Capitolo 39 - Gabaad
In piedi appena fuori dall'ingresso della capanna, Dalila continuava a tenere gli occhi puntati in direzione della collina che sovrastava il villaggio. Si trattava di un'altura di modeste dimensioni bruciata dal sole e puntellata di bassi arbusti e sterpaglie tutte uguali, dove l'unico punto di riferimento era costituito da un albero di acacia mezzo rinsecchito, che si ergeva solitario sulla cima.
Nemmeno Dalila sapeva cosa sarebbe stata disposta a dare in cambio, pur di vedere cosa avveniva dall'altra parte della collina, lì dove sapeva trovarsi il cimitero del villaggio. Il desiderio risultava in effetti così intenso, che soltanto l'ordine impartito dallo zio le impediva di abbandonare la capanna, anche se non poteva certo evitare che lo facesse con l'immaginazione.
Per la terza volta negli ultimi dieci minuti si rivide mentre correva attraverso il villaggio facendo lo slalom tra le capanne, scalava il pendio sabbioso, scendeva giù per il declivio dall'altra parte, e raggiungeva il cimitero giusto in tempo per assistere al funerale.
Sembrava tutto così semplice dentro la sua testa, anche se sapeva bene di non avere alcuna speranza di riuscirci.
Il cielo sopra di lei era tinto di una calda sfumatura rosso-arancio e il sole, ormai prossimo al tramonto, proiettava sul terreno polveroso l'ombra della capanna che stava davanti alla sua. Tenendo conto del tempo che era già trascorso, lo zio sarebbe tornato a momenti.
Un rumore di passi alle proprie spalle la costrinse a voltarsi di scatto. Un bambino dalla pelle scura di circa quattro anni stava cercando di sgattaiolare fuori dalla capanna. Dalila lo afferrò per la spalla con un gesto fulmineo e lo ricacciò indietro.
''Torna dentro, Amin!'' sibilò in tono perentorio.
''Voglio vedere mamma anch'io'' piagnucolò frustrato il bambino.
''Tanto non si riesce da qui'' ribatté Dalila asciutta.
Seppur a malincuore Amin obbedì alla sorella e ritornò dentro la capanna.
Dalila riprese a guardare verso la collina, proprio mentre alcune donne dagli hijab multicolori passavano lungo il sentiero che tagliava a metà il villaggio. Erano appena scomparse dietro alcune capanne, quando scorse suo zio che si congedava da degli uomini anziani. A quel punto, cominciò a procedere nella loro direzione.
La ragazzina tornò dentro la capanna con la velocità di una scheggia.
Vista dall'interno era una semplice costruzione realizzata in legno e ricoperta da un telo, rivestito a sua volta da diversi strati di tessuti dai colori vivaci. L'arredamento, ridotto all'osso, si limitava a tre giacigli, alcune pentole con qualche utensile per cucinare o servire il cibo, e un piccolo sacco di riso.
Appoggiato alla parete di rami intrecciati c'era un tappeto da preghiera arrotolato su sé stesso, e proprio lì accanto, un fucile automatico, a cui Amin stava sfiorando la volata della canna.
''Amin!'' sbottò Dalila indignata.
Colto di sorpresa il bambino allontanò subito la mano dall'arma e si voltò verso l'ingresso della capanna.
''Lo sai che non si tocca'' gli ricordò la sorella, scoccandogli un'occhiataccia severa. ''Giù le mani!''
Non aveva nemmeno finito di pronunciare quel rimprovero, quando un acuto strillo si levò da uno dei giacigli. Naji si era svegliato.
Emettendo un sospiro di rassegnazione Dalila raggiunse il fratellino e lo prese in braccio nel tentativo di tranquillizzarlo. Naji piangeva a più non posso e lei fu costretta a cullarlo per quasi due minuti prima che smettesse, anche se non riuscì a farlo riaddormentare. Quando sentì un rumore di passi fuori dall'ingresso, Dalila lo stava ancora dondolando tra le braccia.
Suo zio entrò nella capanna pochi istanti dopo. Era un uomo ormai prossimo ai trent'anni, con un pizzetto appena accennato e i capelli tenuti cortissimi. Indossava un'uniforme militare verde mimetico, un paio di scarponi pesanti e un berretto in linea con lo stile della divisa.
