33. Dovete credermi
Quando arriviamo davanti all'istituto, scendo dalla moto e mi tolgo velocemente il casco, correndo verso il portone d'ingresso.
Andreas mi raggiunge e mi afferra una mano, intrecciando le sue dita alle mie.
Mi volto a guardarlo.
-Non sei sola – sussurra.
Gli sorrido grata prima di aprire la porta.
-Dio mio, eccovi finalmente! – ci accoglie Anne con uno strillo.
Dire che è incazzata è dire poco.
-Anderson, si può sapere chi le ha dato il permesso di far uscire una detenuta? –
-Non è più una detenuta – le risponde lui calmo.
Anne mi rivolge uno sguardo interrogativo.
-Non ho ucciso i miei genitori – la voce mi trema mentre le mie parole riecheggiano nel silenzio dell'atrio. Andreas mi accarezza la mano con il pollice per ricordarmi della sua presenza, io faccio un sospiro e racconto la verità.
Che sia giusto o meno, non mi tiro più indietro.
Sono stanca di farlo.
Racconto della malattia di mia sorella, di come mia madre sia riuscita a nasconderla dando a me ogni colpa, di quel 9 settembre, la morte dei miei genitori, la fuga di mia sorella, le menzogne.
Anne non proferisce parola durante il mio racconto, e intanto sono arrivati anche Mark e alcune guardie fuori turno ad ascoltare.
Sento il peso dei loro sguardi su di me ma non mi fermo, continuo a parlare ininterrottamente.
Non pensavo che questo giorno sarebbe mai arrivato, che la verità sarebbe mai stata ammessa, pensavo sarebbe successo solo dopo la mia morte o, peggio, mai.
C'è un attimo di silenzio dopo la fine del racconto, prima che Anne si schiarisca la voce.
-Ehm, cara, e come pensi di dimostrare tutto questo? Insomma, ce li hai dei documenti? Dei testimoni? Non è così facile incolpare qualcun altro di un omicidio in modo da difendere se stessi – mi chiede.
Cazzo.
Non ho nulla, è ovvio che non mi credano.
È una follia. Ed io non ho le prove.
Mi volto a guardare Andreas che sembra essere nervoso quanto me.
-Anne sei stata la prima ad avere dubbi sulla sua documentazione, e adesso non le credi? – interviene lui.
-Andreas, un conto è avere dubbi su dei certificati, un altro è credere ad una pazza documentata che dice di essere innocente. Non è così semplice e non è la prima volta che qualcuno prova ad evadere in questo modo. Non possiamo permetterci di essere superficiali –
-Anne posso dimostrarlo io, è innocente, io le credo –
-Su quali basi? Ti abbiamo spiegato come funzionano le cose qui dentro, non sembra tu abbia rispettato i tuoi ordini nell'ultimo periodo – che stronza – Verrai immediatamente incaricato di un'altra sezione e tu – ordina poi ad una guardia che non ho mai visto prima di adesso – occupati della ragazza, riportala alla sua cella e tienila d'occhio. Non permettere che esca di nuovo da questo istituto senza il permesso –
La guardia stringe una mano attorno al mio braccio strattonandomi via.
-No! – urlo cercando di liberarmi, ma altri due uomini vengono a tenermi ferma – Andreas, ti prego, non lasciarmi! –
-Anne, ti prego, dacci solo un minuto – supplica.
La vipera si limita a fissarlo.
-Anne per favore – insiste lui.
-Un minuto, non di più – si arrende voltandoci le spalle.
Le guardie allentano la presa ed io mi vincolo correndo tra le braccia di Andreas prima di scoppiare in un pianto disperato.
Mi stringe a sé accarezzandomi i capelli.
-Io senza di te non so se ce la faccio – sussurro.
Sento la sua mano accarezzarmi un fianco e infilarmi qualcosa nella tasca destra dei jeans.
-Non lascerò che succeda di nuovo. A mezzanotte troverò il modo di distrarre la guardia della tua sezione e farò disattivare le telecamere, sai dove farti trovare – mi sussurra e mi ruba un bacio sulle labbra prima che mi portino via.
Continuo a singhiozzare confusa mentre mi allontanano da lui, fino a quando non mi spingono dentro la mia cella per poi chiudermi dentro.
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