Capitolo 89 - Una vita in cambio di migliaia
Con gli occhi che le luccicavano per l'emozione, la donna dai capelli castani raccolti in un elegante chignon inclinò la testa in avanti con fare riconoscente, mentre alle sue spalle la fila di ostaggi procedeva a passo spedito attraverso la hall.
''Grazie, grazie mille!'' ripeté commossa per la quarta volta.
Avendo perso il conto delle occasioni in cui aveva assistito a scene come quella, Alessandro era quasi tentato di accettare la gratitudine restando in silenzio, ma alla fine si costrinse ad abbozzare una risposta.
''Di nulla'' bofonchiò con voce soffocata.
Appena oltre lo sbocco del corridoio, che conduceva al vano scale, un vigile del fuoco stava finendo di aiutare un collega a trasferire un signore paraplegico dalla sedia di evacuazione alla propria carrozzina, ma quando notò la donna uscita dalla fila, si affrettò subito a richiamarla all'ordine.
''Nessuno si fermi!'' sbottò irritato. ''Continuate a camminare!''
Imbarazzata dal rimprovero, la donna gli rivolse un ultimo cenno di saluto col capo, e poi si riunì alla fila diretta all'esterno dell'edificio. Nel frattempo, all'altro capo della hall, Dan era impegnato a supervisionare il recupero dei resti di Malik. Nonostante fossero trascorse più di due ore, con l'evacuazione da gestire, il recupero dei corpi degli attentatori dai piani superiori, e la piccola diatriba scoppiata tra agenti dell'FBI e vigili del fuoco, soltanto adesso si era riusciti a portare a compimento quell'ingrato compito.
Quando vide quella che sembrava una scarpa coperta di fuliggine e sangue secco venire inserita all'interno del telo, Alessandro si sentì prendere dallo sconforto. Non avrebbe voluto che finisse così.
''Ehi''
Per riconoscere quella voce proveniente non aveva bisogno di abbassare lo sguardo. Il capitano Dan Carter era in piedi a pochi metri da uno dei suoi giganteschi scarponi e lo scrutava con evidente apprensione.
''Adesso iniziamo con quelli del quarantaseiesimo piano'' lo informò in tono incoraggiante, ''ormai siamo agli sgoccioli''
''Sbaglio o lo eravamo anche dieci piani fa?'' ribatté Alessandro sarcastico.
Dan fece un sorriso amaro, ma non approfondì l'argomento.
''Hai già pensato al dopo?''
Alessandro non dovette riflettere nemmeno un secondo per sapere cosa dire. Superata la prima ora di attesa, e con essa la paura che il soffitto si spaccasse senza alcun preavviso sommergendo tutto e tutti, la sua mente aveva vagato tra immagini di buffet chilometrici e banchetti medievali, in un disperato tentativo di soddisfare quello che al momento era il suo desiderio principale. Ovverosia, placare la fame mostruosa, che diventava sempre più asfissiante e insopportabile ad ogni minuto che passava.
''L'unica certezza che ho, è che quando questa storia sarà finita, New York rischierà una crisi alimentare'' scherzò a denti stretti.
''Parlo seriamente'' puntualizzò Dan.
Questa volta Alessandro attese un po' prima di rispondere. Col proprio peso immane, il soffitto che reggeva sulla schiena non smetteva mai di ricordargli la precarietà della sua condizione. Sarebbe stato ingenuo ai limiti dell'assurdo sperare di poter fuggire non appena si fosse deciso a mollare la presa.
A quella prospettiva lui si era già rassegnato. Era inevitabile, e quindi non avrebbe avuto senso rifiutarsi di accettarla. Nel tentativo di non lasciarsi sopraffare dal panico, continuava a ripetersi che ce l'avrebbe fatta, che ne sarebbe uscito incolume, come era sempre successo, del resto.
Ciononostante, dentro di lui, una minuscola vocina non esitava a punzecchiarlo, ogni volta che osava formulare quella frase nella mente.
Davvero ne sei così sicuro?
Alessandro non le rispose mai.
