8. Non sono uno che si arrende

Oggi c'è il sole. È da un po' che non succedeva, nell'ultimo periodo le nuvole coprivano sempre l'azzurro del cielo.
E la notte non mostrava più le stelle.
Mi hanno sempre affascinato quei corpi luminosi, il modo in cui riescono ad essere spettacolari anche nel momento in cui cadono. Il modo in cui si spengono silenziose, passando inosservate, senza preoccuparsi di attirare attenzione.
Mi sarebbe piaciuto avere la stessa forza.
Nella mia vecchia cameretta sul soffitto avevo dipinto con gli acquerelli un cielo stellato. Mi trasmetteva tranquillità e fissarlo prima di andare a dormire mi faceva fare bei sogni. È da un po' che non sogno più la notte.
Sento uno strano rumore vicino alle sbarre e mi alzo di scatto dal letto. Non c'è nessuno, ma a terra c'è un pacco.
Un pacco?
Non possiamo ricevere posta qui dentro, e poi non penso che le guardie me l'avrebbero lasciata lì senza dire nulla.
Metto i piedi a terra e, scalza, vado a prendere quel piccolo pacco marrone. Non c'è nessuno nemmeno al di fuori delle sbarre.
Lo apro velocemente tirando via lo scotch che lo tiene chiuso.
Non ci credo: all'interno ci sono un pacchetto di caramelle alla mela e un contenitore con le tempere nuove.
Li prendo e sotto trovo anche un biglietto.
Questa situazione si fa sempre più assurda. Soprattutto quando vedo che il biglietto è firmato Andreas.
Cosa sta cercando di ottenere?

So che siamo partiti con il piede sbagliato, mi piacerebbe ricominciare. Prometto di non tirare più fuori il tuo passato. Sono capace di farmi i cazzi miei ;)

