Capitolo 84 - La catastrofe
La zona da cui proveniva il fumo si trovava a circa metà strada tra le due gigantesche campate del ponte (suddiviso in quattro corsie separate, due per ogni direzione di marcia), e grazie alla forma di falco pellegrino da lui assunta, raggiungerla fu una questione di secondi.
Non poteva dire di non essersi aspettato qualcosa di simile, tuttavia, quando atterrò a circa una cinquantina di metri dall'origine della coltre nera, e vide di fronte a sé un autobus divorato dalle fiamme, Alessandro ne fu ugualmente turbato. Tale sentimento sembrava essere condiviso anche dagli altri automobilisti presenti sulla stessa carreggiata che, nonostante avessero già superato il mezzo avvolto dal fuoco, si erano fermati per chiamare i soccorsi o riprendere la scena con lo Smartphone.
Approfittando della copertura offerta da una vecchia Ford parcheggiata al centro della strada, Alessandro riassunse sembianze umane, e si portò al fianco dell'uomo più vicino di tutti all'incendio. Dal modo in cui mise in tasca il cellulare, sembrava aver appena concluso la sua chiamata al 911.
''Che sta succedendo?'' gli domandò Alessandro a bruciapelo.
Colto alla sprovvista, lo sconosciuto sobbalzò, ma quando l'ebbe visto si riprese quasi subito. Considerato il suo insospettabile aspetto da quarantenne in abiti casual, probabilmente aveva scambiato Alessandro per uno degli altri guidatori in sosta.
''Non ne ho idea'' rispose sbrigativo. ''Neanche dieci secondi prima ho visto quell'autobus nello specchietto retrovisore, e poi...'' Allargò le braccia in un gesto plateale. ''Boom! Così, all'improvviso. Non capisco come sia possibile, e...cazzo, c'era della gente lì dentro!''
''Vado a controllare'' annunciò Alessandro con decisione. E senza aggiungere altro, cominciò a correre verso l'autobus.
''Fermo, che fai?!'' sbottò l'uomo con gli occhi fuori dalle orbite. ''È pericoloso!''
Alessandro però non gli diede ascolto.
A causa dell'esplosione i pneumatici anteriori del bus erano stati sbalzati via nel bel mezzo della corsa, facendolo quindi scivolare sull'asfalto per diversi metri prima che si arrestasse su un fianco, ostruendo completamente la carreggiata. Anche per questo motivo, quando Alessandro raggiunse l'ingresso anteriore del pullman, non si sorprese di vedere le porte automatiche ridotte in pezzi.
Ad ogni modo, per quanto impressionanti potessero apparire simili dettagli, una volta che ebbe varcato la soglia essi divennero totalmente irrilevanti, se confrontati con l'orrore presente all'interno. Un odore pestilenziale di benzina, carne e gomma bruciata lo accolse ancor prima che fosse salito a bordo, costringendolo a respirare solamente con la bocca.
Le fiamme ardevano dappertutto, ma il suo corpo totalmente ignifugo gli permetteva di farsi strada in mezzo al fuoco avvertendo nient'altro che un modestissimo tepore, per lui non molto dissimile da quello emanato da un corpo umano.
E di corpi umani lì dentro era pieno. I resti orrendamente sfigurati dei passeggeri giacevano sparpagliati qua e là, alcuni seduti al loro posto, altri smembrati e irriconoscibili. Questi ultimi aumentavano man mano che ci si avvicinava al centro del bus, dove i sedili erano letteralmente scomparsi, distrutti dall'esplosione che in quel punto aveva avuto il suo epicentro.
Era chiaro che sperare di trovare qualche sopravvissuto in quell'inferno fosse pura follia, così come risultava altrettanto palese il fatto che si trattasse di un attentato e non di un'incidente. Su questo ormai non nutriva alcun dubbio. Restava da capire chi l'avesse fatto e perché. Domande a cui non avrebbe in ogni caso trovato risposta su quell'autobus pieno di innocenti martoriati.
Nel frattempo, sul lato opposto della carreggiata rispetto a dove era venuto, c'era parecchio movimento. Attraverso i finestrini del bus, quasi completamente oscurati dalle fiamme, vide tre auto finite l'una addosso all'altra, e un manipolo di persone radunate vicino alle portiere della piccola utilitaria, rimasta schiacciata tra le altre due ingombranti vicine.
