Capitolo 26 - Senza ritorno
La porta dell'appartamento si spalancò solo dopo che ebbe bussato per la seconda volta. Gli venne ad aprire un uomo molto grasso dalla faccia molle, la barba incolta vecchia di qualche giorno, e un paio di occhietti vacui, che insieme al mento rivolto orgogliosamente all'insù contribuivano non poco a dargli un'aria terribilmente stupida.
Quando ebbe incrociato lo sguardo con Alessandro la sua fronte si aggrottò in un'espressione ostile, che però non ottenne altro risultato se non quello di rendere l'insieme ancora più comico.
''Che vuoi?'' esordì con strafottenza.
''Mi manda Lorenzo'' rispose asciutto Alessandro.
L'uomo parve sorpreso.
''Ma quindi sei...come cazzo hai fatto ad arrivare così in fretta?!'' sbottò in un tono a metà tra l'incredulo e l'accusatorio.
Alessandro rimase impassibile.
''Posso entrare, o preferisci continuare a discuterne sul pianerottolo?''
L'uomo lo scrutò perplesso per qualche istante, ma alla fine sembrò aver preso la sua decisione.
''Aspetta qui, torno tra un minuto''.
Non aggiungendo altro gli chiuse la porta in faccia.
Intanto che attendeva Alessandro ne approfittò per dare un'occhiata in giro. Si trovava in una palazzina a tre livelli con qualche decennio sulle spalle, e provvista pure di un piccolo cortile interno, così che per accedere ad ognuno degli alloggi era per forza necessario camminare lungo uno stretto ballatoio protetto da una ringhiera in acciaio.
L'appartamento davanti a cui stava attualmente, il numero dodici, era l'ultimo in fondo al secondo piano rispetto all'ascensore, esattamente dove Lorenzo gli aveva detto che fosse. Ad ogni modo, forse a causa dell'ora tarda, vuoi per il fatto che gli inquilini della palazzina non erano particolarmente curiosi, il corridoio esterno continuò a restare deserto, esattamente uguale a come gli era apparso al momento del suo arrivo.
Il vigoroso brontolio che si levò dal suo stomaco venne quasi subito sovrastato dalla sirena di un'ambulanza lontana, sebbene lo stesso non poté purtroppo dirsi anche per la fame terrificante che lo dilaniava.
Stringendo i denti per la frustrazione, Alessandro cercò di farsi coraggio al pensiero che entro qualche minuto al massimo avrebbe potuto strafogarsi con tutto ciò che voleva. Il fatto che per raggiungere quell'obiettivo si stava apprestando a svaligiare un covo di spacciatori, quasi sicuramente pieno di gente affiliata alla mafia, gli sembrava un dettaglio del tutto secondario.
Pur di mettere fine a quella sensazione di vuoto insopportabile sarebbe stato disposto a ben altro, fosse anche fare a cazzotti con un gruppo di gorilla.
La porta dell'appartamento si spalancò di nuovo mentre l'eco della sirena cominciava a spegnersi in lontananza, e com'era prevedibile ad aprirgli fu lo stesso tizio di poco prima.
''Ti devo perquisire'' annunciò asciutto, ''se rifiuti resti fuori''
Alessandro scrollò le spalle.
''Come vuoi'' concesse allargando le braccia.
L'operazione non richiese più di qualche secondo, e dopo che l'uomo gli ebbe tastato le tasche e i fianchi del cappotto per la terza volta, sembrò convincersi che non sarebbe riuscito a trovargli addosso nessun'arma. A quel punto fece un passo indietro, e dopo essersi piazzato rasente al muro appena oltre la porta d'ingresso, gli rivolse un cenno col capo invitandolo a varcare la soglia.
''D'accordo, ora puoi entrare''
Alessandro non se lo fece ripetere due volte e obbedì.
A dispetto di quel che si era immaginato l'appartamento risultò molto più grande del previsto, e a giudicare dalla qualità dei mobili che arredavano l'ampio soggiorno sembrava anche che ci fosse stato investito sopra parecchio denaro.
Bene, penso tra sé e sé Alessandro. Se potevano permettersi un plasma da sessanta pollici e ben due console complete pure di visore per la realtà virtuale, di sicuro non avrebbero avuto problemi ad accettare d'idea di separarsi da qualche centinaio di Euro.