''Non ce la farò ad uscire in tempo'' ammise asciutto alla fine, ''ma ho la pellaccia resistente. Me la caverò''
O almeno lo spero
Il sorriso abbozzato che gli affiorò sul volto non parve convincere del tutto Dan, anche se l'agente evitò di insistere.
''Se dopo quello che è successo oggi non ti offrono la medaglia d'oro del congresso, giuro che do le dimissioni'' promise con decisione.
''Ti ringrazio per il pensiero, ma l'unica cosa che ci potrei fare adesso è mangiarmela'' lo informò Alessandro arricciando le labbra in un ringhio famelico.
Un vigoroso brontolio riecheggiò per la hall, e molti tra i civili che si stavano dirigendo verso l'uscita presero a guardare spaventati il soffitto, temendo che questi potesse crollargli addosso da un momento all'altro. Soltanto Dan parve intuire subito quale fosse l'origine di quel rumore, anziché fraintenderlo per un cedimento strutturale.
''È il tuo...''
Alessandro non lo fece finire. A suo parere, gli sguardi curiosi provenienti dalla fila di ex ostaggi, erano già più che sufficiente a metterlo in imbarazzo, senza che ci si dovesse pure aggiungere quel particolare.
''Sì'' tagliò corto lui. ''Non farci caso''
Dan si limitò ad annuire. La sua squadra lo raggiunse pochi istanti dopo, trasportando quel che restava del cadavere di Malik, racchiuso all'interno di un sacco argentato.
''Capitano''. Non appena Archie ebbe ottenuto la sua attenzione, indicò col pollice i colleghi alle proprie spalle. ''Noi abbiamo finito. Viene anche lei?''
Per tutta risposta Dan tornò a guardare Alessandro.
''Vai pure'' lo rassicurò lui, ''non c'è bisogno che resti qui''
''Ma...''
''Ho detto che ce la faccio!'' ringhiò Alessandro spazientito.
Stupito dalla durezza della propria voce, si rese conto che la fame lo stava rendendo irritabile, e la cosa non gli piacque per niente. Quando riprese a parlare però, il suo tono parve essersi notevolmente ammorbidito.
''Scusa, non volevo''
Daniel accennò un sorriso comprensivo.
''Tutto a posto''
Alessandro sospirò. Anche senza provare realmente fatica, il desiderio assillante di mangiare compensava abbondantemente quel vantaggio.
''Dopo che l'evacuazione sarà finita, attenderò dieci minuti prima di mollare la presa'' gli spiegò cercando di apparire tranquillo. ''A quel punto, vi raggiungerò''
Sebbene continuasse a nutrire più di qualche perplessità, alla fine Dan gli rivolse un cenno d'assenso.
''Ok''. Si strinse nelle spalle. ''Beh, riguardati'' disse in tono amichevole.
''Anche tu'' rispose Alessandro. E chiudendo gli occhi si congedò, così da concentrarsi unicamente sul fardello immane che gli gravava sulle spalle.
Il capitano andò dietro ad Archie e agli agenti della scientifica, ma quando ormai si trovava a pochi passi dalla porta d'ingresso, Alessandro lo richiamò. Dan e altri membri della sua squadra si voltarono pressoché all'unisono, scoprendo che, pur senza smettere di camminare, anche molti tra i civili in fila avevano fatto lo stesso.
Alessandro rivolse un'occhiata fugace alla processione incuriosita, ma non volendo lasciarsi distrarre da quegli sguardi avidi, decise di ignorarli e concentrarsi unicamente su Dan.
''Se dovessi...''
Spaventato dalla frase, quasi quanto dalla prospettiva che essa celava, non riuscì a pronunciarla.
''Se le cose non andassero come sperato'' si corresse in fretta, ''ricordati di riferire a Tommy e Violet quello che ti ho detto''
''Glielo dirai tu'' replicò risoluto Dan, ''ma lo farò''
Alessandro accennò un sorriso.
''Grazie''
L'evacuazione si concluse entro una trentina di minuti dalla partenza di Dan e della sua squadra, e come aveva promesso, Alessandro iniziò a contare dal momento in cui l'ultimo vigile del fuoco gli augurò buona fortuna, per poi uscire dalla porta principale.
...centosedici, centodiciassette...
Doveva arrivare fino in fondo. Ce la doveva fare.
