Corrosione (19 Gennaio)
Entrò in doccia che l'acqua calda già scendeva; forse era anche troppo calda, pensò. Regolò la temperatura affinché essa fosse adeguata alle sue preferenze.
Si lavò accuratamente il corpo e i capelli, poi si sedette appoggiando le spalle al freddo marmo che ricopriva le pareti della cabina doccia.
Fu esattamente in quel momento che la testa cominciò a girargli vorticosamente; poteva sentirla staccarsi e allontanarsi dal corpo, come se non vi appartenesse più.
Poi tutto fu nero.
Si svegliò a causa della forte luce presente nell'ambiente, che si fece ancora più abbagliante in seguito ad un suo primo tentativo di aprire leggermente le palpebre per potersi guardare intorno.
Gradualmente si abituò e poté finalmente distinguere le forme.
Alla sua sinistra vi era una donna dai folti e ricci capelli castani; sua madre. Gli teneva la mano fra le sue, disse qualcosa che non distinse; perché non era in grado di udirlo.
Si guardò un po' intorno, per capire dove fosse finito, e anche per capire la motivazione di un'evidente espressione di preoccupazione sul volto di sua mamma.
Le pareti erano bianche, anonime ma pulite; anche i tre letti disposti intorno a lui lo erano. Ordinati, simmetrici.
Al si sopra del suo orecchio sinistro, agganciato ad una specie di palo sottile e brillante vi era un sacchettino trasparente e dal contenuto incolore. Da cui usciva un tubicino in plastica che finiva per convergere nel suo braccio.
Tutto d'un colpo i sensi ripresero a funzionare: l'olfatto odorò un miscuglio di disinfettanti asettici; ne era impregnato lui, e le lenzuola in cui era avvolto; ma anche l'ambiente ne era pieno.
Poi, una voce; sottile ma piena. Ricca di agitazione, un susseguirsi di parole sparate a raffica.
-Tyler, tesoro, come stai? Come ti senti?
Troppe domande poste tutte insieme, dovette ragionarci singolarmente su ognuna di esse.
Come stai?
Come stava? Dolore, non ne stava provando; anzi, a dirla tutta non riusciva a sentire assolutamente niente che non fosse un fortissimo cerchio alla testa. Che forse distoglieva la sua attenzione da tutto il resto.
Come ti senti?
Già, come si sentiva? Era, era tranquillo; non aveva ancora capito la ragione per il quale si trovasse in quel posto, e questo forse era un bene. Quindi era normale, per così dire.
-Bene, disse. Poi chiese perché si fosse svegliato in quel letto.
-Sei svenuto in doccia Tyler, stanno cercando di capire perché è successo. Nel pomeriggio ti hanno fissato una TAC per fare chiarezza sulla faccenda.
-Ora torna a dormire, disse.
E così fece, Tyler dormì.
Fu svegliato qualche ora dopo da due infermiere disposte ai lati del letto che erano chinate su di lui a scuoterlo dolcemente. Quella al lato destro era gradevole; sulla trentina, di carnagione chiara e con dei canditi capelli biondi legati dietro la testa con uno chignon. Gli occhi di un blu quasi ipnotico.
L'altra invece non si poteva definire altrettanto interessante dal punto di vista estetico; un gigantesco neo peloso dominava il paesaggio del viso dalla parte più sporgente del mento. Come un grande faro davanti ad una scogliera che si affaccia al mare; sotto gli occhi le rughe di una vecchiaia sofferta ma mai evitata.
Venne sollevato dolcemente e messo seduto, da quella posizione poté notare una sedia a rotelle posta all'ingresso della stanza.
-Devo alzarmi? Chiese.
-Se te la senti e riesci; devi fare qualche passo e metterti sulla carrozzina, a spostarti ci penso io.
Si alzò lentamente, dando il tempo al sistema nervoso di comunicare i movimenti da eseguire ai rispettivi muscoli. Senza fare movimenti bruschi fece qualche passo e si adagiò sulla sedia.
L'infermiera bionda seguiva con l'asta e la flebo, mentre quella "meno gradevole" spingeva la carrozzina attraverso il corridoio pieno di gente; dalle varie stanze emergevano lamenti di sofferenza. Le barelle entravano e uscivano trasportando persone che da lì a qualche ora sarebbero passate a miglior vita, e in alcuni casi, non aspettavano altro.
