Capitolo 8 - Rinascita
Fin dal momento in cui si sedette a tavola per pranzare, Alessandro non fece assolutamente nulla che potesse essere etichettato come insolito, limitandosi a ripulire con la consueta voracità il piatto di pasta all'arrabbiata servitagli dalla madre, per poi dirigersi in camera con la scusa di dover studiare.
Nel corso del pomeriggio il dolore che provava al corpo non si affievolì minimamente, tuttavia, la ferma volontà di non attirare su di sé l'attenzione, gli permise di sopportare tutto senza mai emettere neppure un singolo lamento.
In ogni caso, se anche la sofferenza patita fosse stata più intensa, niente al mondo gli avrebbe impedito di riflettere su quanto avvenuto al parco. E questo perché, indipendentemente dai dubbi che potesse nutrire in merito, qualcosa era avvenuto per forza.
La sfera schiantatasi di fronte a lui era una sonda aliena. Di questo ne era certo. Il problema era capire le ragioni del suo viaggio fin lì.
Che obiettivo poteva mai avere chi l'aveva spedita sulla terra?
Far provare agli abitanti la bontà dei loro funghi?
Ammesso e non concesso che non si fosse immaginato tutto. Quando aveva affondato i denti in quella cosa infatti, il suo cervello aveva subito una specie di blackout.
Non si ricordava nulla di quanto accaduto in seguito. Sapeva solo di aver sentito un sapore celestiale e un attimo dopo più niente. Probabilmente non era successo nulla di ciò che credeva di aver visto.
L'appendice metallica che lo scrutava.
L'aroma del fungo.
Tutto un'illusione.
Parte di un assurdo sogno in cui era sprofondato dopo essere involontariamente scivolato sull'erba.
Ma la sonda no. Quella non se l'era immaginata. Diamine, l'aveva addirittura seppellita.
Che fosse giunta sulla terra per raccogliere informazioni?
Ma poi, chi gli diceva che avesse origine aliena?
D'altronde, se sia il fungo che quella sorta di braccio metallico erano frutto di un'allucinazione ad occhi chiusi, allora poteva benissimo trattarsi di un qualsiasi detrito spaziale. Un pezzo di satellite o magari un meteorite dalla forma insolita. Insomma, niente a che vedere con lontanissime società extraterrestri.
Rassicurato da quella prospettiva, e ormai certo di non aver compiuto un gesto così follemente avventato come quello verificatosi nel sogno, l'inquietudine di Alessandro scomparve quasi del tutto.
In effetti, ormai era talmente convinto di quella teoria, che provò persino ad accantonare temporaneamente l'argomento sonda, così da concentrarsi unicamente sullo studio.
Per quanto ambiziosa, la strategia parve persino avere successo, ma trascorse un paio d'ore da quando aveva finito di pranzare, ognuna di quelle certezze crollò come un castello di carte.
Inizialmente sentì un bizzarro formicolio alla pancia, poi venne il bruciore, e senza che quasi se ne rendesse conto, nel giro di quaranta minuti si ritrovò a sudare copiosamente sotto le coperte.
Aveva freddo, la fronte bollente e lo stomaco gli bruciava come se avesse bevuto una bottiglia di acido.
Fu allora che capì.
Non era stato un sogno.
Quella follia lui l'aveva fatta veramente.
Il suono del campanello gli giunse chiaro e distinto mentre Elisa stava ancora cercando il termometro dentro l'armadietto del bagno, ed Alice lo fissava con apprensione stando in piedi di fronte al suo letto.
Nonostante i continui tentativi che aveva fatto Alessandro per minimizzare la faccenda, nessuna delle due sembrava intenzionata a dargli ascolto, e con l'arrivo di Umberto era ampiamente prevedibile che le cose avrebbero solo potuto peggiorare.
