Capitolo 66 - Pesci piccoli e pesci grossi

''Sì, mamma, te l'ho già promesso'' confermò Raúl tenendo lo Smartphone appoggiato all'orecchio. ''Sì, domani a mezzogiorno''.

Dandosi la spinta col piede, compì un giro completo sulla poltrona, tornando così alla posizione di partenza.

''Tranquilla, non mi metto nei guai'' ripeté per la quarta volta levando gli occhi al cielo, ''ora però va a letto, che è tardi''

La fronte di Raúl si aggrottò.

''No, mamma, ti prego, non invitare anche Conrado, se no poi quello se ne sta col broncio tutto il tempo''.

''Non mi interessa se ti aiuta a preparare il mole, tu non invitarlo'' insistette Raúl piccato.

''D'accordo, notte mamma'' si congedò con gentilezza. ''Sì, anch'io ti voglio bene. Baci''

Toccando il centro del display col dito, interruppe la chiamata, e a quel punto appoggiò il cellulare sulla scrivania. In quel momento, a parte lui e i due enormi mastini, all'interno dell'ufficio non c'era nessuno. Max e Sam stavano riposando, sdraiati sull'altrettanto gigantesca cuccia, sistemata sul lato destro della stanza.

Vedendo che il padrone aveva interrotto la chiamata, entrambi i cani gli rivolsero un'occhiata adorante con le lingue penzoloni. Sorridendogli di rimando, Raúl si alzò dalla poltrona e li raggiunse.

''Siete stati proprio bravi'' commentò compiaciuto inginocchiandosi davanti a loro.

I due mastini presero subito a scodinzolare e Sam gli assestò una leccata in piena faccia, seguito a ruota dal fratello.

''I miei cuccioloni''.

Li accarezzò entrambi sul collo finché non smisero.

''Piaciuta la pappa, eh?'' chiese grattando Sam dietro l'orecchio. ''Non vi preoccupate, vi ho congelato gli avanzi''

Senza alcun preavviso, la porta dell'ufficio si spalancò di colpo e Raúl scattò subito in piedi, la mano alla pistola. Non appena però ebbe riconosciuto il viso di Paco, un ragazzo sui vent'anni dai baffetti appena accennati, abbassò il braccio. Nel frattempo, Max e Sam scoprirono i denti in un ringhio minaccioso, che fece desistere il nuovo arrivato dal varcare la soglia.

''Che c'è?'' chiese acido Raúl.

''Scusa capo, ma è un'emergenza'' si giustificò Paco. ''Tulio dice che c'è stato un casino su a Temixco''

''Passamelo'' disse Raúl secco.

Paco obbedì e gli porse lo Smartphone che teneva stretto in mano.

''Cosa?'' domandò Raúl incredulo, appena pochi secondi dopo dall'inizio della chiamata. ''Rallenta, dannazione, altrimenti non capisco un cazzo''

''Sì''

Raúl fece una pausa, durante la quale Paco incrociò lo sguardo con i due mastini, ma dopo che Max ebbe scoperto le zanne in maniera ancora più feroce, voltò subito la testa.

''Ah, ah''. Raúl sospirò. ''Ho capito''

Vi fu un'altra pausa.

''Senti, non ti muovere e non fare casini, adesso mando qualcuno''

''Ho detto di non schiodare da dove sei'' ribatté acido, ''ora ti mando qualcuno. Mi raccomando, aspetta lì''

Interrotta la chiamata, Raúl rimase immobile a fissare assorto lo schermo dello Smartphone, ma dopo quasi dieci secondi d'attesa, Paco si decise ad infrangere il silenzio.

''Che...'

''Hanno fatto a pezzi tutti quelli che stavano alla Cuenca'' disse Raúl anticipando la domanda.

Paco sgranò gli occhi.

''Sono morti?'' chiese incredulo.

Raúl sorrise beffardo.

''Considerato il loro stato, è improbabile che si riprendano'' rispose sarcastico. ''Coraggio, chiama Hector e digli di prepararsi''. Riconsegnò il cellulare a Paco. ''Sarà una notte lunga''

''P-prepararsi?'' farfugliò il ragazzo prendendo lo Smartphone in mano.

Raúl sollevò gli occhi al cielo.

''Ci mancava solo questa'' commentò esasperato. ''Togliti, faccio io''

Spinse di lato Paco e uscì sulla passerella in acciaio all'esterno dell'ufficio. Sporgendosi dalla balaustra, cominciò quindi a guardare in giro, finché non riuscì ad individuare Hector. Il miliziano si trovava vicino ad uno degli alti scaffali a metà del magazzino, intento ad aiutare l'operatore di un muletto, alle prese con un pellet stracarico.

