Capitolo 35 - Una chiacchierata sotto le stelle

Con un colpetto del polso il dottor Latif fece scivolare fuori dal flaconcino due grosse pillole color prugna, e una volta che furono entrambe sul palmo della sua mano le porse al signor Hamid, seduto insieme alla moglie sulla sponda del letto.

''Mi raccomando, una pillola adesso e un'altra stasera'' gli ricordò in arabo, mentre infilava il flaconcino nella tasca del camice.

Il signor Hamid, un uomo anziano dalla lunga barba bianca, inghiottì la pillola senza protestare.

''Prima o dopo cena dottore?'' gli domandò la signora Hamid, sistemandosi l'hijab sui capelli.

Per una frazione di secondo sul viso del dottor Latif calò un'ombra, che però scomparve praticamente subito, dissipandosi con la stessa rapidità con cui si era manifestata.

''Prima del tramonto'' rispose con semplicità.

''Ci sarà qualcosa da mangiare, dottore?'' chiese educatamente il signor Hamid, insospettito dalla risposta evasiva.

''Dovremmo riuscire a mettere insieme qualcosa'' precisò il dottor Latif in tono vago. ''Nel frattempo, se nota ancora del sangue nelle urine mi avverta immediatamente, ok?''

Il signor Hamid annuì.

''Certo''

''Dottore!'' gridò una voce femminile fuori dalla stanza. ''Dottore!''

Levati gli occhi al cielo il dottor Latif emise un breve sospiro.

''Vogliate scusarmi'' disse commiatandosi dalla coppia seduta sul letto.

Quando uscì sul ballatoio al secondo piano e si fu chiuso la porta alle spalle il dottore non vide nessuno, ma gli bastò sporgersi dalla ringhiera per rintracciare l'autrice del richiamo. Uma era in piedi al centro del cortile illuminato dalla luce del tramonto e si guardava attorno con aria smarrita. Alla vista di Latif però, la sua espressione parve divenire meno tesa.

''Che c'è Uma?''

Fu solo quando le ebbe posto la domanda che il dottore si accorse che c'era qualcosa di strano. Il brontolio metallico che si sentiva in sottofondo l'aveva costretto ad urlare.

''Quel signor Kama è tornato'' lo informò Uma, unendo le mani a coppa davanti alla bocca per farsi sentire al disopra del baccano. ''Adesso è fuori dal cancello e ha portato...''. Si interruppe di colpo, come se si vergognasse a finire la frase. ''Un furgone''

''Ha portato un furgone?'' ripeté incredulo Latif, temendo di aver sentito male.

''Venga a vedere di persona e capirà'' lo spronò Uma facendogli cenno di raggiungerla.

Il dottore scesa in tutta fretta le scale che portavano al cortile al pianterreno, e da lì si avviò insieme ad Uma in direzione del cancello all'ingresso. Non aveva ancora fatto in tempo a raggiungere il passaggio coperto, quando sentì la voce di Fatima rimbombare alle sue spalle.

''Se ci rapinano un'altra volta giuro che stavolta ammazzo qualcuno!''

Uma aprì il cancello con il proprio mazzo di chiavi, ma lasciò che fosse Latif a precederla all'esterno. Adesso il baccano prodotto dal motore acceso era molto più vicino. Una volta in strada il dottore guardò subito verso destra e fu allora che capì le ragioni alla base della titubanza di Uma.

Il furgone di cui aveva parlato l'infermiera stazionava lungo il bordo della carreggiata, e sull'ampio cassone posteriore era adagiato un gigantesco squalo bianco di almeno cinque metri di lunghezza. Le fauci spalancate irte di denti aguzzi pendevano insieme all'enorme testa fuori dal mezzo, a cui era assicurato tramite innumerevoli fasci di cinghie.

Alessandro sedeva sul bordo del cassone accanto al corpo dell'animale, la mano stretta attorno alla minacciosa pinna dorsale. Nel momento in cui incrociò lo sguardo con Latif un ampio sorriso gli illuminò il volto.

''Dove preferisce che lo scarichi?'' domandò ad alta voce, così da farsi sentire al disopra del frastuono. ''Qua davanti va bene?''

Il dottore però non rispose. La sua faccia era contratta in un'espressione di assoluto sconcerto e aveva gli occhi fuori dalle orbite.

Improvvisamente, un uomo dai folti baffi neri si sporse fuori dall'abitacolo e rivolse ad Alessandro qualche parola in arabo. A giudicare dal tono con cui si espresse, sembrava parecchio impaziente.

