۝ Capitolo I - Una strana puntura ۝

Era una serata come tutte le altre a Kaloo.

Il caldo afoso dell'estate iniziava a farsi sentire.

Ormai era tutto così monotono che chiunque avrebbe preferito scappare da quel villaggio per rifugiarsi nella propria casa a Ynimar e godersi un po' di fresco.

L'estate là aveva una durata maggiore: i cittadini di Kaloo dovevano sorbirsi l'afa estiva per sei mesi invece dei tre che ci si potrebbe aspettare.

Il riscaldamento globale e la rapida inclinazione dell'asse terrestre avevano fatto in modo che quella porzione della Terra fosse esposta al Sole per un periodo dell'anno più lungo.

La guerra aveva spazzato via le grandi metropoli circostanti, dando il via alla nascita di piccoli centri rurali e isolati come Kaloo.

Fortunatamente, alcuni abitanti del villaggio, illegalmente per l'epoca, erano stati capaci di viaggiare indietro nel tempo per portare in quel posto desolato gli oggetti più utili dei primi decenni del ventunesimo secolo. In questo modo, anche una civiltà arretrata come la loro divenne capace di usufruire di mezzi di trasporto, cibi, costumi e dispositivi elettronici che le avevano impedito di regredire verso quelli che venivano definiti i "secoli bui" degli anni duemila nonostante i paesi ricchi della parte "fredda" del mondo potessero ancora usufruirne. Gli stati potenti, infatti, avevano fatto sparire ogni traccia di sviluppo tecnologico dai villaggi rurali, in modo da poterli controllare al meglio.

Nonostante il caldo, gli abitanti di Kaloo rimanevano alle loro monotone esistenze.

Come quella di Orna, una ragazza che, come tutte le altre sere, stava aspettando l'arrivo dei suoi amici al parco. Ci si recava sempre in anticipo, e si sedeva su una panchina delle alte cime del Mytidol sotto la luce di un lampione giallo. Il marmo le ricordava le sue origini montane. Adorava il fresco vento ad alta quota che le scompigliava i capelli con la sua brezza: le folte trecce bionde rimanevano ferme sulla sua schiena mentre la frangia sulla fronte e i due lunghi ciuffi laterali si muovevano all'impazzata, costringendola a pettinarsi di continuo pur di mantenere il suo aspetto impeccabile e caratteristico.

Poggiato sui capelli ordinati, indossava il suo paraorecchie con la gemma rosa incastonata nel centro che rifletteva la luce tetra dei lampioncini del parco.

Questo accessorio era un regalo che aveva ricevuto da bambina e indossandolo si era sentita fiera e splendente sin dall'infanzia.

Nel silenzio i suoi grandi occhi nocciola si alzavano e correvano in tutte le direzioni per controllare quante più possibili reazioni dei passanti e, infine, ritornavano sempre a controllare l'ordine del suo vestito viola di seta, ornato con piume di chimera blu, degli stivali azzurri e neri e dei suoi guanti marroni che dovevano essere indossati senza nemmeno una piega.

Orna non sarebbe mai uscita senza un capo di abbigliamento dorato che la facesse splendere, richiamando l'oro dei suoi capelli.

Amava ascoltare la musica e, infatti, sotto quel paraorecchie era sempre presente il suo paio di cuffiette, rigorosamente dorate, e il cellulare con il quale non poteva smettere di scaricare brani.

Proprio quando stava per inserire il cavo delle cuffiette nel jack del telefono, avvertì dei passi dietro di sé e si girò di scatto.

Socchiuse le labbra e spalancò gli occhi alla ricerca di un minimo movimento.

Il suo cuore iniziò a battere: quella sera Orna non era sola.

Scrutò alle sue spalle oltre la panchina per alcuni istanti ma nulla sembrava essersi mosso.

Tornò a sedersi composta adagiando la schiena alla panchina e nel mentre sentì ancora una volta il rumore avvertito pochi istanti prima. Orna si alzò in piedi. I battiti iniziarono a farsi più insistenti e iniziò a tremare. Mentre stava per muovere il primo passo per fuggire verso casa, intravide un ciuffo di capelli arancioni dietro a un grande pioppo. Iniziò a camminare lentamente all'indietro avvicinandosi all'uscita del parco.

