e basta. Dopotutto, le viene bene fingere.
Porto le braccia al petto, alzando il mento per esortarla a parlare senza dire niente. Jessica prende un grande respiro, portando le braccia dietro la schiena come una bambina.
«Ho finito i soldi della vincita.»
Strabuzzo gli occhi sconvolta. Come diavolo è possibile?
«Se magari avessi evitato di comportarti come una Kardashian, forse adesso non dovresti chiedere aiuto proprio a me» le faccio notare, riportando le braccia lungo i fianchi e voltando di nuovo la testa verso lo schermo del computer. Spero che se ne vada, ma Jessica si avvicina alla cassa, mettendosi dritta di fronte a me, dall'altro lato del ripiano.
«Lo so, io e la mia famiglia abbiamo sbagliato. Io in primis ho commesso un errore a tagliarti fuori dalla mia vita, ma ora ho davvero bisogno di te.»
La fisso dritta negli occhi azzurri, chiedendomi cosa mi direbbe di fare Tony Hawk in questo momento. Perdonare e porgere l'altra guancia? Forse quello era Gesù. Nel suo sguardo addolorato noto del sincero pentimento, come se rivedessi quella bambina con cui giocavo assieme sognando di diventare due skater famose in tutto il mondo.
«Compreremo due case enormi a Los Angeles!» mi dice Jessica, stendendo le gambe e portando le braccia al cielo. La guardo ridacchiando, osservando il Sole che tramonta alle sue spalle. Smuovo lo skate avanti e indietro con la mano, prendendo un gran respiro. Le mie gambe sono piene di tagli, ma il mio cuore è stracolmo di gioia. Sto imparando a chiudere bene un ollie e lo sto facendo con la mia migliore amica.
«Vicine! E ne comprerò un'altra anche per la mia mamma e il mio papà, così la domenica mangeremo sempre la paella» continuo io, sorridendo.
Scuoto la testa, pensando che quelle erano solo fantasie di due bambine di nove anni. Ora è passato troppo tempo per credere che fossero delle promesse realizzabili.
«Ti aiuterei, ma quei soldi servono anche a me. Riusciamo a malapena a fare la spesa, Jessica, lo sai.»
La ragazza sembra davvero dispiaciuta, mentre si morde il labbro inferiore. Abbasso di nuovo lo sguardo sul computer, pensando che la conversazione sia finita, ma Jessica parla di nuovo.
«Io so fare il kickflip» mi dice, attirando nuovamente la mia attenzione, «e tu di sicuro sai fare il casper. Aiutami a perfezionarlo ed io ti aiuto te.»
«Arrivi tardi, ho già lui» rispondo disinteressata, indicando con il pollice Marco alla mia destra, che sorride alzando una mano in segno di saluto. Jessica sospira, avvicinandosi ancora a me e sporgendosi in avanti.
«Ti prego, Elissa. Alleniamoci insieme» mi chiede, quasi con le lacrime agli occhi. La capisco, ma allo stesso tempo mi sento nella posizione di giudicarla. Non tutti hanno la fortuna di vincere i milioni alla Lotteria e se li avesse spesi in maniera coscienziosa senza sperperarli ora non avrebbe bisogno di vincere questa gara a tutti i costi. Vorrei mandarla via, ma una voce dall'accento ispanico si smuove dentro di me dicendomi di essere sempre gentile.
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo ancora una volta.
«Vieni stasera allo skatepark davanti le popolari. Non farmene pentire.»
━ ✿ ━
«Ci ha provato tutto il tempo con te!»
«Elissa, smettila con queste manie di persecuzione.»
Sbuffo reggendo la mia tavola sotto il braccio, mentre osservo Marco estrarre le chiavi di casa dalla tasca per aprire il portone principale del palazzo.
«Voi maschi siete ciechi! Marco, aiutami che perdo l'equilibrio! Marco, mi fai vedere come devo mettere il piede qui? Ridicola.»
Il ragazzo davanti a me ridacchia, aprendo il portone per poi farmi segno di entrare per prima. Che galantuomo. Faccio come mi indica e poi entra anche lui, richiudendosi il portone alle spalle.
