Capitolo 32 - La partenza
Un boato spaventoso squarciò il buio.
Riaperti subito gli occhi Alessandro si sollevò di scatto, mettendosi a sedere sul letto. Era mattina e una fredda luce bianca stava cominciando a penetrare nella stanza man mano che Alice sollevava le tapparelle. Il vento aveva smesso di ululare, ma la pioggia continuava a picchiettare sul vetro della finestra.
''Ah, ben svegliato dormiglione'' commentò lei gioviale, intanto che finiva di tirare la cinghia verso il basso.
''Che ore sono?'' chiese preoccupato Alessandro.
Non poteva fare tardi. Se il temporale fosse finito in anticipo avrebbe sprecato la sua occasione migliore.
''Quasi le otto'' rispose Alice, infilandosi le mani nelle tasche del giaccone. ''Ti direi che il sole splende, ma fuori il tempo fa schifo. Pasquetta non si smentisce''
Oltre al giubbotto indossava anche un paio di jeans e una lunga sciarpa blu. Era evidente che stesse per uscire.
''Dove stai andando?'' le domandò Alessandro aggrottando la fronte.
''Papà dice che vuole dare una ripulita alla cella frigorifera'' spiegò Alice, ''voglio accompagnarlo in negozio''
Le sopracciglia di Alessandro si sollevarono. Da che ne aveva memoria sua sorella era stata nell'ortofrutta di famiglia sì e no una decina di volte, e quasi mai di propria iniziativa.
''Vuoi andare in negozio con papà?'' chiese stupito.
''Sì, perché no?'' disse Alice scrollando le spalle.
Per tutta risposta Alessandro si limitò a scoccarle un'occhiata eloquente.
Resasi conto che fosse inutile protrarre la recita, Alice si sedette sul bordo letto e avvicinò la faccia a quella del fratello.
''Non dirlo a mamma, ma papà vuole andare al Quickly a chiedere spiegazioni per il licenziamento'' gli sussurrò in tono confidenziale intanto che lanciava un'occhiata furtiva alle proprie spalle. ''Sicuro quanto piove farà una scenata. Meglio se gli sto vicino ed evito che perda la testa''
Alessandro diede in una risatina soffocata.
''Papà non farebbe male a una mosca'' ribatté tranquillo.
''Ma è imbattibile nelle gare di urla'' fece notare Alice. ''Se lo lascio fare quelli della direzione chiameranno i carabinieri. Meglio evitarci multe e arresti, ti pare?''
In cucina si sentì un tonfo improvviso, come quello di un grosso libro sbattuto sul tavolo, e poi la voce di Umberto rimbombò nel soggiorno.
''Dove cavolo si sono andate a cacciare quelle stramaledette chiavi?!!!''
''Tesoro, non le hai già in mano?'' chiese spazientita Elisa.
Vi fu un breve intervallo di silenzio, interrotto unicamente dal rumore della pioggia battente e dal rombo di un tuono lontano.
''Sì, è vero'' ammise Umberto terribilmente imbarazzato. ''Scusa''. Diede un colpetto di tosse. ''Amore, hai visto per caso il mio cellulare? Ti assicuro che non l'ho in tasca''
Alessandro e Alice si scambiarono uno sguardo d'intesa.
''Beh, buona fortuna, allora'' le augurò Alessandro curvando le labbra in un sorriso.
''Grazie, ne avrò bisogno'' disse Alice alzandosi dal materasso.
Si era appena voltata, quando Alessandro si tolse le coperte di dosso e abbandonò il letto.
''Alice''
''Che c'è?'' chiese lei girandosi.
Con un movimento fulmineo Alessandro la raggiunse, e dopo essersi chinato su di lei le gettò le braccia al collo.
Alice non si oppose né disse nulla, limitandosi a subire passivamente quella stretta carica d'affetto, che comunque si sciolse da sola dopo appena una manciata di secondi.
Quando tornò a guardare negli occhi il fratello, le sue guance erano tinte di rosso acceso e l'espressione sul suo volto sembrava trovarsi a metà strada tra l'imbarazzo e lo sbigottimento.
''È successo qualcosa?'' domandò cauta.
''No'' rispose Alessandro con semplicità, ''solo...''. Le scoccò un ampio sorriso. ''Grazie di esistere''
Alice curvò timidamente le labbra all'insù, anche se risultava palese che fosse ancora parecchio tesa.
''Hai preso qualche pillola strana?'' chiese tranquilla.
Alessandro scosse la testa.
