Capitolo 21 - Libertà ed inquietudine
Intanto che l'aereo cominciava lentamente a stabilizzarsi, il bambino dai capelli rossi lanciò un'occhiata furtiva verso sinistra.
Sua madre, una bella donna dai lisci capelli neri lunghi fino alle spalle, stava ancora leggendo la rivista di moda che aveva trovato nella tasca del sedile davanti, mentre il corridoio accanto a lei, al pari dei posti sull'altro lato, appariva deserto così come lo era stato negli ultimi venticinque minuti.
D'altronde, ci si sarebbe dovuti sorprendere del contrario. Le spie luminose, che segnalavano l'obbligo di mantenere le cinture allacciate, continuavano a restare ostinatamente accese.
Non riuscendo più a trattenersi il bambino ruotò lentamente il corpo verso il finestrino oscurato, e cercando di non farsi notare infilò la mano nella tasca della felpa, da cui ne estrasse lo Smartphone riposto al suo interno. Era ormai sul punto di premere il pulsante di accensione, quando una mano gli si strinse improvvisamente attorno al polso, facendolo sobbalzare.
Sua madre aveva smesso di leggere la rivista e lo stava fulminando con occhi di ghiaccio.
''Non si può, Mirko'' ordinò decisa strappandogli il cellulare di mano.
''Perché no?!'' sbottò indignato il bambino.
''Non si può e basta'' tagliò corto lei.
Mirko fece una faccia offesa con gli occhi lucidi, alla cui vista sua madre parve intenerirsi.
''Aspetta ancora qualche minuto, su'' gli disse con affetto, accarezzandogli la guancia. ''Non muori mica''
Per tutta risposta Mirko sbuffò spazientito, e incrociate le braccia con aria più astiosa che mai, le diede le spalle voltandosi in direzione del finestrino.
Sua madre levò gli occhi al cielo e riprese a sfogliare la rivista, mentre nel frattempo lui lanciava un ultimo sguardo speranzoso verso il pannello con le luci e la bocchetta dell'aria condizionata.
Rimase deluso. La spia luminosa delle cinture allacciate era ancora accesa.
In preda alla noia Mirko decise allora di distrarsi guardando all'esterno del finestrino, ma essendosi dimenticato la tendina abbassata, per farlo dovette prima tirarla su.
Il sole era tramontato oltre la linea dell'orizzonte da almeno un'ora, e anche se nel cielo della sera non si vedevano stelle, il panorama della città illuminata sotto di loro forniva comunque una piacevole vista. Non fu però il paesaggio ad attirare la sua attenzione.
A causa del buio soltanto parzialmente attenuato dai faretti e dalle luci dell'aereo non era certo possibile scorgerlo fin nei minimi particolari, ma quel che vide Mirko fu più che sufficiente a fargli sgranare gli occhi per lo stupore.
A circa una ventina di metri da lui, un ragazzo se ne stava seduto sull'ala dell'aereo, ammirando il panorama circostante con aria incuriosita. Dal modo noncurante con cui dondolava le gambe nel vuoto tenendosi appoggiato al bordo soltanto con le mani, a Mirko ricordò un bambino della sua età nel corso di una piacevole gita in pedalò.
Troppo sconvolto per reagire se non fissando allibito la scena con la bocca spalancata, il piccolo continuò a guardare fuori dal finestrino finché, dopo appena qualche secondo da quando aveva sollevato la tendina, il ragazzo all'esterno girò la testa verso la fusoliera.
Trattandosi di un volo notturno, per giunta su una tratta assai poco frequentata, l'aereo risultava praticamente deserto, quindi non ci fu niente di sorprendente nel fatto che il misterioso viaggiatore rivolgesse lo sguardo proprio verso di lui. Tuttavia, questo non impedì ugualmente al ragazzino di paralizzarsi per lo shock, che divenne ancora più intenso nel momento in cui l'estraneo gli rivolse un educato saluto con la mano.
Mirko cacciò un urlo.
''Dio santo, che succede?!'' esplose sua madre sbattendo la rivista sulle gambe. ''La vuoi piantare con questo Smartphone?!''
Ignorando la sfuriata, Mirko l'afferrò per il braccio e prese a scuoterla con foga.
''Mamma, ti prego, guarda!''. Indicò con la mano fuori dal finestrino senza smettere di tenerla stretta con l'altra. ''C'è qualcuno! C'è qualcuno sull'ala!''
Lei lo scrutò senza capire, ma dopo alcuni istanti la sua espressione si fece acida.
''Non dire cretinate!'' sbottò liberandosi dalla stretta con una scrollata.
''Ti giuro che è vero!'' insistette Mirko, riafferrandola per il braccio. ''Dai, guarda!''
Anche se era evidentemente spazientita la donna emise un profondo sospiro, e accondiscese alla richiesta sporgendosi verso il finestrino.
''Certo, eccolo lì'' commentò sprizzando sarcasmo. ''Davvero incredibile''
Mirko era sgomento.
