6. Andreas
Apro gli occhi e per la centocinquantaduesima volta mi sveglio tra queste mura, in questo letto, sotto questo soffitto sporco di muffa e con la luce del sole che illumina troppo la stanza perché nessuno si preoccupa di appendere le tende alle finestre.
Mi stiracchio e sbadiglio senza curarmi di farlo silenziosamente.
Una volta fuori dal letto prendo una matita dal portapenne sulla scrivania e scrivo la data di oggi sulla parete. Mi fermo per qualche secondo a fissare le altre centocinquantuno.
Cazzo. Sono qua dentro già da più di cinque mesi.
Com'è che sono ancora viva?
Sospiro a lungo e poi mi chiudo in bagno per più del dovuto per fare una doccia.
Resto in bagno per tre ore esatte ed esco solo quando sento le urla di Mathilde che dalla stanza mi chiede di uscire per prendere le medicine.
Mathilde è la mia infermiera. Tutto sommato è simpatica, ed io le sto simpatica, però a volte urla davvero troppo.
-Come va stamattina? Sta notte hai sentito ancora quelle voci?-
Sospiro e faccio spallucce.
-Sì – mento per la centocinquantaduesima volta.
Mi porge le pasticche e le ingoio immediatamente.
Gli effetti collaterali del prendere medicine di cui non hai bisogno? L'insonnia, gli occhi che bruciano costantemente, la debolezza del corpo e i brufoli.
Questi ultimi penso che siano un effetto collaterale dell'essere adolescente.
Insieme alle paranoie, le mille domande, i dubbi, gli scleri, le urla, i pianti senza una vera ragione, l'essere felici ora e arrabbiati tra due minuti, gli ormoni impazziti, il ciclo e il mal di pancia che "porca puttana oggi no", i capelli una volta decenti e la mattina dopo paglia, l'ingrassare anche con un bicchiere d'acqua...
Vedersi costantemente imperfetti.
Costantemente diversi.
Costantemente sbagliati.
Mathilde mi sorride prima di uscire dalla cella richiudendosi il cancello alle spalle.
Sto per buttarmi di nuovo sul letto quando sento la fastidiosa voce di Anne provenire dal corridoio.
-E questa è la tua sezione. Ci sono solo cinque ragazzi e per di più affetti da disturbi non troppo gravi quindi sarà facile da gestire per te che sei nuovo. Puoi provare a farci amicizia ma ricorda che loro sono i pazienti e tu la guardia quindi evita di affezionarti troppo, l'ultimo che è stato qui si è messo a piangere quando l'ho trasferito alla sezione di sopra –
Sta parlando di Matt.
Vedo Leo, uno dei ragazzi del mio piano, affacciarsi dalla sua cella per capire cosa stia succedendo. Io penso di averlo capito. E non mi piace per niente.
-Perfetto, tutto chiaro – risponde una calda voce maschile.
Non riesco a vedere in volto la nuova guardia perché le sbarre me lo impediscono.
-Se hai bisogno sono nell'atrio, buona fortuna –
Un tintinnare di chiavi e la porta della sezione si chiude con un tonfo. Poi un rumore di passi decisi che si avvicina.
E un ragazzo cui la divisa cerca di camuffare il volto ancora giovane compare al di là delle sbarre.
Ha i capelli e la carnagione scuri e gli occhi chiari. È alto (sicuramente più di me che sono alta un metro e un ovetto kinder) e la sua grande postura unita al portamento dimostra che, pur essendo alle prime armi, non ha paura.
-Ciao ragazzi – dice guardandoci tutti attraverso le diverse celle fino a quando i suoi occhi si posano su di me.
Resta a fissarmi per qualche secondo, poi distoglie lo sguardo.
-Sono la nuova guardia, Matt è stato trasferito e ora qui ci sono io. Mi chiamo Andreas e mi farebbe piacere se voi poteste portarmi rispetto senza che io debba intervenire in questo, perché imparerete presto che so ottenere quello che chiedo a modo mio e non vi conviene diventare mie nemici. Tutto chiaro? –
Alzo gli occhi al cielo. Già mi manca Matt.
Ci avevo fatto amicizia, era un bonaccione e mi ha sempre protetta dalle grinfie di Anne a cui sto sul cazzo dal primo giorno.
Senza ricevere alcuna risposta da parte nostra Andreas si gira e va a sedersi su quella che dovrebbe essere la sua postazione.
-E questo mo che vuole? – sussurra Nicole dalla sua cella.
-Ah boh, spero che almeno lui abbia le palle di comprarmi un pacchetto di caramelle alla mela, a differenza di Matt. Non le mangio da cinque mesi Nicole, cazzo –
Lei ridacchia. Qui nessuno prende sul serio la mia dipendenza da quelle caramelle.
È una fissa che ho da quando ero piccola. Mi fanno schifo le mele ma tutto ciò che abbia il gusto di mela mi fa impazzire.
Dopo un'oretta Andreas, probabilmente annoiato, inizia a girare per le celle di questa sezione per "conoscerci meglio", come ha detto lui. Non so perché, ma il fatto che qualcuno voglia interessarsi a me mi preoccupa.
