Capitolo 31 - Il mondo brucia

Il display dello Smartphone illuminava il volto di Alessandro di una fredda luce bianca, anche se la protezione offerta dalle coperte riusciva a ridurre ai minimi termini l'impatto che questa aveva sul resto della stanza. Tuttavia, giusto per non correre rischi, ogni volta che sua sorella si girava nel sonno lui provvedeva comunque a mettere lo schermo in stand-by. Non voleva far sapere ad Alice che fosse sveglio.

Nel frattempo, il vento che ululava fuori dalla finestra continuava a sferzare le persiane senza tregua.

Le nubi scure che già nel primo pomeriggio erano diventate visibili, avevano fatto il loro ingresso a Villanuova verso sera inoltrata, portandosi dietro un tributo di raffiche sferzanti e aria umida, preludio annunciato del temporale ormai incombente. Nonostante le innumerevoli avvisaglie ancora non pioveva, ma il rimbombo sempre più frequente dei tuoni sembrava suggerire che fosse solo questione di minuti prima che ciò avvenisse.

L'orologio sul cellulare segnava le 2:05. All'alba mancavano più di quattro ore.

Alessandro però non aveva sonno. In effetti, da quando era andato a letto, i suoi occhi non si erano chiusi nemmeno per un singolo minuto. Considerando quello che lo attendeva al mattino, non c'era da sorprendersi.

Presto avrebbe dovuto dire addio a tutto ciò che conosceva, e lasciandosi alle spalle il passato andare incontro all'ignoto. Verso un nuovo inizio, una nuova vita...

Un avvenire in cui nessuno di coloro che amava poteva sperare di seguirlo.

Come avrebbe fatto ad abituarsi ad un'idea simile?

Ad oltre un mese di distanza da quando aveva preso quella decisione, il solo pensarci non smetteva di fargli venire la nausea. Per questo si era messo a navigare su internet. Indugiare tra i titoli dei siti di news, riusciva a fornirgli un seppur minimo sollievo.

DHUFAYS È CADUTA

Dopo la recente perdita di Beerta e Garoowe, uno degli ultimi baluardi posti a difesa della regione autonoma del Somaliland finisce sotto il controllo dello SLA. Il signore della guerra Dahir annuncia che entrerà ad Hargheisa entro la fine dell'estate. Secondo gli esperti il conflitto è ad un punto di svolta.

IL NEMICO ALLE PORTE

Le disastrose sconfitte subite dallo SMUR ad opera dell'Esercito di Liberazione Somalo mettono a rischio l'esistenza stessa del Somaliland. Il disperato appello di Tokyo: ''Non aiutare il Somaliland lo condannerà alla dissoluzione''. Dall'inizio del conflitto nel maggio del 2026 si contano oltre duecentomila vittime e quasi un milione di profughi.

LA SCOMMESSA AZZARDATA DEL SOL LEVANTE

L'inarrestabile avanzata delle truppe di Dahir rischia di far diventare il primo ministro Nakayama il capro espiatorio, per quella che pare ormai essersi rivelata una scelta di politica estera oggettivamente fallimentare. Dopo decenni di tentennamenti, la rivoluzionaria svolta compiuta dal Giappone in tema di esercito e non-interventismo internazionale, non sembra aver portato i frutti sperati.

MOHAMED FAISAL DAHIR - NASCITA DI UN DITTATORE

Da semplice pastore a signore della guerra. L'ascesa dell'uomo che mira a unificare la Somalia ispirandosi a Siad Barre

L'ORSO, IL DRAGO E IL LUPO

A seguito del sequestro della nave Garani e del suo carico di armi, probabilmente diretta a Mogadiscio, i sospetti di finanziamenti stranieri alle truppe di Dahir si fanno sempre più plausibili, ma chi si cela dietro il fiume di denaro? Russia, Cina o Turchia?

