29. Sono stanca

Alla fine, esausta, scoppio in un pianto disperato sedendomi a terra, in un angolo in cui non ci sono vetri.
Mi prendo la testa tra le mani singhiozzando.
-Piccola, sei così piccola – sussurra Andreas sedendosi vicino a me per stringermi a sé facendomi sentire davvero tanto piccola – Quanta rabbia avevi dentro eh? –
Mentre mi parla mi bacia i capelli ed io non posso fare a meno di tranquillizzarmi.
-Non ti lascerò mai più affrontare tutto questo da sola, non devi più trattenerle le lacrime, né le urla. D'ora in poi ci sono io qui con te e non ti lascio Cate. Te lo giuro, possa morire ma non ti lascio – continua – Non ti lascio – ripete come un eco.
-Sai cosa mi dispiace? – dico dopo aver taciuto per un po' – Il fatto che non mi dispiaccia. Non mi dispiace di aver distrutto tutti quei quadri, perché certi ricordi stavano distruggendo me, Andreas. Non c'è un solo momento felice che riesca a ricordare con la mia famiglia che non venga rovinato dalle crisi di mia sorella, dalla polizia, dalle medicine, dagli assistenti sociali. Avevo solo tredici anni, cazzo, Andreas. Avevo ancora tanto da vivere, porca puttana, ma mi hanno bruciato gli anni più belli della mia cazzo di vita, e sono una cogliona perché me ne rendo conto solo adesso. Come posso perdonarli? Come? Porca merda, come posso perdonare Lauren? –
Mi accorgo solo appena finisco di aver urlato.
Andreas non mi risponde ma continua ad accarezzarmi i capelli.
Le parole che seguono escono lentamente dalla mia bocca, senza che io opponga resistenza.
-Io voglio confessare tutto – scandisco come un sussurro.
A quel punto Andreas mi guarda preoccupato.
-Sei sicura di volerlo fare? –
-Andreas io so solo che sono stanca di vivere così – ed è la verità.

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