11. Quaranta minuti di libertà
È sera e sto per entrare in bagno per cambiarmi quando all'improvviso sento l'allarme antincendio riecheggiare dagli altoparlanti.
-Buonasera pazienti, questa è un'esercitazione antincendio quindi vi prego di mantenere la calma e avvicinarvi alle sbarre delle vostre celle, presto le guardie vi illustreranno le modalità dell'esercitazione – informa la voce sgradevole di Anne. Alzo gli occhi al cielo.
Ma cosa beve a cena quella donna? Con che coraggio fa scattare l'allarme antincendio in un manicomio chiedendo anche ai pazienti di non impazzire?
Sinceramente queste sue idee mi fanno pensare che io non sia così stupida come può sembrare.
Ignoro il panico che si sta (ovviamente) seminando nei corridoi e mi allungo sul letto sperando di passare inosservata.
È questione di poco prima che qualcuno mi venga a prendere. E quel qualcuno è Matt.
Appena lo vedo attraverso le sbarre salto giù dal letto e gli butto le braccia al collo abbracciandolo.
-Maaaaaaaaatt sei tornatoooooo – strillo mentre lui cerca di liberarsi dalla mia stretta. Non è mai stata una persona molto affettuosa ma, anche se spesso non lo dimostra, ha un cuore enorme.
-Ehi pazzoide – mi saluta stringendomi poi le mani con le manette – Scusami, devo farlo, ordini della vipera –
Faccio spallucce prima di seguirlo fuori dove mi metto in coda con tutti gli altri.
L'allarme smette di suonare quando siamo tutti fuori in cortile. Anne è su un palco improvvisato ed ha in una mano un microfono e nell'altra una lista: probabilmente i nostri nomi.
-Okay, signori, adesso vi chiamerò uno ad uno e voi mi segnalerete la vostra presenza. Non agitatevi e mantenete l'ordine e il silenzio durante l'appello –
Nomina un po' di nomi prima di arrivare al mio.
-Ci sono! – urlo annoiata dal fondo della coda.
Una mano mi tappa la bocca da dietro mentre un'altra si poggia sul mio fianco scoperto dalla maglietta facendomi venire un brivido.
Cerco di sottrarmi alla presa prima di accorgermi che è Andreas.
Mi fa cenno di seguirlo intimandomi di stare zitta.
Io obbedisco, confusa.
Ci allontaniamo dalla folla tanto da non sentire più Anne al microfono, quando lui si ferma all'improvviso all'ingresso di un bosco e prende dalle tasche un mazzo di chiavi per togliermi le manette.
-Che ti è saltato in testa? – gli chiedo mentre armeggia con il lucchetto.
-Avresti finito per causare il panico più di quanto lo abbia fatto l'allarme. L'ho fatto per il bene comune – ridacchia.
-Che scemo sei. E se ci beccano? –
-Ci vorranno circa quaranta minuti per finire l'appello, "illustrare le modalità di ritiro all'interno delle proprie celle" e dare la buonanotte, farò in modo che tu sia nel tuo lettino puntuale –
Rido mentre muovo le mani adesso libere.
-Dai, vieni. Devo farti vedere una cosa –
Camminiamo per un po' attraverso il bosco in silenzio, quasi avessimo paura di interrompere la magia del tacito suono della notte.
Mi piace Andreas: sa quando bisogna stare in silenzio e sa parlare il giusto. Poi è vero. Non ha paura di dire quello che pensa quando lo pensa, e sa come dirle le cose.
Ad un certo punto inizio a sentire il rumore dell'acqua che scorre.
-Andre... –
-Shh – mi zittisce dolcemente.
Sposta i rami degli alberi per permetterci di passare mentre il rumore diventa sempre più forte e vicino.
Lui si muove agevolmente, sembra conosca questo bosco a memoria. E probabilmente è così.
Mi aiuta a passare su un tronco di albero caduto e quella che mi trovo davanti è una cascata. Ma da quanto è qui?
-Vieni – avvicina la sua mano alla mia ed intreccia le sue dita alle mie mentre continua a camminare verso la sorgente.
Non ci mettiamo molto ad arrivare dietro la cascata, dove l'acqua copre l'ingresso di una grotta.