...duecentotrentaquattro, duecentotrentacinque....
Anche se la meta pareva ancora lontana, presto ci sarebbe arrivato. Era questione di poco.
...trecentouno, trecentodue, trecentotré...
Perché diavolo aveva dovuto dire proprio dieci minuti?! Non ne bastavano cinque per mettersi in salvo?!
...quattrocentootto, quattrocentonove...
Ancora un po' di pazienza e poi sarebbe tornato da Violet. Già, Violet.
Chissà dove si trovava in quel momento. Era rimasta a casa, come da lui consigliato, oppure aveva deciso di raggiungerlo subito dopo aver scoperto quel che stava succedendo? E Tommy invece? Anche lui sarà stato in apprensione?
...cinquecentoundici, cinquecentododici...
E se si fosse sbagliato? E se non fosse mai uscito da sotto le migliaia di tonnellate di macerie che stavano per piombargli sulla testa?
Sventare quell'attentato avrebbe finito col diventare il suo ultimo atto. Non ci sarebbe stato un dopo. Non avrebbe più rivisto Violet, Tommy, e nemmeno papà, mamma, Alice o Marco. Sarebbe morto lì, sepolto sotto i resti del Brooks Plaza, fino a quando non fossero riusciti a recuperare il suo corpo, o ciò che ne rimaneva. Chissà che ne avrebbero fatto?
...cinquecentosessantatré, cinquecentosessantaquattro...
Non poteva morire. C'erano ancora così tante cose che avrebbe dovuto fare. E che voleva fare. Non era pronto per la morte. Non ancora. Non adesso.
...cinquecentonovanta, cinquecentonovantuno...
Ok, tempo scaduto. Adesso era il momento di effettuare la prova del nove. Vita o morte. A quale delle due stesse andando incontro restava un mistero. Fosse stato uno scommettitore, probabilmente avrebbe puntato sulla seconda.
...cinquecentonovantotto, cinquecentonovantanove...
Dannazione a lui e alla sua mania di fare sempre l'eroe! Se non altro sarebbe stato un ottimo scambio. Migliaia di vite al prezzo di una. Nel caso l'avesse sentito raccontare da qualcuno, non avrebbe esitato a definirlo un gesto nobile, ma per qualche ragione, adesso lo sembrava molto meno.
...seicento.
Sgombrata la mente dai pensieri Alessandro prese un profondo respiro, e poi agì. Con una lentezza quasi solenne le sue braccia e i tentacoli che sorreggevano il soffitto si distesero al massimo della loro lunghezza, spingendo il proprio fardello verso l'alto. Tra sinistri scricchiolii e sbuffi di polvere l'edificio prese dunque a sollevarsi, centimetro dopo centimetro, finché Alessandro non ebbe abbandonato la postura curva in cui era stato costretto fino ad allora.
Adesso la sua schiena appariva perfettamente dritta, le braccia e i tentacoli tesi, i denti stretti per lo sforzo, mentre una tormentosa incertezza provvedeva a stringergli il cuore in una morsa. Forse, la hall devastata del Brooks Plaza che stava fissando in quel momento, sarebbe stata anche l'ultima cosa che avrebbero visto i suoi occhi.
Ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di cominciare a scorrere, Alessandro diede al soffitto una poderosa spinta con le braccia, e quando non avvertì più il tocco del cemento sulla pelle ridusse le proprie dimensioni a quelle di un comune umano, per poi rinchiudersi all'interno dello stesso guscio nero nel quale si era rifugiato assieme a Philip.
Un attimo prima che il grattacielo gli rovinasse addosso i suoi pensieri andarono a Violet.
***
Alte colonne di fumo grigio si levavano nel cielo da dietro la palazzina alla loro destra, mentre le sirene delle ambulanze continuavano a riecheggiare in lontananza. A causa della sottile cortina di fuliggine che aleggiava nell'aria gli occhiali di Tommy non facevano che appannarsi, costringendolo a dargli una pulita ad intervalli regolari.
