Capitolo 56 - Decisioni impulsive

Prezzi a parte, il pranzo si rivelò delizioso. Dai fichi caramellati con formaggio di capra dell'antipasto, fino alla panna cotta con crema al pistacchio del dessert. Per quanto possibile Alessandro cercò sempre di mantenere un minimo di contegno, e tutto sommato, da questo punto di vista, il risultato fu abbastanza soddisfacente. Usò quasi sempre coltello e forchetta, abbandonandoli solo quando venne il momento delle varie zuppe, che tracannò senza tante cerimonie, o dei piatti di carne e pesce, a cui riservò l'unico trattamento che reputava adeguato; afferrarli con le mani e spolparli a morsi.

A parte quello però, riuscì a contenersi abbastanza da non disgustare il proprio commensale o gli altri avventori, che ogni tanto si voltavano verso di lui, incuriositi dal continuo viavai di camerieri dalle cucine al loro tavolo.

La zuppa e il piatto di fettuccine che aveva ordinato Campbell erano molto buoni, ma per Alessandro non reggevano il confronto con i ravioloni alla panna ripieni di funghi porcini o il trancio di salmone al forno, senza dubbio le cose che aveva apprezzato di più di tutto il pranzo. Cheesecake alle fragole esclusa.

Da parte sua Campbell si rivelò un piacevolissimo compagno di conversazione, e fin dalla prima portata capì di trovarlo simpatico. Faceva battute divertenti, non si scandalizzava di fronte ai suoi modi non propriamente rispettosi del galateo, e anche se era chiaro che non fosse più veramente affamato, non si tirò mai indietro di fronte alle offerte di assaggio che gli faceva Alessandro, ogni volta che incappava in un piatto particolarmente gustoso.

Parlarono di New York, della bella stagione prossima alla fine, della montagna di regali che ormai minacciavano di far esplodere la suite dove alloggiava all'Horizon, e giunsero persino ad accennare alla sua breve visita a Washington, senza però mai toccare alcun argomento veramente sensibile.

In ogni caso, quando giunsero al dolce, l'atteggiamento distaccato di cui Alessandro si era servito all'inizio come una sorta di scudo protettivo, pareva quasi del tutto dissolto, e i due conversavano con tale rilassatezza da dare l'impressione di conoscersi da anni.

Aveva appena emesso un mugolio deliziato, dopo aver dato buttato giù l'ultimo boccone di un tortino al cioccolato fuso. quando sentì Campbell ridacchiare.

''Contento di non esserti limitato a quelle patate, eh?''

Alessandro appoggiò il cucchiaino sporco sul piatto del dessert ormai vuoto.

''Lo ammetto, era tutto squisito'' disse pulendosi le labbra con il tovagliolo, ''anche se non credo che tu mi abbia invitato qui solo per offrirmi il pranzo''

''Volevo conoscerti'' confessò Campbell, ''sapere che tipo eri''

''Non c'è molto di interessante da scoprire'' minimizzò Alessandro.

''In questo momento sei senza dubbio la persona più popolare della terra'' ribatté Campbell. ''Se la parola interessante ha ancora un senso, questa ti calza a pennello''

''La gente è interessata soltanto perché sono la cosa più vicina che esista al personaggio di un blockbuster Marvel'' insistette Alessandro gelido. ''Io non voglio fare l'attore, né il fenomeno da baraccone''

''Le persone sono curiose'' gli ricordò Campbell, ''è normale che lo siano di fronte alle novità''

''Finché non mi vengono a chiedere selfie o autografi, a me sta bene'' scherzò Alessandro alzando le mani.

''A proposito di questo''.

Campbell infilò la mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un libretto delle dimensioni di un'agenda tascabile, che aprì a metà.

''Taniguchi mi ha chiesto se gliene fai uno'' confessò appoggiando il libretto sul tavolo.

L'espressione sconvolta che affiorò sul volto di Alessandro, quando ebbe metabolizzato la notizia, valeva da sola più di mille parole.

''Ti ammira molto per come hai salvato Nakayama'' si giustificò Campbell in tono supplichevole.

Alessandro levò gli occhi al cielo ed emise un lungo sospiro.

''Hai una...''

