18. Non è colpa mia
Sento un colpo di pistola.
Ma è lontano, forse è stata solo un'impressione.
E invece no.
Si ripete.
L'eco non mente, e nell'oscurità si ripete un secondo boato.
Ed è vicino.
Troppo.
Troppi ricordi tornano ad esplodermi nella testa e ho paura che possano distruggermi. So quanto sia forte il loro potere e so quanto sia debole io.
Ma non sono sola.
Non più.
Mi sveglio di soprassalto e mi ritrovo davanti agli occhi un cielo di stelle. Improvvisamente questo mi fa già stare meglio.
Poi sento il rumore delle onde che si infrangono sulla riva.
-Cate – sussurra Andreas stropicciandosi un occhio mentre io cerco di tornare alla realtà.
Ieri sera ci siamo addormentati qui sulla spiaggia dopo il tramonto, quei colpi di pistola sono stati solo uno stupido incubo.
Un altro stupido incubo.
-Che è successo piccola? – mi chiede avvicinandomi a sé con un braccio. Respiro a lungo nella sua felpa.
-Nulla, un incubo –
Sta in silenzio un attimo passandosi una mano tra i capelli.
-Cate, so che ti avevo promesso di non tirare più fuori l'argomento, ma è evidente che tu nasconda qualcosa che ti fa stare male e ti spaventa. Sai che di me puoi fidarti, non penso di essere soltanto un semplice bodyguard per te ormai e mi dispiace essere impotente sulle tue angosce –
Mi rimetto seduta dritta sul telo da mare. Sospiro.
-Andreas mi piacerebbe parlartene ma non posso –
-Perché Cate? Chi te lo impedisce? Ci siamo solo io e te qui, ti giuro di non raccontare niente a nessuno. E poi non saprei a chi raccontarlo – ridacchia un po'.
Lascio che sia il silenzio della notte a rispondere.
-Non sei stata tu a uccidere i tuoi genitori, non è così? –
-Perspicace – sussurro.
Sto per cacciarmi nei casini, lo so benissimo, ma mi sono rotta il cazzo di fingere. E non voglio più mentire ad Andreas.
Lui mi stringe una mano, incoraggiandomi a parlare.
-Okay, ehm, sarà la cosa più assurda che sentirai da qui a tanto tempo e stenterai a credermi, ma ho mentito per troppo, non continuerò a farlo - mi fermo per qualche secondo, poi inizio a raccontare - Avevo tre anni quando i miei genitori decisero che mi avrebbe fatto piacere avere una sorellina – sorrido leggermente – e così il 29 marzo di quattordici anni fa nacque Lauren, con i capelli rossi di mio padre e gli occhi verdi di mia madre. "La bimba più bella della famiglia" diceva chiunque la vedeva per la prima volta. Ed era bella davvero. Forse fu per questo che Dio la punì. Quando aveva sette anni scoprimmo che aveva dei disturbi neuro cognitivi. Ed io a dieci anni ero troppo piccola per capire di cosa si trattasse. Insomma, era pazza. I medici avvertirono i miei genitori che sarebbe stato meglio affidarla ad ospedali psichiatrici e lasciarla per qualche anno nelle mani di esperti, ma i miei non ne vollero sapere.
Non riuscivano nemmeno a crederci: la loro bellissima bambina, una pazza. Ed io che ero sempre stata il brutto anatroccolo della famiglia ero lì ogni giorno costretta a stare con mia sorella, tenerle compagnia, e stare attenta che non mandasse a fuoco casa mentre i miei erano a lavoro. Passare così tanto tempo insieme ci unì in un legame bellissimo, l'unica cosa in cui credevo realmente negli ultimi anni. Ma ovviamente lo scopo dei miei genitori non era quello di crescerci insegnandoci ad amarci l'un l'altra, quella fu solo una conseguenza delle dure regole che mi imposero. "Non rispondere mai al campanello Cate, evita i dottori, non tirare mai fuori l'argomento con gli estranei, non dire che tua sorella sta male, pensa sempre a tua sorella, la sua vita è più importante della tua." Pensavo lo dicessero solo perché Lauren era malata, ma ricordo la prima volta che mia sorella ebbe una crisi, mia madre pianse per una buona mezz'ora in bagno, mentre mio padre cercava di consolarla e tra un singhiozzo e l'altro la sentii dire "Avrei preferito che fosse toccato a Cateline" – la voce mi si spezza ed una lacrima mi riga il volto – Scusa – sussurro prendendomi la testa tra le mani.
Andreas mi stringe a sé e mi bacia dolcemente la fronte accarezzandomi i capelli.
Mi sposta le mani dagli occhi.
-Non devi nasconderti con me – sussurra deciso.
Mi mordo un labbro. Respiro a lungo prima di riprendere.
