Fate Is In Our Hands.
Gli anni passarono, aumentando sempre più in Keira la determinazione nel volere cambiare le cose.
Certo, non si puó dire che i Moira vivessero vite così infelici : il loro cherix poteva anche portarli a diventare persone di grande prestigio, come non.
Fatto sta, pensava Keira, che tutti meritano la possibilità di scegliere.
Era ormai prossima a compiere i quindici anni, un'etá che non rappresentava un numero qualunque per i Moira.
Ogni ragazzo doveva recarsi dal chèrixos per un controllo accurato, differente dai settimanali. In questo periodo infatti, i ragazzi iniziavano ad avere dei segni permanenti sulle mani. Questi non sarebbero stati sostituiti il giorno seguente da un altro segno, sarebbero rimasti impressi sulle loro mani per sempre. Avevano perció, una particolare importanza. Generalmente indicavano che tipo di persona saresti diventato, ma alcuni, potevano riferirsi anche a un particolare evento che magari ti avrebbe cambiato la vita....variavano da persona a persona. Quando il controllo sugli individui risultava particolarmente negativo, venivano scortatati in appositi centri di controllo. Si cercava di controllare i loro impulsi, o per lo meno, di tenerli lontano dalla gente a cui avrebbero potuto fare del male.
-"Keria, ricorda la tua visita!"-
La ragazza in realtà, era già sveglia da un po'. Deboli raggi di luce filtravano dalle persiane, arrivando a sfiorarle il viso. Continuava a rigirarsi nel letto, spingendo la faccia contro il cuscino. Avrebbe voluto dormire ancora e soprattutto, non andare dal cherixos.
All'ennesimo avvertimento della madre, schiuse definitivamente gli occhi, mentre si alzava mollemente su un braccio.
Aprì le finestre e iniziò a sfilarsi il pigiama. Il cielo era di un azzurro tenue, ed entravano leggeri soffi di vento, sufficienti a far rabbrividire la pelle nuda di Keira.
Finito di vestirsi, scese in fretta la rampa di scale trovando la madre ad aspettarla. Si stava provando un capello,sorridendo alla sua immagine riflessa nello specchio. Il sorriso si storse alla vista dell'abbigliamento di Keira: una larga maglietta lunga fino a metà coscia e dei jeans strappati.
-" Ti sembra il modo di vestirsi, per un momento così importante?"-
Keira si limitò a distogliere lo sguardo altrove.
-" Sì"- rispose semplicemente.
Molti si vestivano eleganti quel giorno, ma lei non capiva come mai. Poteva essere il giorno più bello della tua vita ,come il più brutto.
La madre roteò esasperata gli occhi al cielo -" Muoviti a fare colazione"- le ordinò, spingendola verso la cucina.
Il fratello John sedeva accanto a Keira, concentrato sulla ciotola di cereali che aveva davanti. Keira invece, non riusciva a vedere il muesli con la solita adorazione, al contrario il solo pensiero di accostare il cucchiaio alla bocca le dava la nausea.
Era troppo ansiosa per la visita, nella sua testa i pensieri erano come una strada in pieno traffico.
Si alzò bruscamente, facendo stridere la sedia. Meglio levarsi il pensiero.
-" Non li mangi?"- chiese il fratello, con la mano già avvolta intorno alla tazza della sorella.
-"No,prendi pure"-
Keira non riusciva ancora a capacitarsi di come il fratello fosse ancora così magro,con tutto quello che mangiava. Quando quattro anni fa, era andato dal cherixos, gli era stato detto che sarebbe diventato medico. John sapeva di essere stato fortunato, ma malgrado tutto ogni tanto era impossibile non notare il suo scontento. Fin da piccolo, sognava di diventare un architetto. La sua camera era cosparsa di disegni , di ponti, strade ed edifici; ma ormai, aveva perso il suo talento. Poteva disegnare quello che voleva, ma non sarebbe stato più in grado di realizzare le opere di una volta .
Il cherix poteva rendere i tuoi sogni realtà, ma anche seporli in una tomba a kilometri sotto terra.
Keira viveva nel piccolo paese di Phonia, al margine del regno di Kolos.
Era prevalentemente in collina e i campi coltivati sembravano essere l'unico sprazzo di vita in quell' ammasso accostato di villette bianche e nere.
"Se solo la zia fosse qui" pensò Keira con nostalgia, mentre passo dopo passo raggiungeva la piazza del suo quartiere.
Accanto alla fontana, un gruppo di bambini si divertiva ad imitare il gruppo di statue raffigurate al di sopra di essa: rappresentavano i sindaci del paese.
Electra, la madre di Keira, scoccò loro un'occhiataccia mentre la figlia sorrise.
Erano così felici e ignari di tutto e Keira sperava esattamente lo stesso per il futuro del suo regno : un posto in cui ognuno fosse libero di scegliere, vivendo in tranquillità.