''Credo che voglia i soldi'' ipotizzò Alessandro rivolgendosi a Latif. ''Scusi se glielo chiedo, ma potrebbe pagare il trasporto?''

***

Mordendosi il labbro in preda all'ansia Alessandro continuò a fissare Latif con la coda dell'occhio, attendendo in silenzio che si ficcasse in bocca il cucchiaio. Il dottore sedeva insieme a lui sulla panchina di legno addossata alla parete sul lato sud del cortile.

Il piatto di metallo che stringeva tra le mani era stato riempito con un abbondante dose di un brodoso stufato dalla tonalità rosso acceso, in cui a farla da padrone erano diversi cubetti di pesce dalla forma irregolare. Una piccola sfera bianca delle dimensioni di una pallina da tennis se ne stava immersa al centro dello spezzatino color pomodoro.

Dato che Jaleel, l'aiutante di Latif, non era riuscito a trovare nemmeno un sacco di riso o del pane durante il suo solito giro di perlustrazione, alla fine avevano dovuto arrangiarsi con la poca farina di manioca rimasta. Il risultato degli sforzi di Uma si chiamava fufu, ed era una sorta di polenta parecchio densa e compatta dal sapore abbastanza blando, ma che in compenso assorbiva molto bene i condimenti a cui veniva accostata.

E in effetti era proprio quest'aspetto che preoccupava Alessandro. Se lo squalo da lui catturato fosse risultato disgustoso, il senso di colpa l'avrebbe sicuramente ucciso.

''Allora?'' chiese titubante, non appena il dottore ebbe finito di masticare il boccone.

''Probabilmente ci stiamo mangiando in un piatto solo il nostro limite massimo annuale di mercurio'' commentò Latif in tono scherzoso, ''ma in questo momento preoccuparsi di una cosa simile mi pare l'ultimo dei nostri problemi''

Confortato dalla risposta Alessandro tirò un sospiro di sollievo e iniziò a mangiare anche lui.

''Sai, ti dirò, a me ricorda tanto il pesce spada'' commentò Latif, mentre masticava con aria da intenditore. ''Forse solo un po' più asciutto''

''Mi dispiace, ma non ho trovato altro'' disse Alessandro contrito.

''Vuoi scherzare?!'' sbottò Latif guardandolo come se avesse appena detto un'assurdità. ''È di sicuro la cosa migliore che mangiamo da settimane. A proposito, dov'è che l'hai trovato esattamente?''

''Te l'ho detto, arenato sulla spiaggia'' rispose vago Alessandro.

''Ok, ma dove di preciso?''

''Vicino a dove stava quel grosso hotel a forma di vela'' mentì Alessandro, citando la prima location che gli fosse venuta in mente.

Latif si fece pensieroso.

''Molto strano'' commentò perplesso.

''Che cosa?'' domandò Alessandro, cercando di mostrarsi ingenuamente ignaro.

''Che tu sia stato il primo a trovarlo'' rivelò Latif con semplicità. ''Credevo che quella zona fosse molto battuta''

''Si vede che sono stato fortunato'' disse Alessandro stirando le labbra in un sorrisetto nervoso.

''A quanto sembra'' gli concesse Latif mettendosi a fissare il cielo stellato sopra di loro.

Era una magnifica serata di inizio maggio. Col calare dell'oscurità l'afa che aveva contrassegnato la maggior parte del giorno aveva finalmente ridotto la propria morsa opprimente, e la tiepida brezza che faceva ondeggiare le fronde delle palme all'esterno della clinica, contribuiva nel diffondere un piacevole senso di refrigerio.

Non potendosi assolutamente permettere di sprecare elettricità, quasi tutta utilizzata per mantenere attivi i dispositivi salvavita dei pazienti in gravi condizioni, le uniche fonti di luce disponibili erano alcune lampade ad olio appese in diversi punti nevralgici della struttura, indispensabili per orientarsi di notte senza correre il rischio di cadere giù dalle scale o sbattere la testa contro uno stipite.

Una di esse si trovava proprio sopra la panchina a cui stavano cenando Latif e Alessandro, e la sua debole luce riusciva a penetrare le tenebre quel tanto che bastava ad illuminare l'ambiente circostante entro un raggio di qualche metro.