Stabilito questo, l'unica questione ancora da risolvere restava quella del come. E per quanto riguardava quest'ultimo aspetto, le sue idee in merito erano ancora piuttosto confuse. La soluzione più semplice sarebbe stata quella di spaventarli con qualche trasformazione ad effetto, per poi costringerli a consegnarli tutto, ma così facendo chi gli avrebbe impedito poi di andarsene in giro a raccontare di essere stati rapinati da una sorta di mutante?
Certo, bisognava anche tenere in considerazione il fatto, che non si sarebbero mai potuti azzardare a denunciare lo spiacevole inconveniente alla polizia, e in ogni caso praticamente nessuno gli avrebbe creduto comunque. Tuttavia, esisteva pur sempre un certo margine di rischio. Forse gli conveniva semplicemente metterli fuori combattimento e poi cercare i soldi con calma. Chissà dove li tenevano nascosti.
Il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva alle sue spalle strappò Alessandro a quei pensieri, e pochi secondi dopo il tipo grasso che gli aveva aperto lo superò passandogli accanto, raggiungendo quindi i compagni che se ne stavano seduti sul lungo divano ad L in fondo alla stanza.
Compreso lui erano tre in tutto. Il primo era un ragazzo di colore sui trent'anni con un paio di occhiali a specchio e i capelli rasati, mentre l'altro un uomo palestrato con pizzetto, taglio a spazzola e folte sopracciglia nere.
Jeans a parte, vestivano in maniera molto diversa. Felpa di marca con il cappuccio tirato indietro per il trentenne dalla pelle scura, e una canottiera blu navy per il tipo muscoloso, che a differenza del compagno portava anche una catenella d'argento appesa al collo. Entrambi sembravano impegnati a guardare una partita di calcio alla televisione, ma quando Alessandro varcò la soglia del soggiorno smisero subito di fissare lo schermo, e concentrarono tutta la loro attenzione su di lui.
Al pari del tipo grasso non sembrarono sorpresi dalla sua statura, né dall'abbigliamento certamente poco ortodosso che indossava. Che la cosa fosse dovuta a un incredibile sangue freddo, o ad una recita sapientemente orchestrata restava però un mistero.
''Allora'' esordì il tizio in canottiera, ''quindi eccoti qui, caro...''
''Matteo'' concluse Alessandro, sparando il primo nome che gli fosse venuto in mente.
''Matteo'' ripeté l'uomo annuendo compiaciuto.
Nonostante il tono affabile con cui si era rivolto a lui, il padrone di casa non fece il minimo cenno per invitarlo a sedersi da qualche parte. Alessandro ne fu contento. Tanto, non avrebbe accettato in ogni caso.
Lasciato passare qualche secondo di silenzio, durante i quali i due si limitarono a scrutarsi con in sottofondo la voce del cronista televisivo, l'uomo palestrato avvicinò la mano al petto e proseguì nelle presentazioni.
''Io sono Fabio'' annunciò gioviale, prima di indicare col pollice il ragazzo di colore seduto lì vicino. ''Lui è Daniel''. Rivolse un cenno in direzione del tipo grasso. ''Mentre il simpatico bombolone che è stato così gentile da venirti ad aprire si chiama Italo''
Curvate le labbra in un sorriso senza gioia Italo emise un basso grugnito, dentro cui Alessandro parve di avvertire un ''ma vaffanculo'', che tuttavia Fabio non diede l'impressione di aver notato.
''Se le mie fonti non mentono, ho sentito che hai bisogno di soldi'' disse in tono pratico.
''Sì'' confermò asciutto Alessandro.
''E a che ti servono?'' s'intromise Daniel, raddrizzando gli occhiali dalle lenti verde acqua che portava sul naso.
''Per comprare da mangiare'' rispose Alessandro con sincerità.
I tre scoppiarono in una fragorosa risata. Alessandro non partecipò.
''Questa non l'avevo ancora sentita'' confessò sghignazzando Fabio.
L'espressione di Alessandro rimase impassibile e lui smise di ridere.
''Quanti soldi ti servono?'' domandò con semplicità.
''Voi quanti ne avete?''
Italo sgranò gli occhi per lo stupore, ma Daniel si limitò a ridacchiare.
''Il bestione è pazzo'' commentò divertito.
Alessandro lo ignorò.
''Se stai cercando lavoro...'' proseguì Fabio.
''Non sto cercando lavoro'' lo interruppe bruscamente Alessandro. ''Sto cercando soldi''
''I soldi si fanno lavorando'' spiegò pacato Fabio.