Forse sarebbe stato in grado di far passare tutto sotto silenzio se solo si fosse trattato di un sabato normale, ma essendo quello il giorno in cui avevano deciso di andare a trovare nonna all'ospedale, le sue chance in merito risultavano pressoché inesistenti.
Quando suo padre varcò la soglia della sua stanza, Alice ed Elisa davano l'impressione di trovarsi davanti al capezzale di un moribondo.
''Allora, che succede?'' chiese Umberto affiancando la moglie.
''Alessandro non sta bene'' rispose Elisa preoccupata.
''Ti senti male?'' domandò Umberto rivolgendosi direttamente ad Alessandro.
''Un po' '' ammise lui abbozzando un sorriso.
Sebbene si fosse sforzato per dare alla propria voce un'intonazione serena, il risultato finale lasciò molto a desiderare.
''Ha la fronte bollente e suda come un matto'' spiegò Elisa ignorando completamente le sue rassicurazioni.
''Non è così grave, è solo mal di stomaco'' insistette Alessandro. ''Se volete posso provare a venire comunque''
''Così facciamo ricoverare anche te?'' chiese Alice sarcastica.
''È colpa mia'' confessò affranta Elisa. ''Non dovevo farti stare fuori con questo tempo e adesso ti sei beccato la polmonite!''
''No, mamma'' ribatté Alessandro scuotendo la testa, ''tu non c'entri, davvero''
''Sì, mamma, ha ragione'' confermò Alice. ''Alex...''
Sebbene non fosse durata per più di una frazione di secondo, l'occhiataccia con cui la fulminò Alessandro si rivelò sufficiente a farle correggere il tiro.
Mamma e papà non dovevano sapere del pestaggio.
''Alex mi ha detto che già ieri sera non si sentiva molto bene'' concluse vaga. ''Forse ha preso qualche virus a scuola''
''E perché non me l'hai detto?'' sbottò Elisa in preda al rimorso. ''È per questo che camminavi strano stamattina?''
''Sì'' mentì Alessandro annuendo.
''Oh, il mio bambino'' commentò desolata Elisa.
Prese posto sul bordo del letto e si mise ad accarezzare la guancia del figlio.
''Vuoi che rimandiamo?'' gli chiese Umberto. ''Da nonna possiamo andarci domani''
''No, andate voi'' obiettò subito Alessandro. ''Se dovessi stare male anche domani vi avrei solo fatto rimandare per niente''
''Sei sicuro?''
''Salutatemi nonna e chiedetele scusa da parte mia'' rispose Alessandro sforzandosi di sorridere.
Umberto ed Elisa si scambiarono degli sguardi preoccupati.
''Non mi sembra giusto lasciarti solo in queste condizioni'' annunciò Umberto scuotendo il capo. ''Credo sia meglio rimandare''
''Invece non vi dovete preoccupare'' ribadì Alessandro. ''Io starò bene, devo solo riposare stando al caldo''
I suoi genitori incrociarono nuovamente lo sguardo, e Alice decise di utilizzare quel momento di distrazione per fare lo stesso con lui.
In risposta all'espressione interrogativa che gli rivolse la sorella, Alessandro scosse impercettibilmente il capo.
Adesso Alice sapeva cosa fare.
''Ha ragione Alex'' esordì lei, rompendo il silenzio.
Elisa ed Umberto si voltarono all'unisono verso la figlia, ma Alice non perse la calma.
''Secondo me dovremmo andare'' spiegò tranquilla. ''E poi, in caso di emergenza può sempre farci uno squillo, no?''
Messa in difficoltà da quelle parole Elisa accarezzò la guancia di Alessandro, per poi rivolgersi al marito.
''Non lo so'' confessò incerta. ''Tu cosa dici?''
Umberto si morse il labbro ed abbassò la testa. Dal modo in cui si grattava la barba tenendo gli occhi fissi sul pavimento, era chiaro che fosse impegnato a riflettere.
Rialzato lo sguardo dopo circa una decina di secondi, la prima cosa che fece fu puntare il dito verso Alessandro.