GUERRA CIVILE SOMALA O UCRAINA E TAIWAN 2.0

Sinistre analogie legano lo stato africano alle due nazioni invase e annesse lo scorso decennio da Russia e Cina. Il Giappone fornisce aiuti umanitari e militari allo SMUR del Somaliland, mentre il regime di Dahir è formalmente isolato. Formalmente.

Una folata di vento particolarmente intensa fece vibrare le tapparelle al di là del vetro, ma Alessandro non ci badò e proseguì a scorrere col dito sul display.

Stava ancora distrattamente passando in rassegna le pagine fornitegli dal motore di ricerca, quando si imbatté in un articolo pubblicato da un settimanale online, risalente a qualche giorno prima. Dato che il titolo gli sembrava interessante, Alessandro ci cliccò sopra.

SOMALIA AL BIVIO

Il destino del paese conteso tra due forze contrapposte. Una mira ad istituire un regime autoritario di stampo militare, l'altro una democrazia sul modello di Botswana e Namibia. Ma le promesse di benessere e diritti universali riusciranno a soverchiare lo strapotere delle armi?

Sembra trascorso un secolo da quando il presidente Abrar è stato assassinato durante lo svolgimento del colpo di stato del 17 Aprile, eppure non sono passati nemmeno tre anni.

Governo corrotto, assenza di libertà democratiche, frammentazione politica e presenza di milizie in lotta per il dominio sul territorio. Queste sono senz'altro alcune delle più incisive concause utili a spiegare un collasso tanto rovinoso quanto repentino, che però non sarebbero mai potute bastare in assenza dell'uomo che risponde al nome di Mohamed Faisal Dahir.

Prima pastore di capre, poi soldato, ufficiale, e infine signore della guerra. Una carriera sfolgorante ed esplosiva che ha conosciuto il suo apice proprio durante il golpe d'aprile, a seguito del quale si è autoproclamato presidente dell'intera Somalia, lanciando quella che sarebbe divenuta tristemente nota come la ''Campagna di Liberazione'', volta a sottomettere ogni zona del paese non ancora in mano al potere dello stato centrale.

Annientate le milizie di Al-Shabaab, e ricondotti all'obbedienza i signorotti locali operanti nelle regioni meridionali, l'offensiva di Dahir è andata via via risalendo in direzione nord, finché non ha incontrato l'accanita resistenza delle forze congiunte del Puntland e del Somaliland, per nulla intenzionate a cedere di fronte alle illegittime rivendicazioni del neo-despota.

Accantonate le loro divergenze, (relative a dispute territoriali in essere dal 2007), e dato vita allo SMUR, (Movimento Somalo per la Libertà e la Riconciliazione), i due attori hanno quindi sottoscritto una dichiarazione congiunta con cui rivendicano libertà democratiche e diritti civili, per poi lanciare un'agguerrita campagna di contrasto allo SLA, (Esercito di Liberazione Somalo), controllato da Dahir.

Secondo l'accordo sottoscritto, una volta conclusa la guerra, la Somalia dovrà divenire uno stato federale e democratico, dentro cui tornerà a far parte anche il Somaliland, a condizione che gli venga concesso un ampio margine d'autonomia.

Regione autonoma dalla storia travagliata e in cui non sono mancati periodi di forte tensione, il Somaliland ha dichiarato la propria indipendenza dal governo centrale somalo nel 1991, sebbene prima di poter finalmente veder soddisfatte le proprie aspirazioni dovette attendere oltre trent'anni.

Anche a seguito del riconoscimento ufficiale avvenuto nel settembre del 2026, il Giappone resta però l'unica nazione al mondo ad avere relazioni diplomatiche col piccolo stato del corno d'Africa, dato che Taiwan, (il primo paese in assoluto ad aver dichiarato formalmente la legittimità del Somaliland ad esistere), è stato annesso dalle Repubblica Popolare Cinese nel 2025. Tuttavia...