''Hector!'' gridò Raúl, provando a farsi sentire al disopra del rumore che regnava nel capannone.

Hector però non rispose al richiamo e continuò a dare istruzioni all'uomo alla guida del carrello elevatore. Da quello che riuscì a capire, quest'ultimo non sembrava proprio in grado di regolare l'inclinazione delle forche, in modo da farle entrare nelle guide del pallet.

''Hector!'' tuonò impaziente Raúl.

Questa volta il miliziano parve sentirlo, tant'è che si voltò subito in direzione del rumore.

''Che c'è?'' chiese mentre si avviava verso la scalinata.

''La Cuenca'' rispose Raúl tranquillo, ''ci hanno fatto il menudo''

Gli ci volle qualche secondo per afferrare il messaggio, ma quando ci fu riuscito, la sua reazione fu pressoché immediata. Nell'arco di un istante, il volto di Hector si contrasse per la rabbia al punto da diventare paonazzo.

''Porca di quella grandissima puttana!!!'' sbraitò furioso prendendo a calci il primo scatolone di cartone in cui si imbatté.

''Non avrei saputo dirlo meglio'' si complimentò Raúl affabile.

''Chi è stato?'' chiese Hector con le narici che si dilatavano a ritmo serrato.

''Secondo te?''

Hector strinse i pugni e batté lo stivale a terra.

''Quelle merde dei Los Zetas Cabrones sono morti!!!'' ringhiò fuori di sé dalla collera.

Un abbaio alle sue spalle spinse Raúl a voltarsi. Paralizzato sulla soglia dell'ufficio con le mani in alto, Paco stava cercando di dissuadere Max e Sam, che ora si trovavano in piedi sulle quattro zampe, dall'aggredirlo.

''E tu che stai lì impalato!'' lo rimbrottò aspro Raúl. Paco si girò all'istante, solo per essere nuovamente apostrofato. ''Chiudi la porta!''

Il ragazzo obbedì in tutta fretta, ma Raúl non rimase ad aspettarlo, e senza aggiungere altro prese a scendere le scale. Quando raggiunse il pianterreno, Hector era impegnato a parlare con Diego, da cui si stava facendo consegnare un AR-15.

''Tu avvisa Javier e gli altri'' disse in tono rassegnato, mentre imbracciava il fucile d'assalto, ''dobbiamo partire subito''

Diego sbuffò.

''E io che speravo che almeno per stanotte avevo finito'' disse piccato prima di allontanarsi lungo il corridoio, che tagliava per il lungo il magazzino. ''Nemmeno la vigilia si può stare in pace!''

''Te le sai presa molto sul personale, eh?'' chiese Raúl non appena ebbe raggiunto Hector.

''C'era mio cugino alla Cuenca'' spiegò lui asciutto.

Raúl aggrottò la fronte.

''Davvero?'' chiese stupito. ''Non credevo avessi un cugino''

''Di secondo grado'' precisò Hector, ''è il figlio di Linda''

''Lo conoscevi bene?''

Hector ridacchiò.

''Era un coglione'' disse sprezzante, ''ma le avevo promesso che ci sarei stato attento. Non pensavo che avrebbero colpito proprio alla Cuenca''. Soffiò irritato, mentre digrignava i denti. ''Quando lo verrà a sapere, Linda mi taglierà le palle''

Tirò indietro l'otturatore del fucile e controllò all'interno della camera di scoppio.

''Beh, in tal caso, prima di dirgli addio ti conviene restituire il favore ai responsabili'' gli consigliò Raúl tutto pimpante.

Hector fece un gran sorriso, che mise in mostra una chiostra di denti giallastri, nettamente in contrasto con la folta barba nera.

''Questa è l'unica cosa che...''

Uno stridente clangore metallico, talmente fastidioso da far dolere le orecchie, riecheggiò per il capannone, impedendogli di finire la frase. Tutti i lavoratori presenti nel magazzino si voltarono immediatamente verso l'origine del rumore, scoprendo che la causa era dovuta ad una delle due enormi saracinesche presenti sul lato est, adesso completamente sollevata.

''Ma che...'' bofonchiò incredulo Hector.

A differenza sua, Raúl non si fece cogliere alla sprovvista.

''Chi cazzo ha alzato la saracinesca?!'' sbottò inviperito.

Il lavoratore più vicino di tutti all'interruttore sollevò le mani in alto.

''Io non c'entro!'' si difese impaurito.

''Certo, come no'' replicò Raúl sarcastico.

''Si è alzata da sola, lo giuro!' insistette l'uomo. ''E comunque non avrebbe dovuto sollevarsi così in fretta''. Indicò col dito le guide lungo cui scorreva la serranda. ''Ha spaccato pure i binari, vedete?''