Probabilmente, si trattava di un tamponamento avvenuto al momento dell'esplosione, quando la prima macchina era stata costretta ad inchiodare per evitare di schiantarsi contro il pullman. Nessuno dei tre veicoli era stato ancora lambito dal fuoco, ma data la vicinanza all'incendio esisteva il rischio concreto che ciò potesse succedere da un momento all'altro.
Per chi si trovava sull'autobus purtroppo non c'era niente da fare ma, forse, pensò Alessandro, poteva ancora rendersi utile in qualche modo.
Visto che non esistevano porte automatiche su quel lato della strada, fu costretto a passare attraverso ciò che restava di uno dei finestrini, e con una capriola atterrò sull'asfalto rovente a pochi metri dal SUV in prima fila.
''Guardate, c'è un sopravvissuto!'' esclamò un ragazzo con gli occhiali da sole, rivolgendosi al gruppetto radunato attorno all'utilitaria.
Diverse facce si voltarono a fissare il misterioso superstite. Un'inequivocabile incredulità era stampata su ognuna di esse.
''Ma come hai fatto a...'' borbottò tn uomo anziano, indicando il bus avvolto dalle fiamme.
''Qual è il problema?'' lo interruppe Alessandro, continuando ad avanzare verso la piccola folla.
Dalle loro espressioni era chiaro che non si aspettassero di vedere qualcuno appena scampato per miracolo ad un incendio preoccuparsi delle difficoltà altrui, ma la sua voce ferma e decisa metteva una soggezione tale, che nessuno ebbe il coraggio di ribattere.
''Una donna è rimasta intrappolata in auto'' spiegò un elegante signore in giacca e cravatta. ''Non riusciamo ad aprire la portiera e lei è svenuta''
Facendosi largo in mezzo alla gente, Alessandro raggiunse il finestrino dal lato del guidatore, e guardò all'interno dell'abitacolo. Aveva ragione. Una giovane donna dalla carnagione olivastra giaceva priva di sensi al posto di guida, con la testa appoggiata sul volante.
''Giuro che non è colpa mia'' tentò di giustificarsi l'uomo elegante, ''ho dovuto frenare o sarei andato...''
''Presto, spostatevi!'' ordinò Alessandro perentorio.
Il suo tono risoluto parve intimorire i membri del gruppetto, che infatti si fecero subito da parte senza osare protestare. A quel punto Alessandro conficcò le dita nella fiancata, e con un brusco strattone divelse la portiera dell'auto, mandandola a sbattere contro la barriera in cemento dello spartitraffico.
Molti tra i presenti lanciarono delle esclamazioni di stupore, ma Alessandro non vi badò. Recisa la cintura di sicurezza che la teneva ancorata al sedile, prese tra le braccia la donna svenuta, per poi appoggiarla al suolo, una decina di metri più indietro rispetto all'autobus in fiamme.
''Qualcuno di voi è un medico?'' chiese sbrigativo.
''Io studio da infermiere'' rispose il ragazzo con gli occhiali da sole, ''ma non ho ancora finito il corso''
''Andrà bene'' commentò Alessandro facendogli cenno di avvicinarsi.
Obbedendo alla richiesta, il ragazzo si scambiò di posto con Alessandro, inginocchiandosi accanto alla donna esanime.
''Non credo sia ferita'' disse dopo che le ebbe tastato la carotide con il medio e l'indice. ''probabilmente è solo svenuta per lo shock''
L'uomo elegante guardò la portiera dell'auto, che giaceva accartocciata addosso allo spartitraffico, e poi tornò a concentrarsi su Alessandro.
''Sei Kama, vero?'' domandò a bruciapelo.
Alessandro non rispose, ma si limitò a scrollare le spalle con aria noncurante.
Una donna di colore dal fisico corpulento alzò le mani, mettendo in mostra un set di unghie finte coperte di brillantini.
''O-mio-Dio'' squittì su di giri, scandendo ogni singola parola. ''Non credevo che l'avrei mai visto di persona''
''Che ci fai qui?'' chiese il signore anziano.
''Sai cos'è successo all'autobus?'' si intromise una ragazza dai capelli ricci.
Visto che quasi tutti stavano estraendo gli Smartphone per riprenderlo, Alessandro indicò col braccio la donna ancora svenuta sull'asfalto.
