Capitolo 86 - L'unico e il solo
Una volta che fu uscita dalla stanza Jennifer sentì delle voci provenire dalla sua destra, e infatti, non appena si voltò a controllare, vide altri due attentatori che conversavano tra di loro in fondo al corridoio. Entrambi tenevano i fucili a tracolla, e parlavano in quello che a lei sembrò arabo, ma quando si accorsero di lei smisero subito, limitandosi a scrutarla in silenzio.
Non ne era del tutto sicura, ma ad una prima occhiata le parvero gli stessi, che l'avevano spinta insieme agli altri ostaggi dentro la sala riunioni. Tuttavia, non ebbe modo di accertarsene, poiché proprio in quel momento il suo sequestratore le toccò la schiena con la volata del fucile.
''Cammina'' ordinò acido.
Sobbalzando per lo spavento Jennifer obbedì al comando, e cominciò a procedere lungo il corridoio, nella direzione opposta a quella dove si trovavano i due uomini. Dato che lavorava diversi piani più in basso, lei non conosceva quel posto, perciò si limitò a ripercorrere il tragitto che era stata costretta a compiere all'andata.
Gli uffici di fronte a cui passarono erano tutti deserti, ad eccezione di un paio che, essendo chiusi, rendevano impossibile appurarlo dall'esterno. Che il resto degli ostaggi fosse stato imprigionato lì dentro, esattamente come loro? Probabile. Fino a pochi minuti prima aveva pensato molto a ciò che potesse essere accaduto alle altre persone sequestrate e confinate a forza su quel piano, ma adesso la sua mente era concentrata su altro.
Perché scegliere proprio lei? E per fare cosa? Benjamin si era offerto di andare al suo posto, eppure quell'offerta era stata rifiutata in malo modo, quindi non si trattava semplicemente di prendere qualcuno a caso. Forse gli interessava una persona in possesso di determinate abilità, ma essendo una banale stagista con contratto a scadenza, dubitava di possedere delle conoscenze che a loro potessero tornare utili.
Dunque, cosa restava? Se non era per le proprie capacità, cosa volevano veramente da lei? Nel momento esatto in cui apprese la risposta, un groppo alla gola le mozzò il respiro. Il suo genere. Lei era una donna. Cercando disperatamente di non pensare all'ipotesi peggiore, Jennifer inclinò leggermente la testa di lato, nel tentativo di sbirciare con la coda dell'occhio l'attentatore che la seguiva.
''Dove stiamo andando?'' domandò preoccupata, mentre attraversavano una piccola area relax.
L'uomo non rispose e Jennifer si preoccupò ancora di più.
''Farò qualsiasi cosa'' promise con la voce rotta, ''ma ti supplico...''
''Zitta e cammina'' la interruppe l'attentatore, toccandole la schiena con la canna del fucile.
Rendendosi conto che era inutile, Jennifer non cercò più di rivolgergli la parola per il resto del tragitto, che comunque terminò di lì a poco. Avevano appena superato l'entrata di una toilette, quando il sequestratore le parlò ancora.
''Fermati'' ordinò asciutto.
Jennifer obbedì e si arrestò davanti alla porta di un ufficio, che si apriva nella parete alla sua sinistra.
''Entra'' disse l'uomo in tono piatto.
Trattenendo il respiro Jennifer afferrò la maniglia con mano tremante, e pregando con tutta sé stessa di sbagliare previsione, aprì la porta ed entrò nella stanza. Vuota. Nell'ufficio non c'era nessuno. Una scrivania posizionata accanto al muro sulla destra, un paio di sedie, una libreria ingombra di fascicoli e poco altro. Questo fu quello che si trovò davanti.
Una folata di vento, proveniente dalla vetrata in fondo alla stanza, le fece venire la pelle d'oca, attirando il suo sguardo verso il pannello di vetro centrale. O meglio, dove avrebbe dovuto esserci il pannello di vetro, perché al suo posto adesso c'era soltanto uno spazio vuoto, contornato da alcuni frammenti acuminati. Il battito di Jennifer accelerò all'improvviso, e quando sentì il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle, questo divenne così rapido da farle temere che sarebbe morta per lo shock.