Da dove si trovava non poteva confermare se fosse vero o meno, ma il tono dell'uomo dovette convincerlo, perché Hector tirò indietro l'otturatore del fucile, per poi avviarsi in direzione del varco.

''Tutti via dall'entrata!'' annunciò con voce tonante. ''Diego, Conrado, Javier! Qui, subito!''

Gli uomini presenti nelle vicinanze della saracinesca si dileguarono in un battito di ciglia, mentre i sei miliziani a guardia della struttura sbucarono dal corridoio centrale, per poi piazzarsi ai bordi dell'entrata.

Raúl non disse nulla, limitandosi a seguire la scena stando alle spalle di Hector. Attraverso l'apertura era possibile vedere lo spiazzo di cemento che si trovava all'esterno del capannone. Nonostante fosse illuminato dalla luce dei faretti, l'oscurità della notte che lo circondava risultava totalmente impenetrabile, ma a dispetto delle attese pareva deserto.

''Forse conviene chiedere se all'ingresso stanno a posto'' propose Hector a Raúl, mentre osservava lo spiazzo, stando nascosto dietro uno scaffale.

Accettando il consiglio, Raúl estrasse la piccola ricetrasmittente che teneva nella tasca dei pantaloni e l'attivò.

'' Joaquín, tutto bene lì da voi?'' chiese parlando al microfono.

All'inizio vi fu solo silenzio, ma già dopo qualche secondo, la voce dell'uomo dall'altra parte della linea giunse chiara e senza interferenze.

''Certo capo'' rispose con semplicità, ''stiamo giocando a carte''

''Non hai visto passare nessuno?'' domandò Raúl secco.

''Una vecchia Nissan, quindici minuti fa, ma non si è mica fermata'' rivelò Joaquín. ''La strada è sgombra ora''

Raúl ed Hector si scambiarono un'occhiata.

''Non ci capisco un cazzo'' disse Hector dando voce ai pensieri di entrambi.

Nel frattempo, dall'altra parte del passaggio che conduceva all'esterno, Diego se ne restava al riparo dietro una pila di barili stringendo saldamente il proprio M4, apparentemente in attesa che la conversazione alla trasmittente avesse termine.

''Allora?'' chiese ad Hector cercando di non urlare. ''Che ha detto Joaquín?''

''Niente'' rispose Hector con la stessa voce soffocata, ''non è passato nessuno''

Diego scambiò un'occhiata con il resto della squadra nascosta alle sue spalle, e dopo qualche attimo di riflessione, parve tranquillizzarsi. Tornato in piedi, uscì fuori da dietro la pila di barili e prese ad avanzare in direzione dell'uscita con un paio di compagni al seguito. Raggiunto il confine del magazzino, si mise quindi a scrutare all'esterno, l'impugnatura del fucile sempre stretta in mano, ma tutto ciò che videro i suoi occhi non fu altro che uno spiazzo deserto, assediato dalle ombre della notte.

Tempo pochi secondi, e anche Hector fu in piedi. Sebbene fosse restio a doverlo ammettere, era chiaro che avessero preso un abbaglio.

''Forse è solo...''

Ciò che accadde subito dopo avvenne nell'arco di pochissimi istanti. Sbucando dallo spiazzo all'esterno, un tentacolo nero quanto la notte si strinse attorno al corpo di Diego e lo trascinò in aria. Sentendosi sollevare di peso con tale veemenza, il miliziano lanciò un grido terrorizzato mentre dal suo fucile partiva una scarica di mitra che si limitò a colpire il terreno.

Alla vista di ciò che si trovava al di là del varco, i cinque uomini radunati davanti all'entrata esplosero in esclamazioni di sconcerto e panico. Lo spiazzo ormai non era più deserto, ed Hector capì all'istante chi lo stesse occupando.

''Merda, è lui!!!'' urlò ai compagni. ''Sparategli!!!''

Era appena sbucato fuori dal suo nascondiglio, quando i cinque miliziani cominciarono ad aprire il fuoco, tuttavia, non ebbero il tempo di fare molto. Esattamente come Diego, vennero tutti quanti ghermiti da altrettanti tentacoli neri come la pece, e trascinati all'esterno. Le loro grida disperate riecheggiarono nell'oscurità appena per qualche secondo, e poi si spensero, come fiamme di candela.

Un ruggito mostruoso squarciò la notte subito dopo, facendo strillare molti dei lavoratori all'interno del capannone, ma a quel punto Raúl non stava più ascoltando. Nel momento stesso in cui aveva sentito Hector gridare, per lui la priorità era una sola.