''Lasciate perdere me e chiamate un'ambulanza piuttosto!'' ribatté indignato.
L'uomo in giacca e cravatta annuì, visibilmente imbarazzato.
''Sì, un'ambulanza'' confermò balbettando, per poi mettersi a digitare sul tastierino del proprio cellulare. ''Subito''
Un boato, molto simile a quello che aveva già sentito al tavolino del bar, distrasse Alessandro e il resto dei presenti, facendoli subito voltare in direzione dell'East River. Ad un paio di chilometri di distanza, una spessa coltre di fumo nero si stava levando dal centro del Brooklyn Bridge, in una agghiacciante riproposizione di quanto avvenuto poco prima su quello stesso ponte. Per sapere cosa fare Alessandro non dovette riflettere neppure un secondo.
''Devo andare'' annunciò sbrigativo.
''Ehi, aspetta un momento!'' gli gridarono dietro in coro.
Alessandro però aveva già abbandonato il ponte, spiccando un balzo verso il cielo proprio mentre la sirena di un'autopompa cominciava a riecheggiare in lontananza.
***
All'interno del furgone l'atmosfera era tesa. Con il volto illuminato dalle luci bluastre dei monitor, Dan teneva la mano premuta sull'auricolare infilato nell'orecchio destro, cercando di non badare agli sguardi ansiosi con cui lo bersagliavano Lucy ed Archie. Tra i quattro occupanti del Van l'unico in piedi era lui, sebbene Bertrand, l'agente addetto alla guida, non faceva che sporgere la testa attraverso lo spioncino dell'abitacolo per controllare la situazione.
''Capisco'' disse Dan dopo una lunga pausa, ''ma certo, signore''
Tutti e tre i suoi colleghi lo fissarono in cerca di qualche gesto o espressione chiarificatrice, ma lui continuò a restare concentrato sulla chiamata.
''Nessun problema'' confermò deciso. Seguì un'altra fase di silenzio, anche se questa volta fu molto più breve. ''D'accordo, signore. A risentirci''
Come se non stessero aspettando altro, non appena Dan ebbe interrotto la chiamata, Lucy ed Archie domandarono all'unisono: ''Allora?''
''Quelli dell'HRT sono partiti'' spiegò Dan tranquillo, ''ma Ross sta ancora attendendo direttive da Washington''
''E i nostri ordini?'' chiese Bertrand sporgendo la testa ancora di più.
''Per il momento restano gli stessi: finire di evacuare la zona e tenere pronti i cecchini'' rispose Dan.
Chiaramente deluso dalla notizia, Bertrand fece rientrare la testa dentro l'abitacolo. Sebbene non ne fossero del tutto certi, mentre tornava a sedersi al posto di guida, agli altri parve di sentirlo borbottare tra sé e sé: ''Che perdita di tempo''
''A proposito, sono arrivati gli artificieri?'' domandò Dan accennando ai monitor, che ricoprivano buona parte della facciata interna del Van.
Lucy, una donna di origini orientali dai corti capelli castani e il naso appuntito, ruotò la propria poltrona girevole, e si mise a digitare sulla tastiera del computer.
''Non ancora'' annunciò dopo una rapida controllata ad uno dei display sopra la sua postazione.
''Notizie di altri attentati?'' proseguì Dan.
Lei scosse la testa.
''Quello a Grand Central è stato l'ultimo''
I monitor davanti a cui lavoravano Archie e Lucy erano occupati in quel momento da numerose riprese di videosorveglianza, ciascuna delle quali era stata effettuata in una diversa zona della città. La prima in alto a sinistra mostrava il colonnato di Wall Street, quella dopo l'Empire State Building, e a seguire l'One World Trade Center, la Cattedrale di San Patrizio, Times Square, la Grande Stazione Centrale, oltre ai ponti di Williamsburg e Brooklyn.
All'apparenza non sembrava esserci alcuna connessione tra tutti questi siti così diversi, a parte la presenza costante di diverse ambulanze e macchine della polizia all'interno di ogni singola immagine che li ritraeva.