''Non-devi-esitare'' scandì con voce ferma. ''Non importa se sono passati solo dieci minuti oppure due ore. Nel caso cominciassi a stare davvero male, ci chiami subito, ok?''
Alessandro annuì in segno d'assenso.
''D'accordo''
Il profondo sospiro a cui si lasciò andare Umberto gli fece comprendere di essere riuscito nel suo intento.
''Va bene''. Tirò su la cerniera del giaccone fino in cima. ''Allora andiamo''
Ricevuto il quinto bacio di pronta guarigione da parte di Elisa, suo padre gli andò a prendere in bagno una scatola di Aspirine e un'altra di Tachipirina, per poi appoggiare entrambe sulla scrivania accanto allo Smartphone.
A quel punto si congedarono.
Nonostante non stesse aspettando altro, Alessandro non agì subito, imponendosi di attendere finché non fosse stato assolutamente sicuro che nessuno potesse sentirlo.
Il conto alla rovescia che si era imposto di rispettare cominciò nel momento esatto in cui sentì scattare il chiavistello della porta blindata all'ingresso.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto...
La paura ebbe la meglio ben prima che arrivasse ai trenta secondi pattuiti.
Ignorando il dolore saltò giù dal letto, e correndo fuori dalla stanza irruppe nel bagno spingendo la porta con la spalla. Quando si inginocchiò sul tappetino del water aveva già il dito in gola.
L'impulso giunse praticamente subito, tant'è vero che Alessandro sentì la trachea contrarsi in preda agli spasmi mentre cercava di spingere verso l'alto il contenuto dello stomaco. Ciononostante, alla fine tutto ciò che gli uscì dalla bocca fu un lungo rivolo di bava.
Terrorizzato all'idea di non essere più in tempo, ritentò ancora e continuò a farlo per i successivi dieci minuti senza però riuscire ad ottenere nient'altro che qualche goccia di saliva.
Né il pranzo, e men che meno il fungo vennero allo scoperto. Anche se non riusciva a crederci il suo stomaco sembrava essersi sigillato.
Confuso e spaventato tornò in piedi e si appoggiò al lavandino. Nel momento in cui vide la propria immagine riflessa fece fatica a riconoscersi.
Era paonazzo come se fosse reduce da una sauna a cento gradi e sudava copiosamente. Il termometro digitale che aveva cercato sua madre giaceva nel mobiletto sotto al lavandino, nascosto dietro la borsa dell'acqua calda, e lui lo individuò dopo una frettolosa ricerca.
Infilatoselo nell'orecchio destro, non dovette attendere più di una manciata di istanti prima che un sonoro bip gli annunciasse il completamento della misurazione. Alla vista del valore riportato sul display Alessandro sgranò gli occhi in preda al panico.
Quarantatré e mezzo non era un sintomo di malessere. Era una condanna a morte.
Trascinatosi fuori dal bagno senza nemmeno spegnere la luce, fece dunque ritorno in camera dove recuperò sia il cellulare che le confezioni di medicinali, prima di dirigersi ansimando verso il soggiorno.
Fuori pioveva a dirotto, ma nonostante la pioggia battesse incessante sui vetri delle finestre lui non se ne accorse nemmeno.
Abbandonato l'intero carico sul tavolo della cucina cercò subito di comporre il numero di suo padre soltanto per scoprire che lo Smartphone era spento.
Imprecando ad alta voce lo accese, e mentre attendeva che trascorressero i tempi biblici necessari affinché comparisse la schermata iniziale, estrasse un paio di tachipirine dalla confezione, per poi tentare di mandarle giù con un bicchiere d'acqua del rubinetto.
Alessandro fece appena in tempo a sentire le due pillole che gli scendevano giù per la gola, prima che un conato improvviso non lo costringesse a sputare tutto quanto sul pavimento, dove il bicchiere vuoto scivolatogli di mano si infranse in tanti minuscoli frammenti.