Il rombo di un fulmine esplose all'esterno con un fragore assordante. Alessandro sobbalzò per lo spavento, ma si trattenne quando sentì un sinistro scricchiolio sopra la sua testa. Alice si stava girando nel sonno.

Messo in stand-by il cellulare rimase dunque in attesa sotto le lenzuola. Nonostante nella stanza fosse buio pesto ad eccezione dello spiraglio di luce che filtrava attraverso la porta socchiusa, riusciva a vedere perfettamente come se splendesse il sole del mattino.

L'unica differenza era lo strano bagliore turchese che illuminava tutto. Ad Alessandro ricordava in maniera sorprendente quello che aveva già visto in certi acquari.

Intanto che lui fissava le pieghe della coperta trattenendo il fiato, Alice farfugliò qualcosa di incomprensibile e dopo aver smesso di muoversi tacque.

Sebbene il pericolo sembrasse orai scongiurato, prima di pigiare nuovamente il tasto di accensione dello Smartphone Alessandro aspettò che i respiri della sorella tornassero al solito ritmo regolare, sentendosi abbastanza sicuro da osare solo dopo aver contato una decina di secondi abbondanti.

Quando riprese la lettura dell'articolo, fuori aveva cominciato a piovere.

...nonostante le incoraggianti vittorie dei primi mesi, sembrassero aver dato ragione alla notevole preveggenza già dimostrata in passato dal primo ministro Nakayama, ad oggi la situazione pare completamente ribaltata.

Con il Puntland sottomesso e il Somaliland sotto assedio infatti, ormai sembra che il corso della guerra civile si stia avviando verso la sua fase conclusiva, e se gli appelli del Giappone, (finora l'unica nazione ad inviare rifornimenti militari allo SMUR), affinché anche altri paesi lo seguano, dovessero continuare a rimanere inascoltati, la definitiva sconfitta della coalizione anti-SLA diverrebbe pressoché scontata.

D'altra parte, se la leadership autoritaria di Dahir, (che finora si è reso responsabile di un'infinita lista di crimini di guerra, sia a danno dei soldati che della popolazione civile), sarà in grado di condurre alla stabilizzazione di un paese dilaniato da decenni di lotte intestine, questo ce lo potrà dire solo il tempo.

Finito di leggere Alessandro tese l'orecchio e rimase in ascolto per un po'.

Il vento ululava sferzando le tapparelle senza tregua e la pioggia si era nel frattempo trasformata in un terribile diluvio.

Avendo organizzato il proprio piano con oltre una settimana d'anticipo, temeva che le previsioni meteo potessero sbagliarsi ancora, ma per sua fortuna questa volta erano riuscite ad azzeccarci. Nonostante le giornate soleggiate che si erano susseguite interrottamente per oltre quattro giorni, quella tanto strombazzata perturbazione atlantica alla fine era arrivata sul serio.

Bastava soltanto che l'acquazzone si protraesse per buona parte della mattinata, e non avrebbe avuto nulla da temere. Perlomeno dal punto di vista teorico. Quanto a trovare la forza di mettere effettivamente in pratica il suo proposito...beh, quello era tutto un altro paio di maniche.

Credendo di aver letto abbastanza sull'argomento, Alessandro decise di effettuare una nuova ricerca inserendo nella barra degli indirizzi le parole chiavi ''guerra Emirati''.

Dopo aver esaminato uno ad uno circa una decina di articoli, si fermò davanti ad un blog specializzato in geopolitica mediorientale, che non ricordava di aver mai visto prima. Si chiamava Con lo sguardo alla mezzaluna.

Incuriosito, entrò nel sito a dare un'occhiata e poi iniziò a leggere.

GUERRA FRATRICIDA

Un tempo alleati, ora nemici giurati. Nel conflitto tra Emirati e Arabia Saudita si decide il futuro della penisola e l'agenda geopolitica dei prossimi decenni. Nel frattempo, l'Iran resta a guardare.