In uno dei monitor centrali, una reporter della CBS stava facendo la telecronaca da una strada secondaria affacciata su Times Square. Vistose chiazze di sangue sporcavano il marciapiede alle sue spalle, e a qualche decina di metri di distanza si scorgevano anche diversi teli bianchi, adagiati sopra a quelli che erano chiaramente corpi umani. Un uomo con la testa avvolta in una fasciatura tinta di rosso scuro comparve per un attimo fugace dentro l'inquadratura, ma grazie all'aiuto dei due paramedici che lo sostenevano riuscì faticosamente a portarsene fuori.
''È un disastro'' commentò Dan amareggiato. ''Un totale disastro''
''Riproviamo a contattarlo?'' propose Archie in tono incoraggiante.
''Campbell ha detto che richiamava lui non appena riusciva ad avere notizie'' ribatté Dan. ''Diamogli ancora qualche minuto''
''E se non ci riesce?'' ipotizzò Lucy.
Siamo nella merda, pensò Dan, tuttavia, non potendo permettersi un tale livello di disfattismo, decise di tenere quella considerazione per sé.
''Prima Ross deve sentire il presidente'' sentenziò dopo una breve riflessione, ''poi vedremo''
''L'importante è che si sbrighino'' disse Archie mentre controllava la registrazione di una telecamera di sicurezza sul Williamsburg Bridge, dove una donna in barella veniva caricata nel retro di un'ambulanza, ''questa volta non possiamo permetterci di temporeggiare''
''In realtà l'hanno già fatto anche troppo'' fece notare acido Bertrand, parlando attraverso lo spioncino dell'abitacolo.
Quando sentirono bussare alla portiera del Van, tutti i suoi occupanti si voltarono quasi allo stesso tempo, con l'unica eccezione di Bertrand, così di cattivo umore che preferì limitarsi a soffiare sprezzante.
''Ed ecco gli artificieri'' commentò sarcastico, ''se la sono presa comoda''
Ignorando l'uscita beffarda, Dan afferrò il maniglione della portiera e la fece scorrere di lato. Una volta che l'ebbe aperta completamente, però, tutto ciò che si trovò di fronte fu un marciapiede deserto. Seppur leggermente spiazzato dalla scoperta, come Lucy ed Archie del resto, Dan si aggrappò alla fiancata e sporse la testa fuori dal furgone.
Diversi mezzi dell'FBI o dell'NYPD stazionavano lungo una delle vie adiacenti a Bryant Park, in quello che era diventato una sorta di quartier generale sul campo, per tutte le forze impegnate nell'assedio a distanza del Brooks Plaza. Agenti in divisa o in tenuta antisommossa correvano avanti e indietro per la strada, alcuni impegnati a mettere in sicurezza l'area, altri a parlare tra di loro o al cellulare.
Fortunatamente, però, a dispetto del caos imperante, individuare Jimmy non si rivelò troppo difficile. Come previsto, la giovane recluta dell'FBI stava guardando lo schermo del proprio Smartphone, stando sul marciapiede a nemmeno una decina di metri di distanza.
''Ehi, Jimmy!'' gli urlò Dan.
Un'ambulanza, di ritorno probabilmente dall'Empire State Building o da Times Square, sfrecciò proprio in quel momento lungo una via parallela, sovrastando completamente le sue parole.
''Jimmy!'' ripeté Dan a voce ancora più alta, non appena la sirena si fu allontanata a sufficienza.
Sobbalzando per lo shock, a Jimmy per poco non sfuggì lo Smartphone dalle mani, ma con un gesto repentino assai poco aggraziato, riuscì in extremis ad evitare che gli cadesse per terra. L'ultima acquisizione della squadra era un ragazzo allampanato coi capelli biondi e i modi notoriamente maldestri, anche se quando vide il proprio superiore fissarlo con la testa che sporgeva dall'interno del Van, rimise in tutta fretta il cellulare in tasca, e divenne rigido come un'asse di legno.
''Sì, capitano?'' chiese preoccupato.
''Hai bussato?'' gli domandò asciutto Dan.
''No, signore'' rispose Jimmy, scuotendo vigorosamente la testa.
''Beh, qualcuno l'ha fatto'' lo incalzò Dan.
Per tutta risposta Jimmy si guardò intorno e alzò le spalle.
''Lascia perdere, non fa niente'' tagliò corto Dan. ''Avvertici non appena arrivano quelli del PSBT, ok?''
Jimmy annuì con enfasi. ''Certo, signore''
Sbuffando spazientito, Dan rientrò nel furgone e chiuse la portiera con un colpo secco.
