37. Troppo tardi
Ci guardiamo per qualche secondo. Il tempo di rivivere tutti i momenti in cui guardarla negli occhi era un gesto tanto semplice quanto scontato. È passato troppo tempo dall'ultima volta che l'ho fatto.
È spaventata, glielo riesco a leggere sul viso.
È diversa. Mi sembra cresciuta di colpo, come se lo stare da sola l'abbia costretta a confrontarsi una volta per tutte con la vita, quella reale.
I suoi occhi sembrano più scuri, adesso che le occhiaie le scavano il viso, chissà da quanto tempo non dorme? I capelli le cadono arruffati sul viso e noto un graffio profondo sulla guancia destra.
Indossa una felpa, una mia felpa, dei pantaloni neri e porta a tracolla una borsa dalla quale vedo fuoriuscire dei fogli.
E se fossero...?
Si accorge che ho notato la borsa, la stringe a sé e mi volta le spalle prima di correre via.
-Lauren, aspetta! – urlo cercando di fermarla.
Scendo le scale velocemente ed esco prima in giardino e poi sulla strada, ma ormai è troppo tardi: di mia sorella non c'è più neanche l'ombra. Dove stava andando? Perché è scappata via da me? Mi avrà riconosciuta? E se si fosse dimenticata di me? Perché è tornata a casa? E cos'erano quei fogli?
Incazzata e confusa mi prendo la testa tra le mani e crollo a terra.
Andreas poggia le sue mani sulle mie spalle attirandomi a sé.
-Ti giuro che quando tutto questo sarà finito torneremo a cercarla, ma adesso non possiamo perdere tempo Cate, dobbiamo trovare delle prove –
Annuisco leggermente e lo seguo di nuovo all'interno della casa.
Cerchiamo per ore nell'ufficio, in camera dei miei, nella mia stanza, nel salotto, perfino in bagno e in cucina, ma dopo aver messo a soqquadro la casa siamo al punto di partenza.
Non possono essere spariti, devono essere qui da qualche parte, per forza.
Non voglio credere che mia sorella li abbia presi, che i fogli che ho visto nella sua borsa fossero proprio quelli che stiamo cercando da ore.
Perché avrebbe dovuto prenderli? A lei a cosa servono?
Avrà capito le mie intenzioni? Impossibile.
Mi lascio cadere sul divano sospirando esausta.
Andreas arriva qualche minuto dopo con due bicchieri d'acqua. Me ne porge uno con un mezzo sorriso di conforto.
-Come facciamo adesso? – chiedo dopo aver buttato giù l'acqua.
-Non lo so, per la prima volta non ho un piano – sospira sedendosi al mio fianco.
Mi attira a sé con un braccio e mi bacia dolcemente i capelli.
Sollevo il viso e lo bacio a lungo sulle labbra.
-Senti, se dovesse andare per il peggio e tu dovessi venire licenziato per colpa mia, voglio che tu accetti quel lavoro a Londra, ti trasferisca lì e ricominci da capo, dimenticandoti di me – dico mordendomi un labbro.
-Cate stai scherzando? Anche se dovesse finire per il peggio io non mi arrenderei, sai che non so farlo. Non potrei mai dimenticarmi di te, neanche volendo. Cavolo, mi hai cambiato la vita – sorride.
-No, Andreas, davvero. Non ne vale la pena e là fuori ci sono tante altre ragazze, vedrai che ti innamorerai di nuovo – dico con la voce spezzata – e sarai felice anche senza di me. Devi esserlo. Io me la caverò – singhiozzo.
-Scema, io non ti lascio nemmeno se me lo urli contro. E voglio te, non le altre. A costo di aspettare per dodici anni che tu esca da lì –
-Ma la tua vita... - inizio mentre una lacrima mi riga il volto.
-La mia vita prima che arrivassi tu non significava nulla – sussurra asciugandomi la guancia con il pollice.
-Quanto sei smielato – rido continuando a piangere.
-Mh, forse un po' – ridacchia prima di baciarmi la fronte – Che mi arrestassero, non riuscirai a sbarazzarti di me di nuovo –
Sorrido.
All'improvviso, però, sento le sirene della polizia avvicinarsi alla casa mentre la macchina si ferma davanti al cortile.
Come se fosse un déjà-vu, sento l'aria mancarmi e il panico assalirmi.
Respiro affannosamente alzandomi dal divano.
Andreas mi stringe la mano.
-Andrà tutto bene – sussurra.
Ha gli occhi lucidi.
Ma non ho il tempo di rispondergli che la polizia irrompe in casa.
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