''Piuttosto che lavorare per voi mi ammazzo da solo'' ribatté Alessandro sprezzante.
I tre uomini si fecero tutti improvvisamente seri, e questa volta anche Fabio smise di sorridere.
''Beh, direi che per questo ti possiamo aiutare'' sentenziò gelido.
Quando avvertì lo scatto metallico alle proprie spalle Alessandro non ebbe certo bisogno di voltarsi per capire cosa stesse succedendo. D'altronde, l'ombra che solo allora vide riflessa sul pavimento ai suoi piedi non lasciava molto spazio all'immaginazione.
A giudicare dal fatto che era riuscito a camminare fin lì senza produrre il benché minimo rumore, lo sconosciuto dietro di lui doveva essere di sicuro senza scarpe, e anche se non lo poteva verificare in maniera diretta dubitava seriamente che gli stesse puntando addosso una spillatrice.
Perché non aveva pensato che potesse succedere? Era così ovvio. Così prevedibile. Starsene spaparanzati sul divano di fronte ad una possibile minaccia, senza nemmeno prendersi la briga di allestire una qualche contromisura d'emergenza? Avrebbe dovuto capire subito che ci fosse anche dell'altro dietro. Un piano B pronto a scattare non appena quello principale si fosse rivelato fallimentare.
E adesso che lui aveva scoperto le sue carte, era ormai troppo tardi per tornare sui propri passi. Per quanto fosse veloce, non aveva chance di voltarsi e disarmare il suo aggressore prima che il proiettile lo raggiungesse alla nuca. Che lo volesse oppure no, presto avrebbe scoperto se la resistenza alle cadute da grandi altezze, gli garantisse anche quella ai proiettili. In caso contrario, da quell'appartamento non sarebbe mai più uscito tutto intero.
''Prima rapini Lorenzo e poi hai anche la faccia tosta di venire qui a tentare lo stesso con noi?'' ringhiò Fabio, arricciando le labbra in un'espressione di totale disprezzo.
Alessandro non rispose. L'istinto e la paura gli suggerirono di non farlo.
Di fronte al suo silenzio Fabio lo fissò intensamente negli occhi per qualche secondo, come se stesse cercando di decifrarne i pensieri, ma alla fine scosse la testa con aria delusa.
''Sei soltanto un fottuto idiota'' commentò disgustato.
Sforzandosi di non cedere al panico che minacciava di prendere il sopravvento, Alessandro alzò lentamente le mani in alto, e quando fu sufficientemente sicuro di potersi esprimere senza che la voce gli tremasse ruppe il silenzio.
''Senti...''
Il fragore dello sparo che gli rimbombò nelle orecchie lo costrinse a coprirsele con le mani. A causa dello shock improvviso gli ci volle qualche istante per rendersi conto di quanto era appena successo. Forse la pistola era stata caricata a salve o magari si trattava di una semplice scacciacani, fatto sta che alla fine non gli avevano sparato.
Ormai convinto di trovarsi di fronte ad un palese tentativo di intimorirlo Alessandro rialzò gli occhi che nella concitazione del momento aveva rivolto verso terra, e tornò ad incrociare lo sguardo coi presenti. Fu allora che capì che qualcosa non andava.
A differenza di quel che si era immaginato infatti, Fabio e gli altri non lo fissavano con un sorriso beffardo stampato sulle labbra. Al contrario. Le espressioni che sfoggiavano sui loro volti erano di assoluto stupore.
Non riuscendo più a resistere alla curiosità che sentiva crescere dentro di lui, Alessandro diede le spalle al trio seduto sul divano e per la prima volta guardò in faccia l'uomo autore dello sparo.
Capelli castani, occhi marroni, un viso anonimo. Ad eccezione di qualche simbolo esoterico tatuato sulla fronte o le guance, l'unico dettaglio di lui che attirava l'attenzione era la Beretta provvista di silenziatore che stringeva tra le mani. In ogni caso, non ebbero modo di protrarre il contatto visivo ancora a lungo, perché subito dopo che Alessandro si fu voltato, l'uomo armato ruppe ogni indugio e aprì il fuoco.
Si era sbagliato prima. Altro che scacciacani, quella pistola era vera!
Il primo colpo lo raggiunse allo zigomo destro, il secondo all'occhio, mentre quelli che seguirono non perse tempo né a contarli, né a cercare di individuarne il luogo d'impatto. Il terrore glielo impedì.