Una delle massime di Sir John Enoch Powell recitava: ''La storia è cosparsa di guerre che tutti sapevano che non sarebbero mai accadute''. E in effetti, rileggendo la cronaca degli ultimi anni, non si potrebbe che dargli ragione.

Se la progressiva presa di distanza della famiglia reale di Abu Dhabi da quella saudita e il parallelo avvicinamento ad un nemico storico come il regime iraniano degli Ayatollah, erano già riusciti a mettere in crisi molti analisti geopolitici, la cessione del Governatorato di Musandam, (exclave omanita in territorio emiratino), da parte dell'Oman agli Emirati Arabi, e il consequenziale scoppio delle ostilità tra sauditi e emiratini, sembravano eventi così irrealistici da non essere mai stati presi in seria considerazione da nessuno.

Men che meno avrebbe potuto esserlo il rapido degenerare di quello che era iniziato come uno scontro prettamente diplomatico, in un conflitto volto a sradicare l'intera famiglia Al Shamsi dal trono di Abu Dhabi.

Un obiettivo che, se realizzato, costituirebbe senza dubbio uno degli sconvolgimenti politici più sbalorditivi mai visti nella regione, dai tempi della caduta di Reza Pahlavi in Persia, dell'invasione statunitense dell'Iraq, o dell'espulsione di massa dei palestinesi in Sinai e Giordania.

Ma come si sia potuti giungere a tutto questo? La risposta, come spesso accade d'altronde, è molto complessa e richiede di analizzare i fatti partendo dal principio.

Dopo l'accelerazione del programma nucleare iraniano e l'annuncio della costruzione del primo ordigno tattico nel 2025, la stabilità regionale ne è uscita gravemente compromessa.

Israele ha mantenuto la sua storica ostilità, e così anche il governo di Riyadh, il quale, (oltre a dotarsi a sua volta di un modesto arsenale atomico), si è subito messo in moto per rafforzare la propria rete di alleanze nella regione, salvo poi scoprire che quelle che credeva certezze in realtà non lo erano affatto.

Maturate nel corso degli anni sotto la cenere, i dubbi e le perplessità hanno finito per venire alla luce proprio all'interno della cerchia di quelli che credeva alcuni dei suoi partner più affidabili, Emirati Arabi in primis.

E se un'Oman teso alla mediazione più che allo scontro diretto, e uno Yemen retto dal regime degli Huthi, (alleati dell'Iran), costituivano di per sé delle problematiche terribilmente serie, la prospettiva che anche gli Al Shamsi di Abu Dhabi potessero proseguire verso un lento ma costante avvicinamento a Teheran, lo era ancora di più.

Quando poi il ministro degli esteri emiratino, Mohammed Al Neyadi, ha siglato un accordo volto ad approfondire i rapporti con Teheran, non solo da un punto di vista economico, ma anche politico-strategico, la situazione è degenerata molto rapidamente.

Pur non riguardando in maniera diretta né l'Iran, che l'Arabia Saudita, l'acquisto dall'Oman del Governatorato di Musandam, (che garantisce il controllo dello stretto di Hormuz su cui si affaccia), viene considerato all'unanimità come il punto di rottura di questo già fragile equilibrio.

Infatti, se entrambe le rotte mercantili, (lo stretto di Bab el-Mandeb tra Yemen e Gibuti, e quello Hormuz tra Emirati Arabi e Iran), fossero finite all'interno della sfera di influenza di Teheran, ciò avrebbe rappresentato una minaccia intollerabile alla prosperità economica e alla stabilità politica della stessa Riyadh, che non avrebbe potuto far altro che assistere impotente al proprio isolamento commerciale.

Un isolamento che avrebbe potuto trasformarsi in crisi economica, malcontento popolare, manifestazioni politiche, sommosse, e forse persino rivolte su vasta scala.

Uno scenario che pur di impedire gli Jaziri erano disposti a far uso persino delle misure più draconiane.