«Io sarò anche cieco, ma tu sei veramente gelosa» dice, facendomi esclamare un "pff, come no". Segue qualche attimo di silenzio mentre camminiamo e, quando arriviamo davanti la porta di casa mia, Marco apre la bocca come se gli fosse venuta un'illuminazione. Lo guardo confusa, esortandolo a parlare.
«Ho una cosa da darti. Se vieni un attimo su te la do'.»
Inarco le sopracciglia, per poi scoppiare a ridere.
«Lo sai che detta così non suona bene?» gli faccio notare, facendo ridere anche lui.
«Per la prima volta non era un doppiosenso voluto» risponde, prima di mettermi un braccio sulle spalle, gesto a cui ormai sembra aver fatto l'abitudine, per incamminarsi assieme a me verso casa sua. Si trova al piano di sopra e il tragitto lo passiamo in completo silenzio, troppo imbarazzati per poter dire qualcosa. Sembriamo aver fatto pace ed essere tornati alla normalità, ma l'ombra del ricordo delle nostre labbra quasi vicine mi mette non poco a disagio.
Arriviamo finalmente davanti la porta di casa sua, che si affretta ad aprire.
«Non è che mi vuoi uccidere?» gli domando, realmente preoccupata. Dopotutto sono passate solo due settimane da quando l'ho conosciuto al negozio, e solo una settimana da quando ho iniziato a parlargli.
«Sì, ho un set di coltelli nuovo che non vedo l'ora di provare.»
Strabuzzo gli occhi senza fiatare e quando Marco se ne accorge si volta verso di me ridendo.
«Che idiota» si lascia sfuggire.
«Ci sarai!» rispondo indignata. Marco mi sorride, curva sempre presente sul suo volto, dopodiché spalanca la porta rivelandomi l'ingresso di casa sua.
«Prego» mi invita ad entrare per prima, con un gesto della mano. Sì, proprio un galantuomo. Muovo passi indecisi, perché in luoghi che non conosco mi sento sempre a disagio, notando poi che è esattamente come casa mia, solo arredata in maniera differente: è tutto a tema street. Tavole utilizzate come mensole, chitarre appese al muro e magliette da basket autografate dentro delle teche. Mi rendo conto solo guardando le mille cose in questa casa che non so davvero niente di lui, come se la lezione della sera precedente non mi fosse bastata a comprenderlo.
Marco chiude la porta alle mie spalle, lanciando le chiavi su un tavolino accanto all'entrata. Non appena lo fa, un cane sbuca dalla camera da letto e corre immediatamente da Marco iniziando a fargli mille feste.
«Hey, piano! Ti sono mancato, eh?» inizia a dire il ragazzo al cane, abbassandosi per poterlo accarezzare. È probabilmente un meticcio, anche se somiglia ad un jack russell, ma ha degli occhi così teneri. Mi abbasso anche io per poterlo accarezzare, sperando che non mi morda. Sono pur sempre una sconosciuta, per lui.
«Come si chiama?» chiedo a Marco, mentre il cane ora ha iniziato a fare le feste anche a me. Non deve vedere molta gente, immagino, visto che Marco è quasi sempre al lavoro. Gli avrà fatto piacere conoscere una faccia nuova.
«Kento. Significa "rimedio per la tristezza" in giapponese. Quando l'ho trovato per strada una sera, io ero molto triste e probabilmente anche lui, quindi portarlo a casa è stato il nostro rimedio reciproco.»
Le parole di Marco mi fanno sorridere e potrei rimanere a guardarlo negli occhi per altri venti minuti, se solo lui non si alzasse da terra.
«Torno subito, aspetta» dice, prima di fiondarsi in quella che deve essere camera sua. Mi alzo da terra visto che Kento l'ha seguito lasciandomi sola. Infilo le mani nelle tasche degli shorts neri, stringendomi nelle spalle e continuando ad osservare il muro. Ha un poster di Tony Hawk esattamente come quello con cui ho parlato stanotte, ricordo che mi fa sorridere istantaneamente.