Da quando sono entrata qui nessuno mi ha fatto più domande di quelle che mi sarei aspettata, ma questo Andreas non mi sembra uno che si ferma alle apparenze, ho paura di quello che potrebbe chiedermi. Ho paura di non riuscire a reggere il gioco che porto avanti da sette anni.
Il rumore della chiave che forza la serratura mi distrae dai miei pensieri e sposto gli occhi dal soffitto all'ingresso della mia cella da dove la nuova guardia sta entrando.
Mi alzo svogliatamente dal letto e mi passo una mano tra i capelli.
-Ehi – lui mi saluta sorridendo troppo. Poi mi tende la mano e io gliela stringo. La sua gentilezza mi terrorizza.
– Tu devi essere Caterina –
Oh, no.
Matt avrebbe dovuto far cambiare il mio nome sul computer ma a quanto pare nemmeno lui è riuscito a farlo capire a Mark.
-No, Mark, il tipo all'ingresso, è un po' tonto e mi ha registrata male. Mi chiamo Cateline Russel, non Caterina Rossi – spiego.
-Ah, sì, notavo infatti. Si ostina a chiamarmi Andrea. Deve avere un problema con i nomi stranieri – ridacchia modificando il mio nome su un foglio.
-Come vuoi che ti chiami? – mi domanda poi.
Resto incerta nel rispondere pensando di aver capito male. È la prima persona qui che dà importanza ad un mio minimo desiderio. Lui continua a guardarmi interrogativa e mi affretto a rispondere.
-Ehm, Cate – balbetto quasi urlando. Che cazzo mi prende?
-Okay – mi sorride di nuovo, quasi divertito. Come fa ad essere così di buon umore? Sarà perché io voglio spaccare la faccia alla gente ventiquattro ore su ventiquattro, ma non riuscirei ad essere così garbata con un estraneo. Sarà anche perché non riesco ad essere garbata nemmeno con me stessa.
-Come mai sei qui? –
Sospiro preparandomi a raccontare la solita storia che a forza di dirla sta diventando vera.
-Da quando avevo sei anni sento delle voci che mi dicono cosa fare ed io non riesco ad opporre resistenza. Mi hanno detto di uccidere i miei – la mia voce inizia a tremare – E l'ho fatto –
Le ultime parole escono dalla mia bocca quasi come un sussurro, tanto che mi chiedo se Andreas le abbia capite.
Inizio a sentire il mio battito cardiaco rimbombarmi nella testa.
Perché sto reagendo così? Non mi è mai capitato.
Mi sento in colpa. Ma perché? Non li ho uccisi io i miei.
I miei respiri diventano più corti e rapidi.
Sento i colpi di pistola riecheggiare.
Poi di nuovo i battiti accelerati del cuore.
Poi le mie urla. Le urla dei miei genitori.
Mia madre che piange e le chiede di fermarsi, le promette che tutto si sistemerà.
Mio padre che si avvicina lentamente a lei, ma non fa in tempo.
Io che non faccio nulla, resto immobile, come se tutto quello non mi appartenesse.
Lei che urla di non poterlo evitare.
E io? Io avrei potuto evitarlo?
E poi il primo colpo.
Mio padre.
Mia madre urla e corre a sorreggerlo.
Poi il secondo colpo.
I suoi occhi sbarrati.
Il tonfo dei corpi che cadono a terra. E cado un po' anch'io.
Rivivo questa scena ogni giorno e non ho ancora imparato ad affrontarla. L'aria mi manca e non sento più nulla.
-Ehi – mi chiama Andreas come se fosse lontano – Cate, stai bene? Cate –
Mi scuote leggermente dalle spalle e spalanco gli occhi riempiendo d'aria i polmoni, come se non avessi respirato per troppo tempo.
Il ritmo dei miei battiti diminuisce e anche quello del respiro.
Una lacrima mi riga la guancia ma me la asciugo velocemente con l'angolo della felpa prima che cada.
-Scusa – sussurro – non so cosa mi sia preso –
Respiro a fondo continuando ad evitare lo sguardo di Andreas.
-Ehi, no, va bene, è normale. È normale che tu ti senta in colpa –
-No – singhiozzo – non è giusto –
-Non potevi evitarlo Cate, tu lo sai meglio di chiunque altro –
Stringo i denti.
-Sì, potevo evitarlo. Potevo evitarlo, ma non ho fatto nulla – scandisco lentamente.
Mi accorgo di starmi mordendo il labbro solo quando sento il sapore amaro del sangue bagnarmi la lingua.
-Cate, calmati va tutto bene – la sua mano mi sfiora leggermente la spalla ma mi allontano spaventata.
-Dovevo fermarla – urlo.
Andreas resta in silenzio per un po' fissandomi e finalmente trovo il coraggio di guardarlo.
-Cate, sicura di aver ucciso tu i tuoi genitori? –
È la prima volta che mi viene rivolta questa domanda.
Scuoto la testa urlandogli di andarsene.
Voglio restare sola, non doveva andare così.
-Va bene – sussurra ed esce dalla cella, lasciandomi lì sul pavimento, nel silenzio luttuoso del mio passato.
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