In preda al panico più totale Alessandro tentò di farsi scudo con le mani mentre i proiettili gli piombavano addosso, rapidi e spietati come dardi invisibili. Non sentì dolore, ma con la paura che provava dubitava che se ne sarebbe accorto anche nel caso fosse stato ferito in maniera grave. L'unica cosa di cui fosse certo era che voleva far smettere il prima possibile quella pioggia di colpi.
In condizioni normali, con la mente lucida e non sotto attacco, probabilmente avrebbe pensato che per proteggersi bastava creare uno scudo o cambiare forma, tuttavia, in quello stato concepire pensieri più complessi di un'insensata richiesta d'aiuto rivolta ad entità sconosciute, rappresentava uno sforzo ben al di là delle sue effettive capacità.
Alla fine, la sola strategia che riuscì a mettere in pratica fu quella dell'attacco frontale.
Chiudendo gli occhi come per farsi coraggio Alessandro scattò in avanti, e lasciandosi guidare unicamente dal tatto serrò una mano attorno a quella che credeva fosse la spalla dell'aggressore, per poi assestargli un pugno dritto in faccia con quella libera.
Inizialmente vi fu uno strano pop, straordinariamente simile al suono di un palloncino che scoppiava, e all'improvviso, senza che avesse nemmeno il tempo di individuare l'origine del rumore, Alessandro si ritrovò la faccia completamente bagnata, manco fosse stato appena raggiunto da un gavettone.
Gli spari cessarono quasi nello stesso momento in cui qualcosa di metallico cadde per terra. Con i nervi a fior di pelle, e dilaniato dal desiderio irresistibile di scoprire cosa fosse accaduto, Alessandro riaprì subito gli occhi, ma una volta che ebbe sollevato le palpebre se ne pentì all'istante.
Esattamente come fino a pochi secondi prima, l'aggressore si trovava sempre di fronte a lui, ma a differenza di quando gli stava sparando, adesso risultava privo di un elemento fondamentale.
La sua testa infatti era assente.
Col braccio proteso verso la pistola che giaceva abbandonata sul pavimento, il suo corpo pendeva inerme al pari di un'inquietante marionetta, reggendosi unicamente sulla gamba destra, tenuta artificialmente distesa a causa della stretta esercitata da Alessandro sulla clavicola.
Pezzi di cervello e ossa misti a raccapriccianti spruzzi di sangue imbrattavano il pavimento alle sue spalle, anche se persino alcuni punti della parete del soggiorno non erano riusciti a sfuggire all'inevitabile insozzamento. Era proprio Alessandro però quello messo peggio.
L'intera parte superiore del suo corpo grondava sangue in maniera copiosa, come se fosse reduce da uno spiacevolissimo tour nel reparto sgozzamento di un mattatoio. Rabbrividendo di fronte a quello spettacolo agghiacciante, Alessandro lasciò andare la presa sul corpo senza vita dell'uomo, che si afflosciò dunque al suolo con la docilità di una bambola di pezza.
Non potendo più sopportare quella vista si voltò di scatto, ma non appena Fabio e gli altri videro il suo viso imbrattato di sangue scattarono subito in piedi, i muscoli scossi da un inequivocabile tremore.
''Oh, Cristo'' sussurrò Daniel, storcendo le labbra in una smorfia di orrore.
''Chi cazzo è questo tizio?!'' strillò terrorizzato Italo.
''Ma chissene fotte!'' sbraitò Fabio in preda allo shock. ''Tu ammazzalo!!!''
Spronato da quelle parole Italo allungò la mano verso il retro dei pantaloni, alla ricerca dell'arma che teneva infilata nella cintura.
''Fermo!'' gridò Alessandro stendendo il braccio.
Com'era prevedibile Italo non gli diede ascolto, ed estratta la pistola da sotto la maglia si apprestò a puntargliela addosso.
Questa volta però Alessandro non permise a sé stesso di lasciarsi cogliere impreparato. Formulata la richiesta nella mente creò un lungo tentacolo nero dalla schiena, e a quel punto lo fece guizzare in avanti.
Il suo obiettivo era semplice. Stringere l'appendice attorno alla canna dell'arma, per poi strapparla di mano all'aggressore. Lui doveva solo stordirli, non ucciderli!
Nel frattempo, Italo aveva già rivolto la volata della pistola semiautomatica verso di lui, preparandosi a far fuoco.