''No'' sussurrò atterrita, fissando il panorama di Manhattan attraverso la vetrata infranta. ''No''
Si era sbagliata. Non volevano abusare di lei. La volevano uccidere.
Cedendo al panico Jennifer si voltò di scatto, i lineamenti del volto deformati dal terrore.
''Ti prego, no!''
Aveva appena finito di lanciare quell'appello disperato quando il calcio del fucile la colpì alla mascella. Rese cieca e sorda dal dolore, Jennifer crollò a terra, dove rimase ansante e confusa, la testa che vorticava furiosamente mentre tentava di riprendersi. L'impresa parve fin da subito disperata. Con gli occhi inondati dalle lacrime, non riusciva a mettere a fuoco nemmeno la moquette distante solo pochi centimetri, e il sapore del sangue che le riempiva la bocca aggravava la sensazione di nausea da cui era attanagliata.
Compiendo uno sforzo enorme cercò di tornare in piedi, ma prima ancora che potesse mettersi in ginocchio si sentì tirare per i capelli. In un'istante una nuova scarica di dolore le attraversò la sommità della testa, facendole completamente dimenticare la fitta alla mandibola.
''Alzati scrofa'' ringhiò l'uomo mentre la costringeva ad alzarsi.
Urlando terrorizzata Jennifer si alzò in piedi, e dopo essere stata trascinata per un paio di metri venne spinta in avanti con violenza. Consapevole di ciò che c'era in quella direzione cercò di riacquistare l'equilibrio il prima possibile, riuscendo miracolosamente a fermarsi quando ormai si trovava sul bordo della vetrata infranta. Con le mani appoggiate ai lati del pannello distrutto, fissò atterrita per qualche istante il precipizio sotto di lei, e poi si diede la spinta all'indietro.
Il rumore di un otturatore che scorreva le paralizzò i muscoli nel momento stesso in cui si fu voltata, impedendole di muovere anche solo un altro passo. Davanti a lei il terrorista teneva il fucile spianato, la canna puntata dritta al centro del suo petto.
''Salta'' ordinò con voce glaciale.
Senza che potesse fare nulla per impedirlo, Jennifer prese ad ansimare a ritmo frenetico.
''No'' disse scuotendo la testa, ''ti scongiuro''
''Salta'' ripeté l'uomo impassibile.
Mentre grossi lacrimoni le colavano sulle guance, Jennifer giunse le mani in preghiera e abbassò il capo.
''Ti prego...'' singhiozzò con la voce rotta.
L'attentatore non parve nemmeno averla sentita.
''Salta'' ripeté per la terza volta nello stesso tono gelido, ''o ti sparo''
Jennifer scoppiò in un pianto dirotto e nascose la faccia tra le mani, ma non obbedì alla richiesta. I suoi piedi rimasero saldamente ancorati a terra, come se fossero stati incollati al pavimento. L'uomo iniziò a contare.
''Tre, due...''
Jennifer si lasciò sfuggire un gemito particolarmente acuto.
''No'' sussurrò disperata.
L'attentatore appoggiò il calcio del fucile contro la propria spalla e prese la mira.
''Uno''
Nonostante avesse già nascosto il viso dietro le mani, Jennifer chiuse gli occhi inondati dalle lacrime, e iniziò a pregare. Stava ancora rivolgendo la sua supplica disperata verso il cielo, quando uno schiocco secco la fece trasalire. All'inizio temette che si trattasse di un rumore proveniente dal fucile, ma poi ricordò che l'arma era già carica.
Anche ammettendo che ci fosse riuscita, l'unica cosa che avrebbe dovuto sentire in quel momento era uno sparo, e nient'altro. Invece, contrariamente ad ogni previsione, quello strano suono simile al crepitio di un ramo che si spezzava, non fu nemmeno l'ultimo. Il tonfo sordo che lo seguì a brevissima distanza le fece capire che qualcosa non quadrava, e a quel punto restare immobili con il volto nascosto divenne impossibile.