''Ma che...''
Sua madre si ritrasse e lui avvicinò subito la faccia al vetro, ma nonostante fosse fermamente convinto del contrario, alla fine non poté far altro che prendere atto della realtà. Sull'ala non si vedeva proprio nessuno. Il ragazzo misterioso era scomparso.
Sospeso ad oltre diecimila metri da terra, Alessandro continuò a seguire con lo sguardo la sagoma dell'aereo che si allontanava ad altissima velocità, finché non lo vide scomparire in mezzo ad un banco di nubi. Con le ali che sbattevano sulla schiena ad intervalli regolari, e la luce della luna riflessa sopra le sue scaglie argentate, si sentiva più euforico di un bambino il giorno di Natale.
D'altronde, avere la possibilità di sfrecciare nel cielo con le sembianze di un drago di due metri, rappresentava un'esperienza ben al di là dei sogni di chiunque. Qualcosa che se glielo avessero predetto solo un mese prima, lui non avrebbe esitato un singolo istante a dare del pazzo all'autore di una simile follia.
Ci aveva messo un paio di giorni, oltre che uno sterminato numero di tentativi, prima di abituarsi all'utilizzo di muscoli mai avuti prima, e altri due per padroneggiare la tecnica necessaria a sfruttare le correnti d'aria, ma ormai era in grado di raggiungere senza problemi anche le quote più elevate.
Bastava un salto, un cambio di forma a mezz'aria, e in poco meno di un minuto si ritrovava a saettare in mezzo alle nuvole impersonando le creature più disparate. Dai piccioni, ai falchi, dalle aquile, alle viverne. Ovviamente non si poteva permettere di volare a bassa quota dopo aver assunto l'aspetto di animali immaginari, perciò cercava sempre di portarsi molto in alto quando gli veniva voglia di provare tale tipo di esperienza.
Inizialmente aveva temuto che le rigidissimetemperature vigenti a certe quote non gli avrebbero consentito di spingersioltre una certa soglia, tuttavia, da questo punto di vista, l'altitudine non sirivelò un problema. Per qualche ragione inspiegabile infatti, sembrava essere diventato del tutto incapace di sentire il freddo o il caldo, persino nelle loro manifestazioni più estreme tipo il gelo del congelatore o le fiamme della cucina a gas, come se una misteriosa entità cosmica avesse imposto all'aria attorno a lui di mantenersi costantemente sui venticinque gradi.
La sua intera esistenza, dal momento del risveglio fino a quando si coricava sotto le coperte, era sempre accompagnata da un piacevolissimo tepore, che apparentemente nulla sembrava in grado di scalfire.
Potendo contare su questa fantastica abilità, subito dopo l'uscita da scuola aveva quindi volato spensieratamente attraverso quel paesaggio mozzafiato per quasi tutto il pomeriggio, godendosi appieno l'incredibile senso di libertà che soltanto una simile esperienza era in grado di ispirare.
L'incontro con l'aereo di linea e la scoperta di essere agilmente in grado di tenergli testa, non aveva rappresentato altro che l'ultimo atto di un pomeriggio praticamente perfetto, di cui faticava molto a ricordarne un'eguale.
O almeno, lo sarebbe potuto essere se non fosse stato per il senso di fame opprimente che si portava appresso, e che da qualche ora aveva cominciato a farsi pericolosamente fastidioso. Miracoli a parte, ancora un paio di giorni così e avrebbe finito per perdere la testa come la volta precedente.
Cosa avrebbe fatto a quel punto?
Partecipare ad altre gare clandestine? No, era da escludere.
Trovarsi un lavoro nel week-end?
Certo, sembrava ovvio, ma anche tralasciando il fatto che la sua unica esperienza in tal senso era l'aiuto che dava a papà in negozio durante le vacanze estive, persino nel caso fosse riuscito a farsi assumere in una gelateria quel giorno stesso, il primo stipendio l'avrebbe comunque ricevuto tra un mese. E lui non poteva aspettare così tanto, neanche lontanamente.
Rubare, allora? Entrare in un supermercato dopo l'orario di chiusura, per poi mangiare tutto ciò su cui riusciva a mettere le mani.
Era semplice. Era facile.
No, quello mai.
Ma quindi come accidenti poteva procurarsi il cibo?!
Dopo la loro ultima conversazione surreale, sua madre aveva preso l'abitudine di preparargli per merenda delle enormi scodelle di passato di verdura, accompagnando il tutto con altrettanto generose porzioni di pane. Tuttavia, per quanto Alessandro le fosse infinitamente riconoscente per quegli atti di gentilezza, questi non contribuivano a risolvere il problema più di quanto non sarebbe stato in grado di farlo un cucchiaino alle prese con una vasca da bagno piena fino all'orlo.
Che lo volesse oppure no, autocontrollo o meno, la verità era che il cibo non gli bastava. Non bastava mai. E più il tempo scorreva e peggio si sarebbe sentito. In realtà, anche solo pensarci lo faceva stare male.