Tossendo e annaspando alla ricerca d'aria cercò di appoggiarsi alla sedia più vicina, ma la fitta che gli trafisse lo stomaco mentre stava ancora stendendo il braccio, risultò così dolorosa che lo fece crollare a terra come se fosse stato raggiunto da una pugnalata.
Sfortunatamente per lui, quello era solo l'inizio.
Irradiandosi dal suo sterno con inesorabile lentezza, il dolore avvertito poco prima cominciò ad espandersi a macchia d'olio a tutto il petto, finché non l'ebbe completamente attanagliato.
Prima di allora Alessandro non aveva mai provato nulla di simile. Sembrava quasi che lo stessero torturando spegnendogli addosso decine di sigarette in simultanea, con la differenza che la sofferenza non si fermava allo strato di pelle superficiale, ma procedeva ben oltre, attraverso muscoli, tendini e ossa.
Col cuore che batteva all'impazzata Alessandro gridò per chiedere aiuto, tuttavia, quanto stava subendo l'aveva ormai reso del tutto incapace di pensare lucidamente, e l'unico suono che gli uscì dalle labbra fu un lungo lamento incomprensibile.
Essendo impossibilitato ad alzarsi stese il braccio verso lo Smartphone rimasto sul tavolo, soltanto per assistere impotente mentre uno spasmo improvviso glielo faceva ricadere bruscamente verso terra.
Il cellulare rimase al suo posto, lontano e irraggiungibile.
Il dolore nel frattempo continuava ad avanzare. Millimetro dopo millimetro. Spietato e inarrestabile, come lancette sull'orologio. Secondi, minuti, ore, tutto si fece confuso e surreale.
Il sole fuori dalla finestra tramontò dietro l'orizzonte, facendo piombare il soggiorno nel buio, ma Alessandro non se ne accorse.
I suoi occhi inondati dalle lacrime fissavano il soffitto della cucina mentre se ne stava sdraiato sul pavimento, il corpo scosso dalle convulsioni.
La sua bocca si contorceva seguendo il ritmo degli spasmi senza però che da essa si levasse neppure un gridolino o una richiesta d'aiuto.
Le urla raccapriccianti che gli rimbombavano nella testa furono costrette a restarvi confinate, perché la sofferenza patita sembrava avergli strappato persino le corde vocali.
Ormai per lui c'era solo il dolore, e gli unici pensieri che restava in grado di concepire ruotavano tutti attorno a questo singolo concetto.
Porre fine a quel supplizio a qualunque costo. Vita, morte, niente aveva più importanza. Che tutto scomparisse se così doveva essere. Qualsiasi cosa andava bene, purché l'agonia terminasse.
Che qualcuno mi uccida!
Quell'appello disperato ebbe giusto il tempo di riecheggiare nella sua mente per qualche istante, prima di venire completamente sovrastato dalle grida strazianti che lo seguirono.
Ogni cellula del corpo gli bruciava come se avesse letteralmente preso fuoco dall'interno.
Se soltanto fosse riuscito a farlo smettere. Se soltanto non fosse stato così pazzo da mangiare quel fungo. Se soltanto avesse potuto dire almeno addio a...
La fitta spaventosa che gli squarciò il petto, pose fine anche ai deboli rantoli che riusciva ancora ad emettere. Dopo ore intere di estenuante battaglia, il cuore di Alessandro aveva ceduto.
Uno spasmo involontario gli fece inarcare la schiena, mentre le sue braccia scattavano in avanti. Con la bocca spalancata in un vano tentativo di inalare ossigeno, afferrò il vuoto stringendo i pugni a mezz'aria, quasi stesse tentando di aggrapparsi alla vita che vedeva scivolargli via.
Dolore, rimorso, rimpianto, panico, paura della morte e desiderio di sottrarsi da essa, ogni emozione che stava provando mischiata con le altre in una terrificante spirale da cui non esisteva via di fuga.