Nel momento in cui varcò la soglia, Dalila lo accolse con un rispettoso cenno del capo.
''Bentornato zio Hadi''
Imitandola, anche Amin inclinò leggermente la testa, e poi corse a ripararsi dietro la sorella.
Hadi non rispose, ma si limitò a fissare in silenzio i nipoti con espressione indecifrabile.
Dalila, di quattro anni più grande del fratello, indossava un lungo khimar color ambra e celeste, che le incorniciava il viso dai tratti delicati, mentre Amin dei pantaloncini ocra e una t-shirt sgualcita. Nonostante gli abiti riuscissero a nasconderlo con una certa efficacia, entrambi erano molto magri.
''Vostra madre è con Allah, adesso'' annunciò Hadi in tono piatto.
Dalila e Amin abbassarono lo sguardo sul pavimento di terra battuta.
Hadi emise un sospiro e dopo essersi tolto il berretto lo gettò sulla stuoia sopra cui si trovava il fucile insieme al tappeto da preghiera.
''Va bene, adesso mangiamo, recitiamo la Salāt al-maghrib, e poi si va a letto'' disse in tono pratico, appoggiando le mani sui fianchi. ''Devo svegliarmi molto presto domani se voglio arrivare entro sera a Marxalad''
''Cosa possiamo portare?'' chiese Dalila rialzando lo sguardo di scatto.
''Non essere sciocca, voi non potete venire'' ribatté Hadi asciutto.
I due fratelli sgranarono gli occhi per lo sconcerto.
''Come, non resteremo con te?'' chiese incredula Dalila.
''Io sono un soldato Dalila'' le ricordò Hadi, ''la mia licenza scade domani e non posso star dietro a tre bambini''
Dalila abbassò lo sguardo, chiaramente delusa, ma accorgendosi che Naji sembrava sul punto di piangere di nuovo riprese a cullarlo.
Di fronte a quella scena l'espressione di Hadi parve ammorbidirsi.
''Nonno Othman dovrebbe arrivare qui entro un paio di giorni al massimo'' spiegò cercando di mostrarsi incoraggiante. ''Sarà lui ad occuparsi di voi d'ora in poi''
''A me fa paura nonno Othman'' bisbigliò Amin, col viso mezzo nascosto dietro l'abito della sorella.
Hadi gli rivolse un sorriso.
''Da lui vi troverete bene'' li rassicurò annuendo, per poi abbracciare con lo sguardo l'interno della capanna. ''Sempre meglio che stare quaggiù senza nessuno''
I due fratelli non risposero, anche se Dalila, sempre impegnata a cullare Naji tenendo gli occhi bassi, mosse il capo in un debole cenno di assenso. Hadi sembrò soddisfatto.
''Coraggio, mangiamo''
***
Dalila si chinò davanti a sua madre e le toccò la fronte. Scottava come una roccia rovente e aveva il respiro affannoso. Non poteva permettersi di aspettare ancora, doveva cercare aiuto.
''Amin, bada a Naji e mamma'' disse al fratellino, mentre scattava in piedi. ''Torno tra poco''
Reggendosi l'orlo del khimar corse attraverso il villaggio, finché non giunse di fronte ad una capanna isolata alla periferia del piccolo insediamento. Sulla soglia era seduta una donna anziana vestita con un lungo chador nero.
''Saggia Nada'' esordì Dalila ansante, ''mia madre sta ancora male''
Lei le rivolse un'occhiata indagatrice e poi dischiuse le labbra per rispondere. Aveva ancora pochi denti in bocca e la sua pelle era coperta di rughe.
''Rispetto all'ultima volta sta uguale o peggio?'' chiese asciutta.
''Peggio'' rispose Dalila.
La saggia Nada ruotò lentamente il busto e infilò la mano oltre la soglia della capanna. Quando la ritrasse stringeva un sacchetto di plastica azzurra dal contenuto voluminoso.
''Allora, ti posso dare queste'' disse porgendole il sacchetto.
Dalila lo prese e sbirciò nell'apertura. Era pieno di mazzi di foglie di qat.
