Requiem (26 Ottobre 2016)
La storia di Sarah comincia ventitré anni fa, come la vita di tutte le persone normali: una madre e un padre che si amano danno alla luce una bambina bellissima, la loro vita non potrebbe essere più bella di così. Due giovani amanti creano una nuova famiglia, creano una vita, una nuova fonte di gioia ed emozioni di ogni tipo.
Sarah era una bambina felice, allegra e dalla grande gentilezza. Somigliava in maniera incredibile a sua madre: folti e lunghi capelli biondi le incorniciavano un viso dolcissimo; delle leggere lentiggini le circondavano il naso e gli occhi di un magico verde acceso, che avrebbero potuto attrarre chiunque.
Tutti le volevano bene, era piena di amici che avrebbero dato il mondo per lei.
Una sola cosa contraddistingueva Sarah dalle altre persone, in particolare dai suoi coetanei: il suo smisurato amore per la musica classica; avrebbe potuto ascoltare pietre miliari come Mozart, Beethoven e Bach per ore ed ore senza mai stancarsi.
Aveva, nel corso della sua crescita, imparato a memoria ogni nota di ogni spartito che le piaceva, senza che avesse mai studiato musica.
Fu proprio per questo motivo che i suoi amorevoli genitori decisero di regalarle qualcosa di speciale, che avrebbe aiutato lei a crescere e diventare adulta insieme al suo grande amore per la musica, portandolo ad un livello ancora più alto e significativo. Qualcosa che fosse concreto e non semplicemente un orecchio molto dotato; doveva essere qualcosa che Sarah potesse prendere per creare lei stessa la musica che con tanto impegno e dedizione aveva imparato in ogni sua sfumatura, cosa poteva essere meglio di un violino?
Risparmiarono mesi di stipendio per dare a quel grande talento la giusta strada senza che esso finisse sprecato per una cosa stupida come i soldi.
L'avevano resa la bambina più felice del mondo, quello strumento era bello quanto prezioso, in legno rosso con le rifiniture in oro. Era segno per lei di un nuovo inizio, qualcosa che l'avrebbe accompagnata sempre e con cui avrebbe potuto migliorarsi sempre di più.
Certo era costato parecchio, e fu causa di svariati sacrifici da parte di tutti quanti in casa; ma una dote così speciale non poteva certo usufruire di uno strumento scadente e di poco valore.
E così Sarah cominciò a suonare; suonava sempre, dalla mattina alla sera. Suonava talmente tanto a lungo da trascurare il mondo esterno che nel frattempo proseguiva senza che lei ne facesse parte, e per questo nel corso del tempo di era dimenticato della sua esistenza.
Poco le importava.
Quello che inizialmente sembrava essere solo un buon orecchio collegato a una buona memoria si rivelò presto essere una vera e propria natura, una dote eccezionale ed eccezionalmente rara. La oramai adolescente Sarah viveva in simbiosi col suo violino e non lo lasciava mai, erano oramai diventati una cosa sola, sembrava quasi che lo strumento fosse diventato parte della sua spalla.
Date, luoghi e ore non erano più niente più per lei, esisteva solo nella sua melodia e per la sua melodia; nasceva con essa, maturava al crescendo, invecchiava col minuendo. E poi moriva al suo epilogo.
Quel violino però, divenne successivamente anche la sua rovina. Le aveva impedito di vivere il mondo esterno, di godersi sua giovinezza e la bellezza di ciò che la circondava, la gioia di vedere il mondo. L'aveva resa sola, se non fosse stato per in suoi genitori, che la contemplavano con occhi di ammirazione ogni volta che cominciava a suonare.
Finché anche loro non la lasciarono sola.
In un incidente.
Sarah si ritrovò improvvisamente senza nessuno, completamente. Senza un soldo o qualcuno che potesse stare con lei e aiutarla in un momento così difficile.
Fu affidata a dei nuovi genitori, che nonostante la sua età avevano cercato di farla sentire a casa, compresa, ma imposero delle regole:
Avrebbe dovuto ricominciare ad andare a scuola, lasciata qualche anno prima per potersi esercitare senza interruzioni.