Fatto appello alle ultime forze che gli rimanevano Alessandro provò di nuovo ad urlare, ma una volta che si fu privato anche di quella minuscola scorta d'ossigeno la vista gli divenne offuscata, e dopo essere ricaduto indietro sbatté la testa sul pavimento.
Tutto il mondo si fece nero.
***
Oscurità. Un'impenetrabile oscurità dentro cui non si scorgeva niente.
Solo buio assoluto e la sensazione che un vento impetuoso infuriasse senza tregua attorno a lui. Eppure, da qualche parte, nascosto nelle tenebre, il suo istinto gli diceva che ci fosse qualcosa. Come delle presenze invisibili. Creature silenziose di fronte ad un cieco. Inquietanti, malvagie e affamate.
La morte lo attendeva nell'ombra. In agguato dentro quell'eterna tempesta.
Adesso era tutto diverso. Sole, luce, un cielo azzurro. Esili figure sbiadite fuggivano su un pavimento di pietra.
Urlavano. Le loro erano urla disperate. Urla molto strane. Non umane.
Qualcosa scattava in avanti e poi tornava indietro. Un urlo cresceva d'intensità e un secondo dopo cessava. In sottofondo si sentiva rumore di mascelle.
Il paesaggio cambiò ancora.
Correva. Correva a più non posso. Davanti a lui si trovava un lungo corridoio dalle pareti scintillanti. Alle sue spalle qualcun altro lo seguiva a breve distanza. Nessuna minaccia però proveniva da lì.
Improvvisamente lo scintillio della parete ostruì il passaggio. Bloccato.
Un suono acuto gli fece fischiare le orecchie, mentre tutto quanto svaniva, inghiottito da un'esplosione di luce bianca.
Poi, venne il buio.
Il ruggito che rimbombò all'interno dell'oscurità gli fece accapponare la pelle. Si trattava di un verso mostruoso e del tutto estraneo a qualunque altro che avesse mai sentito prima.
Qualcosa di sinistro, inquietante e alieno.
Nel tentativo di rintracciarne l'origine Alessandro si guardò attorno, ma nonostante i suoi sforzi non riuscì proprio a capirlo. Per quanto assurdo infatti, sembrava quasi che la fonte si trovasse ovunque attorno a lui.
Era l'oscurità stessa che gli stava ruggendo addosso.
Improvvisamente il verso cessò di colpo, e un istante dopo, prima ancora che fosse in grado di metabolizzare quel brusco cambiamento, una misteriosa creatura cominciò a corrergli incontro.
Ovviamente lui non la poteva vedere, ma capì comunque ciò che stava succedendo.
La sentiva.
Il rumore dei suoi passi si faceva sempre più vicino ad ogni secondo che passava. Avanzava con una rapidità semplicemente spaventosa.
Come un treno proiettile lanciato a folle velocità lungo i binari.
Un'enorme creatura resa invisibile dalla tenebra in cui era avvolta, ma le cui intenzioni gli furono chiare fin da quando ne avvertì la presenza.
Uccidere. Chiunque fosse quell'essere lo voleva uccidere.
Doveva scappare. Doveva fuggire! Doveva farlo subito, altrimenti...
Troppo tardi.
Nel tempo necessario a formulare quell'intenzione, la distanza che li separava si era già ridotta a pochi metri.
La creatura l'aveva raggiunto.
Per un terribile e fugace istante gli parve quasi di scorgerne la raccapricciante sagoma, mentre si apprestava a calare su di lui. Presto sarebbe tutto finito.
La morte gli alitò in faccia.
Rialzandosi di scatto Alessandro urlò con tale intensità da far riecheggiare la sua voce per tutto il soggiorno. Prima che si rendesse conto di essere al sicuro dovettero trascorrere diversi secondi, ma alla fine riuscì a calmarsi abbastanza da interrompere il grido.