Consapevole di dover fare in fretta Alessandro impartì il comando previsto, ma a causa dell'angoscia e del desiderio di sbrigarsi, finì per commettere un errore grossolano. Anziché stringersi sulla canna dell'arma infatti, la punta serpentina si avvolse come una frusta attorno al polso del suo proprietario, e prima ancora che Alessandro potesse rendersi conto della svista richiamò il tentacolo a sé.
Uno spruzzo purpureo e un grido terribile si levarono da Italo mentre il suo braccio si staccava di netto all'altezza della spalla, imbrattando di sangue divano, tavolino e il volto di Fabio.
Per diversi secondi nessuno fece niente. Nonostante i gemiti e le urla spaventose che lanciava Italo mentre si contorceva sul pavimento, né i suoi due compagni, né Alessandro, osarono muovere un muscolo. A parte fissarsi negli occhi restando immobili come statue ansimanti, il panico da cui erano attanagliati gli impediva di fare alcunché.
Tuttavia, fu sufficiente che Daniel posasse lo sguardo sul braccio reciso di Italo che pendeva floscio a mezz'aria sorretto dal tentacolo, perché la realtà gli piombasse addosso in tutta la sua spietata crudezza.
''È un mostro!!!'' urlò atterrito.
E in quello che aveva tutta l'aria di un disperato tentativo di fuga, si lanciò attraverso il soggiorno, cercando di raggiungere il disimpegno dall'altra parte della stanza. Vederlo correre in quel modo, probabilmente diretto ad un'uscita secondaria, per Alessandro rappresentò uno stimolo più che sufficiente a risvegliarsi dal torpore psicologico in cui era caduto.
Non poteva permettergli di scappare. Non dopo quello a cui aveva assistito. Prima doveva fargli giurare di non raccontare niente a nessuno, portare Italo all'ospedale, e poi...
Il flusso di pensieri si interruppe nell'istante stesso in cui spiccò il balzo in avanti con cui avrebbe dovuto raggiungerlo. In effetti, ci riuscì, ma come la volta precedente, sbagliò di nuovo i calcoli.
Troppo veloce. Decisamente troppo. Il suo scatto repentino lo fece schizzare attraverso il salotto come se fosse stato sbalzato fuori da un treno in corsa. Non poteva fermarsi, i suoi piedi non toccavano più il pavimento.
L'inquietante crack che sentì nel momento in cui inchiodò Daniel alla parete in fondo al soggiorno, gli fece comprendere ciò che fosse successo prima ancora di aver visto il proprio avambraccio premuto contro la gola schiacciata dell'uomo, e quando poi questi emise un rantolo soffocato sputando sangue dalla bocca, quel terribile sospetto si trasformò in realtà.
Esattamente al pari dell'aggressore privo di testa, Daniel ricadde al suolo scivolando lentamente lungo la parete, gli occhi non più coperti dalle lenti a specchio fissavano il vuoto con sguardo vacuo.
Ad Alessandro sembrò di essere intrappolato in un incubo.
La vista delle sue mani sporche di sangue lo atterrì quasi di più del corpo senza vita dell'uomo, anche se quando si accorse del braccio sospeso a mezz'aria accanto a lui, ancora sorretto dal tentacolo che gli spuntava dalla schiena, ci mancò molto poco che non sfondasse il soffitto sobbalzando per lo spavento.
Fatta sparire l'appendice serpentina l'arto reciso piombò sul pavimento con un tonfo, proprio mentre le urla del suo legittimo proprietario cominciavano improvvisamente a diminuire di intensità. Italo stava morendo dissanguato.
Per quanto sconvolto Alessandro capì di non potersi permettere tentennamenti. Doveva agire e doveva farlo subito, altrimenti sarebbe stato troppo tardi!
L'inconfondibile rumore metallico che risuonò alle sue spalle gli fece correre un brivido gelido lungo la schiena, paralizzandolo sul posto prima che fosse riuscito a muovere un muscolo. Forse l'effetto non sarebbe stato diverso dai proiettili che l'avevano colpito in precedenza, tuttavia, la prospettiva di essere raggiunto da una fucilata alla schiena gli impedì di aggrapparsi a quella speranza. Se si fosse sbagliato il prossimo spruzzo di sangue sul muro sarebbe stato il suo.