«T... Ti ho visto!» sussurrò tentando di suonare minacciosa e improvvisamente il ciuffo color carota si ritirò dietro al tronco.

Un brivido le percorse la schiena: in quel villaggio così pacifico qualcuno l'aveva pedinata.

Spalancò nuovamente gli occhi e iniziò a muovere velocemente la testa in tutte le direzioni: guardò i lampioni, la grande quercia, la ghiaia, le altalene; il parco era completamente disabitato, nessuno l'avrebbe potuta aiutare: l'adrenalina iniziò a scorrerle nelle vene e preferì l'incontro alla fuga. I suoi occhi si assottigliarono e le sue mani si chiusero a pugno.

Scattò velocemente verso il pioppo per rivelare l'identità dell'individuo che la stava seguendo.

«A-ha!» gridò minacciosa: «Ti ho stanato Galant!» concluse puntandogli il dito contro.

«Che palle! Non ti sfugge proprio nulla eh!» rispose il ragazzo rivelandosi umiliato.

«No è semplice: sono un'investigatrice provetta e tu sei solo un idiota con un passo da elefante!»

Galant arrossì e abbassò lo sguardo senza pronunciare una parola.

«Vieni dai, andiamo ad aspettare gli altri».

Galant era uno dei suoi amici e, a dirla tutta, aveva sempre avuto un debole per lei.

Amava il suo modo di relazionarsi con gli altri ma c'era qualcosa che adorava più delle altre: i suoi capelli. Era follemente innamorato dei suoi dorati capelli sempre ordinati. Insomma, Orna sapeva come fare colpo sui ragazzi più di quanto loro sapessero farlo con lei. Anche lui era ossessionato dalla sua forma fisica grazie alla quale riusciva ad attirare lo sguardo di numerose ragazze ma, purtroppo, non quello di Orna.

Per catturarla, spesso, la spaventava ma, non avendo consapevolezza del proprio corpo, non riusciva a controllarlo come avrebbe voluto e mandava in fumo i suoi stessi piani.

Poco dopo, Galant alzò i suoi occhi di ghiaccio verso Orna che scrutò in risposta lo scultoreo fisico del ragazzo più attraente del villaggio che accompagnava le fanciulle in moto mentre si tenevano strette al suo ventre marmoreo.

Orna, ancora stordita dal suo sguardo, lo prese per mano e lo portò a sedere con lei sulla panchina in attesa degli altri ragazzi della compagnia.

«Galant?» disse Orna con tono incerto.

«Sì?» rispose con una voce forzatamente mascolina.

«Devo parlarti di una cosa molto importante».

«Certo, dolcezza, dimmi pure» le rispose spalancando il suo perfetto sorriso.

«Sai che...»

«Cosa?» domandò il ragazzo interrompendola bruscamente.

«Sai che siamo le uniche due persone nel gruppo che...?» disse alzando gli occhi al cielo.

«Che... cosa?»

«Che non sono ancora fidanzate ecco!» concluse lei velocemente guardandolo.

«Sì, e allora?» chiese lui con tono presuntuoso.

«Volevo solo dirti che...»

Orna lo fissò dritto negli occhi inclinando la testa: «Tu mi piaci...»

Galant ci era riuscito.

Grazie a una stupida motivazione era riuscito a strappare dalla sua bocca ciò che avrebbe voluto sentirsi dire da tanto: anche lei provava qualcosa nei suoi confronti.

Orna arrossì e Galant le poggiò la mano sul mento e le sollevò il capo.

«Anche tu mi piaci; non dovremmo stare insieme solo perché siamo gli unici soli nel gruppo: io mi sono innamorato di te per come sei con me, per come sei con gli altri, semplicemente per come sei; per come ti curi sempre presentandoti al meglio in ogni circostanza, anche quando sei giù e non vorresti rivolgere la parola a nessuno. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo in tutti questi anni e sono contentissimo che lo abbia fatto tu. Scusami tanto per non averlo fatto prima».