Ansimando in preda all'angoscia continuò a restarsene seduto sul pavimento, gli occhi fissi sulla parete alle spalle del divano, i muscoli tesi come corde di violino.
Un incubo. Era stato solo un incubo.
Già, un brutto sogno...
Ma come mai si trovava per terra?
Le schegge di vetro del bicchiere sparse sul pavimento lo aiutarono a riacquistare la memoria di quanto accaduto la sera precedente.
Il dolore, la febbre e poi quell'atroce agonia protrattasi per ore intere.
Era morto. Lo aveva sentito. La fitta al petto, il respiro che gli si mozzava, lui che annaspava cercando aria, e il buio che era seguito.
Tutta colpa di quel dannato fungo alieno. Lo aveva avvelenato. Lo aveva ucciso.
No, quello no.
Colto da un dubbio improvviso si tastò la faccia, come se volesse accertarsi di non essere diventato un fantasma. Appurato di possedere ancora un corpo fisico Alessandro tirò un sospiro di sollievo e si alzò in piedi.
Era mattina, anche se a giudicare dall'intensità della luce bianca che filtrava attraverso la nebbia all'esterno, il sole doveva essere sorto da poco. L'orologio appeso alla parete segnava le 7:42.
Le 7:42?! Com'era possibile che i genitori e Alice l'avessero lasciato inerme sul pavimento cosparso di cocci?!
A meno che...
Stando attento a non calpestare le schegge di vetro del bicchiere si diresse verso il corridoio per poi entrare nella camera di Umberto ed Elisa.
Il lettone matrimoniale era vuoto e le lenzuola ancora perfettamente al loro posto. A quanto pare non avevano ancora fatto ritorno.
Che fosse successo qualcosa a nonna?
No, lei era in via di dimissione. Però potevano essere rimasti imbottigliati nel traffico. Tuttavia, sembrava improbabile che la cosa si protraesse così a lungo.
Un incidente allora?
Forse gli conveniva chiamarli per accertarsi che stessero bene.
Prima però doveva ripulire il disastro che c'era per terra. Non voleva che scoprissero che aveva rotto un bicchiere.
Recuperata scopa e paletta si diede quindi da fare per raccattare tutte i cocci sparpagliati un po' ovunque. Mentre finiva di buttare gli ultimi frammenti nel bidone della raccolta differenziata riservato al vetro, non poté non constatare come fosse stato fortunato a non ferirsi dopo essere scivolato sul pavimento.
La striscia rossa che solo allora vide spuntare da sotto il polsino del pigiama gli fece comprendere di aver parlato troppo presto.
Tirata indietro la manica infatti, scoprì di essersi procurato un lungo e profondo taglio sul dorso della mano destra. Con tutta probabilità se l'era fatto mentre si dibatteva sul pavimento in preda alle convulsioni. Non gli faceva male, e tra l'altro aveva anche smesso di sanguinare, ciononostante decise ugualmente di andarsi a medicare in bagno.
Pulì il taglio, e dopo aver disinfettato la ferita ci piazzò sopra un cerotto. Già che c'era, decise pure di misurarsi la temperatura.
Trentasei e mezzo. Quando lesse il valore Alessandro si sentì come se gli avessero appena tolto un macigno dallo stomaco. La febbre sembrava scomparsa e in realtà non era la sola cosa ad esserlo.
I dolori che lo avevano tormentato per tutta la giornata precedente risultavano adesso del tutto impercettibili, come se il pestaggio non fosse mai avvenuto.
Era passato dalla più straziante delle agonie alla perfetta salute nell'arco di una sola notte. Oltre al veleno che gli aveva dato l'impressione di morire, quel fungo doveva possedere per forza qualche tipo di virtù medicinale.
Assurdo. Completamente assurdo. E più ci rifletteva e meno ci capiva.
Dato che difficilmente ne sarebbe venuto a capo standosene a fissare la propria immagine allo specchio, decise di controllare se avesse ricevuto qualche messaggio da parte dei genitori.