Ruotando su sé stesso con una velocità semplicemente spaventosa, Alessandro stese il braccio verso la fonte del rumore, e si preparò a fronteggiare la minaccia incombente facendosi spuntare un altro tentacolo dalla schiena. Fabio stava in piedi dall'altra parte del tavolino del salotto, gli occhi sgranati fissi su di lui e il fucile stretto tra le mani tremanti.
Non c'era tempo per pensare o avrebbe aperto il fuoco!
Il tentacolo schizzò in avanti prima che Alessandro avesse avuto il tempo di stabilire la strategia da seguire.
Doveva fermarlo in qualche modo, ma come? Attaccare direttamente? No, basta uccidere! Disarmarlo, allora. Come no. E visti i precedenti quale sarebbe stata la differenza?! Che cosa, quindi?! Ma certo. Scudo!!!
Alla fine fece tutte e tre le cose insieme. Fendendo l'aria come un dardo di balestra, il tentacolo saettò attraverso la stanza per poi trapassare da parte a parte il fucile di Fabio, riducendolo in un migliaio di pezzi.
Lo scatto però era stato troppo repentino, troppo poco accurato, e infatti, una volta distrutta l'arma, la punta dell'appendice serpentina andò a conficcarsi proprio al centro del petto di chi la reggeva.
Per quella che fu soltanto una frazione di secondo, Alessandro e Fabio fecero in tempo a scambiarsi uno sguardo di assoluto terrore, scrutando la propria paura riflessa nelle pupille dell'altro.
A quel punto, l'uomo esplose.
Spruzzi di sangue e materia organica volarono in tutte le direzioni, mentre la punta del tentacolo si espandeva a dismisura, assumendo la forma di un gigantesco scudo da oplita. Una volta che si fu rivelato, il disco chiazzato di rosso rimase sospeso a mezz'aria ancora qualche istante, per poi atterrare di schianto al suolo, penetrando nelle piastrelle del pavimento di almeno tre centimetri.
Un lungo e agghiacciante rantolo accompagnò la fase terminale dell'agonia di Italo, che dopo un ultimo penoso spasmo smise di gemere e cessò di muoversi. Ad eccezione del brusio indistinto del cronista sportivo alla tv, nel soggiorno calò il silenzio.
Per oltre un minuto Alessandro rimase immobile dove si trovava, incapace di reagire. Era come se la propria mente fosse impegnata in una disperata battaglia contro sé stessa, volta a convincerlo a non lasciarsi ingannare da quello che gli mostravano i suoi occhi.
Non importava quanto la realtà fosse evidente o incontrovertibile, lui rifiutava di crederci. L'odore metallico del sangue, misto al tanfo pestilenziale dei cadaveri dilaniati e delle viscere esposte all'aria, pensò a far crollare definitivamente quella pia illusione.
Sperando con tutte le sue forze di essere smentito, Alessandro fissò le proprie mani insanguinate, e alla loro vista indietreggiò scioccato, quasi si trattasse del corpo di un altro. Inciampando nella gamba di Daniel crollò quindi a terra, ritrovandosi malauguratamente ad incrociare lo sguardo con lui.
L'inespressa accusa che sembravano voler celare i suoi occhi spenti fissi sul nulla lo costrinse a trascinarsi in tutta fretta verso lo stretto passaggio alle sue spalle, rannicchiandosi tra la sponda del divano e la parete accanto. Ansimando col volto nascosto nel cappuccio del cappotto, Alessandro si strinse le ginocchia al petto, e nonostante fosse consapevole dell'inutilità dell'impresa, tentò di calmarsi a sufficienza da mettere in ordine i pensieri.
Ma come accidenti aveva potuto spingersi fino a quel punto? Da quando aveva messo piede nell'appartamento non dovevano essere trascorsi più di cinque minuti. Come cazzo si poteva passare dalle presentazioni col sorriso sulle labbra alla bassa macelleria in così poco tempo?!
Lui non doveva uccidere nessuno. Non voleva uccidere nessuno. E invece adesso erano morti in quattro. Si trattava pur sempre di gente che non si era fatta scrupoli a cercare di riservargli la stessa sorte, ma ciò non lo esimeva di certo dalle sue responsabilità.
Aveva ammazzato quegli uomini nella maniera più orribile e disgustosa che riuscisse a concepire. E tutto questo per cosa?!
Il sinistro brontolio che giunse in risposta alla sua domanda risuonò con tale forza da coprire persino il rumore della pubblicità che davano alla tv, mentre una tremenda fitta allo stomaco pensava ad acuire a livelli esponenziali la fame mostruosa con cui era costretto a convivere da più di tre giorni.