Orna alzò lo sguardo e si perse di nuovo nei suoi occhi: «Galant, non mi sarei mai aspettata una reazione così da parte tua» rispose a fatica singhiozzando.

Gli occhi nocciola luccicarono sotto la luce del lampione e alcune lacrime iniziarono a rigarle il volto: «Ci conosciamo da tantissimo tempo e penso davvero che tu sia una persona meravigliosa: sai sempre come fare felici gli altri e quando qualcuno è giù, riesci sempre a renderlo felice. A volte sembri tanto superficiale ed è per questo che non mi aspettavo che fossi così profondo in realtà. Scusami per non averlo capito prima e a questo punto mi sembra così scontato che...»

Orna in lacrime prese a sé le mani di Galant che continuava a rapirla con i suoi occhi.

«Sia fatta» finì lei sospirando mentre un sorriso si faceva spazio sul suo volto.

«É fatta» rispose lui guardandola a sua volta stringendole ancor più forte le mani.

Galant iniziò ad avvicinare il suo viso a quello di Orna.

I due non capivano più nulla.

Forse era stato uno dei momenti più reali della loro intera vita.

I loro cuori palpitavano e, nel silenzio del parco, i due ascoltavano i loro battiti frenetici.

Ma poco prima che le labbra dei due si toccassero, una tuonante voce alle loro spalle interruppe l'intimo momento.

«Vedo che abbiamo una nuova coppia!»

Orna e Galant si voltarono e notarono una coppia di ragazzi camminare sul buio sentiero di ghiaia che conduceva al centro del parco.

«Vargas, Samatha... che bello vedervi!» disse Orna arrossendo asciugandosi velocemente le lacrime.

«Non ci inganni Orna:» la incalzò Vargas «abbiamo sentito tutto quanto! Non avete nulla di cui vergognarvi, anzi, ora che vi vedo sotto questo aspetto, siete molto carini insieme!»

Vargas era il suo migliore amico nonché compagno di avventure di Galant.

La sua chioma di capelli rosso fuoco non era mai in ordine tanto che, senza ciuffi giganteschi e disordinati, non sarebbe stata la stessa. Non lo si era mai visto senza quei guanti marroni tagliati sulle dita ereditati dal padre, del quale era rimasto orfano. Amava talmente tanto il rosso da essere arrivato al punto di vestirsi con una tuta intera vermiglia, come i supereroi che tanto lo ispiravano.

Ovviamente, a completare il look, non poteva mancare il suo mantello sfumato dal blu al viola e, a volte, aggiungeva altri tocchi di classe come stivali grigi e corazze decorative, che gli ricordavano quanto i suoi antenati fossero stati importanti per la guerra che, dopo molti anni, aveva portato la pace a Kaloo.

Aveva ereditato alcune tecniche di combattimento da suo padre, il quale, dopo la morte, divenne la sua più grande fonte di ispirazione. Quest'ultimo aveva scritto diversi libri sulle tecniche di combattimento adottate dai soldati che avevano protetto il villaggio e Vargas, che aveva sempre odiato leggere, si era impegnato a impararle tutte, o quasi, e a metterle in pratica.

Fu quella spensieratezza unita alla sua determinazione, che colpì l'attenzione della sua compagna Samatha.

«Cia...» tentò di mormorare spostandosi il ciuffo castano prima che Galant la interrompesse: «Anche tu e Samatha siete belli assieme!»

«Galant, iniziamo malissimo!» lo zittì Orna: «Lascia agli altri il tempo per parlare!»

«Grazie mille» sussurrò piano Samatha: «anche voi secondo me siete una bellissima coppia e insieme vi completerete».

«E noi invece no, vero?!» gridò una voce lontana.

«Cosa sono tutti questi complimenti?!» proseguì uno squillante tono femminile.

Due voci borbottanti si udirono avvicinarsi velocemente.

I due li raggiunsero tenendosi per mano: sembravano appena tornati da un festival orientale, di quelli che un tempo venivano organizzati nelle città occidentali.

Un ragazzo biondo indossava un abito di fasce nere e lei sembrava decisamente una geisha.