Nonostante fosse ancora scossa dai tremiti, Jennifer si sforzò di rallentare la frequenza del proprio respiro e, al termine di una breve battaglia interiore per vincere la paura folle da cui era attanagliata, abbassò le mani e aprì gli occhi.
Sul pavimento di fronte a lei si trovava il corpo dell'attentatore, il fucile ancora stretto tra le mani e gli occhi sbarrati. Proprio questi ultimi erano la parte peggiore. Jennifer riusciva a vederli anche se l'uomo era caduto in avanti, come se la sua testa avesse compiuto un giro di centottanta gradi. Che fosse davvero morto non rappresentava elemento di discussione. Tuttavia, quella non fu l'unica sorpresa sconcertante con cui dovette fare i conti.
In piedi alle spalle del cadavere steso sulla moquette, si ergeva infatti un uomo dalla stazza imponente alto almeno un paio di metri. A causa delle lacrime che le offuscavano la vista Jennifer non riusciva a vederlo bene, ma quella figura così insolitamente grande, riuscì ad incuterle un tale terrore che il semplice fatto di non svenire rappresentò di per sé un mezzo miracolo.
Paralizzata e con gli occhi sgranati, la ragazza scrutò lo sconosciuto per alcuni lunghi, interminabili secondi, e poi, quando ormai la paura aveva preso possesso di lei, spalancò la bocca, pronta ad esplodere in un urlo agghiacciante.
Fu un attimo, e la figura scattò in avanti con una velocità che non credeva assolutamente possibile per un essere dalla stazza simile. L'urlo di Jennifer ebbe giusto il tempo di risuonare per una manciata di istanti, prima che questo venisse soffocato dal palmo dello sconosciuto.
''Non urlare, per favore'' le disse lui, tenendole una mano sulla spalla e l'altra sulla bocca ancora aperta, ''non voglio farti del male''
Non sapeva perché esattamente. Forse per via del tono rassicurante con cui si esprimeva, o dallo sguardo amichevole che le rivolse, fatto sta che Jennifer smise di gridare. D'altronde, in quel palazzo non c'era nessuno in grado di aiutarla, e se quella specie di mezzo gigante avesse voluto sul serio vederla morta, gli sarebbe bastato non uccidere l'attentatore.
''Sono Kama'' rivelò lui con voce pacata, ''sono venuto per aiutarvi''
Jennifer sgranò gli occhi per lo stupore.
''Adesso ti libero'' promise Alessandro, ''però, non urlare, d'accordo?''
Jennifer annuì in segno d'assenso e Alessandro tolse la mano. Dato che le lacrime le annebbiavano la vista, si asciugò in fretta gli occhi sulla manica e tornò a guardare il volto del colosso. Diceva il vero. Anche se non raggiungeva i tre metri abbondanti della sua forma intimidatoria, il viso di chi le stava di fronte era assolutamente indistinguibile da quello che aveva già visto al notiziario.
Quasi non ci credeva. Kama era lì, davanti a lei, e le aveva appena salvato la vita. Erano salvi.
''D-d-davvero ci aiuterai?'' balbettò Jennifer incredula.
Alessandro parve sorpreso dalla domanda.
''Sono qui apposta'' rispose con semplicità.
Mentre gli occhi le si riempivano di nuovo di lacrime, Jennifer scattò in avanti e strinse Alessandro in un caloroso abbraccio.
''Dio, ti ringrazio!'' esclamò con la voce rotta per l'emozione.
Divorato dall'imbarazzo Alessandro si irrigidì, limitandosi a darle alcuni rassicuranti colpetti sulla schiena.
''Troppo gentile, troppo gentile'' disse comprensivo, ''ma ti prego, abbassa la voce, o gli altri ci sentiranno''
Jennifer interruppe il contatto e si coprì la bocca con le mani, intanto che cercava di mettere a tacere i singhiozzi.