Giunto alla conclusione, che restarsene fermo a mezz'aria a rimuginarci sopra non lo avrebbe aiutato, decise di iniziare la lunga discesa verso terra e tornare a casa. Dopotutto, tra non molto sarebbe stata ora di cena, ed Elisa aveva cucinato uno dei suoi piatti preferiti: tortiglioni broccoli e gorgonzola. Con l'immagine del piatto fumante impresso nella mente Alessandro diede un potente colpo d'ali, e una volta invertita la rotta, si preparò ad individuare la zona migliore in cui atterrare.
Gli bastò attraversare lo strato di nubi sottostante per rendersi conto che qualcosa non andava. Villanuova sul Lambro, infatti, non sorgeva sulle rive di un enorme lago dalla forma di tomahawk rovesciato. Alessandro non ebbe bisogno di riflettere per capire dove si trovasse, perché lo riconobbe all'istante.
Quello era il lago di Garda.
Senza nemmeno accorgersene aveva finito per allontanarsi di oltre cento chilometri dal suo paesino natio. Ma quanto cavolo era veloce? Probabilmente poteva considerarsi fortunato a non essere sbucato in Francia. Beh, se non altro, il viaggio di ritorno sarebbe stato altrettanto breve.
In ogni caso, se non voleva rischiare di farsi scoprire, prima di tornare indietro gli conveniva risalire di quota oltre lo strato di nubi, o in alternativa cambiare forma in qualcosa di meno appariscente. Alla fine decise di optare per la seconda. Perlomeno in questo modo avrebbe evitato di sbagliare di nuovo superando la meta.
Era ancora incerto su quale specie puntare, quando una piccola macchia scura sotto di lui attirò la sua attenzione. Data la distanza non riusciva a distinguerlo abbastanza bene da riconoscerlo, ma si trattava sicuramente di un uccello predatore. Forse un gufo reale. Le sue assai scarse competenze ornitologiche gli impedivano di azzardare ipotesi più accurate. Che fosse un rapace notturno però era fuor di dubbio.
Improvvisamente ci fu un bizzarro sfarfallio, e l'aria attorno a lui parve diventare densa come il liquido trasparente dentro un globo di neve. I pensieri nella testa di Alessandro presero a vorticare confusi, mentre un sorriso ebete si faceva largo sul suo volto. Sembrava quasi che qualcuno gli stesse facendo il solletico al cervello.
Un gufo.
I gufi erano uccelli.
Anche i polli lo erano.
A lui piaceva il pollo.
Il pollo era carne.
La carne era cibo.
Il gufo era...
La mente di Alessandro venne offuscata da una strana nebbia.
Quando riprese lucidità stava piombando in picchiata tenendo le ali aderenti al corpo sinuoso, una scheggia argentea che fendeva l'aria con la velocità di un proiettile. A dispetto delle precauzioni promesse, non aveva mutato forma. In quel momento non sembrava interessargli di essere riconosciuto o meno. L'unica cosa davvero importante era raggiungere l'obiettivo il prima possibile.
Nel frattempo, il grosso gufo continuava a planare placido sopra le acque del lago, totalmente all'oscuro del pericolo incombente. Per colmare le diverse migliaia di metri che li separavano non era stato necessario attendere più di una manciata di secondi. Ancora pochi istanti e gli sarebbe piombato addosso.
Pregustando l'attimo Alessandro dischiuse le labbra squamose, mettendo così in mostra le file di micidiali zanne celate al disotto, lunghe e affilate come pugnali.
Ecco, ormai c'era quasi. Piumaggio maculato, ampia apertura alare, portamento tranquillo. La sua preda era lì, appena ad un tiro di schioppo. Alessandro spalancò le fauci.
Ma che diavolo sto facendo?
Rinsavendo come da un trance Alessandro dispiegò le ali argentate, che gonfiandosi con la stessa efficienza di un paracadute, posero fine alla picchiata.
Sbalzato indietro dalla forza della corrente ascensionale il drago venne quindi sollevato in alto, molto in alto, lontano dal gufo che era stato in procinto di ingoiare, e che adesso, del tutto ignaro di essere appena scampato alla morte, planava silenzioso verso terra, una minuscola macchia scura stagliata sull'azzurro del lago immerso nella penombra.
Intanto che la spinta dell'aria andava lentamente esaurendosi, Alessandro fissò il rapace che si allontanava indisturbato e sbatté le palpebre.
Cos'era accaduto? Perché l'aveva fatto?
Come poteva aver perso il controllo fino a quel punto? Davvero la fame lo stava riducendo a questo?
Una grossa bestia senza cervello divoratrice di gufi?
Se già ora rischiava di avventarsi addosso al primo animale di passaggio, cosa sarebbe successo tra due, tre o cinque giorni?
Con la testa affollata dall'eco di queste ed altre mille domande, Alessandro assunse la forma di un astore e fece ritorno verso casa.
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