Fu fatto sdraiare e il macchinario cominciò a ronzare intorno a lui, ma notò che non era così fastidioso come gli era giunta voce; anzi, lo cullava. Smuoveva i suoi pensieri portandolo quasi ad addormentarsi, ma gli fu impedito, quindi si sforzò di rimanere sveglio.
Qualche ora dopo, mentre era impegnato a vedere alla televisione un programma giapponese, dove la gente faceva le cose più assurde per vincere un premio sconosciuto; una delle infermiere che aveva svolto la TAC fece capolino in stanza con una faccia da funerale, e una cartellina in mano.
Non disse nulla, prese un lembo della tenda verde acqua e circondò tutti e tre, isolandoli dal resto della stanza, seppur non vi fosse nessun altro.
-Non ho delle buone notizie, disse.
La presa della madre alla mano sinistra si fece più intensa.
La ragazza abbassò lo sguardo e tirò un sospiro.
-Può evitare di farci aspettare? Disse sua mamma.
-Non è una cosa facile, glielo assicuro.
Prese un respiro profondo, poi parlò tutto d'un fiato.
-Hai una metastasi estesa a polmoni, fegato, cervello e pancreas.
Fece una pausa.
-È terminale.
Tyler non disse niente, mantenne lo sguardo basso, fisso sulle sue mani poggiate sul grembo.
-Quanto mi resta? Chiese.
La ragazza si mise una mano in fronte e scosse la testa lentamente e impercettibilmente.
-Non più di due, massimo tre settimane.
Fu in quel momento che sua madre crollò in un fragoroso pianto giustificato, accasciandosi al figlio; tentando di abbracciarlo come poteva; ma Tyler non mosse un muscolo, impedendole di avvolgerlo con le braccia. Lei si girò a guardare quella ragazza, che le aveva appena detto la cosa peggiore che si può comunicare ad una madre.
-C'è un qualche modo per tentare almeno di salvarlo? Chiese singhiozzante.
-Mi dispiace signora ma è molto improbabile, si può fare un tentativo; ma la metastasi è troppo estesa e progredita per sperare in un qualche risultato significativo. Inoltre sarebbe doloroso per lui e oneroso per lei; personalmente non penso le convenga.
-Non mi interessa quanto costa, voglio provar...
Tyler alzò la mano per interromperla.
-No mamma, non voglio neanche provarci. Non hai sentito cos'ha appena detto? È inutile e anche costoso provarci, non siamo certo ricchi noi; non voglio lasciare te e papà in difficolta economica e con il rimorso di non essere riusciti a trarre nulla dai vostri sacrifici; non sono così egoista.
-Tyler per favore...
-No mamma, sono irremovibile. Me ne andrò in pace, è una mia decisione.
La madre lo guardò con gli occhi lucidi, tirando su col naso, ma non disse nulla.
Tornarono a casa il giorno stesso, e vissero i giorni successivi cercando di pensare che tutto andasse bene; come se non stesse accadendo l'inevitabile.
Tyler lo comunicò a poche, selezionate, persone. Solo dopo averle pregate di non uscirsene con frasi tipo "mi dispiace tanto" o cose del genere.
E così fu, la sua giovane ragazza, oltre ai suoi amici, rimasero tutti in silenzio mentre guardavano in basso; proprio come aveva fatto lui.
Solo Cassie, l'adorabile fanciulla bionda che riempiva le sue giornate di amore, si alzò lentamente dalla poltrona su cui l'aveva fatta accomodare, gli diede un delicato bacio sulle labbra e lo strinse forte a se. Poggiando l'orecchio allo sterno del ragazzo; per riuscire ad udirne il cuore pulsante. Per l'ultima volta.
-Io resto qui con te, fino alla fine. Disse.
Lui la ringraziò con un lievissimo sorriso, e ricambiò la stretta tenendo saldamente la sua testa premuta contro il petto.
Lei sentì tutto d'un tratto qualcosa bagnarle il centro della testa, seguito da un improvviso sussulto della gabbia toracica di Tyler, alzò la testa e lo guardò piangere silenziosamente mentre la teneva a se. Era crollato anche lui, finalmente.