''Va bene'' confermò facendo di sì con la testa.
''Adesso dobbiamo tornare dagli altri'' disse con calma. ''Tu stammi dietro. Quei due in corridoio non devono vederti''
Per Jennifer quelle parole sortirono lo stesso effetto di un secchio d'acqua gelata rovesciato sulla testa.
''Ma io pensavo che...'' Si morse la lingua e lo guardò con occhi speranzosi. ''Non puoi...insomma...''
Alessandro curvò le labbra in un sorriso comprensivo.
''Si tengono in contatto radio'' le spiegò paziente, per poi accennare al corpo dell'attentatore alle sue spalle. ''Uccidere lui è già stato un azzardo, ma non avevo scelta. Se però faccio fuori anche loro, quelli che restano agli altri piani capiranno che c'è qualcosa che non va''
Giusto. Come aveva potuto dimenticarlo? Nel caso gli altri attentatori avessero scoperto che Kama era entrato nell'edificio, prima di essere raggiunti si sarebbero sicuramente rivalsi sugli ostaggi. Per evitare una strage, quindi, l'unica strada percorribile rimaneva quella della furtività.
Ciononostante, l'idea di tornare in quella saletta angusta, sapendo che in circolazione c'erano ancora quei due tizi armati, la terrorizzava ai limiti del concepibile. Alla fine, ciò che la convinse ad accettare, fu soltanto la consapevolezza di non essere più sola e indifesa. In caso di necessità Kama l'avrebbe protetta. Di questo ne era sicura.
''Ok'' disse annuendo con decisione, ''ti seguo''
Alessandro annui riconoscente.
Tornare alla sala riunioni non si rivelò particolarmente difficile. Complice il fatto che uno dei due attentatori fosse andato alla toilette, le probabilità che Jennifer venisse vista erano ridotte della metà, e ciò giocò chiaramente a loro favore. L'unico momento di tensione ci fu quando il terrorista ancora in giro rivolse qualche parola ad Alessandro dal fondo del corridoio, ma con suo enorme sollievo, il cenno di assenso con cui rispose si rivelò sufficiente a chiuderla lì.
Oltre a copiare alla perfezione le fattezze dell'attentatore, una cosa che Jennifer parve trovare decisamente inquietante, prima di uscire dall'ufficio Alessandro aveva nascosto il suo cadavere dietro la scrivania, e nel farlo gli aveva anche sottratto fucile e trasmettitore. Nell'eventualità che lo contattassero tramite quest'ultimo avrebbe risposto in inglese, e se per disgrazia non fosse bastato, allora avrebbe simulato un guasto all'auricolare.
Probabilmente non era la più raffinata delle strategie, ma almeno per il momento, gli avrebbe consentito di non essere scoperto subito. Quando finalmente entrarono nella sala riunioni gli ostaggi erano ancora rannicchiati al solito posto, dietro il tavolo nell'angolo in fondo.
Alla vista di una Jennifer incolume, e nemmeno traumatizzata o sotto shock, parecchie sopracciglia si sollevarono. In effetti, sembravano così sorpresi di quel suo stato apparentemente tranquillo, che quasi non si accorsero di Alessandro fino a quando non ebbe chiuso la porta e aggirato il tavolo.
''Cosa succede?'' domandò preoccupato Michael spostando lo sguardo da Jennifer al fucile stretto tra le mani del presunto attentatore.
In un battito di ciglia le sue perplessità ottennero risposta. Nel momento esatto in cui Alessandro riassunse il suo aspetto consueto i membri del gruppetto aprirono la bocca, preparandosi a gridare. Jennifer però aveva previsto quella reazione, e li anticipò.
''No, non urlate!'' esclamò con voce trattenuta, mentre alzava le mani. ''È Kama. È venuto per salvarci''
La bocca degli ostaggi rimase spalancata, ma non ne uscì alcun suono. Senza smettere di tenere Julia stretta al proprio petto, Margaret scrutò il nuovo arrivato con gli occhi colmi di autentico stupore. Un'emozione che, a giudicare dalle espressioni sui volti dei presenti, pareva essere largamente condivisa.