-Come hai scoperto questo posto? –
-Devo pur fare qualcosa mentre sono in pausa dal lavoro – si giustifica.
Mi siedo a terra appoggiandomi alla parete della grotta mentre lui accende un fuoco con due rametti. C'è un'atmosfera molto da film.
-Pensavo lo sapessero fare solo gli scout – dico meravigliata quando si accende la fiamma.
-Cinque anni nei lupetti prima di diventare capo squadriglia a sedici anni – risponde divertito.
-Sai anche cucinare? E andare in paracadute? Perché, davvero, ormai non mi meraviglio più di nulla –
-Sì, so cucinare ma ho paura dell'altezza: niente paracadutismo-
-Mi deludi – dico ironica mentre lui si siede di fianco a me con un pacco di marshmallow in mano.
Piego un po' la testa interrogativa.
-Ci sono anche le caramelle alla mela, tranquilla, non serve guardarmi con quel faccino per farmi intenerire –
Rido.
-Cazzo, André, dovresti avere un pugno più duro, lavori nelle prigioni –
-Me lo permetto solo con te – sussurra avvicinando il suo naso al mio per poi sfiorarlo. Continua per qualche secondo, guardandomi le labbra.
Adesso mi bacia.
Si morde un labbro e poi si allontana velocemente per tornare ai marshmallow e al fuoco.
Cosa mi aspettavo?
Sorrido e abbasso la testa.
Mangiamo per un po' parlando del più e del meno e l'atmosfera che si è creata mi mette davvero a mio agio.
Sarà che c'è il fuoco, ma se non ho freddo è anche perché sto bene davvero adesso.
-Posso dirti una cosa? – chiedo quando il discorso si interrompe.
-Tutto quello che vuoi – mi risponde guardandomi negli occhi.
-Io voglio vivere – la mia voce è quasi spezzata.
Non dice nulla, aspettando che io continui.
-Io non voglio più starci chiusa lì dentro, Andreas. Mi manca la mia vecchia vita: le corse per non perdere l'autobus la mattina, prendere la metro senza avere una meta, sentire l'odore del mare in estate e camminare per ore senza sapere nemmeno dove mi trovi, stare con la mia famiglia, andare ai concerti, addormentarmi con le cuffiette nelle orecchie o sui fogli da disegno ed essere svegliata dolcemente da mio padre che mi porta verso il letto mentre sono ancora mezza rincoglionita. Uscire a notte fonda sul balcone e non sentirmi sola, scappare ma sapere che una casa e qualcuno lì ad aspettarmi ce l'ho, che posso sempre tornare indietro. Dormire fino a mezzogiorno la domenica e subirmi le urla di mia madre quando per l'ennesima volta non sento la sveglia. Mi manca addirittura andare a scuola. Essere cacciata dalla classe, gioire dei bei voti e delle interrogazioni a maggio che mi salvano dai debiti. Incontrare persone nuove in treno con la consapevolezza che non le rivedrò mai più, fare le maratone di serie tv in pigiama perché tanto bastano Netflix e il cibo per migliorare una giornata di merda. Litigare con i miei genitori, mandarli a fanculo e poi ritrovarmi tra le loro braccia, sul divano, a guardare un film tutti insieme. Prepararmi il caffè e scordarmelo puntualmente sui fornelli facendo credere a tutti che la casa stia andando a fuoco.
Provare a leggere un libro e finire per addormentarmici su dopo qualche capitolo. Scrivere un diario, scattare foto e collezionare ricordi. Correre, camminare, fermarmi, rubare un tramonto, una serata, un sorriso, fare cazzate e non pentirmene. Essere viva davvero. Mi manca, Andreas, mi manca troppo porca puttana – quando finisco ho gli occhi gonfi di lacrime e sto tremando.
Lui mi fissa per un po' e poi apre le braccia sorridendomi leggermente.
-Vieni qui – mi invita.
Tiro su con il naso e mi avvicino a lui rifugiandomi tra le sue braccia. Mi stringe e mi bacia la fronte.
Mi scende una lacrima lungo la guancia ma sono a casa.
Non è ancora troppo tardi.
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