''Per me è stato lui'' ipotizzò Archie, guardando Jimmy tramite uno dei monitor collegato alla telecamera esterna, ''non è certo la prima volta che fa confusione e dà falsi allarmi''
''Allora dobbiamo rivalutare le sue doti di attore'' aggiunse Lucy con una punta di ironia, ''la parte del finto tonto gli calza a pennello''
Dan diede un'ultima occhiata al display dove compariva Jimmy e si voltò verso lo spioncino dell'abitacolo. Tuttavia, prima ancora che potesse aprir bocca per rivolgersi a Bertrand, accadde qualcosa di assolutamente imprevedibile.
Sbucando letteralmente dal nulla, un trentenne dal fisico piazzato e i capelli scuri gli comparve davanti all'improvviso, le labbra incurvate in un'espressione amichevole.
''Scusate se sono sparito'' disse lo sconosciuto in tono desolato, ''ma dovevo controllare che fosse il furgone giusto''
Vi fu qualche attimo di esitazione, poi, benché atterriti, Lucy ed Archie scattarono in piedi con le pistole in pugno, e mentre Dan faceva altrettanto, le puntarono addosso al misterioso arrivato.
''Calmi, calmi, calmi'' li rassicurò lui alzando le mani. ''Sono Kama, state tranquilli''
Una luce di incertezza brillò negli occhi degli agenti.
''Kama?'' chiese Bertrand stupito, guardando attraverso lo spioncino.
''L'unico e il solo'' confermò Alessandro, continuando a tenere le mani sollevate. ''Potreste non spararmi, per favore?''
Dan rivolse un cenno di assenso ai compagni e insieme abbassarono le pistole.
''Ti stavamo cercando'' confessò Archie rinfoderando l'arma.
Alessandro abbassò le braccia.
''Mi dispiace se ci ho messo tanto, ma ero andato alla cattedrale per tentare di dare una mano''. Sospirò e scosse la testa. ''Non è servito a molto'' ammise sconsolato.
''Sai quel che sta succedendo?'' gli domandò Lucy.
''Solo che hanno preso degli ostaggi'' rispose Alessandro.
''Il nocciolo è quello'' confermò Dan, ''ma temo ti manchi il resto della storia''
Dopo che le ebbe lanciato un'occhiata eloquente, Lucy tornò a sedersi alla propria postazione, e si mise a digitare sulla tastiera. Intanto che Archie prendeva posto al suo fianco, uno dei monitor al centro (sul quale, fino a pochi istanti prima, era possibile scorgere una processione di barelle in uscita dalla Cattedrale di San Patrizio), divenne completamente nero, e quando riprese ad illuminarsi, su di esso comparve il primo piano di un ragazzo di circa vent'anni dalla corta barba nera e lo sguardo terribilmente penetrante.
Per qualche ragione a lui sconosciuta, ad Alessandro il suo aspetto parve stranamente familiare.
''L'hanno caricato in rete poco dopo l'attentato a Times Square'' spiegò Lucy, facendo partire la registrazione.
''Mi chiamo Malik Hatem, e questo è un messaggio rivolto a re Bashir bin Aram Jaziri, e al presidente degli Stati Uniti Viktor Walker'' annunciò lo sconosciuto in tono deciso. ''Nel momento esatto in cui sentirete le mie parole, tutti i civili presenti all'interno del Brooks Plaza si troveranno sotto sequestro. Io e i miei fratelli abbiamo minato le strutture portanti dell'intero edificio. Mi è sufficiente premere un pulsante e salteranno in aria, facendo crollare tutto quanto come un castello di sabbia''
Mentre i suoi muscoli si irrigidivano, Alessandro sgranò gli occhi, ma seppe comunque resistere alla tentazione di parlare. Non poteva permettersi di fare domande in quel momento. Prima, doveva sentire il resto.
''I martiri che sono già ascesi al cielo quest'oggi non vi hanno offerto nient'altro che un semplice assaggio di quanto ancora potreste patire. Se tenete anche solo un briciolo alla vita dei vostri cittadini, vi consiglio di ascoltare attentamente quanto sto per dire''
Malik fece una breve pausa carica di significato e poi proseguì.