Il primo a rompere il silenzio fu Benjamin.
''Se lui è Kama, che fine ha fatto l'attentatore vero?'' domandò preoccupato. ''Dov'è l'originale?''.
Jennifer sostenne lo sguardo dell'uomo per qualche secondo e poi abbassò gli occhi.
''È morto'' rispose Alessandro per lei.
Una luce di speranza si accese negli sguardi degli ostaggi, e persino Julia allontanò il faccino dal petto della madre per sbirciare la scena con la coda dell'occhio.
''Ma allora...'' sussurrò Margaret sbigottita.
Noah la interruppe praticamente subito, facendola trasalire.
''Sì!'' sbottò euforico stringendo i pugni. ''Diavolo, sì!''
Gli occhi di Margaret si riempirono di lacrime.
''Non ci credo'' confessò con la voce rotta dall'emozione, ''siamo salvi''
''Li hai uccisi tutti?'' chiese Michael speranzoso.
Alessandro non fece in tempo a rispondere alla domanda, che queste cominciarono a piovergli addosso a raffica.
''Quindi siamo liberi?''
''Ci porterai fuori, vero?''
''Quando possiamo uscire?''
''Non possiamo farlo subito?''
''Prometto che vi porterò tutti fuori sani e salvi'' annunciò Alessandro mentre alzava una mano per chiedere il silenzio,''ma purtroppo non potete uscire adesso. Dovete avere ancora un po' di pazienza''
''E perché?'' chiese Michael amareggiato.
''Ho eliminato un attentatore'' gli spiegò Alessandro mettendosi il fucile a tracolla, ''ora ne restano undici''
Margaret, e non fu certo la sola, sgranò gli occhi per lo stupore.
''U-undici?'' balbettò con lo stesso tono di qualcuno a cui avessero appena comunicato una diagnosi infausta.
Anche se stava cercando di trattenersi dall'intervenire per non spaventare ancora di più i compagni di sventura, a quel punto Jennifer non poté più resistere.
''Sono dei pazzi!'' sbottò indignata, cogliendo di sorpresa tutti. ''Buttano davvero la gente giù dalle finestre! Stavano per fare lo stesso anche con me''. Rivolse un'occhiata riconoscente ad Alessandro. ''Sarei morta se non fosse stato per lui''.
La sua voce si incrinò e quando gli occhi le divennero lucidi nascose la faccia tra le mani.
''Oh, Cristo'' commentò Michael sbigottito.
Dato che Alessandro non sapeva come consolarla, Benjamin si alzò in piedi, e dandole alcuni rassicuranti colpetti sulla spalla, la riaccompagnò al proprio posto, che durante la sua assenza era rimasto vacante. Mentre Margaret si curvava verso di lei per sussurrarle all'orecchio, Noah prese la parola.
''Allora vai e...'' Si interruppe a metà della frase, mordendosi il labbro inferiore. ''Fa quello che devi'' concluse sbrigativo. ''noi aspetteremo qui''
''Lo farò'' confermò Alessandro paziente, ''però, prima ho bisogno di chiedervi una cosa''. Scoccò al gruppetto un'occhiata eloquente. ''Si tratta di un'informazione molto importante''
All'interno del gruppetto volarono diversi sguardi perplessi, ma alla fine la maggior parte degli ostaggi annuirono in segno d'assenso. Alessandro si piegò su un ginocchio, così da trovarsi al loro stesso livello.
''Il telecomando delle cariche, chi ce l'ha?''
Alessandro non dovette attendere che parlassero per rendersi conto di aver fatto un buco nell'acqua. Le cinque paia di occhi che lo fissavano atterriti valevano più di mille parole.
''Quali cariche?'' chiese Michael confuso.