Le limitarono poi le ore di esercizio, per non disturbare chi avevano intorno.
Inconcepibile. Non potevano impedirle di suonare, era tutta la sua vita, che avrebbe fatto il resto del tempo?
《Studia》dissero.
Non le dispiaceva più di tanto tornare a scuola, le piaceva imparate cose nuove, confrontare le proprie conoscenze e competenze con altre persone della sua età. Quello era senz'altro il luogo adatto.
Ma non andò affatto come lei sperava.
Gli adolescenti sono cattivi, infidi, isolano il diverso, ma lei che aveva di diverso?
La musica classica, inaccettabile per un giovane studente, roba da vecchi con la dentiera; roba in cui nemmeno si canta.
Cercò di controbattere spiegando che la musica non è tale solo se qualcuno canta, ma non è facile, anzi è impossibile far cambiare idea ad un gruppo che pensa tutto quanto allo stesso modo.
Sarah non era affatto brava a scuola, sperava di imparare cose interessanti e utili per il suo futuro; ma si ritrovò incastrata in materie inutili e poco interessanti, che non la attiravano affatto.
Lei era un'artista, non una scienziata, come poteva imparare formule complicatissime in poco tempo?
Rimase sola, lo sapeva, nessuno si curava più della sua bravura o del suo talento; a nessuno più importava del suo umore, della mancanza di qualsiasi tipo di stimoli.
Tutto per colpa di quel violino, se non fosse stato per lui tutto questo non sarebbe successo; e anche se fosse accaduto non sarebbe certo rimasta sola, avrebbe avuto qualcuno da cui andare una volta rimasta orfana.
Odiava quel violino, era la causa di tutti i suoi mali; dentro di esso erano intrappolate le anime dei suoi poveri genitori, che fin dal primo momento avevano creduto in lei, avevano fatto sacrifici enormi per darle la possibilità di coltivare la sua passione e di farla crescere, insieme a lei.
E invece proprio quella passione l'aveva condannata ad una vita di solitudine e prese in giro senza senso, solo perché non era uguale a tutti gli altri.
Si odiava, voleva farsi del male, punirsi, danneggiarsi; per ricordare a se stessa l'errore che aveva commesso e le conseguenze che questo aveva avuto su di lei.
Prese dell'Aspirina per rendere il sangue più fluido, aprì l'acqua della vasca da bagno e la rese calda il più possibile.
Spalancò lo sportello dei medicinali e ne tirò fuori una lametta da barbiere; era un gesto estremo ma avrebbe così raggiunto la sua vera famiglia, quella che da sempre le aveva dato la possibilità di essere lei, di essere Sarah.
Sarebbero stati felici insieme in un posto migliore.
Entrò in vasca e lasciò che il caldo dell'acqua l'avesse pervasa per poggiare la lametta parallelamente alle vene, non perpendicolarmente, è un errore da novellini.
Non appena il gelido acciaio della lama entrò a contatto con il braccio di Sarah, accadde la magia.
Emise una nota, una sola, ma una nota, pura nel suo essere e risonante nell'ambiente.
Come se fosse il braccio stesso il violino, come se le sue vene fossero corde e la lametta l'archetto.
Da quel momento qualcosa cambiò in lei, decise che la sua vita non sarebbe finita quel giorno. Ma decretò che avrebbe abbandonato il violino e la musica, per potersi concentrare sulla vita che le scorreva intorno. Cominciò finalmente a farne parte, si adeguò al mondo e fu accettata dalle persone che la circondavano, aveva cominciato a vivere,
ma a metà.
Si fece nuovamente degli amici, tornò ad essere circondata da persone che le volevano bene, ma che non avevano mai conosciuto la parte più grande ed importante di lei, il suo amore per la musica ed esserne parte integrante, da musicista.
Sarah cominciò ad indossare una maschera dopo l'altra, per equipararsi alla società in cui viveva; era la stessa di sempre, ma qualcosa in lei cambiava.