''Deve masticarle per bene'' la istruì la saggia Nada, ''poi le sputa e ricomincia con altre''
''E la farà guarire?'' chiese speranzosa Dalila.
''No, ma sentirà meno dolore'' rispose la saggia Nada con semplicità.
''Ma io voglio che mia madre guarisca!'' strillò Dalila indignata.
L'anziana la scrutò con pacata indifferenza, come se lo sfogo a cui aveva appena assistito non fosse nemmeno avvenuto.
''Tua madre non può più guarire'' ribatté freddamente. ''Se mastica le foglie, morirà serena, se non lo fa, morirà urlando. Cosa preferisci?''
Mentre le lacrime cominciavano a colarle copiose sulle guance, Dalila strinse il sacchetto e tornò correndo verso casa. Quando ormai si trovava in prossimità della capanna rallentò l'andatura, e sforzandosi di riacquistare almeno una parvenza di controllo, si asciugò le lacrime dal viso. Devastata dalla febbre com'era, sua madre non se ne sarebbe accorta, ma non voleva che Amin la vedesse in quello stato.
Un attimo prima di varcare la soglia di casa prese un respiro profondo. Nonostante fossero trascorsi solo dieci minuti, la capanna era molto più buia di quando l'aveva lasciata. Tuttavia, nella penombra riuscì comunque a scorgere il corpicino di suo fratello.
Amin era accasciato al suolo, privo di sensi, e accanto a lui si trovava il fagotto in cui di solito dormiva Naji. Il terreno sotto di loro era macchiato di sangue fresco. Poco lontano, sempre distesa sul giaciglio, sua madre la fissava con occhi vacui. Non sbatteva le palpebre e a dirla tutta, non sembrava neppure che stesse respirando. Il suo petto era immobile.
Al centro della stanza, un uomo in uniforme militare col volto celato dall'oscurità, la scrutava reggendo tra le mani un fucile automatico. Alla sua vista Dalila si paralizzò per il terrore. Senza dire nulla, il soldato si limitò a rivolgere la volata dell'arma verso la testa della ragazzina, e un attimo dopo aprì il fuoco.
Dalila si svegliò di soprassalto.
Una volta aperti gli occhi la prima cosa che vide fu il tappeto da preghiera appoggiato contro la parete opposta. A giudicare dal bagliore lunare che filtrava dall'esterno doveva essere notte fonda e dentro la capanna, tralasciando la zona più prossima all'ingresso, regnava una tenebra pressoché assoluta.
Un uomo in uniforme mimetica era accovacciato davanti all'uscita, stringendo tra le mani un fucile automatico. Per un terribile e folle istante Dalila temette che si trattasse dello stesso soldato visto nel sogno, ma le bastò stropicciarsi gli occhi per rendersi conto che fosse suo zio. Se ne stava inginocchiato sull'uscio, tendendo le orecchie, anche se tutto ciò che si sentiva era il frinire dei grilli.
''Zio Hadi, cosa...''
Lui si voltò di scatto e le rivolse un eloquente shh, prima di tornare a concentrarsi su quanto stava avvenendo all'esterno.
Nel frattempo, pure Amin aveva riaperto gli occhi. Temendo che anche Naji potesse presto seguirne l'esempio, Dalila guardò dentro il fagotto accanto a lei, ma per sua fortuna il fratellino era ancora profondamente addormentato.
Per quasi un minuto restarono tutti quanti in silenzio, in attesa che avvenisse qualcosa, o che perlomeno loro zio gli fornisse una qualche spiegazione, finché, all'improvviso, delle voci riecheggiarono nella notte.
Erano così lontane che gli giunsero ridotte a poco più di un sussurro, però si sentivano. Dalila non le riconobbe, anche se ciò poteva essere dovuto semplicemente alla distanza eccessiva. Di sicuro la cosa era molto strana.
Che qualcuno stesse male? Oppure era soltanto stato scoperto un altro sciacallo che si aggirava per il villaggio alla ricerca di cibo? Quest'ultima ipotesi sarebbe stata quasi divertente. D'altronde, che cosa mai poteva sperare di ottenere uno sciacallo in quel posto a parte riso crudo e farina?