''Vuoi dire che c'è una bomba?'' ipotizzò Margaret sconvolta.
La pressoché totale ignoranza in cui versavano i presenti colse di sorpresa Alessandro, almeno tanto quanto lo erano rimasti loro nell'apprendere la notizia. Non sapevano niente. Anzi, a differenza di coloro che avevano fatto in tempo a mettersi al sicuro ai livelli superiori, non erano a conoscenza neppure del piano degli attentatori. Vuoto totale.
In una simile situazione solo una cosa era sicura. Se non si fosse sbrigato a rimediare, il panico sarebbe stato dietro l'angolo.
''Ok'' disse nel tono più rassicurante di cui fosse capace, ''questo potrebbe essere un problema...''. Le espressioni di puro terrore che apparvero sui volti degli ostaggi lo convinsero a correggere il tiro in corsa. ''ma non vi preoccupate, lo posso risolvere''
''Risolvere cosa?'' lo incalzò Noah, sprizzando scetticismo.
Alessandro tentò di rispondere, ma la raffica di domande da cui cominciò ad essere bersagliato, proseguì ad un ritmo tale da rendergli il compito pressoché impossibile.
''Non ci puoi evacuare?''
''Dove si trova la bomba?''
''È grande?''
''Moriremo?!''
''Nessuno morirà, ve l'assicuro'' promise Alessandro, mentre chiedeva a gesti di abbassare il volume della voce, fattosi ormai pericolosamente alto.
Julia singhiozzò spaventata e Margaret le accarezzò la testa nel tentativo di tranquillizzarla. Tuttavia, nessuno in quella stanza poteva dirsi veramente immune alla paura, e chi più chi meno, tutti quanti non mancavano di manifestarlo, seppur in modi diversi. Benjamin e Jennifer sospirando mesti, Margaret e Michael guardandolo preoccupati, e Noah stringendo i denti mentre si prendeva la testa tra le mani.
''Non capisco'' confessò disperato tenendo gli occhi fissi sul pavimento, ''perché non li uccidi tutti e basta?''
''Anch'io vorrei che fosse così semplice'' rivelò affranto Alessandro, ''ma non posso agire liberamente se prima non neutralizzo chi tiene il detonatore. Nel caso sbagliassi...''
''Dove hanno messo la bomba, esattamente?'' lo interruppe Michael.
Questa volta, per rispondere Alessandro si prese qualche istante in più del solito.
''Non lo so''
Michael imprecò a bassa voce e scosse la testa, ma non insistette. Dato che difficilmente avrebbe retto ad un'analisi più approfondita, Alessandro gliene fu enormemente grato.
''Prima eri identico ad uno di loro'' ricordò Noah. ''Perché non ci parli e lo scopri da solo?''
''Sarò anche uguale nell'aspetto, ma non parlo arabo'' ribatté Alessandro paziente, ''se si rendono conto che ho improvvisamente dimenticato la mia lingua madre potrebbe venirgli qualche sospetto''
Le guance di Noah si tinsero di un rosso così acceso da poter rivaleggiare con la tonalità dei suoi capelli.
''Giusto'' ammise sbrigativo distogliendo lo sguardo.
Benjamin parve sul punto di intervenire, quando un rumore sospetto spinse Alessandro a portarsi l'indice alle labbra. All'esterno della sala riunioni qualcuno stava attraversando il corridoio.
In un'istante tutti gli ostaggi ammutolirono di colpo, restando in attesa con i nervi a fior di pelle. Stando ben attento a non fare rumore, Alessandro scattò in piedi, il fucile a tracolla e gli occhi fissi sulla porta, pronto a mutare forma alla prima occasione. Tuttavia, non accadde nulla. La porta restò chiusa e il rumore di passi si allontanò gradualmente fino a scomparire del tutto. Almeno per il momento l'avevano scampata.
Gettata un'ultima occhiata in direzione dell'ingresso, Alessandro tornò ad inginocchiarsi davanti agli ostaggi.