Prima ancora che potesse finire la frase, Campbell fece comparire una penna a sfera e gliela porse.

''Speriamo solo che non diventi un'abitudine'' commentò Alessandro iniziando a scrivere sulla pagina bianca. Terminato di comporre la parola Kama a lettere maiuscole, accompagnando il tutto con un paio di righe di sottolineatura, chiuse il libretto e lo riconsegnò a Campbell.

''Ok, fatto''

''Grazie'' disse sorridendo Campbell rimettendoselo in tasca, ''Taniguchi sarà contento''

''È una firma su un pezzo di carta'' gli fece notare Alessandro.

''È una firma fatta da qualcuno che resiste alle esplosioni'' obiettò Campbell. ''E Taniguchi è un fan di One punch Man''

Dato che anche lui aveva letto quel manga, Alessandro era convinto di sapere a cosa pensasse Taniguchi, e la rivelazione per poco non lo fece scoppiare a ridere.

''Allora forse è meglio che gli metti il cuore in pace'' disse placido, sfoggiando un sorrisetto sornione. ''Correre una maratona o fare flessioni tutto il giorno, temo non funzionerà''

''E cos'è che potrebbe funzionare, invece?'' domandò Campbell con nonchalance.

Alessandro gli scoccò un largo sorriso e poi cominciò ad ondeggiare le mani davanti alla faccia in un gesto plateale.

''Il mistero aleggia nella notte'' rispose in tono criptico.

''Ho capito, non ti va di parlarne'' dedusse Campbell.

Abbandonando l'atteggiamento scherzoso, Alessandro incrociò le braccia davanti al corpo.

''Non sono un alieno, né uno spirito della foresta o uno stregone, e nemmeno la proiezione astrale di un'entità proveniente dalla dimensione gamma'' ammise con una punta di stizza. ''Sono un essere umano. Un essere umano con dei poteri, ma come li ottenuti, se ci sono nato, da dove vengo o quale sia la mia storia, sono dettagli che preferisco tenere per me''

Notando una goccia di salsa al cioccolato rimasta sul piatto, la rimosse col dito e se la mise in bocca. L'espressione compiaciuta che apparve a quel punto sul suo volto cancellò in un lampo la velata irritazione di poco prima.

''E per quanto squisiti, neppure tutti i tortini del mondo mi faranno cambiare idea'' aggiunse ironico.

''Mi sembra giusto'' commentò Campbell annuendo.

Alessandro inarcò le sopracciglia.

''Hai ceduto in fretta'' notò sorpreso.

''Non ti ho invitato per discutere dei tuoi poteri o scoprire da dove vieni'' gli rivelò Campbell. ''A me interessa conoscere ciò che intendi fare in futuro, non chi eri in passato''

''Quali fossero le mie intenzioni mi pareva abbastanza chiaro'' ribatté Alessandro.

''Fermare le guerre, quindi?''

''Fermare le guerre e le ingiustizie'' precisò Alessandro mentre un ghigno cominciava ad increspargli le labbra. ''Tutto ciò si può sistemare impersonando un drago di cinquanta metri''

''I problemi del mondo sono tanti'' fece notare Campbell, ''e solo una parte molto piccola si può risolvere in quel modo''

Mentre gli tornavano in mente le parole pronunciate da Ryan alla Casa Bianca, soltanto poco più di una settimana prima, il sorriso di Alessandro si spense.

''Forse'' concesse gelido, ''ma alcuni sì. E sono problemi molto importanti''

''Non lo metto in dubbio, dico solo che non tutto si può sistemare usando la forza'' ribadì Campbell pacato. ''Magari fosse così semplice''

''C'è qualcuno in Somalia che avrebbe qualcosa da ridire'' obiettò Alessandro in un sorriso tirato.