Il rimbombo di uno sparo la fece sussultare e le brevi raffiche che seguirono strapparono ad Amin uno squittio di spavento. Hadi scattò in piedi e si voltò verso i nipoti.
''Fuori, subito!'' gli urlò con voce soffocata. ''Via, via, via!''
Dalila non se lo fece ripetere due volte. Afferrato il fagotto con dentro Naji si alzò, e trascinando Amin per il braccio lo costrinse a seguirla fuori dalla capanna, dove suo zio li stava già aspettando.
Ora che si trovavano all'esterno la luce della luna era molto più intensa, eppure il buio che avvolgeva il villaggio risultava comunque fittissimo. Se non si stava attenti il rischio di inciampare o andare a sbattere contro qualcosa era estremamente concreto.
Gli spari sembravano essere cessati, ma molti altri rumori ne avevano preso il posto, a cominciare dalle voci concitate dei vicini. Lasciando andare un attimo Amin, Dalila si coprì la testa con l'hijab, e dopo aver stretto nuovamente la mano del fratellino, alzò lo sguardo verso lo zio.
''Dove...''
Non poté finire la frase perché proprio in quel momento il rombo di un'automobile lanciata a tutta velocità sovrastò la sua voce. La camionetta da cui proveniva sfrecciò lungo la strada principale del villaggio, e quando si trovò a circa una cinquantina di metri da loro, inchiodò compiendo una brusca frenata.
Ciò che Dalila sentì dopo furono soltanto le grida della gente e il rumore degli spari, mentre i fanali del mezzo e i lampi delle armi automatiche illuminava la notte.
''Scappate!!!'' le urlò suo zio in faccia.
Un attimo dopo sparò un paio di colpi in direzione dei lampi e scomparve in mezzo al dedalo di viuzze che si diramavano tra le capanne.
Tenendo ben stretta la mano di Amin, Dalila prese a correre dalla parte opposta, e dopo che ebbe raggiunto i confini del villaggio proseguì senza voltarsi indietro. Naji si era svegliato e piangeva a pieni polmoni, ma lei non ci badò. Non badò nemmeno al fatto che l'hijab le fosse scivolato giù dal capo, perché in quel momento l'unica cosa che sentiva era la paura. Un terrore folle che le metteva le ali ai piedi e la rendeva insensibile alla fatica.
Nonostante faticasse non poco a mantenere il passo, Amin trottava accanto a lei senza lamentarsi. Il terreno coperto di pietruzze rallentava la loro avanzata e l'aver dimenticato i sandali di certo non era d'aiuto, ma il rumore degli spari e le grida della gente in fuga, rappresentavano un incentivo costante a non modificare l'andatura.
A causa della scarsità di luce procedeva principalmente a casaccio, anche se quando scorse la sagoma di un gruppetto di alberi morti riuscì ad orientarsi meglio. Perlomeno adesso aveva una meta precisa.
In quel paesaggio brullo fatto di terra arida e arbusti rinsecchiti esistevano ben pochi posti in cui rifugiarsi. Ovviamente, c'era la bassa collina dietro cui sorgeva il cimitero, ma quella si trovava dalla parte opposta, e per raggiungerla avrebbe dovuto fare dietrofront per poi aggirare il villaggio. Un'impresa tanto ardua quanto assurda.
Invece, se avesse continuato a correre in quella direzione, presto si sarebbero imbattuti in uno sbarramento naturale, composto da una fila di grossi massi di roccia rossa. Lì dietro avrebbero potuto nascondersi con facilità.
Quando giunsero davanti alle enormi pietre Dalila lasciò andare Amin e gli fece cenno di seguirla attraverso lo stretto sentiero che passava sopra e attraverso i massi per poi sbucare dall'altra parte. Alla fine decisero di acquattarsi dietro alcuni cespugli profumati, distanti non più di una decina di metri dalla barriera di roccia.
Naji non aveva mai smesso di piangere e non sembrava affatto intenzionato a smettere tanto presto, ma adesso che aveva le mani libere Dalila poté cullarlo nel tentativo di farlo riaddormentare. Il cuore le batteva all'impazzata e i rumori provenienti dal villaggio non facevano che ricordarle il motivo dei suoi timori.