''In questi ultimi mesi il demone conosciuto come Kama ha cominciato a vagare per questa terra, uccidendo i suoi oppositori, ingannando gli stolti e diffondendo la paura nei cuori dei più pavidi. Esattamente come a molti altri sovrani prima di lui, a re Bashir è stata data la possibilità di dimostrarsi all'altezza del suo titolo, decidendo se schiararsi dalla parte dell'onore e del coraggio o dell'infamia e della viltà. Disgraziatamente, ha scelto la seconda''
Mentre pronunciava quelle parole la sua voce trasudava un profondo disprezzo, reso ancor più evidente dall'espressione ostile che gli deformava i lineamenti.
''Re Bashir ora dice che la democrazia non è contraria alla legge del profeta, come se le due potessero coesistere. Dice che la pena di morte va abolita, perché Allah stesso ci insegna ad essere misericordiosi. Dice che dobbiamo imparare ad essere tolleranti coi miscredenti e gli altrui peccati, in quanto la storia musulmana è fatta di tolleranza''.
Scosse la testa con aria eloquente.
''Re Bashir però non parlava così un anno fa. Il Gran Mufti Yasin non rinnegava tutto quello che ha sempre sostenuto, predicando concordia e rispetto tra le varie culture. Non sputava sul Corano mettendo sullo stesso livello cristiani e musulmani, ebrei e musulmani, pagani e musulmani!''.
Rendendosi conto che l'emozione nella sua voce rischiava di prendere il sopravvento, Malik prese un profondo respiro, così da avere il tempo sufficiente per calmarsi. E infatti, quando riprese a parlare, il suo tono era tornato pacato e risoluto.
''No, queste cose non accadevano, e anche se loro non vogliono ammetterlo, noi veri fedeli sappiamo bene chi si cela dietro questo tentativo di sovvertire i sacri principi del wahhabismo. Nella sua smisurata arroganza, l'imperialismo americano ha deciso di distruggere la terra dei nostri padri e l'islam, e per riuscirci non si è fatto scrupoli ad allearsi persino con il Dajjāl, il falso Messia, che come predicato dagli Hadith, è venuto sulla terra per gettare la umma nel caos e nella perdizione. Sappiate però che questo vergognoso e infame tentativo è inesorabilmente destinato al fallimento. La venuta del finto Mahdi è un segno inequivocabile che il giorno del giudizio è vicino, ma noi non cederemo alle lusinghe di questo vile impostore, né ci piegheremo di fronte alla sua magia, o ai suoi inganni. Noi resisteremo, e non vi permetteremo di trascinarci nel jahannam con lui. Ecco perché oggi siamo qui''
Mentre ascoltava la registrazione, ad Alessandro tornarono in mente le parole pronunciate da re Bashir diversi mesi prima, quando lui gli aveva intimato di fermare la guerra e riformare il paese.
Non posso spingermi troppo oltre.
Se le cose stavano davvero così, la responsabilità di quella situazione da incubo non era soltanto di quel gruppo di assassini fanatici. Come già accaduto a Lomé, e in chissà quanti altri posti, delle persone avevano perso la vita a causa del suo operato. Compresi i poveri disgraziati morti quello stesso giorno.
La consapevolezza di ciò, gli fece provare una terribile sensazione. Un raccapricciante miscuglio di senso di colpa, rabbia, disgusto e orrore, che gli torse le budella e lo distrasse dal discorso di Malik. Per sua fortuna, però, quando si impose di riprendere l'ascolto, scoprì di non essersi perso granché.
''...totale responsabilità ricadrà su re Bashir e sul presidente Walker. Dunque, ecco le nostre richieste''. Malik afferrò il foglio che teneva appoggiato sul tavolo dietro cui si trovava, e cominciò a leggere. ''Chiediamo l'espulsione immediata di tutti gli infedeli dall'Arabia Saudita, compresi ovviamente i militari americani lì stanziati, l'annullamento delle cosiddette riforme annunciate da re Bashir nell'arco degli ultimi mesi, e che il Gran Mufti Yasin emetta una fatwa in cui dichiari che Kama è il Dajjāl, nemico giurato di tutti i musulmani, e in quanto tale da osteggiare ad ogni costo''
Nonostante l'avessero già sentita, Alessandro notò che tutti gli occupanti del Van ascoltavano la registrazione in religioso silenzio. Persino Bertrand aveva sporto la testa attraverso lo spioncino dell'abitacolo per non restare escluso. Tuttavia, tenendo conto delle occhiate furtive che lanciavano ogni tanto nella sua direzione, era chiaro che il loro interesse non fosse dovuto al messaggio di Malik, bensì ad Alessandro stesso. Intuire ciò che intendesse fare, osservandone le reazioni. Questo restava l'obiettivo principale del team.