Anche se ogni tanto l'eco di un colpo di tosse proveniente dall'infermeria giungeva fino in cortile, a parte il frinire dei grilli e il fruscio del vento, l'unico rumore udibile era il tintinnio delle posate. Mentre spazzolava con voracità la propria porzione di spezzatino e fufu, Alessandro rialzò lo sguardo dal piatto e si mise a fissare il ballatoio al piano superiore. La porta della stanza della famiglia Akter era appena socchiusa e da essa fuoriusciva un tenue bagliore color arancio.

Fortunatamente Abhay sembrava essersi dato una calmata. Da quando aveva visto lo squalo era come impazzito dalla gioia, tant'è che ci erano volute due ore solo per convincerlo a smettere di toccare la testa del gigantesco pesce, sgattaiolando a tradimento nelle cucine quando meno ce lo si aspettava.

Al pensiero di come avrebbe reagito il bambino se per caso l'avesse visto trasformarsi in animale davanti a lui, un sorrisetto divertito affiorò sulle labbra di Alessandro. Stava per infilarsi in bocca un'altra cucchiaiata di stufato quando sentì qualcosa strusciarsi contro la sua gamba. Nel momento in cui abbassò gli occhi vide un gattino soriano dalla pelliccia bicolore, intento a fare le fusa tenendo la coda dritta puntata in alto.

''Ti presento Hunar'' disse Latif sogghignando. ''Il nostro disinfestatore privato''

Forse proprio perché aveva sentito il suo nome, il gatto balzò sulla panchina e iniziò a strusciarsi contro la coscia del ragazzo. Memore dell'esperienza vissuta alla stazione degli autobus, e delle molte altre che erano seguite nei mesi successivi, Alessandro cercò di distogliere la sua attenzione utilizzando un bocconcino di squalo recuperato dal proprio stufato.

''Cos'è, hai fame piccolo?'' gli chiese con una vocetta simpatica, ondeggiando il cubetto di pesce tinto di rosso ad appena pochi centimetri dal bordo della panchina.

Per alcuni istanti Hunar parve indeciso se proseguire nel suo strusciare affettuoso o staccarsi dalla gamba di Alessandro per recuperare il boccone. Alla fine scelse di optare quest'ultima, anche se persino mentre masticava con voracità il pesce, non smise di fare le fusa nemmeno per un secondo.

''Pare la battuta di caccia sia andata male'' commentò sorridendo Latif. ''Considerati fortunato a non essere finito tu nello stufato di carne misteriosa di ieri''

Alessandro sgranò gli occhi.

''L'avresti fatto davvero?'' chiese incredulo, incrociando lo sguardo col medico.

Latif inclinò la testa di lato e gli scoccò un'occhiata eloquente.

''Pesa poco più di un chilo ed è pelle e ossa'' gli fece notare con una punta di impazienza, mentre tornava a concentrarsi sul proprio piatto. ''Farlo sarebbe stata semplice cattiveria''

''Ah, giusto'' disse Alessandro sorridendo.

Il dottore staccò col cucchiaio un pezzetto del poco fufu rimasto e dopo averlo intinto per bene nella salsa se lo portò alla bocca. Desiderando che la discussione morisse lì, anche Alessandro riprese a mangiare lo stufato in silenzio.

Il rumore di un'auto in avvicinamento sovrastò per qualche secondo il frinire dei grilli, ma dopo una fugace transito sulla strada all'esterno della clinica, la macchina si fece sempre meno udibile finché non scomparve in lontananza.

Avendo nel frattempo finito di mangiare, Hunar tornò a strusciarsi contro i pantaloni di Alessandro, che questa volta decise di lasciarlo fare. Tanto, anche se gli avesse offerto tutta quanta la propria porzione, il gatto non avrebbe comunque smesso di importunarlo.

''Tu non sei di queste parti, vero?'' chiese a bruciapelo Latif.

Colto alla sprovvista dalla domanda, Alessandro dovette tossire per evitare che gli andasse di traverso lo stufato.

''Sì, che lo sono'' ribatté deciso, sforzandosi di apparire convincente.

''Allora perché parli come se venissi da un posto dove il cibo si trova a portata di supermercato?'' lo incalzò sornione il dottore, senza staccare gli occhi dal proprio piatto.

Resosi conto che fosse inutile tentare di negare, Alessandro decise di rispondere con sincerità.

''Sono arrivato da poco'' confessò a voce non troppo alta.

La fronte di Latif si aggrottò.

''Sei un contrabbandiere?'' gli domandò fissandolo negli occhi.

''No'' rispose subito Alessandro.

''Mercenario?''