Era sempre più infelice, qualcosa le mancava, come se avesse bisogno di un qualche tipo di stimolo che la facesse stare in pace col mondo che non apprezzava ma che fingeva di apprezzare per non esserne esclusa per poi rimanere nuovamente sola.
Una cosa aveva scoperto piacerle:
Andare al mare, la morbidezza della sabbia calda serale e la voce del mare che sembrava parlarle, o farle da accompagnamento musicale.
Fantasticava spesso su quanto sarebbe stato bello suonare lì, andare al crepuscolo, godersi sabbia e sfruttare il rumore del mare per essere accompagnata insieme al suo strumento.
E così fece.
Scelse una serata estiva in cui il cielo era limpido, il mare era calmo e la sabbia la sosteneva come delle forti mani pronte a sorreggerla nel caso fosse caduta.
Vi si recò solo vestita di un abitino bianco, soave e leggiadro come lei, scalza.
Aveva solo un archetto con sé, il suo archetto, che tanto aveva riempito le sue giornate con musica meravigliosa; concepita da persone incredibili che prima di lei avevano avuto quella dote spettacolare, che a lei era stata concessa; tramandata come un pensiero o un ideale e immortale nel corso dei secoli.
Il suo compito in quella sua esistenza era di non far morire tali melodie, ma comunicarle al mare che le avrebbe tenute e trasportate per sempre.
Decise che quella notte avrebbe creato lei stessa la sinfonia, non aveva bisogno del suo amato e odiato violino.
Per mesi aveva progettato quella notte, e attentamente aveva selezionato l'opera che l'avrebbe vi avrebbe risuonato.
La scelta alla fine fu facile, non poteva esistere soluzione migliore di quella. Requiem: Lacrimosa, di Wolfgang Amadeus Mozart, scritta sotto dettatura in punto di morte da quel grande e stupefacente "Bambino Prodigio".
Studiò per molto tempo l'arrangiamento per lei, e il suo violino, per rendere completa quell'opera con un solo e unico strumento.
Cominciò a suonare, facendo riaccendere quella magia, le sue vene come corde risuonavano senza che esse avessero bisogno di essere premute per differenziare le varie note, le bastava pensarle; e loro come d'incanto fuoriuscivano dal suo corpo musicante.
Era lei stessa musica.
Continuava a trascinare e muovere quelle mille corde sul braccio; mentre sotto di esso la pelle, segnata da esercizio continuo e prolungato, cedeva e liberava la musica che scorreva all'interno di quella ragazza così speciale e magica.
Conosceva così bene quel pezzo da riuscire a danzare e chiudere gli occhi mentre suonava.
Il suo abito bianco ballava assieme a lei, la sabbia sotto i suoi passi leggiadri e delicati la sosteneva in quella danza così elegante e maestosa.
Soffriva, gocciolava, ma sorrideva; non avrebbe mollato fino alla fine.
Il secondo crescendo fu la parte più dura, dovette stringere i denti ed evitare lo svenimento con tutte le sue forze, le corde erano ormai quasi penetrate nei muscoli; non poteva mollare proprio in quel momento, aveva una missione da compiere e l'avrebbe portata a termine.
E quando ormai l'archetto raggiunse quasi l'osso, la morte comparve sulla spuma marittima in tutta la sua inquietante e bellissima portanza; la guardava, ma con occhi tristi. La osservava suonare e rimase colpita da questa ragazza che stava lasciando la sua vita per la cosa che più amava, non era certo un vanto che tutti si portavano dietro quando Morte gli giungeva annunciando loro la fine. Gli dispiaceva in quel momento fare il suo lavoro, ma aspettò, fu paziente.
Aspetto che quell'opera finisse.
Quando il braccio emise l'ultima nota era quasi reciso, un lago di sangue ai suoi piedi dava chiaro segno della fine.
Era ora che entrambi terminassero. Insieme.
L'ultima sonata di Mozart fu anche l'ultima di Sarah; due persone che forse persone non erano affatto.
Erano musica; dotata di un corpo e un anima, ma musica, non è forse vero però che anche la musica ha un'anima?
Essa è però di breve vita, come Mozart, ma anche come Sarah.
Musica.
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