Per quanto seccante però, quella scocciatura non rappresentava che l'ultimo dei suoi pensieri. Divorato dall'ansia com'era, non riusciva a smettere di camminare su e giù lungo il marciapiede, interrompendosi soltanto per controllare l'ora o estrarre di tasca il fazzoletto con cui rimuoveva lo sporco dalle lenti.
La vista delle transenne che bloccavano l'accesso all'incrocio, pochi metri più avanti, gli incuteva un senso di impotenza insopportabile, ma per quanto desiderasse potervi porre rimedio non esisteva niente in grado di farlo.
Fosse stato per lui avrebbe scavalcato lo sbarramento, e una volta raggiunto il sito del disastro si sarebbe messo a scavare tra le macerie armato di badile. Era un desiderio sciocco e privo di ogni logica, ma piuttosto che restare fermo ad attendere come un deficiente, persino quella prospettiva pareva mille volte migliore.
Nel tentativo di sfogare la propria frustrazione, camminò a passo deciso in direzione delle transenne e vi si appoggiò contro. Per mettere in pratica ciò che aveva in mente, sarebbe bastato superare quella stupida barriera e svoltare l'angolo. Sembrava così semplice.
''Allora?'' chiese voltandosi di scatto. ''Adesso possiamo avvicinarci?''
Subito dopo aver sentito il capitano Carter congedarsi dal capo dei vigili del fuoco, Tommy non aveva perso tempo a porre la domanda che si teneva dentro da dieci minuti buoni.
''Mi dispiace signor Campbell, ma ci sono ancora troppi incendi in mezzo alle macerie'' gli spiegò Dan andandogli incontro. ''Finché i vigili del fuoco non saranno riusciti a gestirli, avvicinarci ancora sarebbe un rischio inutile''. Diede un leggero colpetto di tosse. ''Non che respirare quest'aria sia esattamente un toccasana''
''Mi assumo tutta la responsabilità di questa scelta'' insistette Tommy senza esitazione, ''firmerò una liberatoria se necessario, purché possa arrivare almeno sul bordo esterno''
''È molto nobile da parte sua'' si complimentò Dan rivolgendogli un sorriso comprensivo, ''però cerchi di avere ancora un po' di pazienza''. Gli diede un colpetto sulla spalla. ''Sono certo che alla fine lo tireranno fuori''
Tommy sbuffò con evidente frustrazione, poi si tolse gli occhiali per massaggiarsi gli occhi.
''Perché si va a cacciare sempre nei guai?'' chiese amareggiato con la testa china. ''Doveva andare in pasticceria, non finire sotto un grattacielo''
''A mia discolpa possa dire che in pasticceria ci sono stato'' disse una voce straordinariamente familiare, ''il casino è avvenuto dopo''
Tommy si tolse immediatamente la mano dalla faccia e puntò lo sguardo verso il punto da cui proveniva la voce. Una macchia sfocata, dalle fattezze vagamente umane, gli ricordò che non si era ancora rimesso gli occhiali. Non appena l'ebbe fatto però, tutti i pochi dubbi che aveva sparirono in un istante.
Il ventenne che gli sorrideva affabile al suo fianco infatti, non aveva bisogno di presentazioni, e lui lo riconobbe per quello che era nell'istante stesso in cui ebbe posato gli occhi su di lui. Senza che dovesse aggiungere altro, Tommy gettò le braccia al collo di Alessandro e lo strinse in un caloroso abbraccio.
Reagendo con una compostezza impeccabile di fronte a quell'apparizione improvvisa, Dan si portò alle labbra la trasmittente che teneva appesa alla cintura.
''Comandante, dica pure alle squadre di smettere di cercare''. Guardò divertito Alessandro mentre ricambiava la stretta dell'amico. ''È uscito da solo''
I due rimasero abbracciati ancora per qualche secondo e poi si separarono.
''Sei assolutamente...'' esordì Tommy.
Alessandro lo interruppe alzando una mano.
''Grazie, ma non è necessario che tu mi faccia i complimenti'' disse sfoggiando un sorrisetto compiaciuto.
''In realtà, stavo per dire pazzo e sconsiderato'' lo corresse Tommy.
Per nulla colpito da quell'accusa, Alessandro si limitò ad alzare un sopracciglio e Tommy inclinò la testa con aria indulgente.