Senza che nemmeno se ne rendesse conto fino in fondo, tutte le preoccupazioni che gli affollavano la mente si dissolsero praticamente all'istante, inghiottite da una spessa e imperscrutabile nebbia bianca. Come un neonato privo di raziocinio, ormai nella sua testa c'era spazio per un pensiero solo.
Cibo. Gli serviva cibo.
Cibo si comprava con soldi.
Soldi. Doveva trovare soldi.
Le capacità cerebrali di cui ancora disponeva non gli permisero di spingersi oltre. Scattando in piedi con una rapidità innaturale, e riassorbito scudo e tentacolo nel corpo, Alessandro cominciò quindi a vagare per l'appartamento, alla ricerca del denaro di cui sapeva avere un disperato bisogno.
Liquidato in fretta il salotto, in realtà più per l'incapacità di sopportarne troppo a lungo la vista che per reale diligenza, si diresse nel disimpegno da cui era possibile accedere alle altre stanze, e dopo una breve sosta al bagno per lavarsi di dosso il sangue, le passò tutte quante al setaccio.
L'andatura meccanica con cui procedeva nella sua squallida indagine ricordava in maniera sorprendente quella di un sonnambulo, mentre i pensieri che gli affollavano la mente si susseguivano implacabili, sovrapponendosi l'uno all'altro in una delirante cacofonia.
Bisogno fisico e laceranti ferite psicologiche cozzavano tra di loro nel tentativo di ottenere il monopolio della sua attenzione, senza che però nessuno dei due riuscisse a sopraffare l'avversario.
Ti serve cibo, trova i soldi.
Cosa diavolo ho fatto?
Ti serve cibo, trova i soldi.
Perché mi sta capitando questo?
Ti serve cibo, trova i soldi.
Sono un essere disgustoso. Meriterei io di essere ridotto in poltiglia.
Ti serve cibo, trova i soldi.
Il raccapricciante ritornello lo accompagnò per tutto il tempo della perquisizione, durante la quale frugò cassettiere, armadi, dispense, mobili, ripostigli, barattoli, scatole di scarpe, e ogni altro vano o nascondiglio che potesse celare del denaro contante al suo interno. In cucina trovò duemila Euro nascosti nella zuccheriera, e altri cinquanta all'interno del portafogli posto accanto al posacenere sul tavolino del salotto.
Da lì in poi però, ad eccezione di qualche ninnolo dal valore assai dubbio, i fallimenti si susseguirono a ripetizione. La maggior parte delle stanze non sembrava contenere nulla di prezioso, e dato che lui non si poteva certo permettere di trascinarsi dietro oggetti ingombranti o comunque difficili da convertire in denaro, Alessandro cominciò a temere che non sarebbe riuscito a racimolare altro.
Rifiutandosi di accettare quella verità proseguì ostinatamente nella ricerca, ma dopo aver finito di mettere a soqquadro anche la camera da letto, la consapevolezza di essere incappato nell'ennesimo buco nell'acqua gli provocò un crollo nervoso.
In preda alla frustrazione afferrò l'intelaiatura del letto, e imprecando ad alta voce scaraventò il mobile contro la parete di fronte.
L'urto fece cadere a terra il poster della donna semisvestita che stava appeso al centro del muro, ed aprì anche una grossa crepa nel punto in cui impattò la testiera, tuttavia, mentre il letto rimbalzava indietro atterrando sul pavimento, Alessandro sembrò recuperare una parvenza di lucidità, riuscendo così ad arrestare l'orrenda cantilena mentale che mai lo aveva abbandonato nel corso dell'ultimo quarto d'ora.
A quel punto scoppiò a piangere.
Nascosta la faccia tra le mani Alessandro permise alle lacrime di scorrere copiose, sfogando in quel modo tutta l'indicibile angoscia che si portava dentro.
Si odiava per ciò che aveva causato, e si odiava ancora di più per quello che stava facendo. Era diventato un assassino, e adesso pure un ladro. Anzi, peggio, uno sciacallo. Un ignobile spazzino che rubava ai morti.
Come aveva potuto cadere così in basso?
Se solo avesse confessato la verità alla propria famiglia tutto quello schifo non sarebbe mai avvenuto. Ci sarebbe indubbiamente stata una prima fase di enorme shock, ma alla fine insieme l'avrebbero potuta superare. Invece quello che aveva fatto lì dentro non si poteva superare in nessun modo.