Cosa avrebbero fatto adesso? Che ne sarebbe stato di suo zio? Se fosse morto, quel era il destino che li attendeva? Ne avrebbero condiviso il fato, oppure quegli uomini avevano in mente altri progetti per dei bambini come loro? Sarebbero stati rapiti, venduti, molestati, o persino qualcosa di peggio?
Sebbene le temperature fossero calate di parecchi gradi dopo il calar del sole, il brivido che scosse Dalila non aveva nulla a che vedere col freddo. Magari, nascosti dov'erano, avrebbero potuto evitare di essere catturati, ma anche in quel caso restava il problema di capire cosa fare dopo.
Se il villaggio fosse rimasto deserto quante speranze avevano di sopravvivere da soli in mezzo a quella landa desolata? Il villaggio più vicino distava molte ore di cammino per il passo di un adulto, e lei non sapeva nemmeno dove si trovasse esattamente. Tenuto conto del caldo torrido e della mancanza di acqua o mezzi per ripararsi dai raggi del sole, sbagliare strada equivaleva a morte certa.
In una situazione del genere la loro unica possibilità era che lo zio e gli altri abitanti del villaggio riuscissero in qualche modo a respingere gli assalitori. Dopotutto, molti dei suoi vicini erano armati. Se soltanto avesse potuto vedere cosa stava succedendo, ma da quella posizione sentiva solo le grida e il rumore degli spari. Impossibile capire chi stesse avendo la meglio nello scontro.
Dovevano essere trascorsi circa cinque minuti, quando il fragore dei colpi cominciò a farsi sempre più vicino, così come le urla. Per qualche ragione a lei ignota, la battaglia stava avanzando nella loro direzione.
''Vengono di qua?'' gemette preoccupato Amin.
''Shh!'' lo zittì Dalila.
Naji aveva smesso di strillare, anche se non mancava di esprimere il proprio disappunto per il brusco risveglio piagnucolando con aria assonnata. Consapevole di cosa avrebbero rischiato nel caso qualcuno degli assalitori li avesse scoperti, Dalila raddoppiò i suoi sforzi per farlo calmare.
Una raffica di mitra e un urlo terribile si levarono al di là della fila di massi. Ormai sembrava che la battaglia stesse per venire loro addosso.
''Sta giù e non parlare'' sussurrò Dalila al fratello.
Amin obbedì e si rannicchiò ancora di più, cercando di farsi piccolo piccolo.
Dalila decise di attendere ancora qualche istante per vedere se qualcuno spuntava dal passaggio tra le rocce, ma poco dopo che ebbe sporto la testa dai cespugli, le tenebre che incombevano attorno a loro si fecero improvvisamente più fitte. La luna era stata oscurata da una nuvola di passaggio.
Maledicendo la propria sfortuna Dalila non poté far altro che inginocchiarsi al suolo, il fagotto di Naji sempre stretto tra le braccia. Il rumore di passi che sentì nel buio la fece sussultare, ma lei si impose di restare perfettamente immobile. Doveva farlo se non volevano farsi scoprire.
I passi si avvicinarono ancora di più ed entrambi trattennero il fiato.
L'urlo che cacciò Amin pochi istanti dopo colse sua sorella alla sprovvista. Dalila tentò subito di zittire il fratellino, quando però anche lei sentì qualcosa urtarle la spalla, il cuore le balzò dritto in gola.
La luce di una torcia elettrica le illuminò la faccia, accecandola col suo bagliore. Durante quella breve frazione di secondo le parve di scorgere il viso di un uomo dalla carnagione scura e i capelli ricci, poi la torcia si spense e l'oscurità inghiottì i lineamenti dello sconosciuto. Dato che non l'aveva mai visto prima, Dalila era sicura che si trattasse di uno degli assalitori.
Era finita. Li avevano trovati.
''Chi...'' bisbigliò con voce tremante.
''Zitta!'' sbottò lo sconosciuto cercando di tenere basso il volume. ''State tutti zitti!''
Non essendoci vento il silenzio attorno a loro era interrotto unicamente dal frinire dei grilli. Fu allora che Dalila si rese conto del cambiamento inaspettato. Gli spari, così come le grida, erano completamente cessati.