-Mi fece più male che assistere alla seconda crisi di mia sorella, e poi alla terza, e alla quarta. Vedere quanto mia madre tenesse a lei e così poco a me, indebolì il legame che legava me e mia sorella e mi vergogno nel dire che molte volte avrei voluto che non fosse mai nata. Per mio padre invece era diverso, lui dava la stessa importanza ad entrambe, e i problemi di mia sorella per lui non dovevano condizionare la nostra vita, ma rendere la nostra famiglia più unita. Ma mia madre era ossessionata dal pensiero di perdere Lauren e molte volte penso che questo abbia portato a far impazzire anche lei. E invece ha portato a distruggere la nostra famiglia. A dieci anni mia sorella iniziò a sentire delle voci e a fare quello che le dicevano, e allora divenne difficile nasconderla. Fece esplodere il laboratorio di chimica a scuola, tagliò un dito ad una sua compagna, picchiò il ragazzo che le andava dietro facendolo finire in coma all'ospedale. E a quel punto intervennero gli assistenti sociali.
Non so come, ma mia madre riuscì tramite delle conoscenze a cambiare i fatti, a fare sì che, secondo l'ospedale, risultasse che gli esami dai quali emergevano i disturbi di mia sorella fossero i miei. E che, in sintesi, la pazza fossi io. La mia vita cambiò. Ospedali, visite, psicologi, farmaci, psichiatri, bugie e la storia da raccontare era sempre la stessa: "Mi chiamo Cateline Roussel e presento dei disturbi neuro cognitivi da quando avevo sette anni. Sento delle voci che mi dicono cosa fare ed io devo obbedirli", e ad i miei genitori non fregava più nulla di me. Per loro tutto ciò che contava era che nessuno sospettasse di mia sorella. Lei era importante per loro. Io no – mi fermo, anche se la storia non è finita.
Sono stanca.
È la prima volta che racconto questo lato della storia. Il lato secondo il quale è mia sorella la vera colpevole.
Non so se sia giusto o meno quello che sto facendo, so solo che ne ho bisogno. Ho bisogno di far uscire questo mostro da me, ho bisogno di ricordarmi la verità.
È troppo tempo che le bugie incidono sulla mia vita.
-Andò avanti così per due anni, poi per un buon periodo Lauren si calmò, i miei genitori smisero di portarmi dagli psichiatri e la polizia non venne più a cercarmi in casa. Insomma, stava tornando un po' tutto come prima, anche i miei genitori si erano tranquillizzati e riuscivano a dedicarmi più tempo. Pensavo che finalmente fosse tutto finito, che finalmente avrei potuto vivere la mia vita. Ma poi arrivò quel giorno – mi inizia a tremare la voce ma non mi fermo, non più.
- Ero appena tornata a casa da scuola e, non sentendo nessuno in casa, mi affacciai in cucina. Ed erano lì. I miei genitori in piedi terrorizzati davanti al tavolo, e Lauren che puntava loro addosso una pistola. Non mi videro. Mi chiedo se sapere che ero lì per loro avrebbe fatto la differenza. Mi chiedo sempre troppe cose. Mi chiedo come avrei potuto evitarlo, se avrei potuto evitarlo. Come sarebbe andata se invece non avessi assistito a quella scena. Se fossi rimasta a scuola. Se non mi fossi preoccupata di cercare i miei genitori quella mattina, avrei adesso i loro volti terrorizzati stampati nella mia testa? Indelebili? Lauren sparò prima a mio padre. Lo colpì alla testa. Poi a mia madre. Un buco nel petto. Ed io non feci nulla. Si girò accorgendosi della mia presenza, e forse di quello che aveva appena fatto, ma nessuna di noi due ebbe il coraggio di parlare. I vicini sentirono i colpi e fu questione di minuti prima che la polizia arrivasse sotto casa. Ricordo che stavo ancora piangendo sul corpo sanguinante dei miei genitori quando urlai a mia sorella di scappare, le dissi che ci avrei pensato io. Gettò la pistola a terra e corse fuori dalla finestra. Non la vidi più da quel giorno. Ma ancora ricordo la disperazione nei suoi occhi quando mi guardò per l'ultima volta. Forse è la stessa che si vede nei miei ogni singolo giorno. E beh, il resto della storia la conosci –
Sospiro a lungo.
-Cazzo, Cate – scandisce lui lentamente – Hai una forza assurda. Come hai fatto a sopportarlo? –
-Non ce l'ho fatta, è semplice – abbozzo un sorriso – Se ce l'avessi fatta adesso non staremmo qui a pararne. Ma non fa niente, va bene così. Tutti sanno che la colpevole sono io e deve continuare così –
-No, Cate, è proprio perché hai trovato la forza di parlarne che lo hai affrontato. Sei una roccia. Ma non è giusto, piccola, non devi pagare per qualcosa che non hai fatto. Posso aiutarti, io... –
-No Andreas, ti prego, non insistere, farebbe solo più male. Mi fido di te ed ho deciso di raccontarti la mia storia, ma devi mantenere con me il segreto, promettimelo –
Sospira.
-Non posso andare contro la tua volontà, ma sappi che se un giorno dovessi avere voglia di dire a tutti la verità, io sarò pronto a tenerti la mano. Non devi avere paura –
Annuisco leggermente mentre lui mi stringe tra le sue braccia accarezzandomi i capelli.
Poi in qualche modo mi addormento di nuovo.
Con il cuore un po' più leggero perché adesso non porto più questo peso da sola.
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