''Non mi interessano i soldi'' disse Alessandro scuotendo la testa. ''Sono qui solo per cercare di dare una mano''

Latif piegò il bordo del labbro in un sorriso.

''Beh, se non altro oggi l'hai data di sicuro'' commentò affabile, prima di raccogliere col cucchiaio l'ultimo pezzo di polenta di manioca. ''Anche se temo si tratti solamente di una goccia nell'oceano''

''Ti riferisci alla guerra?'' domandò cautamente Alessandro.

Il dottor Latif finì di masticare il boccone e poi rivolse un cenno in direzione della scritta in arabo al centro del cortile.

''Sai che c'è scritto lì sopra?''

Alessandro scosse la testa.

''Civili feriti, non sparateci'' rivelò Latif con semplicità, scoccandogli un sorriso amaro. Alessandro non disse nulla e il dottore proseguì. ''L'abbiamo scritto anche sul tetto e pure nelle strade attorno alla clinica. Ma basterebbe che qualcuno degli ufficiali militari si dovesse convincere che la nostra è solamente una copertura e...''.

Si interruppe di colpo, lasciando che fosse il silenzio sinistro che seguì a finire la frase al posto suo.

''A volte mi capita di sognare che i sauditi entrano in città, ma tutto ciò che trovano è un cimitero a cielo aperto, con montagne di scheletri che affiorano dalla sabbia''

Alessandro deglutì, ma le sue labbra restarono sigillate. Latif emise un profondo sospiro.

''Non importa chi la spunta, vorrei solo che questa dannata guerra finisse''

''Ti andrebbe bene sia che vincesse l'uno o l'altro?'' chiese Alessandro stupito.

Latif soffocò una risata.

''In tutta onestà trovo difficile provare simpatia per qualcuno che negli ultimi sei mesi non ha fatto altro che affamarmi, bombardarmi e provveduto ad aumentare a dismisura il numero dei miei pazienti''. Incrociò lo sguardo con Alessandro ed alzò le spalle. ''Tuttavia, la mia opinione in merito qui conta come quella di Humar''.

Il sorriso sul suo volto scomparve, venendo sostituito da un'espressione decisamente meno scanzonata.

''Io ho fatto un giuramento. Salvare le persone. Più sono e meglio è, ma preferisco senz'altro curare casi di denutrizione ed epatite, piuttosto che arti mozzati e traumi da esplosione. Se domani mattina l'esercito emiratino riconquisterà la città li acclamerò issando la bandiera, ma preferisco che perdano piuttosto che dover tirare avanti un altro anno e mezzo così''.

La voce gli si abbassò improvvisamente, riducendosi a poco più di un sussurro.

''Per festeggiare una vittoria bisogna essere vivi''

Non sapendo cosa dire, Alessandro abbassò lo sguardo sul proprio piatto ormai quasi vuoto. Humar gli si acciambellò in grembo, dove continuò a fare le fusa sonnecchiando beatamente.

''Ti aspettavi una risposta diversa?'' chiese Latif alzando un sopracciglio.

Alessandro abbozzò un sorriso e scosse la testa.

''No, no, non c'entra quello, è solo...''. Guardò il dottore dritto negli occhi. ''Tu non sei emiratino, vero?''

''Non mi pare di aver detto il contrario'' gli ricordò Latif in tono pratico.

''Ma allora come ci sei finito qui?''

Latif distolse lo sguardo e si mise a scrutare il cielo stellato. La sua espressione lasciava intendere che fosse perso nei propri pensieri. Dopo qualche secondo di pausa però, un debole sorriso tornò ad illuminargli il volto.

''Quando ero molto più giovane mio padre ha portato me e le mie sorelle qui da Islamabad'' raccontò mentre raccoglieva una cucchiaiata di stufato. ''Lui commerciava in tessuti e vivevamo bene. Molto bene, in effetti''.

Si infilò in bocca un cubetto di pesce immerso nel sugo e lo masticò con evidente soddisfazione.

''Papà avrebbe voluto che seguissi le sue orme, ma io volevo diventare medico e così mi ha inserito nella migliore università che i soldi potessero comprare. Mi sono laureato, fatto i miei master...''

Sospirò.

''E poi ho visto come viveva la gente da queste parti. Sai, quelli che stanno nel dietro le quinte, e si occupano di mandare avanti quest'immenso parco giochi''.