Ma se lo scontro era davvero finito, perché quell'uomo voleva nascondersi? Che gli assalitori fossero stati sconfitti? In tal caso suo zio poteva essere ancora vivo. Se soltanto avesse saputo che erano lì. Ma non poteva gridare per attirare l'attenzione. Anche se fosse stato l'ultimo rimasto tra i suoi compagni, quell'uomo era comunque perfettamente in grado di ucciderli tutti e tre anche da solo.
Quasi fosse riuscito a percepire la drammaticità della situazione, Naji scoppiò a piangere.
''Fallo star zitto!'' sibilò lo sconosciuto.
''C-ci provo'' balbettò Dalila atterrita.
Prese a cullarlo dolcemente, cercando di farlo riaddormentare, ma Naji pianse ancora più forte.
''Tappagli la bocca!'' ringhiò l'uomo, sempre più arrabbiato.
''Se lo faccio morirà'' protestò Dalila con una vocina.
Un fruscio metallico, terribilmente simile al suono prodotto da un pugnale estratto dal fodero, le fece correre un brivido gelido lungo la schiena. Avvertendo il pericolo incombente, Amin cinse il corpo della sorella con le braccia e nascose il viso tra le pieghe del suo khimar.
''Fallo star zitto subito o l'ammazzo!'' minacciò lo sconosciuto in tono glaciale.
Dalila si paralizzò per il terrore. Senza sapere cosa fare, e con il cuore che batteva all'impazzata, l'unico cosa che le riuscì fu di restare immobile premendo il faccino di Naji contro il proprio petto, in un vano quanto disperato tentativo di sottrarlo a quel destino, che ormai si prospettava orrendamente concreto.
Il silenzio appena ritrovato, fu infranto da un basso ringhio proveniente dalla barriera di roccia. A quel punto accadde tutto molto in fretta.
Vi fu un fruscio, come quello di una freccia che fendeva l'aria, e poi un'enorme massa scura calò in picchiata sull'uomo armato.
Lo sconosciuto cacciò un grido, e a seguire innumerevoli altri. Si trattava di versi terribili, così raccapriccianti da raggelare il sangue. Strazianti urla di dolore che si protrassero per cinque interminabili secondi, prima che finalmente cessassero di colpo, facendo tornare la quiete.
Mentre tremava ancora come una foglia Dalila sentì Naji che si agitava nel tentativo di respirare, e non riuscendo a trattenersi gli liberò il viso. Il bambino prese un gran boccata d'aria e scoppiò a piangere con quanta forza gli permettevano i polmoni.
Adesso Dalila ne poteva vedere il faccino contratto per l'emozione, poiché la formazione di nubi che aveva oscurato la luna fino a quel momento si stava finalmente dileguando. E purtroppo per lei, non fu la sola cosa che riuscì a scorgere alla luce di quel bagliore argentato.
A solo un paio di metri dai tre bambini infatti, giaceva il cadavere orribilmente dilaniato dell'uomo, sopra cui incombeva un gigantesco animale. Non avendo mai visto nulla di simile Dalila non lo riconobbe, anche se le ricordava vagamente uno sciacallo. Uno sciacallo grande quanto un toro e dalla folta pelliccia corvina.
Attirata dal pianto di Naji, la belva distolse lo sguardo dal corpo martoriato della sua ultima vittima e si voltò nella loro direzione. Il cuore di Dalila mancò un battito. Aveva un muso da cane e dalle fauci socchiuse grondava sangue.
I suoi enormi occhi gialli avevano appena incrociato quelli della ragazzina, quando accadde qualcosa che lei non si sarebbe mai aspettata. Le sopracciglia dell'animale si sollevarono per lo stupore.
Lo squittio emesso da Amin alla vista della bestia, quando il piccolo ebbe finalmente trovato il coraggio di staccare la faccia dal khimar della sorella, si unì al pianto di Naji subito prima che un'eco di voci in avvicinamento giungesse fino a loro. A quel punto la creatura misteriosa si girò di scatto e prese a correre attraverso la pianura, per poi scomparire dentro una macchia di arbusti e acacie spinose non troppo distante.