«Okay, chiudi gli occhi!» mi urla il ragazzo dalla stanza in cui si è infilato di corsa, facendomi sorridere.
«Così non ti vedo mentre mi ammazzi?» affermo, chiudendo comunque gli occhi. Mi fido troppo di lui, forse.
Sento i passi di Marco che si avvicina a me.
«Puoi aprirli» mi dice finalmente. Eseguo i suoi ordini, ritrovandomelo a qualche centimetro dalla faccia. Mi mostra un pacco accuratamente incartato in un involucro arancione, poi si siede sul divano che abbiamo davanti e mi costringe ad imitare il suo gesto. Mi porge il pacco regalo, cosa che però mi fa trasalire.
«Marco, se è davvero un set di coltelli che userai per farmi a fette ti giuro che...»
«Scartalo, cretina.»
Sbuffo al suo ennesimo insulto, seppur rifilatomi con un sorriso, e afferro la scatola dalle sue mani. Scarto il pacco, che si rivela essere proprio una scatola da scarpe della Vans. Il ricordo dello scontrino trovato la notte precedente mi fa schiudere le labbra, così guardo Marco che, sorridendo, aspetta che io apra il suo regalo. Mi indica con un veloce cenno della testa di aprire la scatola e così faccio, ritrovandomi davanti proprio loro: le Old Skool.
«No» affermo, richiudendo la scatola con uno scatto e porgendola al ragazzo che mi guarda confuso, «non le posso accettare. Ti ringrazio davvero, ma non posso» dico, alzandomi dal divano e facendo per andarmene da casa sua. Marco si alza a ruota dopo di me, poggiando sul divano la scatola e afferrandomi il braccio per farmi voltare verso di lui.
«Perché fai così? È un regalo.»
Rido nervosamente, nonostante la sua voce sia triste, passandomi una mano fra i capelli scompigliati.
«Nessuno mi ha mai regalato niente. Tu non mi conosci nemmeno!» mi giustifico, per poi guardarmi intorno allargando le braccia. «Non so niente di te. Non sapevo che suonassi, che giocassi a basket o che avessi un cane prima di entrare qui dentro. Perché spendi dei soldi per una persona che non sa niente di te?»
«Perché io ci tengo a te. Perché sei speciale, Elissa, e l'ho capito subito.»
Si ferma per sorridere e posarmi delicatamente una mano sulla guancia, facendomi arrossire.
«Sei strepitosa, perché vuoi sempre fare tutto da sola rimboccandoti le maniche. Hai comprato un paio di slip on solo per non doverti far legare le scarpe da qualcun altro.»
Sorrido, al ricordo di come ci siamo conosciuti.
«Mi fa piacere che tu pensi questo di me, ma non posso accettarle, Marco...» la mia voce si riduce ad un sussurro, quando il ragazzo poggia la sua fronte contro la mia, piegando di poco la testa data la differenza di altezza.
«Tu mi piaci, Elissa De Santis-García» afferma Marco, cogliendomi alla sprovvista. Alzo di poco lo sguardo, fino ad incontrare il suo. Riporto velocemente lo sguardo sulle sue labbra, così vicine alle mie, e penso che sia il caso di riprendere da dove abbiamo lasciato oggi pomeriggio a causa della bionda ossigenata. Ci muoviamo l'uno verso l'altra nello stesso momento, riuscendo finalmente a far unire le nostre labbra in un bacio che probabilmente stavamo aspettando entrambi dalla prima volta che ci siamo incrociati.
Sto forse facendo uno sbaglio? Che farebbe Tony Hawk adesso? Che direbbe Rodney Mullen se fosse qui? Ogni pensiero mi sembra superfluo ora, mentre le mie mani vagano fra i suoi capelli raccolti ordinatamente e le sue, di mani, cingono i miei fianchi. Ci stacchiamo un secondo, per riprendere fiato, guardandoci negli occhi senza allontanarci neanche per un attimo l'uno dall'altra, mentre i nostri respiri si uniscono in uno solo.
«Mi piaci, Marco Testa.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top