La targhetta dorata sulla porta del cherixos era l'unica cosa che Keira fissava, ormai da dieci minuti. Tutto intorno si udivano lamenti, borbottii, voci eccitate e gridolini. Le porte continuavano ad aprirsi e chiudersi, in un via vai di quindicenni nervosi e famiglie ancora più turbate. Keira si sentiva scoppiare, in mezzo a quella confusione e la sfavorevole iniziale del suo cognome non l'avrebbe certo aiutata ad andarsene di lì al più presto.
Un gesto naturale, la mattina di quel fatidico giorno, era guardarsi la mano. Anche non riconoscendone il significato, la curiosità era normale e molti nella sala d'aspetto fantasticavano sugli intricati segni dipinti sulle loro mani.
Keira abbassò lo sguardo sulle proprie mani, chiuse a pugno sopra alle cosce, serrandole ancora di più.
Quando finalmente chiamarono il suo cognome, era ormai pomeriggio e nonostante questo la stanza era ancora affollata.
-" La famiglia Yuro?"- una voce maschile bassa e pacata risuonò nella stanza, mettendo a tacere per un attimo la confusione generale.
-" Sì, siamo noi"- Electra fece segno al dottore, alzandosi seguita dalla figlia.
E mentre la porta si richiudeva alle loro spalle, le voci ansiose dei pazienti riprendevano vita.
-" Io davvero non capisco cosa sia successo Alex...."- la voce della madre risuonava dietro alla porta chiusa.
Madre e figlia erano tornate a casa una mezz'ora prima piuttosto stanche e...sconvolte.
Keira ancora non riusciva a togliersi dalla testa l'espressione basita del cherixos, mentre seguiva con il pollice i contorni perlacei della cicatrice sulla sua mano.
-"Mai visto niente di simile"- aveva detto.
Eppure il suo tono non era quello di una persona semplicemente stupita, sembrava spaventato. E gliene diede prova quando le congedò in fretta, porgendo una lettera alla madre. Nella via del ritorno, Keira non riuscì più a contenere la propria ansia e riempì Electra di domande, ricevendo solo silenzio come risposta.
Non c'erano nemmeno più i bambini a distrarla e la città sembrava più fredda e inospitale del solito.
" Magari non è niente di grave e sto facendo dei drammi per nulla" si convinse Keira, osservando il proprio segno.
In effetti, anche a lei sembrava piuttosto insolito: era una lunga linea con due curve incrociate sul palmo, che andavano poi ad unirsi in un unico tratto lungo fino al polso.
Keira, cerco di vivere un istante cercando di dimenticarsi di tutto. Dalla zona in cui era, accasciata contro la porta alla fine della rampa di scale, vedeva un grande lampadario, le gocce di cristallo creavano dei bellissimi riflessi di luce. Dietro, un uscio aperto lasciava intravedere il salotto, immerso nella penombra e le pareti di un pallido giallo limone. Concentrandosi solo sulle proprie sensazioni, percepiva il respiro fattosi regolare, un tiepido calore, la luce corrodere i contorni delle figure accanto a lei.
E per un attimo, riuscì davvero a dimenticare.
Finché la porta contro la quale era appoggiata non la spinse in avanti.
-" Keira, che ci fai seduta sul pavimento?"- le chiese il padre, corrugando le sopracciglia.
La ragazza sospirò, alzandosi di malavoglia.
-" Niente,stavo solo.."-
-" Tua madre ti deve parlare"- la interruppe lui, storcendo lievemente la bocca.
-" Certo che sei sempre stato un caso particolare"- affermò, mentre la superava lasciandola con un punto interrogativo in più.
-" Domani, dobbiamo recarci del Re, Keira"- disse Electra, sedendosi al tavolo della cucina, con una tazza di tisana al tarassaco tra le mani.
Keira la raggiunse, pensando che fosse assurdo.
-" Dal Re? Sei Seria?"-
Il re, che nessuno aveva visto o avuto l'onore di incontrare, voleva vedere lei? Non sapeva se sentirsi lusingata o spaventata dalla cosa, ma alla fine prevalse il secondo sentimento.
-" Sai benissimo che non ho alcun senso dell'umorismo Keira. Partiamo domani alle cinque. Sono tre ore per raggiungere il pazzo reale"- detto questo, la donna si dileguò, lasciando la tazza nel lavandino.
Keira si girò ad osservarla, sconcertata.
"No dico, io sono qui a morire d'ansia e questa mi dice solo che dobbiamo andare dal re? E il motivo? Deve riguardare di sicuro il segno....Ah, e domani devo pure alzarmi presto. Di bene in meglio. " pensò Keira, con una velata ironia.
Alla fine, decise che avrebbe fatto meglio ad aspettare. Sua madre era fatta così purtroppo. I loro rapporti non erano migliorati con il tempo, ma almeno Keira andava d'accordo con John. Nonostante lui fosse in modo evidente il prediletto tra i genitori, non aveva mai fatto il gradasso con lei, anzi, era l'unico di cui Keira si fidasse davvero.
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