Fuggire il più velocemente possibile.

Ignorando del tutto le facce spaventate di Paco e Lucio, o gli abbai forsennati lanciati da Max e Sam, mentre grattavano con le zampe contro la porta dell'ufficio, attraversò il magazzino come una scheggia, per poi gettarsi addosso al maniglione antipanico della porta antincendio sul lato ovest della struttura.

La tiepida brezza della notte gli investì la faccia e saturò i suoi polmoni, anche se neppure di quel dettaglio parve curarsi. Correndo a perdifiato, superò la sottile striscia di cemento che costeggiava il capannone su quel fianco, quindi il pendio coperto d'erba che veniva dopo, e alla fine, saltando la staccionata posta a sua difesa, entrò in un campo di granturco.

Gli ci vollero quasi due minuti prima che il panico provato si affievolisse a sufficienza da permettergli di mettere in ordine i pensieri, e anche allora questi continuarono a susseguirsi in un amalgama confusa e pressoché incomprensibile.

Come accidenti era stato possibile? Perché proprio lì? Perché proprio a lui?!

Con tutti i posti in cui avrebbe potuto colpire, quell'essere rivoltante aveva dovuto scegliere proprio il suo laboratorio. Non gli bastavano quelli che aveva già distrutto finora?!

Dietro il macello avvenuto alla Cuenca non c'erano affatto i Los Zetas. Ora l'aveva capito. Sicuramente era lì che il mostro aveva ottenuto le informazioni che gli servivano per raggiungere il capannone, e adesso che si trovava sul posto, non si sarebbe fatto alcuno scrupolo a raderlo al suolo. Non avrebbe ucciso tutti. Se le voci che aveva sentito erano vere, si sarebbe limitato a far fuori solamente chi fosse stato tanto folle da sparargli contro, ma per i dirigenti non ci sarebbe stato scampo.

Stando ai notiziari, uno dei capi di El Sagrado Corazon era stato lasciato agonizzante sul pavimento della sua villa a Cancún con le budella di fuori, e non si trattava nemmeno dell'episodio più eclatante. Circolavano anche storie molto peggiori. Non sapeva se fossero esagerazioni o meno, ma di sicuro lui non sarebbe rimasto tanto a lungo nei paraggi per scoprirlo.

Il cuore gli batteva all'impazzata e aveva il fiato corto. Per quanto fosse assurdo anche solo concepire l'idea, non poté fare a meno di pensare che in quel momento un po' di Meth gli avrebbe fatto comodo. Immerso in un'oscurità opprimente, che la luce lunare riusciva solo in parte ad alleviare, Raúl continuò a farsi largo in mezzo ai fusti delle piante di mais, finché non trovò il coraggio di voltarsi indietro per la terza volta.

La sagoma del capannone era ormai completamente scomparsa, inghiottita dal campo di granturco, ma lui non si sentiva ancora così fuori pericolo da azzardarsi a fare una pausa. Non quando si trovava così vicino alla meta. Se soltanto fosse riuscito a raggiungere la strada, avrebbe potuto rubare un'auto, e con quella farsi portare il più lontano possibile da lì. Tutto ciò che gli serviva era solo un pizzico di fortuna.

Aveva appena ripreso a guardare in avanti, quando una strana macchia scura entrò improvvisamente nel suo campo visivo, e poi Raúl si trovò costretto ad inchiodare. La violenza con cui venne afferrato per la gola gli mozzò il respiro, e nel momento in cui fu sollevato da terra, ben oltre la sommità delle spighe del campo di mais, la tremenda sensazione di essere prossimo all'asfissia si fece ancora più intensa.

Scalciando furiosamente, cercò di liberarsi, ma la stretta attorno al suo collo era così salda da spezzare le ossa. Con gli occhi fuori dalle orbite, e il viso che diventava sempre più paonazzo ad ogni istante, Raúl fissò atterrito il mostruoso muso di lupo distante solo pochi centimetri dal suo naso.

Le labbra della creatura erano arricciate in un ringhio, che metteva in mostra le zanne ricurve, tuttavia, non fu quel dettaglio ad attirare maggiormente la sua attenzione. E men che meno lo fece la folta pelliccia corvina, che copriva per intero il gigantesco corpo della creatura. In quel momento, infatti, il suo sguardo era focalizzato unicamente sui due grandi occhi rossi che lo fissavano minacciosi.

Prima che Kama si decidesse a rompere il silenzio, dovette trascorrere qualche istante, ma quando finalmente accadde, la sua voce si rivelò all'altezza delle sembianze da cui proveniva. Così profonda e inquietante da gelare il sangue.

''Dimmi dove sono i tuoi capi, e farò in fretta''.

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