Pianificato probabilmente con mesi d'anticipo, l'attacco è stato sorprendentemente rapido e sferrato con precisione chirurgica, portando già nelle prime quarantott'ore alla distruzione completa dell'aviazione e di gran parte della flotta emiratina.

In contemporanea è avvenuta l'invasione via terra, con conseguente blocco dei rifornimenti sia civili che militari, un'imponente ondata di cyber-attacchi e a seguire i bombardamenti.

Consapevole dell'ondata di proteste che avrebbe suscitato il suo intervento, (con annessi crimini di guerra), il governo saudita ha fatto sapere per tempo che avrebbe interrotto a tempo indeterminato, e senza possibilità di futuri passi indietro, la fornitura di idrocarburi a qualunque stato si fosse intromesso nel conflitto, per poi ribadire l'esistenza del proprio arsenale atomico.

Questa strategia, unita al parallelo blocco dei confini degli Emirati, hanno finora scoraggiato l'Iran o altri paesi dall' intervenire nel conflitto, sia tramite l'invio di truppe sul campo, che attraverso la fornitura di armi o altro equipaggiamento militare.

Al netto di ciò, se la guerra dovesse proseguire senza che anche altri attori vi prendano parte, una vittoria finale delle forze di Riyadh sembra essere la sola conclusione possibile per quella che pare ormai diventato uno scontro di graduale ma inesorabile logoramento.

Come riusciranno poi gli Jaziri a giustificare, (e soprattutto, a veder riconosciuto), il cambio di regime imposto al loro ex-alleato, resta una questione dai contorni assai più sfumati, anche se in questo caso non sarebbe affatto improbabile assistere ad un tentativo di mediazione da parte della Cina, specie dopo le critiche lasciate trapelare dal presidente americano Walker e dal segretario di stato Taylor all'iniziativa saudita.

Era pur sempre interessante, ma ciò che gli serviva in quel momento andava oltre una semplice lezione di storia.

Stava ancora pensando a come districarsi tra quella miriade di articoli quando una finestra pop-up comparve improvvisamente nella parte bassa dello schermo. Dato che si trattava di un altro post appena pubblicato proveniente dallo stesso sito, Alessandro ci cliccò sopra senza neppure riflettere.

RITORNO ALLE ORIGINI

Con l'invasione degli Emirati, l'Arabia Saudita getta al vento oltre un decennio di sforzi volti a dipingersi come un paese pronto ad abbracciare la modernità e rinnegare il proprio passato reazionario. Ma questa brusca svolta va letta come un tradimento, oppure si è deciso di ignorare volutamente gli indizi che suggerivano il contrario?

''Datemi abbastanza fondi e farò crescere la giungla nel deserto''

La battuta ormai celebre pronunciata dal principe ereditario Aziz al vertice del G20 di Riyadh del 2027 non avrebbe potuto essere più azzeccata per descrivere la situazione in cui si trovava il paese retto dalla dinastia Jaziri appena qualche anno fa.

E in effetti, il fiume di denaro che sgorgava insieme al petrolio dai pozzi sparsi tra le dune si era dimostrato uno strumento formidabile per acquisire competenze, sviluppare progetti avveniristici, comprare consenso, ma anche accaparrarsi marchi e sponsor prestigiosi, oltre a far propri alcuni tra i volti più noti del mondo calcistico e sportivo internazionale.

Tuttavia, a dispetto degli slogan ad effetto o delle inaugurazioni da ''Mille e una Notte'', un modus operandi tanto eclatante quanto costoso non poteva anche non sollevare diverse domande.

Insomma, si stava assistendo ad un sincero cambio di passo rispetto allo stereotipo della tradizionale petromonarchia che si aveva del paese all'estero, oppure quella adottata da Riyadh non era altro che una cinica operazione di facciata volta a ripulire e ''svecchiare'' l'immagine di un regime che ormai da troppo tempo veniva accusato di essere anacronistico, spietato e oscurantista?