''Hai ragione. Oggi la Somalia è in pace'' confermò Campbell, ''ma proprio adesso, mentre parliamo, a solo due ore di volo da Mogadiscio, viene fatta irruzione dentro un piccolo monolocale di Addis Abeba, e un ragazzo senza nome è costretto con la forza a salire su un furgone della polizia. Quasi sicuramente verrà interrogato, torturato e forse persino ucciso. La sua colpa? Aver cercato di accedere ad una versione di Internet non controllata dal governo. Ovviamente, quando si accorgeranno della sua scomparsa, i genitori cercheranno di rintracciarlo e chiederanno quindi alle autorità, che come al solito faranno orecchie da mercante finché non gli sarà pagata una mazzetta, ma anche una volta saputa la vera storia non potranno comunque fare niente per cambiare le cose. Si dovranno rassegnare al fatto compiuto e piangere la morte di un figlio, perché se osassero insistere troppo anche loro farebbero la stessa fine''.

Si curvò leggermente in avanti e scoccò a Alessandro un'occhiata eloquente.

''E tutte queste cose non le vedi'' disse lapidario. ''Potresti andare laggiù a passeggiare per le vie del centro e ti troveresti davanti ad una città africana come tante altre. Quartieri moderni e bidonville che convivono a breve distanza l'uno dall'altro, e gente che va avanti indietro impegnata nella vita di tutti i giorni''

Inclinò il capo in un cenno d'assenso, come a voler anticipare un eventuale obiezione.

''Vedresti la povertà, certo, ma non ciò che ne è la causa. Non ti accorgeresti della corruzione e delle inefficienze che essa provoca, né degli intrighi di palazzo, delle violenze, dei soprusi, delle infinite ingiustizie, della mancanza di ogni forma di libertà o di diritti civili, perché queste cose sono pressoché invisibili a meno di non indagare a fondo''.

Si appoggiò contro lo schienale della sedia e intreccio le dita sul tavolo.

''E quel che è peggio, tutto ciò avviene in tempo di pace''. Scosse la testa in un gesto significativo. ''Non ci sono generali o signori della guerra da andare a prendere''

''Però c'è un dittatore'' puntualizzò Alessandro.

Le labbra di Campbell si piegarono in una strana smorfia.

''Limitati ad abbattere un tiranno, e a meno che non scoppi una guerra civile, verrà sostituito in un mese'' obiettò sconsolato. ''I precedenti in questo senso non mancano di certo''

Alessandro levò l'indice con l'aria di chi la sapesse lunga.

''Dimentichi una cosa però''

Campbell sollevò un sopracciglio.

''Me'' gli rivelò Alessandro in un sorriso compiaciuto. ''Io posso impedire che ciò accada. Mi basterà scambiare quattro chiacchiere con il governo ad interim, ed imporgli di indire elezioni, la cui regolarità dovrà essere garantita da osservatori indipendenti. Se tutto andrà per il verso giusto la gente con cui ho preso accordi non avrà nulla da temere e il paese diverrà una democrazia. In caso contrario...''

Scrollò le spalle.

''Beh, vorrà dire che farò a chi di dovere una visitina'' sentenziò beffardo, ''e dubito che la troveranno piacevole''

''E se dopo aver visto i risultati delle elezioni questa gente cambiasse idea?'' ipotizzò Campbell.

''Tornerò'' rispose Alessandro con semplicità, ''e tornerò sempre, fino a quando non cederanno''

Campbell si sistemò meglio gli occhiali sul naso.

''Perdona il mio scetticismo, ma in tutta franchezza, mi sembra un piano leggermente azzardato'' commentò asciutto.

Alessandro si raddrizzò sulla sedia mentre sentiva la rabbia montare.

''Sei il secondo che me lo dice, e in tutta franchezza, comincio ad essere leggermente stufo'' sbottò acido.

Campbell non disse nulla, ma si limitò a scrutarlo in silenzio. Messo a disagio da quella reazione impassibile, Alessandro cercò di calmarsi.

''Senti, non sono Dio, ok?'' confessò senza giri di parole. ''Non posso schioccare le dita e pretendere di far sparire tutte le storture che ci sono al mondo come per magia''.

Puntò l'indice verso il tavolo.

''Però ho il potere di impedire a chi le causa di continuare ad agire impunemente. Non intendo sprecare quest'opportunità soltanto perché in teoria ci sarebbero modi migliori di affrontare la cosa''.

Inclinò la testa di lato.

''Io non li conosco'' dichiarò in tono aspro, ''e dubito che tu o chiunque altro abbia la risposta pronta su un piatto d'argento. In compenso, però, so qual è l'alternativa, e fa schifo''.