''Pretendiamo inoltre la chiusura del carcere di Guantanámo, e la liberazione immediata di tutti i suoi occupanti'' annunciò Malik continuando a leggere dal foglio. ''Lo stesso avverrà per numerosi altri prigionieri, detenuti presso diverse strutture qui negli Stati Uniti e all'estero, i cui nomi sono riportati in una lista allegata a questo video. In aggiunta a tutto ciò, il governo americano dovrà provvedere al rientro in patria dei palestinesi esiliati nel Sinai e in Giordania, riconoscere lo Stato di Palestina e, soprattutto, iscrivere ufficialmente di Kama nella lista delle organizzazioni terroristiche''
Alessandro deglutì.
Erano richieste folli. O meglio, era folle credere che Walker avrebbe potuto anche solo prendere in considerazione l'idea di accettarle. Non sarebbe mai successo, nemmeno se fossero rimasti barricati lì dentro per decenni.
Per come la vedeva lui, esistevano due sole possibilità. O pensavano sul serio di avere una chance, e quindi erano pazzi, oppure sapevano benissimo che la loro fosse una battaglia persa in partenza, e ciò che gli interessava veramente si limitava a compiere una strage di proporzioni inumane. In quest'ultimo caso si andava ben oltre la follia.
''Queste sono le nostre richieste. Nient'altro'' concluse Malik mettendo giù i fogli.
Per un brevissimo folle istante Alessandro fu tentato di scoppiare a ridere, ma in un moto di rabbia e disgusto verso sé stesso, riuscì a soffocare sul nascere quell'impulso.
''Comprendiamo perfettamente che per la realizzazione di questi punti sia necessario del tempo, ma non vi preoccupate, non abbiamo fretta'' proseguì Malik in tono rassicurante. ''Resteremo in attesa qui fino a quando non saranno stati soddisfatti tutti, dal primo all'ultimo, e controlleremo che vi stiate adoperando a sufficienza tramite il web''.
Alzò l'indice come se volesse fare una precisazione.
''Tuttavia, ciò non implica che possiate pretendere una pazienza infinita da parte nostra. Provate ad ingannarci, mentire, o temporeggiare inutilmente, e noi uccideremo cinque ostaggi in una volta sola''.
La sua espressione si indurì, mentre lanciava un'occhiataccia verso l'obiettivo della telecamera.
''Cercate di penetrare nell'edificio in qualunque modo, e ogni persona presente in questo grattacielo morirà'' sibilò acre.
Malik fece una pausa, rendendo il silenzio presente all'interno del furgone ancora più opprimente.
''Comunicate per via telefonica solamente nel caso in cui abbiate novità di cui informarci, altrimenti mantenete il silenzio''. Scosse la testa con evidente disprezzo. ''Non ci interessa chiacchierare con voi. E questo è tutto''.
Improvvisamente, le rughe sul suo volto si ridistesero, e un accenno di sorriso gli increspò le labbra.
''Ah, un'ultima cosa. Quale incentivo a non essere eccessivamente oziosi, uccideremo un ostaggio ogni ora. E questo punto non è negoziabile. Fine del messaggio''
Lucy stoppò la registrazione e, come il resto dei presenti, si voltò a fissare Alessandro, il quale però era talmente concentrato sullo schermo dove compariva Malik, che non parve accorgersene. I suoi occhi erano spalancati come se stesse assistendo a qualcosa di terribile, da cui tuttavia non riusciva a distogliere lo sguardo.
''Un ostaggio ogni ora?'' sussurrò senza smettere di fissare il monitor.
Dan fece un passo verso di lui.
''Cerca di calmarti'' esordì in tono rassicurante.
''Quanto tempo è passato?'' gli domandò Alessandro, voltando la testa nella sua direzione.
''Prima di prendere qualsiasi decisione, dobbiamo sentire il presidente'' spiegò Dan, intuendo i suoi pensieri.
''Al diavolo!'' esplose Alessandro, facendo sobbalzare tutti i presenti per la sorpresa. ''Perché non mi avete detto subito quel che stava succedendo?! Se aspettiamo ancora, il primo ostaggio verrà ammazzato!''