Tornato in cucina raccolse il cellulare, ma anche quando se lo ritrovò tra le mani non ebbe comunque la possibilità di inserire la password. La batteria era scarica.
Maledicendo cellulari e batterie stava per andare a metterlo in carica quando un vigoroso brontolio non lo fece sussultare. Resosi conto che il responsabile era il suo stomaco si tranquillizzò, anche se la cosa non gli fu d'alcun aiuto nel risolvere il problema di cui solo allora parve prendere consapevolezza.
Aveva fame. Una fame terribile.
Intanto che lo Smartphone si accendeva corse a prendersi qualcosa con cui fare colazione, e dopo aver appoggiato l'occorrente sul tavolo, tornò a controllare il cellulare.
Niente. Nessun messaggio in entrata. La faccenda era molto strana.
Provò a chiamare suo padre selezionandone il nome della rubrica, ma l'unica voce che giunse in risposta fu quella della segreteria telefonica, che gli annunciava l'esaurimento del suo credito. Essendo trascorse due settimane dall'ultima telefonata non capiva come accidenti fosse possibile che si fossero bruciati tre Euro senza che facesse assolutamente nulla.
Giunto alla conclusione che sporgere reclamo, riempire di insulti l'ignoto CEO della compagnia telefonica o urlare contro lo Smartphone, avesse pressappoco lo stesso peso si limitò ad emettere un sospiro di rassegnazione per poi mettersi a fare colazione.
Tanto, se ci fosse stata davvero un'emergenza, di sicuro gli avrebbero mandato almeno un messaggio, no?
Probabilmente erano incappati in un guasto alla macchina sulla via del ritorno, e credendolo ancora influenzato a letto, avevano preferito lasciarlo dormire senza disturbarlo. E in ogni caso aveva troppa fame per pensarci.
Spazzolate due ciotole di muesli col latte, passò quindi alle brioches, ma una volta finite sia quelle che il barattolo di marmellata di arance, capì di non essere affatto sazio. Dato che mancava ancora parecchio a pranzo mangiò un paio di banane, diversi mandarini, e anche le mele cotte rimaste in frigo, non ottenendo però nemmeno stavolta dei grossi miglioramenti.
Stava ancora riflettendo sull'opportunità di aprire o meno la lattina di pesche sciroppate che mamma conservava in dispensa, quando sentì il rumore di una serratura che scattava.
Balzando in piedi per lo shock, Alessandro si affrettò a buttare nel bidone dell'umido le bucce che aveva accumulato sulla tovaglia, appena in tempo per raggiungere la porta d'ingresso proprio quando questa iniziava a girare sui cardini.
''Ciao'' disse Alessandro con semplicità, nel momento in cui i suoi genitori varcarono la soglia di casa. ''Allora, cos'è successo? Problemi con la macchina?''
Elisa gli rivolse uno sguardo carico di tristezza, ma a parte scuotere impercettibilmente la testa non proferì parola. Quanto a suo padre, Umberto si limitò a procedere in direzione del corridoio tenendo gli occhi bassi, mentre la moglie lo confortava stringendogli la spalla. Essendo l'ultima del trio ad entrare nell'appartamento, fu Alice che si occupò di chiudere la porta.
Fin dal primo istante in cui la vide, Alessandro non ebbe dubbi da chi andare a chiedere informazioni.
''Ma che...''
Sua sorella non gli fece finire la domanda.
''Nonna è morta'' rivelò asciutta.
Mentre la notizia lo investiva con la stessa violenza di una fucilata, Alessandro parve pietrificarsi sul posto. I suoi occhi rimasero fissi sul vuoto e la bocca irrigidita nella stessa identica posizione che aveva solo pochi istanti prima. Dal volto gli era scomparsa qualsiasi traccia di gioia o serenità.
Senza aggiungere altro Alice si avviò verso la propria stanza, lasciando il fratello davanti alla porta d'ingresso.
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