Perché era stato così stupido? Perché doveva sempre complicarsi la vita compiendo scelte così follemente sbagliate? Perché non...
Il vigoroso gorgoglio che proruppe dal suo stomaco lo strappò a quei pensieri. Dapprima si sentì solo affamato, poi però, man mano che recuperava razionalità, la rabbia prese il sopravvento su tutto il resto.
Contraendo i muscoli del volto in un ringhio di puro odio, Alessandro allontanò la faccia dalle mani, e con gli occhi ancora grondanti lacrime sollevò di scatto il pugno destro, come se si stesse apprestando a sferrare un cazzotto al suo stesso ventre. Era ormai pronto a colpire, quando un pezzo di intonaco si staccò dal muro danneggiato poco prima, rivelando i mattoni rossicci celati al disotto.
Alessandro abbassò la mano.
Notando qualcosa di strano si avvicinò alla parete verniciata di bianco, finendo così per scoprire il piccolo foro, che compariva proprio nel punto in cui aveva impattato la testiera del letto. Quando ci guardò dentro gli parve di scorgere uno spazio vuoto, come se all'interno del muro fosse presente un'intercapedine.
Senza pensarci due volte Alessandro sferrò un pugno alla parete, penetrandola con facilità disarmante.
Aveva ragione. C'era davvero uno spazio vuoto lì dietro. Muovendo la mano a tentoni cercò di individuare la presenza di qualche oggetto insolito, finché le sue dita non si strinsero attorno a quella che aveva tutta l'aria di una maniglia realizzata in tessuto. Alessandro l'afferrò e ritrasse il braccio.
Pezzi di calcestruzzo e mattoni volarono per la stanza, mentre una grossa porzione di muro veniva divelta dall'irruenza di quel gesto, al termine del quale lui si ritrovò a stringere tra le mani un borsone da palestra nero.
Fremendo d'eccitazione Alessandro lo sistemò sul materasso e tirò la zip. Se stava cercando soldi, di sicuro ora li aveva trovati. Mazzette su mazzette di banconote da cinquanta, cento e cinquecento Euro riempivano la sacca fino all'orlo, formando un capitale che lui poteva solamente immaginare, ma che doveva essere certamente superiore alle centinaia di migliaia. Di fronte a quella vista gli occhi di Alessandro si illuminarono per lo stupore.
L'ululato di una sirena in avvicinamento lo fece sobbalzare, costringendolo a distogliere lo sguardo dal contenuto del borsone.
Pompieri, ambulanza o polizia? Che uno dei vicini avesse sentito qualcosa e si fosse insospettito? Se era veramente così non poteva permettersi di sprecare neppure un secondo.
Tirata la zip nel verso opposto chiuse la sacca e se la mise in spalla, per poi raggiungere una delle finestre che dava sul cortile esterno. La fredda aria della notte gli riempì i polmoni non appena l'ebbe aperta, anche se lui non avvertì affatto il brusco abbassamento di temperatura che era avvenuto dal momento del suo ingresso nell'appartamento. In compenso vide la nebbia, le luci delle case al di là della strada, e soprattutto, il cielo nero.
Un semplice guizzo mentale fece assumere al suo cappotto un'intensa sfumatura corvina, più tenebrosa e oscura del più profondo degli abissi. Forse l'invisibilità restava un obiettivo al di fuori della sua portata, ma conciato in quel modo niente e nessuno sarebbe stato in grado di vederlo.
Accertatosi dell'efficacia del suo travestimento osservandosi la mano guantata, Alessandro poggiò quindi lo scarpone sul davanzale e si preparò a saltare fuori. Non aveva ancora fatto in tempo ad issarsi in bilico sul bordo, quando un impulso irresistibile lo convinse a voltarsi.
La soglia della stanza che dava sul corridoio gli apparve minacciosa e inquietante in tutta la sua apparente normalità, come se il solo fatto di sapere ciò che si trovava appena pochi metri più avanti, la trasformasse in qualcosa di orrendo, manco fossero i cancelli stessi dell'inferno.
Mentre la sirena della polizia si faceva sempre più vicina e un brivido gelido lo attraversava da capo a piedi, Alessandro distolse lo sguardo di scatto e saltò fuori dalla finestra, scomparendo come una goccia d'inchiostro nel cielo scuro.
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