A quelle parole lo sguardo di Alessandro andò istintivamente verso il frammento di cielo al di là del cortile, sotto cui lui sapeva i grattacieli del centro si ergevano maestosi tra le strade spazzate dalla sabbia. Apparentemente perso nei suoi pensieri, Latif prese un'altra cucchiaiata di stufato, ed essendo rimasta solamente la parte brodosa, si limitò ad inghiottirla senza nemmeno masticare.

''Non è una cosa insolita per chi viene da fuori. Molti turisti si fanno trarre in inganno dai negozi di gioielli o dalle boutique d'alta moda...''

S'interruppe di colpo e abbassò lo sguardo sul pavimento in cemento, gli occhi accesi da una strana luce.

''Ma io avevo vissuto qui tutta la vita e non me ne sono mai reso conto, se non in quel momento'' confessò amareggiato. ''Ripensandoci me ne vergogno ancora''

''E tuo padre come ha preso la notizia?'' gli domandò incuriosito Alessandro.

''Direi tutto sommato bene'' rispose Latif scrollando le spalle. ''Non ci parliamo circa da quindici anni''

Di fronte alla faccia attonita di Alessandro, il medico reagì con un sorriso comprensivo.

''La clinica l'ho comprata grazie al prestito di alcuni amici'' spiegò con una serenità sorprendente. ''Anche se all'epoca era molto diversa. C'è voluto un mese solo per rendere abitabile il piano superiore.

Aveva appena finito di pronunciare la frase quando una delle ultime porte affacciate sul ballatoio si aprì all'improvviso, facendone uscire un bambino di circa sette anni dalla pelle color ebano. Il piccolo percorse il corridoio scoperto finché non si trovò di fronte alla stanza della famiglia Akter, e a quel punto bussò alla porta.

Abhay venne ad aprire pochi istanti dopo, e accogliendo l'amico con manifesta allegria lo invitò subito ad entrare. Un attimo prima di riaccostare l'uscio però, decise di approfittarne per rivolgere un saluto con il braccio ad Alessandro e al dottor Latif. Entrambi risposero al gesto agitando la mano a loro volta.

Mentre la porta della stanza si chiudeva dietro i due bambini, Humar si stiracchiò soddisfatto sulla gamba sinistra di Alessandro, continuando a fare le fusa con gli occhi chiusi.

''È mai caduta una bomba da queste parti?'' chiese Alessandro a Latif, appoggiando il piatto vuoto sulla panchina.

''Dato che siamo ancora vivi, fortunatamente no'' rispose ironico il dottore cercando di sdrammatizzare, ''però un paio di settimane fa è venuta giù una palazzina a circa tre isolati da qui. Non era un obiettivo sensibile perciò non credo che l'abbiano fatto apposta, anche se dubito che ai poveri disgraziati che c'erano dentro sarà stato di grande consolazione saperlo''

Alessandro si incupì, ma tentò di nasconderlo mettendosi ad accarezzare Humar dietro le orecchie.

''Se ne avessi la possibilità come fermeresti la guerra?''

''Sconfiggere l'esercito ti sembra un'opzione troppo banale?'' chiese scherzoso Latif, appena prima di infilarsi in bocca una cucchiaiata di brodo.

''E se non volessi uccidere nessuno?'' insistette Alessandro.

''Beh, credo che ne parlerei con Mr. Pezzo Grosso lassù a Riyadh'' ammise Latif in tono pratico. ''D'altronde, se esiste qualcuno in grado di fermare questo schifo senza uccidere nessuno, quello è il tuo uomo''

''Dottore''

Alessandro e Latif si voltarono subito verso sinistra. Fatima era appena uscita da una delle stanze al pianterreno, e stava avanzando verso di loro con aria preoccupata. Quando li ebbe raggiunti si chinò leggermente verso il dottore e iniziò a parlargli a bassa voce.

''Mi spiace disturbarla, ma la signora Dhanda dice che il dolore le è tornato''

''Quanto forte?'' chiese Latif con semplicità.

''Suda freddo, trema e credo che le stia per venire un attacco di panico'' rispose Fatima senza giri di parole.

Latif annuì emettendo un breve sospiro.

''Meglio se vado''. E ingollata in fretta e furia l'ultima cucchiaiata di brodo, scattò subito in piedi, per poi appoggiare il piatto ripulito sulla panchina. ''Buonanotte Kama'' disse ad Alessandro, un attimo prima di andare dietro all'infermiera.

''Notte'' gli fece eco lui.

Nel momento in cui li vide scomparire oltre la soglia della stanza, Humar gli si accoccolò contro la camicia, facendo le fusa a tutto spiano.

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