''No''. E dato che pareva un po' scettica, aggiunse: ''Davvero''
La preoccupazione parve scomparire dal volto di Alice, anche se lo stesso non poté dirsi per l'imbarazzo. Le sue guance erano ancora parecchio rosse.
''Bene'' commentò ricambiando il suo sorriso. ''Allora, grazie anche a te di esistere''
Gli diede una pacca affettuosa sulla spalla e uscì dalla stanza. Aveva appena varcato la soglia quando si mise a parlare ad alta voce.
''Papà, possiamo andare o non hai ancora trovato lo Smartphone?''
Umberto trovò il cellulare incastrato tra i cuscini del divano circa un paio di minuti dopo, e a quel punto si preparò ad uscire di casa con la figlia al seguito.
Alessandro avrebbe tanto voluto andargli incontro e abbracciare anche lui, ma essendo presente sua sorella non poteva permettersi un altro gesto così insolito. Se si fosse insospettita, Alice avrebbe anche potuto cambiare idea all'ultimo momento e rifiutarsi di lasciarlo solo.
Alla fine si dovette accontentare di un semplice ''ciao papà'', accompagnando il tutto con una strizzata d'occhio e un pollice alzato.
Mentre Elisa navigava su internet alla ricerca di qualche offerta di lavoro, Alessandro si sciacquò la faccia in bagno e poi prese posto al tavolo della cucina, dove fece colazione con due grosse fette della torta di mele che sua madre aveva preparato il giorno prima.
Mangiò in silenzio, trattenendosi dal desiderio di alzarsi in piedi e correre a riempire Elisa di baci, e quando ebbe ripulito il piatto fece ritorno in camera.
Una volta chiusa la porta si tolse il pigiama e indossò al suo posto la felpa e i jeans che ormai non metteva da quasi due mesi, poi recuperò lo Smartphone, la carta d'identità e il portafogli, infilando tutto nel solito zainetto di finta pelle.
Rientrato in soggiorno afferrò il giaccone dall'appendiabiti e cominciò ad indossarlo.
''Mamma, io esco'' annunciò con aria noncurante, mentre faceva passare il braccio attraverso uno degli spallacci dello zaino.
Elisa distolse subito lo sguardo dal cellulare e rialzò la testa di scatto.
''Esci?!'' sbottò incredula, indicando la finestra bersagliata dalla pioggia. ''Ma non hai visto che tempo fa?''
''Resto fuori solo una mezz'oretta al massimo'' la rassicurò lui, intanto che finiva di sistemarsi lo zaino in spalla.
''Sta piovendo a dirotto. Non ha senso uscire adesso'' insistette Elisa paziente. ''E poi dov'è che devi andare?''
''In nessun posto in particolare'' rispose Alessandro vago. ''Te l'ho detto, faccio solo un giro''
Lei lo scrutò per qualche secondo, evidentemente incerta se credergli o meno, ma di fronte al sorriso innocente che Alessandro le rivolse sembrò convincersi.
''Va bene'' concesse magnanima, ''prima però prendi il cellulare''
''Già fatto'' spiegò Alessandro.
''Anche l'ombrello''
''Ok''
''E mi raccomando, attento...''
''Alle macchine'' concluse al suo posto Alessandro. ''Sì, lo so''
Elisa parve soddisfatta e riprese a concentrarsi sul display dello Smartphone.
''Torna presto''
Anche se sua madre non lo stava più guardando, Alessandro annuì e dopo aver recuperato l'ombrello si girò per aprire la porta d'ingresso. Aveva appena abbassato la maniglia quando un impulso irresistibile lo costrinse a fermarsi.
''Mamma'' disse voltandosi verso di lei.
Elisa staccò gli occhi dal cellulare ed incrociò il suo sguardo.
''Sì, amore?'' chiese con semplicità.
Ecco, era la sua occasione. Poteva ancora farlo. Non c'era bisogno di andare fino in fondo. Chi se ne importava del mondo e dei suoi problemi.
Al diavolo il mondo. Al diavolo tutto!
Ciò che contava più ogni altra cosa si trovava già davanti a lui. Se voleva restare gli bastava mettere giù zaino, ombrello e giaccone. Non avrebbe neanche dovuto chiedere scusa. Nel caso avesse cambiato idea, sua madre ne sarebbe stata solo felice.
''Ti voglio bene'' disse Alessandro con dolcezza.
Un largo sorriso illuminò il volto di Elisa.
''Anch'io ti voglio bene, tesoro''
Alessandro si chiuse la porta alle spalle appena in tempo per evitare che sua madre potesse accorgersi del repentino cambiamento. I suoi occhi erano diventati lucidi.
