Capitolo 25 - Soddisfare un bisogno
La nebbia che quella notte aleggiava per le vie del quartiere era talmente fitta, che risultava praticamente impossibile distinguere persino la sagoma di cose o persone, se queste si trovavano a più di venti metri di distanza. Nonostante i lampioni illuminassero la foschia con la loro calda luce ambrata, l'atmosfera nell'aria era tetra, quasi spettrale.
A giudicare dallo stile e dal loro aspetto trascurato, gli squallidi caseggiati che si affacciavano sul marciapiede lungo cui stava procedendo dovevano risalire ai primi anni duemila, mentre il muro che lo costeggiava sembrava dimostrarne molti di più.
La sua superficie infiltrata dall'umidità, quando non da vere e proprie chiazze di muschio e muffa, si presentava coperta in gran parte da graffiti di ogni forma e colore, ad eccezione dei punti in cui l'intonaco aveva ceduto all'incuria, rivelando la struttura in mattoni sottostante.
Sulle fronde dei faggi e dei frassini che si scorgevano al di là della parete logora, entro quelli che erano i confini del parco di Monza, non spiccava neppure una singola foglia, anche se qualche timido germoglio aveva comunque deciso di sfidare la sorte, spuntando con diverse settimane d'anticipo rispetto all'arrivo della bella stagione.
Una vecchia Skoda dalla carrozzeria blu elettrico sfrecciò sul tratto di strada adiacente al marciapiede, rallentando improvvisamente l'andatura solo quando venne il momento di imboccare una viuzza laterale.
Alessandro tenne d'occhio l'auto finché non la vide sparire all'interno del vicolo, ma poi tornò a concentrarsi su ciò che aveva davanti. Con le mani infilate nelle tasche del cappotto color maggese che indossava, continuò a camminare tenendo lo sguardo rivolto verso l'uomo distante appena una ventina di metri da lui, proprio a cavallo del punto in cui la nebbia minacciava di inghiottirne la figura.
Se ne stava appoggiato al muro, accanto ad un cartello di divieto di sosta con le scritte sbiadite, controllando il cellulare con espressione assorta, ma quando divenne chiaro che Alessandro non fosse intenzionato a superarlo, mise subito via lo Smartphone e lo squadrò con cautela.
Era un uomo di circa trent'anni coi capelli ricci, il viso scavato e la pelle olivastra. Indossava un giaccone imbottito con sopra riportato il logo di una nota squadra di calcio, oltre ad un paio di jeans palesemente troppo larghi per lui. Il suo alito puzzava di sigaretta, e anche se doveva aver cercato di coprire l'odore con qualche caramella balsamica alla menta forte, il sentore di tabacco che gli filtrava dalle labbra risultava inconfondibile.
''Posso aiutarti?'' chiese con semplicità.
Sebbene fosse più basso di almeno venti centimetri rispetto all'interlocutore, l'uomo non parve affatto intimorito dalla sua stazza, così come non sembrò per nulla impressionato dal volto duro che Alessandro celava sotto il cappuccio.
''Forse sì'' sibilò lui in risposta.
''Dimmi quello che ti serve e io ti dico se ce l'ho''
Alessandro sbirciò con la coda dell'occhio in ambo le direzioni del marciapiede, e quando si fu accertato che nessuno stesse uscendo dalla nebbia, proseguì.
''Soldi''
L'uomo sollevò un sopracciglio.
''Se è una parola in codice temo dovrai tradurre'' ribatté pacato.
''Non mi serve quello che vendi, mi servono i soldi che hai'' confessò Alessandro estraendo le mani dalle tasche. ''Questa è una rapina''.
E per sottolineare maggiormente il concetto serrò entrambi i pugni.
A seguito di quella minaccia lo spacciatore gli rivolse uno sguardo imperscrutabile, dentro cui però la paura sembrava totalmente assente. Era difficile stabilire se il suo coraggio fosse veramente sincero, ma in caso contrario si trattava indubbiamente di uno dei bluff meglio riusciti a cui avesse mai assistito.
''Tu sai per chi lavoro?'' domandò in tono sorprendentemente tranquillo.
''Non mi interessa'' sibilò Alessandro a denti stretti. ''Dammi i soldi e basta''
L'uomo si limitò a fissarlo in silenzio per qualche secondo, per poi emettere un sospiro rassegnato.
''Come vuoi''
Quasi a volergli confermare la bontà delle sue intenzioni l'uomo rivolse ad Alessandro uno sguardo eloquente, avvicinò lentamente le dita alla zip del giaccone, e agendo sempre con la massima serenità l'abbassò quel tanto che bastava da poter infilare la mano sotto l'indumento, come se dovesse recuperare il denaro dalla tasca interna.