Inevitabilmente sorrido.
Non so perché sia così insistente, o perché ci tenga così tanto a conoscermi, ma sembra esserci rimasto davvero male e mi dispiacerebbe non dargli un'altra possibilità.
All'improvviso la porta d'ingresso della cella si spalanca e lui attraversa la stanza fermandosi davanti a me.
Alzo il pacchetto di caramelle con i colori.
-Me li spieghi? –
Sorride forse un po' soddisfatto.
-Non sono uno che si arrende – risponde.
-Speravo nel contrario – sbuffo ironica.
Ridacchia.
-Ti va di passare con me oggi quella misera uscita di dieci minuti? – mi propone.
Annuisco.
Sa quasi di un appuntamento. Rido al pensiero.
-Che c'è? Ti fa ridere la mia proposta? Guarda che ho le migliori intenzioni – mi rimprovera mentre apre la cella.
-Non ho mai insinuato il contrario – lo seguo fuori da queste mura. Ma non fuori dai cancelli.
-Allora – comincia mentre camminiamo in cortile – piacere, mi chiamo Andreas – mi porge la mano.
Scoppio a ridere ma gliela stringo comunque reggendo il gioco.
-Cateline, ma da parte tua sarebbe molto carino se potessi chiamarmi Cate –
-Che hai contro il tuo nome intero? – si incuriosisce, ma prima che io possa rispondere si affretta a dire: – Scusa, niente domande sulla tua vita privata –
-Nono, non ha niente a che fare con la mia vita, è solo un capriccio – rido – non mi piace e basta, davvero, mi sembra infantile come nome –
-Ma non è vero – ride rumorosamente.
-E invece sì! Mi immagino una bimba viziata che corre per casa strillando "gne gne gne" e la mamma che le urla dietro "CATELINE" –
-Okay, l'immaginazione non ti manca – mi fa notare continuando a ridere.
-Beh, sono un'artista –
-Giusto – conferma – da quanto tempo disegni? –
-In modo decente dici? Probabilmente da quest'anno. Però ho questa passione dall'infanzia, pensa che mia madre mi temeva perché i fogli non mi bastavano mai e trovavo più stimolante dipingere sulle pareti di casa –
-Mi meraviglio che tu non lo abbia ancora fatto qui –
Mi gratto la fronte imbarazzata perché avevo preso in considerazione l'idea tempo fa.
-Ho più paura di Anne di quanto ne avessi di mia madre – confesso.
Si ferma all'improvviso.
-Non ci credo – dice lui fermandosi all'improvviso – mi ero fatto una certa idea di te e tu me la smonti così? Andiamo, l'unica persona che potrebbe avere paura di lei è suo marito –
-Perché? Un marito ce l'ha? – cerco di trattenermi dal ridere.
-Se non fosse così non se la farebbe col capo di nascosto nella cucina della mensa e solo dopo le due di notte –
-Uh allora i pettegolezzi sono arrivati anche a te? –
-Non solo quelli, ma sono pur sempre sul posto di lavoro in questo momento quindi ti risparmierò i dettagli – si passa lentamente una mano tra i capelli sorridendo.
-Ommioddio – scandisco lentamente – tu non li hai... -
-Sentiti, sì. Da quel giorno porto sempre da casa la bottiglietta dell'acqua, così evito di trovarmi assetato in mensa a quell'ora –
Scoppio a ridere. Non posso crederci.
-Eh beh, prima o poi anche quel disgraziato del capo si accorgerà di chi è Anne Forward –
Scuoto la testa ancora incredula.
-Quanti anni hai? – gli chiedo poi.
Ne dimostra diciannove/venti.
-Ventuno –
Ci ero vicina.
-Non farò a te la stessa domanda per due motivi. Uno: non si chiede mai l'età ad una donna. Due: so già quanti anni hai –
-Ah, giusto. La "cartella clinica". Che altro sai di me? – mi incuriosisco.
-Che sei di Brighton ma vivevi a Manchester prima di venire qui, hai tinto i capelli, sei astigmatica ma non porti gli occhiali, hai vinto parecchi concorsi artistici e hai cambiato tre scuole. Cazzo, non sei una che si accontenta di un solo piano di studi, eh? – ride.
-Cazzo, l'hai studiata quella cartella? – rido – Come sai che ho tinto i capelli? –
-La fotografia sul documento. Dovresti aggiornarla, sai? –
-Quando uscirò da questo posto sarà la prima cosa che farò – ridacchio.
-Posso chiederti una cosa? –
- Me la stai già chiedendo – mi fa notare sorridendo.
-No, dai sono seria – scuoto la testa comunque divertita – Che ci fai qui? –
-Che c'è? Non ho la serietà di una guardia carceraria? – fa finta di offendersi.
-No, non intendevo questo. Solo che mi sembri un tipo in gamba, potresti aspirare a qualcosa di più, no? –
-Sembri la mia prof di lettere del liceo, "Andreas potrebbe permettersi ambizioni molto più alte, ma non cerca nemmeno di applicarsi". Era assillante. Comunque avevo una sorella che è stata portata in uno di questi posti senza che avesse alcuna colpa. Non ne è mai uscita. È per questo che ho scelto di lavorarci, voglio evitare che succeda a qualcun altro, ed è lo stesso motivo per cui ho voluto sapere qualcosa su di voi il primo giorno –
-Lei è... – inizio, non sapendo bene come continuare.
Lui annuisce.
-Mi dispiace – sono sincera.
-Anche a me. Siamo prigionieri di un sistema del cazzo. Ma questo tu già lo sai –
Mi meraviglio di quanto mi conosca già, nonostante stiamo parlando solo da qualche minuto.
-Posso dirti una cosa? – mi chiede poi.
-Me la stai già dicendo – rispondo imitandolo.
Ride un po'.
Sorrido un po' anch'io.
Sorride un po' anche il mio cuore.
-Sei bella dentro. E certo, lo sei anche fuori, ma non fraintendermi, il punto non è questo. Non lasciare che questo posto ti consumi –
Resto un po' stupita da questa sua affermazione però non posso fare a meno di sorridergli.
Non è il ragazzo che pensavo.
E non posso negare che sono contenta che lui sia qui.

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