Soffiò sprezzante e indicò col pollice un punto indefinito al di là della ringhiera che li separava dal laghetto.

''Ho visto come funzionano le cose al palazzo di vetro, nel dietro le quinte. Coloro che si vantano di essere i paladini della democrazia stringono la mano a chi non sa nemmeno cosa sia un'elezione vera. Si danno pacche sulle spalle, scambiandosi sorrisi come vecchi amici, fingendo che vada bene così, che i discorsi da campagna elettorale siano una cosa e la realtà un'altra''.

Nonostante stesse cercando di trattenersi, Alessandro abbassò la testa e strinse i pugni sotto al tavolo. Ad ogni parola pronunciata, la rabbia dentro di lui cresceva come il vapore in una pentola a pressione.

''Quel posto dovrebbe essere un luogo in cui discutere dei problemi per risolverli e invece si limitano alla prima perché è tutto paralizzato a causa dei veti incrociati di un club esclusivo di autoproclamati superiori. Cinque paesi più uguali degli altri, in barba alla logica e al pudore''.

Arricciò le labbra in un'espressione ostile.

''È il festival dell'ipocrisia e della menzogna. Una squallida passerella che non porta a niente. Tutto questo è...''

''Disgustoso'' lo anticipò Campbell con voce tranquilla.

Alessandro, che stava fissando il tavolo con i muscoli facciali contratti in un ringhio, mise a tacere la collera e si costrinse a guardare verso il proprio commensale.

''Pensi che non lo sappia?'' domandò Campbell inarcando le sopracciglia. ''Ci sono stato anch'io là dentro''. Alzò gli occhi al cielo con aria pensierosa. ''Chissà se su YouTube si trova ancora il video del mio discorso''.

Terminata la breve riflessione, scrollò le spalle con manifesta noncuranza.

''Comunque, se lo becchi, dovresti dargli un'occhiata. Avevo citato esattamente le stesse cose che hai detto tu adesso. All'epoca fece un certo scalpore''.

Sorrise sardonico.

''Per circa una settimana almeno, e poi...''

''Poi?'' lo spronò Alessandro, visto che Campbell non si decideva a finire la frase.

''Poi niente'' rispose rassegnato. ''Gli esperti di geopolitica e le firme prestigiose delle grandi testate hanno scritto che avevo buone intenzioni, ma ero un dilettante ingenuo''.

Rese la sua voce più profonda, in quella che era una palese imitazione di qualcun'altro.

''La politica vera è una cosa complessa, cosa ne può sapere Campbell dei problemi che avvengono a migliaia di chilometri dal suo attico? radical Chic, filantropo da strapazzo, l'ego gli ha dato alla testa, e via così'' concluse abbacchiato, riprendendo a parlare normalmente. ''In realtà mi ero limitato ad elencare delle banalità di fronte a coloro che fingevano di non conoscerle, e di sicuro non ero il solo a pensarla così. L'unica differenza è che se lo dice un Signor Smith sul suo blog non se ne accorge nessuno, ma quando a farlo è qualcuno con alle spalle un impero da trecentosettanta miliardi di dollari, beh, le cose cambiano''

''Come vedi, la mia proposta è attualmente quella migliore su piazza'' dedusse Alessandro compiaciuto.

''Nessuno rimpiangerà Dahir, te ne rendo merito'' concesse Campbell, muovendo la mano in un gesto di velata approvazione, ''ma cosa farai adesso? Abbatterai qualche dittatura uccidendone l'autocrate alla guida?''

''E anche fosse?'' ribatté Alessandro.

Campbell ridacchiò mesto.

''Su una cosa concorderemo di sicuro. La scelta è molto ampia''

''Non andrò a casaccio'' lo rassicurò Alessandro, ''ho un piano''

Le sopracciglia di Campbell si aggrottarono in maniera quasi impercettibile.

''Piano?'' domandò perplesso.