In merito a questo punto, al netto delle opinioni entusiastiche comprate a suon di milioni da influencer di tendenza od ospiti illustri, la maggior parte degli analisti concordava almeno sul fatto che i bombardamenti indiscriminati durante la guerra civile yemenita e l'ingresso nel club nucleare, di certo non rappresentavano...

Alessandro emise un lungo sospiro prima ancora di finire di leggere l'incipit. Ormai conosceva troppo a fondo l'argomento per non rendersi conto che anche questo non gli avrebbe detto nulla che non sapesse già.

Tuttavia, gli bastò scorgere il titolo di un altro articolo posizionato lungo la cornice destra della pagina, perché la sua attenzione venisse immediatamente risvegliata. Cliccato sul link, cambiò quindi scheda, ritrovandosi subito all'articolo selezionato.

LA LENINGRADO D'ARABIA

Ad oltre sei mesi dall'inizio dei bombardamenti effettuati dall'aviazione saudita, a Dubai le scorte di cibo e medicinali sono ormai ridotte all'osso e la popolazione è allo stremo. Impossibilitate ad entrare nel paese a causa del blocco imposto da Riyadh, le organizzazioni umanitarie lanciano l'ennesimo appello: ''Siamo sull'orlo della catastrofe umanitaria''

Nonostante la gravità della situazione attuale imponga la massima cautela quando si valuta in merito all'opportunità di pronunciare o meno certe frasi, è difficile negare l'esistenza di una sorta di spietata ironia in ciò che sta accadendo in questi giorni a Dubai.

Così come il deserto che la circonda un tempo era una fertile prateria, anche la ''City of Superlatives'' è finita per incappare in un fato altrettanto amaro, e oggi ciò che resta della punta di diamante tra le metropoli del Medio Oriente, sembra essersi ridotta ad una spettrale città fantasma.

Lì dove c'era ricchezza e fasto ora non rimane che miseria e distruzione, l'ombra di un passato lontano di cui non ci restano che grattacieli abbandonati e centri commerciali dalle vetrine infrante. Un'oasi un tempo prospera divorata dalle sabbie del deserto.

Sebbene non si disponga di dati certi e le stime risultino impossibili da verificare, le vittime civili dei bombardamenti oscillano tra i dodicimila e le ventimila unità, mentre quelle verificatesi in tutto il paese dall'inizio dell'invasione saudita superano probabilmente le centocinquantamila. Un'ecatombe che si aggrava di ora in ora e di giorno in giorno senza che si profili all'orizzonte alcuna speranza di porvi rimedio.

Con i confini del paese sigillati per scongiurare eventuali invii di rifornimenti alle truppe emiratine, e i cieli sotto il totale controllo dell'aviazione saudita, a distanza di oltre un anno dall'inizio dell'invasione non sono state ancora create vie di collegamento con l'esterno, che permettano quantomeno l'invio di aiuti umanitari alla popolazione civile rimasta intrappolata nel paese. Aiuti, che a causa delle tattiche disumane impiegate dagli invasori, non vi può che essere un disperato bisogno.

Nel tentativo di annichilire fin da subito l'avversario infatti, sono stati presi di mira non soltanto gli impianti per la produzione di energia elettrica, ma anche quelli di desalinizzazione, lasciando così in balia della sete e del caldo gli abitanti delle città.

Fontane, reti di irrigazione, e ogni altro impianto non prettamente necessario alla sopravvivenza è stato lasciato a secco per far fronte all'impennata della domanda di acqua dolce, mentre gran parte degli edifici, a cominciare dagli avveniristici grattacieli, sono stati abbandonati, ridotti dall'assenza d'aria condizionata a nient'altro che mastodontici forni. Per quanto concerne invece l'aspetto alimentare, la faccenda non è meno affatto grave.

Dipendente per oltre il 60% dalle importazioni straniere, gli Emirati Arabi non sono in grado di sfamare i loro dieci milioni di cittadini, nonostante che la fuga di massa avvenuta nei primi giorni della guerra abbia comportato una riduzione di oltre il 20% della popolazione complessiva.