Il suo nome era Eze ed era conosciuto in paese per i suoi stravaganti stivali argentati e le fasce azzurre realizzate con i vecchi tendaggi della sua casa a Ynimar "per poter sentire il fresco della montagna sentendosi sempre a casa".

Era un tipo decisamente eccentrico, così come lo era la sua ragazza Nakuri che doveva sempre adattarsi alle sue fissazioni per timore di perdere il suo amore.

Era amica di infanzia di Samatha e sapeva che quest'ultima era l'unica che la avesse conosciuta davvero come Nakuri e non come "la ragazza di Eze".

«Anche voi siete stupendi!» disse Galant.

«Ma il mio Galant è più bello!» lo seguì Orna con tono di sfida.

«Il mio Eze è un valoroso eroe giapponese, non è vero?» si difese Nakuri infastidita battendo il piede per terra.

«Oh sì tesoro, Galant non può competere con noi!» la sostenne Eze deridendolo.

«Basta ragazzi:» gridò Vargas alzando le braccia: «lo sanno tutti che i migliori del parco siamo io e Samatha!» concluse placando le anime irrequiete delle coppie.

«Piantatela!» urlò Samatha con tono di sfida: «Orna non sa che ieri io e Galant ci siamo baciati alla fine di un selvaggio giro in moto...» terminò lasciando tutti stupefatti e suscitando l'invidia di Orna.

Non riuscì a controllarsi e si stizzì: «Ah sì?! Beh allora...»

«Calma, calma Orna!» la placò Vargas: «Ieri Samatha era con me alla fiera di Jidma e, fidati di me, di Galant non si è visto neanche un ciuffo» concluse scherzando.

«Ma pensa ai tuoi capelli!» lo interruppe Galant confuso.

«Dateci un taglio con questi scherzi, sapete che non riesco a capirli!» disse Orna abbassando la testa. Eze e Nakuri, in quel momento, erano troppo impegnati nel sistemare i loro svolazzanti indumenti giapponesi per intervenire nuovamente nel dialogo.

«Piuttosto: ci andiamo o no a questa nuova pasticceria?» domandò Samatha facendo tornare tutti con i piedi per terra.

«Sì, mi sembra un'idea bellissima! Ho proprio voglia di un bel dorayaki!» disse Nakuri per distogliere l'attenzione dall'imbarazzo del compagno che fissava il cielo con lo sguardo perso.

«Certo che ci andiamo!» intervenne euforica Orna: «Ho sentito che stanno cercando dei nomi per alcuni nuovi pasticcini di produzione artigianale. Magari possiamo convincerli a metterci i nostri!»

«Magari ne chiameranno uno GalantOrna» disse Galant con tono dolce ruotando la testa verso la sua nuova compagna.

«Sì, sì, una meravigliosa lanterna galante!» li fermò Vargas beffeggiandoli: «Che ne dite invece di VargasSamatha? Beh, ora che ci penso meglio, non farebbe altro che rendere i clienti serpenti sibilanti!» concluse ironico.

«Chiamiamolo EzeNakuri, così facciamo il botto!» terminò ridendo spassionatamente Eze.

«Allora cosa stiamo aspettando? Andiamo!» disse Samatha incamminandosi sul sentiero ghiaiato nel centro del parco.

I ragazzi la seguirono e si mossero in direzione della pasticceria continuando a discutere su quale fosse il nome migliore per i nuovi pasticcini.

Arrivati, si trovarono di fronte a un edificio ad angolo con ampie vetrate e entrarono all'interno del locale passando sotto all'insegna luminosa al neon arancione che recitava "Yeeda".

Al loro ingresso vennero travolti dal profumo dei dolciumi esposti e furono accolti dal radioso sorriso del pasticciere.

Il locale era spazioso, colmo di tavolini e poltrone in similpelle color pesca con una luce soffusa calda. Gli espositori circolari mettevano in mostra i pasticcini e le prelibatezze poggiate ancora sui vassoi dopo essere state sfornate.

Purtroppo tutte le proposte di nomi da parte dei ragazzi vennero bocciate in tronco ma, comunque, per premiare lo sforzo, il pasticciere regalò ai ragazzi dei gustosi dorayaki.