''Due parole''. Alessandro sorrise, mentre accompagnava l'ultima frase con il gesto delle virgolette. ''Pezzi grossi''

Questa volta la fronte di Campbell si aggrottò in maniera inequivocabile. Volendo chiarirgli meglio quanto avesse in mente, Alessandro diede un'occhiata in giro con fare circospetto, e quando ebbe la certezza che nessuno degli altri avventori stesse guardando nella loro direzione, si curvò leggermente sul tavolo.

Intuendo le sue intenzioni Campbell lo imitò.

''Tu non sei amico di quella gentaglia, e mi sembri pure discreto, quindi a te lo posso anche dire''.

La sua voce era bassa, quasi un sussurro.

''Secondo il tuo parere''. Sollevò il palmo come se volesse fare una premessa. ''Onestamente, è meglio che vada prima a Mosca o a Pechino? O forse è meglio cominciare da Pyongyang?''

Non appena ebbe metabolizzato la portata della notizia, ogni traccia di colore abbandonò all'istante il volto di Campbell, che divenne bianco come un lenzuolo.

''Nessuna delle tre'' rispose sconvolto.

Stupito da quella reazione così inaspettata, Alessandro sgranò gli occhi.

''Ehm, dici che sarebbe meglio Teheran?'' ipotizzò dubbioso.

Dato che l'interlocutore non rispondeva, e anzi, dava l'impressione di uno a cui stesse per venire una sincope, Alessandro decise di curvarsi ancora un po' sul tavolo.

''Ma quella preferivo tenerla per dopo'' gli rivelò in tono confidenziale, ''sono appena stato in un paese che era al 99% musulmano, non voglio passare per islamofobico''

Mentre il pallore si dileguava dal suo volto con velocità sorprendente, Campbell riacquistò una parvenza di vita e batté un pugno sul tavolo.

''Non puoi colpire nessuno di questi paesi!'' sbottò scandalizzato pur mantenendo il tono di voce basso.

Il rumore di bicchieri che tintinnavano fece voltare una coppia a qualche metro dal loro tavolo, anche se questa riprese quasi subito a concentrarsi sul proprio antipasto di mare.

Quanto ad Alessandro invece, tornò ad appoggiarsi contro lo schienale della sedia, e dopo aver incrociato le braccia davanti al corpo, scrutò Campbell con evidente delusione.

''Non dirmi che ti fanno simpatia'' disse glaciale.

Campbell soffiò sprezzante.

''Sono uno peggio dell'altro'' ribatté disgustato.

''Allora dove sta il problema?'' domandò confuso Alessandro, scrollando le spalle.

Campbell lo guardò come se non potesse credere a quanto stesse sentendo, ma si impose comunque di mantenere la calma.

''Si tratta di nazioni molto pericolose e potenti con classi dirigenti spregiudicate'' rispose pacato, ''e in più possiedono armi atomiche. La peggiore delle combinazioni possibili''

Alessandro si morse il labbro. Quell'ultima uscita l'aveva punto sul vivo.

Armi atomiche. Perché non gli era venuto in mente prima? Resistere ad un bombardamento standard era un conto, ma uscire vivi da un'esplosione atomica rappresentava qualcosa ben al di là di quanto si sarebbe mai aspettato di dover affrontare.

Che senso avrebbe avuto far fuori Vasilyev soltanto per essere ridotto a pulviscolo radioattivo non appena si fosse trovato nella prima zona disabitata fuori Mosca?

Nessuno. Assolutamente nessuno. Senza più lui a fungere da deterrente, tempo qualche settimana, al Cremlino avrebbe seduto qualcun altro. Forse persino peggiore di chi l'aveva preceduto. A meno che....

''Devo essere onesto'' disse con una punta di imbarazzo, ''non mi aspettavo che le cose andassero a finire così. Notorietà e tutto il resto, intendo. Nakayama l'ho salvato quasi per caso, ma se non fosse stato per quello, ti assicuro che avrei preferito di gran lunga agire senza far sapere a tutti che esistevo''.

Si rilassò sulla sedia e accavallò le gambe.

''Tuttavia, anche se l'ho fatto una volta, non sta scritto da nessuna parte che debba sempre comportarmi così. Posso continuare a viaggiare in incognito. Colpire e sparire senza che nemmeno sappiano dove andare a cercarmi''.

Ridacchiò compiaciuto.