***
L'auto intenta a sfrecciare accanto al marciapiede su cui stava camminando passò sopra ad una grossa pozzanghera formatasi attorno ad un tombino straripante, ma anche se la vide arrivare con largo anticipo Alessandro non fece alcun tentativo per ripararsi.
Lo spruzzo d'acqua che lo investì in pieno gli bagnò completamente i jeans sotto il ginocchio, senza però riuscire ad ottenere su di lui alcun effetto. Alessandro proseguì nella propria imperturbabile avanzata tenendo gli occhi fissi sul marciapiede, il viso nascosto dietro l'ombrello.
Nel frattempo, la pioggia continuava a scrosciare incessante.
Il lampo di un fulmine illuminò per un istante il cielo plumbeo e il rombo a cui si accompagnava lo seguì poco dopo. Dato che ormai mancava poco all'arrivo Alessandro infilò la mano nella tasca del giaccone ed estrasse il foglietto di carta che conservava all'interno.
Il messaggio riportato sopra era stato realizzato in maniera abbastanza grossolana, come se l'autore avesse iniziato a scrivere utilizzando caratteri di una certa grandezza, salvo poi accorgersi a metà dell'opera che le righe fossero insufficienti, costringendolo quindi a ridurre drasticamente la dimensione delle lettere.
Ad aggravare il problema ci pensava la presenza di diverse correzioni, che avevano limitato ulteriormente il già scarso spazio disponibile. Anche a causa di questo, non doveva sorprendere che le ultime parole fossero praticamente illeggibili.
Ciononostante, Alessandro se lo ricordava talmente bene che quasi non ne aveva bisogno per sapere ciò che c'era scritto.
Caro Umberto,
tu non ti ricordi di me, ma io sì.
Diversi anni fa mi hai aiutato quando avevo bisogno e ora sono tornato per restituirti il favore. Attualmente sto cercando di mettere ordine nella mia vita e tu sei uno di coloro a cui voglio far avere parte di quello che ho prima che sia troppo tardi.
Nella borsa troverai del denaro. Usalo. Da adesso è tuo.
La mia unica condizione è che non riveli a nessuno di averlo ricevuto. Purtroppo questi soldi non sono stati dichiarati, e se quindi li dovessi denunciare ti verrebbero sicuramente portati via.
E io non voglio questo.
Probabilmente ti starai chiedendo perché non te li abbia fatti recapitare servendomi di mezzi più convenzionali, e avresti ragione.
Tranquillo, niente di illecito o scandaloso, solo complesse e spiacevoli vicende familiari che complicherebbero enormemente la mia situazione. Pertanto, a dispetto di quelle che potrebbero essere le tue legittime obiezioni, ti scongiuro di accettare.
Spero che potrai perdonare il mio comportamento e il fatto che non venga a salutarti di persona, ma le condizioni in cui verso attualmente mi impediscono di agire come vorrei. Tuttavia, prima di andarmene, voglio essere sicuro di aver fatto tutto il possibile per aiutare le persone a cui tengo.
Persone che lo meritano. Persone come te.
Addio e auguri di ogni bene per l'avvenire tuo e della tua famiglia.
Il tuo vecchio e carissimo amico.
Finito di leggere Alessandro appallottolò il foglietto spiegazzato nella mano e non appena giunse in prossimità di un cestino ce lo gettò dentro.
Adesso anche l'ultimo legame che lo univa alla famiglia se n'era andato per sempre. Certo, gli restavano ancora i vestiti e lo zaino che indossava, ma anche di quelli se ne sarebbe dovuto sbarazzare molto presto. Proprio come si era liberato del borsone, lasciato davanti alla porta di casa circa quindici minuti prima, insieme ad una bella copia del messaggio appena cestinato.
Chissà come avrebbe reagito suo padre e Alice alla notizia. Probabilmente Elisa li stava chiamando tutti in quello stesso momento per avvertirli. Per questo Alessandro aveva spento il cellulare in anticipo.
D'altronde, non poteva mica rispondere, perché se solo si fosse azzardato a tanto non esisteva il benché minimo dubbio che avrebbe ceduto. Come un bambino in ansia da separazione sarebbe subito tornato di corsa a casa con le ali ai piedi, lieto di poter riprendere la vita di tutti i giorni senza più dover sperimentare la terribile angoscia che stava provando in quel momento.
In effetti, c'era solo una cosa che gli impediva di cedere alla tentazione, ed era la consapevolezza che quell'addio non fosse destinato a durare in eterno. Una speranza che cercava di tramutare in certezza ostinandosi a ripeterla nella testa, quasi si trattasse di una sorta di strano mantra.
Un giorno tornerò, lo prometto.