Gli appelli dell'Onu e della comunità internazionale affinché si ponga fine alla guerra sono finora caduti nel vuoto, così come sono rimaste inascoltate le richieste di tregua, necessaria affinché si possa evacuare e/o assistere i civili colpiti dai bombardamenti.

Di sicuro, con il procedere del conflitto e la lenta avanzata saudita che stringe la sua stretta attorno alle principali città, la portata della catastrofe umanitaria in atto non potrà che aggravarsi ulteriormente.

Morti, feriti, vite distrutte, famiglie spezzate e un'infinita scia di dolore e distruzione. Questo è ciò che si prospetta per l'avvenire fino a quando le armi non taceranno. E quando questo finalmente avverrà, sarà sempre troppo tardi.

Troppo tardi.

Alessandro rilesse l'ultima frase per almeno una dozzina di volte prima di uscire dal sito. A quel punto cancellò la cronologia e spense lo Smartphone.

Consapevole di non avere alcuna speranza di addormentarsi non si prese nemmeno la briga di rimettere a posto il cellulare, limitandosi ad infilarlo nella piccola tasca esistente tra il materasso e l'intelaiatura del letto. Abbassate le coperte fin sotto il collo puntò dunque lo sguardo verso l'alto, mettendosi a fissare il vuoto.

Ecco, adesso non c'era altro che potesse fare.

Aveva letto, aveva pensato, e poi studiato, ripensato, riletto, ripensato un'altra volta, ma le conclusioni a cui era giunto non erano mai cambiate. Doveva partire e cercare di sfruttare i suoi poteri per realizzare qualcosa di utile.

Migliorare il mondo.

D'altronde, se non ci provava lui chi l'avrebbe fatto? Chi altri poteva sperare di riuscire a realizzare qualcosa in tal senso se non lui?

Alice aveva ragione. Era da illusi sperare che uno Spiderman o un Albus Silente comparisse dal nulla a cercare di risolvere i casini dell'umanità, e se le cose stavano davvero così, allora sarebbe spettato a lui provarci.

Non sapeva il perché fosse stato scelto. Anche dopo tutte ore spese a rimuginarci sopra, non aveva ancora la più pallida idea del perché quella sonda avesse deciso di atterrare proprio davanti a lui. Probabilmente si era trattato semplicemente di un caso.

Per quanto assurdo potesse sembrare, il suo unico merito consisteva nell'essersi trovato al posto giusto al momento giusto, tutto qui.

Non esistevano istruzioni da seguire, compiti da svolgere, o chissà quale altra missione impartita da sconosciute civiltà aliene.

Il destino si era limitato a dargli più potere di quanto chiunque potesse mai sperare di sognare, e a quel punto l'aveva lasciato andare.

Che senso aveva comportarsi in questo modo? Qual era lo scopo celato dietro? Insomma, che avrebbe dovuto fare adesso?

La risposta gli era giunta diverse settimane prima, sussurratagli da una vocina nella testa.

Quello che ritieni giusto.

La notizia l'aveva sconvolto e stordito.

Quello che riteneva giusto.

Solo quello? Nient'altro? Nessun vincolo, requisito, clausola o condizione?

Alessandro si sentiva come una persona estratta a caso tra otto miliardi di partecipanti, in quella che non sembrava altro che la più folle delle lotterie.

Ormai però non aveva alcun senso rifletterci sopra. Qualunque ne fosse la ragione, adesso che aveva finalmente il potere di cambiare le cose non poteva tirarsi indietro.

Erano anni che fantasticava su ciò che avrebbe o non avrebbe fatto, se solo si fosse trovato nella condizione di chi possedeva le capacità di agire.

Bene, adesso il fato gli aveva dato quelle capacità, perciò spettava a lui farne uso. Il vero problema restava capire come.

Per esempio, da quale luogo sarebbe stato meglio iniziare? Somalia o Emirati?