I sei si sedettero su un divanetto vicino alla vetrina e degustati i pasticcini, tornarono al parco per un ultimo saluto.

Ma una brutta sorpresa li stava aspettando.

Il parco infatti, durante la loro assenza, si era riempito di zanzare che, calato il sole, erano uscite agguerrite per procurarsi il cibo per le loro larve.

Spinti dalle loro dame irrequiete, i ragazzi iniziarono una gara a chi uccidesse più zanzare in modo da accaparrarsi il premio di eroe del gruppo.

Si avviò così una doppia competizione: i ragazzi si sfidavano a chi sarebbe riuscito a ucciderne di più, mentre le ragazze trovavano assurde motivazioni per rendere palese il fatto che il loro ragazzo fosse il migliore.

Ma una zanzara, quella sera, punse più forte delle altre.

Vargas se ne accorse.

Non aveva mai provato in vita sua un dolore del genere.

Era qualcosa di strano.

Non era solamente un dolore fisico ma anche psicologico.

Il suo cervello iniziava ad andare a ritroso e la sua vista si annebbiava a poco a poco.

Inizialmente pensò che fosse tutto dovuto alla stanchezza ma non avrebbe mai mollato nella gara del "massacra zanzare".

Il suo corpo, però, lo costrinse: Vargas cadde a terra all'improvviso.

Galant stava vincendo con grande vantaggio per rendersi grande agli occhi di Orna, ma lei, in quel momento, stava pensando completamente ad altro.

Si precipitò con il cuore in gola sul corpo di Vargas accasciato a terra con gli occhi strabuzzati verso l'alto.

Samatha tremava e dopo essersi guardata in giro nel panico, estrasse il cellulare per chiamare i soccorsi.

Orna aveva iniziato a scuoterlo gridando nel panico e, poco dopo, lui si era svegliato con un grande sospiro.

«Vargas stai bene?» disse Orna facendo un cenno con la mano a Samatha.

«Mh...» mugugnò lui aprendo gli occhi: «Sì ma... Cosa è successo?» chiese riprendendosi.

Orna scoppiò in lacrime: «Sei svenuto mentre giocavamo e... avevi gli occhi bianchi!»

«Occhi bianchi?!» domandò Vargas confuso: «Fico! Non importa dai, adesso sto bene. Chi ha vinto la gara?» domandò allegro.

«Io di gran lunga!» urlò euforico Galant.

«Galant!» lo rimproverò la sua ragazza asciugandosi le lacrime: «Ti pare il momento di discutere di una stupida gara? Piuttosto, Vargas, adesso ti accompagniamo a casa e domani ci farai sapere come ti senti per andare alla fiera a Debonno, va bene?»

«Non ti preoccupare, Orna, ce la faccio!» disse sollevandosi in piedi senza mostrare il minimo sforzo.

Sembrava davvero il Vargas di sempre, in piena forma come se nulla fosse successo.

In fondo era anche un bravo attore e non avrebbe mai permesso che l'allegra serata venisse rovinata da un suo lieve malessere.

In quegli istanti, aveva visto la sua vita scorrergli davanti agli occhi a ritroso mentre una dolce voce femminile continuava a chiamare il suo nome.

Decise, però, di non rivelare nulla di tutto ciò ai suoi compagni, i quali, se non si fossero preoccupati ulteriormente per la sua condizione, lo avrebbero sicuramente preso per pazzo.

«Per fortuna non ricordo niente... Certo che ci sarò alla fiera domani! Comunque mi sa che Galant abbia un po' barato!» disse Vargas alzando le sopracciglia e inclinando lo sguardo.

«Già!» lo seguì Eze: «Quando mai Galant ha vinto senza aver imbrogliato?»

Da lì ricominciarono le liti fra i ragazzi mentre, per una volta, le loro compagne tentavano di zittirli.

Il suono della torre campanaria di Kaloo richiamò l'attenzione del gruppo con i rintocchi delle undici.

Così i sei, dopo essersi salutati, tornarono alle loro case per una rigenerante dormita preparatoria alla giornata che avrebbero dovuto affrontare l'indomani.

Quella notte, però, la puntura sul corpo di Vargas continuò a pulsare. 


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