''Li voglio proprio vedere quelli delle forze armate che rintracciano un pettirosso veloce come Concorde''

Campbell si accigliò all'istante.

''Non sto parlando di te!'' obiettò stizzito. ''Pensi davvero che sbarazzarti di Bao sarebbe un'azione priva di conseguenze?''

''Ci sarebbe uno schifoso in meno in circolazione'' commentò Alessandro imperturbabile, ''poco ma sicuro''

''E poco ma sicuro faresti scoppiare una guerra'' disse Campbell gelido.

Alessandro si dovette trattenere per non scoppiare a ridere.

''Una guerra, e contro chi, me forse?''. Sorrise beffardo. ''Se non si è ancora capito, ho la pellaccia dura''

''Anche la gente normale ce l'ha?'' ribatté Campbell senza scomporsi.

Il sorriso di Alessandro si spense.

''Di che cosa stai parlando?'' chiese confuso.

''Se attacchi la Cina...''

''Bao'' lo corresse Alessandro interrompendolo, ''non la Cina''

''Attaccare Bao è attaccare la Cina'' insistette Campbell spazientito. ''Se aggredisci colui che ne siede a capo il governo cinese non starà con le mani in mano, e anche se non è in grado di punirti direttamente può sempre rivalersi contro i tuoi alleati''

''Io non ho alleati'' obiettò Alessandro. ''Io agisco da solo''

''Tu parli inglese, sei stato invitato alla Casa Bianca dal presidente'' gli fece notare Campbell, ''che idea pensi si faranno i vertici del partito su a Pechino?''

Alessandro dilatò le narici.

''Io non lavoro per nessuno'' sibilò cupo, ''men che meno per il presidente Walker''

''Non importa quale sia la verità'' ribatté Campbell, ''loro creeranno la propria e si atterranno a quella versione. I risultati te li puoi immaginare anche da solo''

Si, certo che se li immaginava. Lui uccideva Bao. La Cina accusava gli USA. Washington negava. Pechino diramava un ultimatum dall'esito scontato, e poi ordinava un attacco a tappeto contro i presunti aggressori, mentre Walker svuotava i silos in risposta.

Nell'arco di un paio di giorni avrebbe avuto inizio la più grande guerra della storia...e probabilmente anche l'ultima. Senza dubbio un film che lui non voleva vedere. Men che meno esserne l'artefice.

Le parole di Campbell lo fecero vergognare di essere stato così ingenuo. Aveva dato per scontato così tante cose, che il progetto iniziale, a cui aveva riflettuto nei giorni precedenti, adesso gli appariva ridicolo al limite del patetico. Assurdo e infantile, come il sogno di un bambino.

Se voleva sul serio cambiare le cose, senza peggiorare la situazione attuale, avrebbe dovuto percorrere una strada diversa. Più lunga e frustrante di sicuro, ma che almeno non si sarebbe conclusa davanti ad un fungo atomico.

''Va bene'' concesse a malincuore, portandosi l'indice alle labbra con aria pensierosa, ''mettiamo il caso che per adesso non attacchi Cina o Russia''. Puntò improvvisamente il dito verso Campbell. ''Però posso colpire la Corea del Nord''

Campbell lo guardò impassibile per un paio di secondi, poi si tolse gli occhiali, abbassò le palpebre, e strinse le dita attorno all'attaccatura del naso.

''È la stessa cosa'' commentò esasperato.

''No, che non lo è!'' esplose Alessandro battendo i pugni sul tavolo. E a differenza delle occasioni precedenti, questa volta non riuscì a trattenere il volume della voce.

In un istante gli occhi di tutti gli avventori conversero su di lui, anche se Alessandro era troppo distratto per accorgersene. L'urto improvviso infatti non si era limitato a far tintinnare le posate, ma aveva anche provocato la caduta delle due bottiglie di vetro presenti e di entrambi i bicchieri, finendo per spargere acqua gasata su tutta la tovaglia.

Dato che aveva cercato di trattenersi, il tavolo non finì a gambe all'aria, tuttavia, Alessandro percepì distintamente il vuoto nel punto in cui aveva calato i pugni, lì dove la griglia in acciaio sottostante era stata sfondata. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top