Crisi umanitaria, guerra, morti, fame, per entrambi si trattava di situazioni disperate, ma dopo averci riflettuto sopra parecchio, alla fine era giunto alla conclusione fosse meglio partire dai secondi. Se non altro, le ridotte dimensioni del territorio gli avrebbero reso il compito più facile, anche se in realtà non sapeva ancora quel che avrebbe fatto una volta giunto sul posto.

L'unica cosa di cui fosse assolutamente certo era non avrebbe mai più ucciso. Non gli importava se una parte del suo cervello si ostinava a ripetergli quanto fosse illusorio sperare di fermare una guerra senza per questo sporcarsi le mani. Nonostante le idee che aveva in merito fossero alquanto confuse, in qualche modo lui ci sarebbe riuscito.

Pur di non ripetere quanto accaduto nell'appartamento degli spacciatori, Alessandro era disposto a qualunque sacrificio.

In effetti, in quel momento esisteva solo una cosa al mondo che lo terrorizzava di più che rivivere quell'esperienza agghiacciante, e purtroppo per lui a questa non aveva alcuna chance di sottrarsi.

Quando l'indomani sarebbe venuto il momento di andarsene, davvero avrebbe avuto la forza di riuscirci? Sul serio sarebbe stato in grado di lasciarsi alle spalle coloro che amava più di ogni altro senza guardarsi indietro, oppure avrebbe finito per crollare sulla soglia tra le lacrime, incapace di abbandonarli?

I brividi che gli scuotevano il corpo al solo pensiero lo facevano propendere per quest'ultima ipotesi, ma in cuor suo Alessandro era perfettamente consapevole di non avere altra scelta.

D'altronde, quale poteva mai essere l'alternativa? Restarsene a casa e infischiarsene del mondo e dei suoi problemi? Rimangiarsi tutto ciò in cui credeva per la gioia di rimanere accanto alla famiglia, come un ragazzino troppo cresciuto e viziato per staccarsi dalla sottana della madre?

E intanto che continuava a barcamenarsi tra le facezie della quotidianità, fingendo di essere un liceale qualunque, milioni di persone nel frattempo avrebbero sofferto e sarebbero morte senza che lui, pur potendo fare qualcosa in proposito, alzasse nemmeno un dito.

No, era ovvio che non potesse. Sprecare un'occasione come quella che gli era capitata sarebbe stato semplicemente folle, oltre che disgustosamente egoista.

Certo, avrebbe anche potuto confessare tutto. Dire la verità e poi partire. Ma in questo caso sarebbe anche stato costretto a spiegare tante cose, a cominciare da chi fosse il responsabile dell'ormai celeberrima Strage di Monza.

Come l'avrebbero visto a quel punto? Cosa avrebbero pensato di lui una volta scoperto ciò che aveva fatto?

Probabilmente ne sarebbero usciti distrutti in una maniera che lui faticava persino a concepire. Di conseguenza, la sola strada percorribile era quella che aveva già pianificato.

Partire e in futuro tornare. Non sapeva quando esattamente. Di certo ci sarebbero voluti anni. Forse molti. A quel punto però, avrebbe fatto ritorno portando in pegno il frutto dei propri sforzi.

Il mondo che suo padre voleva, il mondo che lui voleva, si sarebbe realizzato. Niente più guerre, niente più tiranni, solo un'umanità in pace libera dall'oppressione e dai conflitti. Un dono di tale portata da valere anche il perdono che avrebbe supplicato in ginocchio.

Allora gli avrebbe raccontato ogni cosa.

Che bel giorno sarebbe stato. Così perfetto, che la semplice istantanea dell'evento che prese forma nella sua mente, riuscì a fargli affiorare un sorriso sul volto.

Quasi stesse tentando di imprimersi nella testa quell'immagine di sublime bellezza, Alessandro abbassò le palpebre e senza nemmeno accorgersene si addormentò di sasso.

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