Tornò a poggiare l'orecchio e lo seguì a ruota; piansero insieme per qualche minuto. Si baciarono a lungo e fecero l'amore, per la prima e l'ultima volta.
Uscì di casa i giorni seguenti; non considerando minimamente gli avvenimenti nel suo corpo.
Un giorno che stava prendendo un gelato con un suo vecchio compagno di scuola, perse i sensi e cadde rovinosamente a terra.
-L'ho già vista questa scena, disse aprendo con cautela gli occhi, e rivedendo la stanza che lo aveva ospitato giusto due settimane prima.
Sua madre entrò di corsa accompagnata da Cassie, entrambe coi visi sconvolti e il fiatone.
-Perché correte? Non scappo mica, rise.
-Come stai? Chiesero quasi all'unisono.
Fu quella domanda che lo fece tornare coi piedi per terra, a percepire un dolore lancinante perforargli il ventre e il torace, emise un gemito di dolore.
Rise, piano.
-Non sono ancora morto ma poco ci manca, credo. Disse contorcendosi.
-Credevo ti avessero già dato un antidolorifico, disse sua madre uscendo dalla stanza per poi tornare con un infermiere che cominciò a smanettarci col macchinario alla sinistra del ragazzo.
-Avete ragione, si era bloccato; ma ora dovrebbe andare.
La morsa di dolore abbandono tutto d'un colpo Tyler e l'infermiere tornò serio.
-Lo so è doloroso, sono le ultime fasi, gli ultimi battiti; se vuoi dire qualcosa ti conviene farlo adesso, potrebbe essere l'ultima cosa che dici. Scusa se sono così diretto ma penso tu capisca meglio di me ragazzo.
Pareva che entrambe non avessero idea di come reagire, che emozione scegliere dal catalogo. Poi Tyler alzò un dito intimando a Cassie di avvicinarsi e chiedendo agli altri un po' di solitudine; così l'infermiere li avvolse entrambi con il telo verde, poi lui e la madre uscirono dalla stanza.
Cassie si sedette accanto al letto e gli prese la mano.
-Dimmi, esordì.
-Cassie, credo che tu sappia meglio di me che il mio tempo qui sta per terminare. Desidero che tu vada avanti, non che mi dimentichi; ma che tu prosegua con la tua vita. Lascia uno spazio per me nel tuo cuore, ma come un bel ricordo.
Una lacrima le graffiò il viso mentre annuendo, sorrideva.
Si avvicinò e lo baciò lentamente sulle labbra morbide e calde di cui tanto si era innamorata; e che tante volte aveva morso, ferendole fino a farle sanguinare.
-Ti amo, sussurrò lei.
-Ti amo anch'io, rispose piano lui.
-Metti una buona parola su di me per quando ti raggiungerò in paradiso, rise lei.
Sorrise e la baciò mentre si alzava, allontanandosi.
-Ciao Tyler.
-Ciao Cassidy.
D'improvviso ebbe una crisi respiratoria, il macchinario che registrava il battito cardiaco aumentò sproporzionatamente la frequenza dei suoni che emetteva.
Sua madre si avventò su di lui che ormai esso era diventato unico, lineare. Tyler fece giusto in tempo a dire qualcosa, con un filo di voce:
-Ti voglio bene.
In un attimo il suo corpo smise di muoversi, così come tutti i presenti in stanza in quel momento; lasciandola in un silenzio tetro, riempito solo dal fischio della macchina dell'elettrocardiocramma.
Fu l'infermiere il primo a muoversi, guardò l'orologio appeso la parete.
-Ora del decesso... venti e trent'uno.
Si avvicinò al ragazzo e staccò tutti i macchinari dal corpo, chiamò un altro del reparto che lo aiutò a mettere il corpo esanime su una barella. Gli coprirono il volto con un lenzuolo e lo trasportarono fuori dalla stanza, accompagnati dal cigolio delle ruote che muovevano la barella; mentre Cassie e sua madre guardavano ancora il letto vuoto, come sperando di vederlo tornare.
Ma entrambe sapevano, che non sarebbe tornato mai.
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