''Ma anche eroico'' ammise affabile.
''Su questo punto sottoscrivo in pieno'' gli fece eco Dan.
Le sirene di almeno tre ambulanze diverse rimbombarono a qualche isolato di distanza. Il sorriso di Alessandro si spense.
''Quanta gente è...''
Non riuscì a finire la frase, ma intuendo ciò che volesse dire, ci pensò Dan a farlo al posto suo.
''Il bilancio è ancora provvisorio'' premise pacato, ''ma per il momento i decessi confermati a causa degli attentati suicidi sono centosessantatré''. L'espressione sbigottita di Alessandro lo spinse ad aggiungere: ''qui al Brooks Plaza però si conta solo qualche ferito lieve e una vittima''
Estrasse lo Smartphone dalla tasca dei pantaloni, e dopo aver toccato lo schermo col dito un paio di volte, passò il cellulare ad Alessandro
''Liam Smith. Era un impiegato della compagnia d'assicurazione al decimo piano''
Quando Alessandro guardò il display vide la foto di un uomo sorridente sulla quarantina, vestito con un completo grigio a righe e una vistosa cravatta rosso porpora. Sembrava il tipo di immagine da allegare ad un curriculum o ad un profilo web. Non comparivano familiari o parenti nella foto. Forse nemmeno li aveva. Di sicuro Alessandro non desiderava scoprirlo. La semplice prospettiva gli rivoltava le budella.
''Se soltanto fossi stato più veloce'' commentò mesto mentre riconsegnava lo Smartphone a Dan.
''Un morto su quattromiladuecentotrentasette potenziali vittime'' gli ricordò il capitano rimettendosi il cellulare in tasca, ''direi che per oggi hai fatto l'impossibile''
Alessandro non parve granché convinto da quelle parole e, accorgendosi della cosa, Tommy provò a consolarlo appoggiandogli una mano sulla spalla.
''Eccolo, è lui!''
L'esclamazione inaspettata gli fece sollevare la testa. A circa venti metri di distanza, una donna avvolta in un tailleur beige puntava il dito verso di lui, mentre si rivolgeva al collega cameramen.
''Sì, deve essere quello vicino a Campbell''. Agitò il braccio in aria mentre si avviava nella loro direzione. ''Signor Kama! Signor Kama!''
''Dannazione, Jimmy!'' sbottò Dan andandole incontro. ''Avevo detto niente giornalisti!''
Sbucando in tutta fretta da dietro un furgone parcheggiato accanto al marciapiede, due agenti dell'FBI raggiunsero subito giornalista e cameramen, impedendogli di procedere.
''Signor Kama! Signor Kama!'' urlò ancora la donna saltando sul posto e agitando il braccio in aria nel tentativo di farsi notare.
Mentre Dan e gli altri agenti li costringevano ad arretrare, Alessandro ne approfittò per buttare l'occhio oltre il gruppetto. Quasi un chilometro più avanti, dietro le transenne che impedivano l'accesso a quella parte della strada, si scorgeva una folla oceanica, trattenuta a stento dal cordone di poliziotti stanziato a difesa della barriera. Tale era l'entità dei loro numeri, che persino a quella distanza si sentivano le voci e gli schiamazzi della gente.
''C'è parecchia confusione là in fondo, eh?'' disse Alessandro sarcastico.
Tommy sorrise.
''Tu non puoi immaginare'' commentò divertito.
Nel frattempo, sul marciapiede dall'altro lato della strada, Alessandro scorse una figura che fino a quel momento non aveva notato, e quando la riconobbe, una scarica elettrica lo percorse da capo a piedi.
Era Violet.
Avendo intuito ciò che era accaduto semplicemente osservando la sua espressione, Tommy non si prese nemmeno la briga di voltarsi.
''Quando sono venuto qui lei era già arrivata'' lo informò con semplicità, ''stava cercando di convincere gli agenti di guardia a permetterle di avvicinarsi''
Alessandro deglutì. Alla fine era venuta sul serio. Era venuta per lui. Lo stomaco riprese a brontolargli più forte che mai, e per un istante Alessandro si stupì di avere fame. D'altronde, come poteva provare qualcosa di simile quando aveva la pancia piena di falene svolazzanti?