Nel frattempo, le voci e il rumore di passi che le accompagnava erano diventate sempre più vicine Probabilmente gli uomini che vi si celavano dietro non dovevano trovarsi a più di una ventina di metri dal loro cespuglio. Non sapendo se fossero amici o nemici Dalila coprì la bocca di Naji con la mano, anche se questa volta si limitò a chiuderla a coppa, così da attutire il suo pianto senza correre il rischio di soffocarlo.
''Che è questo rumore?'' disse una voce maschile. ''Prima sembrava un bambino che piange''
''Per me è una trappola!'' ribatté un altro. ''Non facciamoci fregare!''
''Esci fuori, tanto sappiamo che sei lì!'' latrò un terzo uomo ''Se ti consegni e getti l'arma forse non ti uccidiamo subito!''
Resasi conto che non avesse più alcun senso fingere di non esserci, Dalila decise di rispondere.
''Per favore, non sparate!'' strillò in preda al panico. ''Qui ci siamo solo io, Amin e Naji!''
''Non sparate, sono i miei nipoti!''
Una luce di speranza si accese nel cuore di Dalila. Quella era senza alcun dubbio la voce di suo zio.
Togliendo la mano che teneva davanti alla bocca di Naji, la bambina scattò in piedi seguita quasi in contemporanea dal fratello. Non si era sbagliata. L'uomo che le stava venendo incontro era proprio zio Hadi.
Nonostante il buio riuscì a riconoscerlo subito perché era l'unico del gruppo che vestiva l'uniforme militare. Come lui, i tre uomini che lo accompagnavano imbracciavano tutti dei fucili automatici. Quando furono di fronte a loro, ebbe la conferma che si trattasse di abitanti del villaggio.
''Per fortuna state bene'' esordì Hadi abbracciando i nipoti, ''abbiamo seguito quei bastardi fin qui e ci sembrava che...''
Si era appena sciolto dall'abbraccio quando intravide il corpo dilaniato dell'uomo riverso al suolo. A quella vista la sua espressione si fece cupa.
''Chi è stato?'' chiese asciutto rivolgendosi alla nipote, mentre gli altri uomini aggrottavano la fronte per il disgusto.
Dalila sbirciò con la coda dell'occhio verso il cadavere mutilato e poi tornò a guardare in faccia lo zio. La sua bocca si aprì e si richiuse più volte, ma da essa non si levò alcun suono.
Come faceva a spiegare quello a cui aveva assistito senza che l'accusassero di essersi inventata tutto? Per sua fortuna, Amin prese l'iniziativa prima ancora che potesse anche solo azzardare una risposta.
''Uno sciacallo'' disse con semplicità.
Gli sguardi dei presenti conversero immediatamente su di lui.
''Un enorme sciacallo nero, zio!'' ripeté Amin eccitato. ''Era grandissimo, grande...''
Allargò le braccia per mostrarglielo, ma quando capì che non fosse sufficiente decise di rinunciare.
''Grande come la capanna di mamma!''
Tra i quattro uomini volarono sguardi preoccupati. In verità, sembrava quasi che non fossero affatto stupiti della rivelazione apparentemente assurda di Amin, e Dalila cominciò a nutrire il fondato sospetto, che anche loro avessero assistito a qualcosa di altrettanto incredibile.
Ignaro di ciò che gli stava avvenendo attorno Naji continuava a piangere inconsolabile, ma mentre lo cullava tra le braccia, Dalila non seppe resistere alla tentazione di dar voce al dubbio che le bruciava dentro.
''Cos'è successo al villaggio?'' chiese di getto. ''Davvero avete ucciso tutti quegli uomini da soli?''
I quattro si scambiarono delle occhiate perplesse. Era evidente che non sapessero se rispondere o meno alla domanda, come se il semplice fatto di farlo con sincerità potesse infrangere una sorta di inviolabile tabù.
Alla fine, a rompere il silenzio fu un signore anziano dalla corta barba bianca, che Dalila conosceva come Tanada.
''Nidar ba ku heli'' disse in tono solenne.
I tre compagni lo fissarono spaventati, ma lui annuì con convinzione e ripeté ancora una volta quello che sapeva stessero pensando tutti.
''Nidar troverà e punirà i malvagi''.
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