''È troppo tardi per quello'' ribatté Dan asciutto, ''ma possiamo ancora salvare gli altri, se solo ti dai una calmata''
''Col cazzo!'' sbottò Alessandro.
Girò sui tacchi e cercò di afferrare la maniglia della portiera, ma Dan lo anticipò frapponendosi tra lui e l'uscita.
''Non puoi entrare lì così, lo vuoi capire?!'' esclamò indignato appoggiandogli le mani sul petto, nel tentativo di trattenerlo.
In termini di sfida, per Alessandro costringerlo a spostarsi equivaleva a sollevare un bicchiere, ma il tono appassionato dell'agente lo convinse a fermarsi.
''Non sei un poliziotto, né un membro della SWAT'' gli ricordò Dan con decisione. ''Non possiamo permetterti di agire come ti pare e piace senza che ci venga prima data un'autorizzazione ufficiale''.
Alessandro aprì la bocca per replicare, ma ancora una volta Dan si dimostrò più svelto.
''Sappiamo bene che sei la nostra unica speranza di evitare un'ecatombe'' aggiunse comprensivo, ''ma c'è un protocollo da rispettare. Questa non è la Somalia''
La fronte di Alessandro si aggrottò in un cipiglio ostile, e Dan comprese di aver commesso un grave errore.
''Ah, ora capisco'' disse Alessandro con voce fintamente suadente, prima che il suo tono divenisse improvvisamente aspro. ''Protocollo a casa propria, merdate a casa d'altri!''
''Non intendevo quello'' ribatté Dan abbassando lo sguardo, ''ma cerca di capire. Nel caso commettessi un passo falso, moriranno in migliaia''. Riprese a guardarlo negli occhi. ''Davvero ti vorresti assumere la responsabilità?''
Dopo che l'agente ebbe terminato di rivolgergli quell'appello, Alessandro continuò a mantenere lo stesso cipiglio risoluto, anche se Dan, nonostante la penombra che regnava all'interno del furgone, riuscì comunque a scorgere una leggera incrinatura farsi largo su quell'espressione all'apparenza irremovibile. Se voleva convincerlo a desistere, doveva agire ora.
''Ascolta'' disse pacato, ''adesso noi...''
Un urlo terribile riecheggiò all'esterno del Van, interrompendo Dan. Istintivamente, tutti alzarono la testa in direzione del rumore, che sembrava provenire dall'alto, da qualche parte alle spalle di Alessandro, ma non ci fu molto tempo per identificarne l'origine con precisione. In una manciata di secondi infatti, il grido era cessato.
Agendo pressoché in simultanea, Alessandro e Dan si guardarono negli occhi, e a quel punto non vi fu alcun bisogno di parlare. Cosa fosse appena accaduto lo sapevano benissimo entrambi.
La prima ora era scaduta.
Fin da quando aveva sentito l'urlo, Alessandro non nutriva alcun dubbio in merito a quale fosse il suo compito Doveva muoversi, fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma l'aria lì dentro sembrava essere diventata più densa della gelatina. Persino i rumori provenienti dal mondo esterno parevano giungere da molto lontano, come se l'acciaio della carrozzeria fosse stato improvvisamente sostituito da pareti di piombo spesse dieci centimetri.
Fu anche per questo che Alessandro si rese conto del caos scoppiato in strada, solamente nel momento in cui la porta del furgone si aprì all'improvviso, riversando nell'abitacolo gli schiamazzi degli agenti e i fischi delle sirene.
Jimmy si trovava appena oltre la soglia, il volto atterrito e la mano appoggiata ancora sul maniglione del Van.
''Signore, è...''Il genuino stupore che lo travolse alla vista di Alessandro, gli paralizzò la lingua, impedendogli di aggiungere altro, se non un debole borbottio. ''Ma, cosa...''
Volendo approfittare di quel diversivo quanto mai opportuno, Alessandro adocchiò l'uscita e mosse un passo di lato per aggirare Dan. Prevedendo le sue intenzioni, l'agente cercò di trattenerlo afferrandogli la manica.
''Aspetta!'' esclamò con una punta di terrore nella voce.
Non servì a nulla. Un istante dopo Alessandro era scomparso, e Dan si ritrovò a stringere tra le dita nient'altro che aria.
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