''Non c'è molto tempo'' commentò quasi in un sussurro. ''Non avete notato qualcuno maneggiare un telecomando, o qualcosa del genere?''
Margaret scosse la testa.
''No, eravamo troppo spaventati per badare a queste cose'' rispose dispiaciuta. ''Hanno rastrellato la gente piano per piano, minacciando di uccidere tutti quelli che si rifiutavano di seguirli, e alla fine siamo stati rinchiusi qui''. Tirò su col naso. ''Dicevano che ci avrebbero ammazzato tutti nel caso avessero scoperto che uno di noi era uscito''
''Non sappiamo nemmeno dove si trovino gli altri'' aggiunse Benjamin. ''Probabilmente li hanno sparpagliati nei vari uffici, ma non so quali di preciso''
Michael si tolse gli occhiali per pulirli con il fazzoletto.
''Comunque è impossibile che siano riusciti a prendere in ostaggio tutti quanti'' spiegò intanto che lucidava le lenti, ''ho visto molte persone correre su per le scale mentre cercavano di salire in direzione del tetto''. Scrollò le spalle. ''A loro però non sembrava importare. Forse gli bastava fare prigionieri noi e tenere isolati gli altri oltre il venticinquesimo piano. Tanto sono bloccati in ogni caso''
''È così'' confermò Alessandro, ''la maggior parte si è barricata lassù, ma stanno bene''. Sospirò amareggiato. ''Il problema è che neanche loro sanno niente. Speravo che almeno voi...''
Si interruppe all'improvviso perché nel corridoio aveva ricominciato ad echeggiare lo stesso rumore di passi udito poco prima. Anzi, questa volta sembrava che a camminare fuori dalla sala riunioni ci fosse più di una persona.
Non c'erano dubbi. I due attentatori che pattugliavano il piano stavano venendo verso di loro.
Consapevole di non potersi permettere tentennamenti, Alessandro scattò subito in piedi, appena in tempo per scorgere la maniglia della porta che si abbassava. Quando la coppia di attentatori entrò finalmente nella stanza lui si trovava vicino al capo del tavolo, l'aspetto assolutamente indistinguibile da quello del loro compagno defunto.
Erano due uomini abbastanza alti, con un accenno di barba e la pelle olivastra. Risultavano così simili che avrebbero potuto essere scambiati per fratelli, tant'è vero che l'unico particolare che li distingueva era il folto paio di baffi neri di uno dei due.
Imbracciavano entrambi i propri fucili, e quando si rivolsero ad Alessandro parlando in arabo le loro voci si sovrapposero. Alessandro però non rispose e non lo fece nemmeno quando questi cominciarono a guardarlo torvi indurendo il tono.
Ignorando le domande con cui lo bersagliavano, camminò fino alla porta passando loro accanto, e una volta che l'ebbe raggiunta la richiuse con calma. Capendo che era inutile insistere, i due attentatori si zittirono, limitandosi a scrutarlo accigliati, come se lo credessero impazzito, ma dopo un'ultima occhiata perplessa ricominciarono a parlargli in arabo.
Approfittando di un momento di pausa venutosi a creare tra una domanda e l'altra, Alessandro si voltò verso il gruppo di ostaggi e gli rivolse uno sguardo desolato.
''Non guardate''.
Capendo all'istante ciò che stesse per succedere, Jennifer nascose il volto dietro le mani, mentre Benjamin e Michael si affrettavano a chiudere gli occhi. Margaret fece subito altrettanto e strinse Julia al petto con forza ancora maggiore, ma la reazione più energica di tutte fu senza dubbio quella di Noah, che si gettò a terra, coprendosi la testa con le mani come un soldato durante un bombardamento.
Assicuratosi che nessuno degli ostaggi stesse osservando, Alessandro si fece dunque spuntare un paio di lunghi tentacoli neri dalla schiena, e prima ancora che lo stupore potesse palesarsi sulle facce dei due attentatori, gli ordinò di saettare in avanti, le punte aguzze dirette al centro della fronte.
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