''Potrei...''
''Vi lascio soli'' lo anticipò Tommy con un sorriso.
Anche se l'amico s'incamminò subito verso il furgone accanto a cui si trovava il capitano Carter, in realtà non era affatto necessario che si allontanasse. Molto prima che fosse riuscito a raggiungerlo, Alessandro si trovava già sul marciapiede opposto davanti a Violet.
Al contrario di Tommy però, lei non gli gettò le braccia al collo, né diede in manifestazioni di entusiasmo. In effetti, si mantenne sorprendentemente fredda. Il suo sguardo ricordava quello di una madre mentre accoglieva il figlio che rincasava a notte fonda, con almeno cinque ore di ritardo.
''Ti trovo bene'' esordì a braccia incrociate, ''per essere uno che è appena finito sotto migliaia di tonnellate di macerie''
''Me la sono cavata'' confermò Alessandro scrollando le palle.
''Ne eri così sicuro?'' lo incalzò lei alzando un sopracciglio.
Apprensione? Che fosse davvero quello il problema? Se fosse stato così, allora era in pensiero per le sue condizioni. Alessandro non sapeva se essere più contento o preoccupato.
''Diciamo che lo speravo'' confessò con noncuranza, nel chiaro tentativo di sdrammatizzare.
''Hai lasciato molto al caso'' gli fece notare Violet, con una punta quasi impercettibile di stizza.
''Rischi del mestiere'' precisò Alessandro, cercando di mostrarsi sicuro di sé, ''insomma, mica potevo farmi dare il cambio, ti pare?''
Con uno scatto improvviso Violet si sporse verso di lui e gli assestò un caldo bacio sulla bocca. Totalmente incapace di muovere un singolo muscolo, Alessandro sgranò gli occhi e trascorse i secondi che seguirono a crogiolarsi in una sorta di estasi mistica, a metà tra lo sconcerto e il godimento.
Era la prima volta che provava qualcosa di simile. Nonostante l'eco della folla e delle sirene delle ambulanze continuasse a risuonare attorno a loro, Alessandro non avvertì niente di tutto ciò. Improvvisamente era come se la strada, il quartiere, Manhattan, New York, gli Stati Uniti, la Terra, l'universo intero, fossero ammutoliti. Quel minuscolo tratto di marciapiede era il suo mondo e al di fuori di esso niente aveva realmente importanza.
Solo lui, Violet, e il loro bacio. Contava solo questo.
Avere le labbra incollate alle sue era così dolce, così piacevole, così bello. Troppo bello. E fu anche troppo breve. Quando lei interruppe il contatto, Alessandro si sentì come un palombaro a cui fosse stato improvvisamente tagliato l'ossigeno. Tuttavia, il sorriso rivoltogli da Violet era così dolce, che si riprese praticamente subito.
''Suppongo di no'' concluse lei in un sussurro.
Alessandro deglutì. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando.
''Di...''
Sbatté le palpebre più volte mentre cercava di farsi venire in mente la sua ultima frase. Non poteva fare la figura dell'imbecille davanti a lei! Alla fine, dato che non riusciva a ricordare, si limitò a dar voce alla propria perplessità.
''...di che parlavamo?'' chiese con aria terribilmente stupida.
Rendendosi conto di quel che aveva appena detto, e del modo in cui l'aveva fatto, soltanto quando era ormai troppo tardi per rimediare, Alessandro provò il folle desiderio di liquefarsi come un cioccolatino sotto il sole, ma a Violet non sembrò importare quella gaffe.
''Del milione di persone che ti aspettano in fondo alla strada'' rispose con nonchalance.
Un milione di persone? E perché mai? Che ci fosse un concerto? A proposito, cosa ci facevano lì?
''Davvero?'' domandò Alessandro sempre con lo stesso tono ingenuo. ''E per cosa?''
Il sorriso di Violet si inclinò leggermente verso sinistra.
''Facciamo che gli andiamo incontro'' propose affabile, ''così lo scopri da solo''
Alessandro annuì senza esitazione.
''Ok''.
E lasciando che lei gli prendesse la mano, scesero entrambi dal marciapiede.
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