Svoltato l'angolo Alessandro imboccò la strada che conduceva fino ad un ponte sospeso sul fiume, e dopo aver percorso nemmeno una cinquantina di metri cominciò ad attraversarlo.
Non era poi molto lontano dal centro, tuttavia, il rischio di imbattersi casualmente nell'auto di famiglia risultava pressoché inesistente. Sia il negozio di suo padre che il Quickly si trovavano infatti a diversi isolati di distanza rispetto a dov'era, e per tornare a casa avrebbero dovuto percorrere ben altre strade.
Una volta che fu dall'altra parte del ponte Alessandro svoltò a sinistra e si mise a costeggiare il parapetto in cemento che delimitava le sponde del Lambro. Le acque fangose scorrevano impetuose qualche metro sotto di lui, e a causa della pioggia nella notte sembravano aver superato di diversi centimetri il livello di guardia.
Una macchina passò accanto ad Alessandro proprio mentre raggiungeva le strisce che conducevano sull'altro lato del marciapiede, in corrispondenza dell'imboccatura di una stradina delimitata da due file di case. Trattandosi di una corsia a senso unico, la distanza che separava il muro della palazzina più vicina dal parapetto non doveva essere superiore ai quattro o cinque metri al massimo.
Alessandro attraversò la carreggiata camminando sulle strisce e quando fu dalla parte opposta imboccò la stradina, fermandosi in mezzo al marciapiede deserto dopo solo qualche passo. A quel punto si sfilò lo zaino dalle spalle e lo afferrò per il manico, mentre con l'altra mano reggeva l'ombrello.
La pioggia scrosciava con tale intensità da sovrastare quasi completamente il rumore delle auto intente a sfrecciare lungo la via cento metri più avanti, e il tuono che riecheggiò con forza proprio in quell'istante riuscì ad annichilirlo del tutto. Il rombo era appena cessato quando Alessandro sentì una macchina che attraversava la corsia alle proprie spalle.
Adesso non restava altro che aspettare.
Alla fine ci vollero tre minuti prima che si presentasse l'occasione giusta. Dopo il passaggio di due piccole Volkswagen e di un'Audi verde pisello, in fondo alla strada apparve la sagoma di un grosso furgone bianco, su cui spiccava il simbolo di una nota ditta di spedizioni.
Le labbra di Alessandro si curvarono in un sorriso amaro. Ormai non poteva più permettersi tentennamenti. Se voleva davvero andare fino in fondo, era arrivato il momento di agire.
Il furgone stava procedendo a velocità sostenuta e aveva già percorso metà della distanza che lo separava da lui, quando Alessandro inclinò leggermente l'ombrello in avanti così da nascondere completamente il suo volto. Anche da sotto l'ombrello però, lui continuò comunque a tenere d'occhio la situazione.
Nonostante il furgone fosse praticamente arrivato, e soltanto pochi metri lo separassero dallo stop, l'autista non dava ancora segno di voler rallentare. Probabilmente doveva essere di fretta per via di qualche consegna.
Alessandro rimase fermo dov'era tenendo sempre i piedi rivolti in avanti, ma proprio quando il mezzo sembrava sul punto di raggiungerlo, effettuò un brusco scatto verso destra e iniziò ad attraversare la strada come se si fosse appena ricordato che la sua destinazione si trovasse sulla sponda opposta del marciapiede.
Un istante prima che avvenisse l'impatto, il ragazzo mollò la presa sullo zaino.
La collisione si rivelò devastante.
Intanto che l'ombrello andava in mille pezzi, Alessandro venne scagliato in avanti con la forza di un proiettile. Fendendo l'aria come una freccia il suo corpo volò al disopra della carreggiata, e una volta che finì addosso al parapetto in cemento lo sfondò di schianto, senza che l'urto riuscisse in alcun modo ad arrestarne l'avanzata.
Trascinando con sé innumerevoli pezzi di calcestruzzo, il suo corpo precipitò giù dal ponte e scomparve tra le acque del Lambro. Gli alti spruzzi che si sollevarono dalla superficie del fiume in piena durarono giusto una manciata di istanti, prima che ogni traccia dell'evento venisse cancellato dalla potenza del flusso d'acqua.
Frenando con violenza l'autista arrestò il mezzo al centro della strada, e accompagnato dal collega corse subito verso il marciapiede. Lanciando urla e imprecazioni entrambi si sporsero dal parapetto danneggiato e guardarono di sotto, ma tutto ciò che videro a quel punto furono le acque gorgoglianti del fiume, mentre scorreva impetuoso tra le due sponde di pietra.
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