A quel punto però, lo spacciatore non estrasse né portafogli o banconote, bensì un revolver brunito a canna corta, che senza esitare nemmeno un secondo, gli puntò subito addosso in uno scatto repentino.
Alessandro non ne rimase affatto sorpreso. In fondo se l'aspettava. La sua stretta si serrò sulla canna dell'arma, praticamente nello stesso istante in cui l'uomo la rivolgeva contro di lui, e dopo avergliela strappata di mano la spezzò a metà con uno schiocco secco.
Colto alla sprovvista dalla velocità del gesto, l'uomo non poté far altro che assistere impotente con gli occhi sgranati mentre i proiettili schizzavano fuori dal tamburo distrutto, per poi tintinnare al suolo.
A quel punto, prima ancora che riuscisse a riprendersi dallo shock, Alessandro gli piazzò l'avambraccio sul collo e lo immobilizzò spingendolo contro il muro.
''Non ho tempo per le cazzate!'' ringhiò scoprendo i denti a pochi centimetri dalla sua faccia. ''Dammi subito tutti i soldi che hai addosso o ti spezzo qualcosa''
''No, no, va bene!''. Ansimando pesantemente lo spacciatore alzò le mani e deglutì. ''Prendi pure i soldi. Li tengo nella tasca del giubbotto''
Senza smettere di tenerlo fermo, Alessandro infilò la mano libera nella tasca che gli aveva indicato l'uomo con un cenno, e quando sentì il frusciare della carta sotto le dita estrasse il rotolo di banconote che conteneva.
Non appena lo ebbe liberato per contare il denaro, lo spacciatore guardò subito in direzione della nebbia che aleggiava in fondo al marciapiede, ma avendo intuito le sue intenzioni, Alessandro lo fulminò con un'occhiataccia talmente minacciosa da soffocare sul nascere ogni seppur minima speranza di fuga.
Ottenuta la certezza di aver scongiurato quel rischio, riprese quindi a contare le banconote. Cinquanta, cento, centoventi, centocinquanta, centosessanta...
Come, tutto qui?!
''È troppo poco'' commentò deluso Alessandro, agitando il denaro a mezz'aria con impazienza. ''Me ne servono di più''
''Non ne ho di più'' ribatté lo spacciatore massaggiandosi il collo. ''Ho iniziato il turno da poco e questa è una serata fiacca''
Alessandro si ficcò in tasca il denaro.
''Dove posso trovarne altri?''
''Ma per chi mi hai preso?'' sbottò indignato lo spacciatore.
Accigliandosi all'improvviso Alessandro scattò in avanti e spinse di nuovo l'uomo contro il muro, per poi premergli l'avambraccio sul collo.
''Per uno che molto presto dovrà andare di corsa all'ospedale!'' sibilò trattenendo a stento la rabbia.
Non riuscendo a sopportare la vista dalla sua espressione truce, lo spacciatore distolse lo sguardo.
''Insomma, che vuoi che ti dica?'' si lamentò disperato.
Alessandro stava per rispondere, quando un'eco di passi sull'asfalto lo costrinse ad interrompersi. Sia lui che il suo ostaggio voltarono subito lo sguardo in direzione di quella parte di marciapiede da cui proveniva il rumore, ma anche se in un primo momento sembrò quasi che una sagoma umana stesse uscendo dalla nebbia, alla fine questa parve cambiare idea, e scomparì nuovamente dentro la foschia.
''Per chi lavori?'' chiese Alessandro, tornando a concentrarsi su colui che teneva intrappolato. ''A chi consegni i soldi a fine turno?''
''A gente che non vuoi incontrare'' rivelò asciutto lo spacciatore.
''Questo è un problema mio'' ribatté Alessandro digrignando i denti.
''Anche se te lo dicessi non ci guadagneresti niente'' gli confidò l'uomo con l'aria di chi volesse fargli un favore. ''Verresti ammazzato non appena varcata la soglia''
''A maggior ragione non hai motivi di non parlare'' insistette Alessandro con semplicità.
Lo spacciatore contrasse i muscoli del volto in un'espressione di puro sbigottimento.
''Sei pazzo'' commentò indignato.
Gli occhi di Alessandro si ridussero a fessure.
''Sono uno che non ha niente da perdere'' lo corresse lui in tono aspro, ''eccetto la pazienza''.
Lo spinse contro il muro aumentando ulteriormente la pressione esercitata sul suo collo. L'uomo emise un rantolo soffocato, mentre con le mani tentava disperatamente di allontanargli il braccio. Alla fine, quando si rese conto che le sue speranze di riuscire a liberarsi fossero del tutto inesistenti, gettò al vento l'orgoglio e annuì.
''Ok'' biascicò in un sussurro.
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