Capitolo 16 - Allenamenti
Il lungo tentacolo nero continuò a sollevare il blocco di calcestruzzo sempre più in alto, finché non si trovò ad oltre cinque metri da terra, e più o meno a tre dalla seconda appendice serpentina. Quest'ultima era posizionata in maniera speculare rispetto alla gemella, e anche se in quel momento non stringeva niente, dal modo in cui ondeggiava a mezz'aria aveva tutta l'impressione di essere sul punto di farlo alla prima occasione.
Sia per aspetto che per comportamento ricordava moltissimo un crotalo pronto a scattare.
Mordendosi il labbro inferiore Alessandro iniziò a stringere lentamente la mano destra, come se stesse serrando la presa attorno ad un oggetto invisibile, e quando ormai la punta dell'unghia del suo pollice si apprestava a toccare quella dell'indice, allora agì.
Obbedendo al comando mentale impartitole, il tentacolo in alto lasciò andare il blocco di calcestruzzo, facendolo precipitare verso terra. Alessandro attese giusto un istante prima di serrare con forza il pugno destro.
Come da previsioni, l'estremità dell'appendice posizionata poco più in basso si biforcò in due punte distinte, per poi serrarsi come una tenaglia attorno al pezzo di cemento proprio mentre gli passava davanti. Tuttavia, questa volta le cose non andarono secondo i piani. Anziché afferrare al volo il blocco infatti, il tentacolo lo tranciò di netto, sbriciolandolo manco si trattasse di un biscotto.
Cazzo
Emettendo un lungo sospiro di frustrazione Alessandro camminò fino al punto d'impatto e si mise a scrutare assorto i minuscoli frammenti di calcestruzzo sparsi sul pavimento del capannone.
Un altro fallimento, e adesso aveva pure finito i blocchi. Nonostante il suo impegno non riusciva ancora a regolare la forza.
Voltò lo sguardo alla sua destra e osservò il lungo tentacolo nero, che ondeggiava silenzioso a poche spanne dalla sua faccia. Da quando aveva scoperto di poter evocare pressoché qualsiasi cosa purché restasse collegata col suo corpo, quella sorta di appendici prensili si erano dimostrate molto utili. Poteva usarle come mezzo di trasporto, per manipolare oggetti e persino come armi.
Bastò un pensiero e l'estremità del tentacolo si trasformò in una micidiale punta aguzza, che un istante dopo guizzò dritta verso terra. Penetrando nel cemento come se fosse burro, l'appendice rimase quindi conficcata nel pavimento per quasi mezzo metro, prima che Alessandro la facesse tornare alla posizione di partenza, lasciandosi dietro un profondo foro circolare.
Stese il braccio e cominciò ad avvicinare le dita alla punta acuminata, ma proprio quando mancavano a malapena pochi millimetri l'estremità scomparve, venendo sostituita da una mano umana.
Per qualche istante Alessandro rimase immobile, limitandosi a mantenere il contatto del proprio palmo con quello che aveva appena fatto comparire a mezz'aria, e poi abbassò le palpebre. Pur conoscendo perfettamente ciò che si aspettava di trovare, quando finalmente riaprì gli occhi fu quasi tentato di pensare di star fissando uno specchio.
Davanti a lui infatti ora c'era una perfetta riproduzione di sé stesso, così ben realizzata che persino sua madre sarebbe stata incapace di distinguere quale tra i due fosse l'originale. Scrutando in silenzio il proprio clone Alessandro inclinò leggermente la testa di lato, e dopo aver impartito l'ordine nella mente, assistette estasiato mentre il doppelganger lo imitava, riproducendone i movimenti con la massima precisione.
Alza un braccio, solleva una gamba, chinati, sorridi, ogni più piccolo gesto veniva eseguito fin nei minimi particolari. Bastava figurarsi nella mente ciò che desiderava perché venisse realizzato. L'unico limite invalicabile era costituito dal lungo tentacolo nero, che come una sorta di inquietante cordone ombelicale, univa le loro schiene, impedendogli di separarsi del tutto.
Le sue prime impressioni si erano rivelate sbagliate. I poteri di cui disponeva non erano incredibili.
Erano semplicemente terrificanti.
Le ridicole modifiche, che aveva apportato al suo aspetto nei giorni immediatamente successivi all'ingestione del fungo alieno, non rappresentavano che una percentuale irrisoria di quello che era in grado di ottenere. Anche impegnandosi con l'immaginazione ci sarebbero comunque voluti mesi soltanto per scalfire la superficie, di quello che a tutti gli effetti pareva essere un potenziale pressoché illimitato.
Illimitato. Un termine che metteva le vertigini.
Tuttavia...
Non riuscendo più a resistere alla tentazione che si portava dentro dalla notte precedente, Alessandro immaginò ciò che voleva realizzare, per poi attendere col fiato sospeso che la sua richiesta prendesse forma.
Non rimase deluso.
Giusto il tempo di un battito di ciglia e il clone a cui stava toccando la mano scomparve di colpo, venendo rimpiazzato da una bellissima ragazza dai capelli biondi e gli occhi da cerbiatta.
Sconvolto dalla sua stessa creazione Alessandro allontanò subito la mano e fece un passo indietro. A quel punto però, chiuse un attimo gli occhi e prese un profondo respiro. Sebbene gli risultasse alquanto difficile, doveva mantenere la calma.
Lei non era vera.
Si trattava solamente di un'estensione del suo corpo. Un po' come i tentacoli. Obbedivano ai comandi, ma non erano dotati di volontà più di quanta ne possedeva il suo piede. Una proiezione mentale dotata di massa. Tutto qui. D'altro canto, bisognava anche ammettere che fosse una proiezione dannatamente realistica.
Obbedendo ad un impulso tanto irrazionale quanto infantile, Alessandro curvò le labbra in un sorriso, ma vuoi per distrazione, vuoi perché lo desiderasse il suo subconscio, la ragazza che gli stava davanti ricambiò il gesto facendo subito altrettanto.
Atterrito manco avesse appena visto un fantasma Alessandro distolse lo sguardo all'istante, per poi far sparire tutto, appendici comprese. Schiarendosi la voce dando un colpetto di tosse, afferrò quindi i risvolti del giaccone e li tirò verso il basso, facendoli aderire per bene alle spalle.
Nonostante ci avesse messo due giorni prima di trovare il coraggio di farlo, quella mattina si era finalmente deciso ad uscire di casa senza ricorrere ai normali vestiti, preferendo invece gli abiti realizzati coi propri poteri. Perlomeno da un punto di vista tecnico, stava andando in giro nudo.
Dire che quella consapevolezza l'avesse inizialmente terrorizzato sarebbe stato un eufemismo, anche se col passare dei minuti aveva finito per farci l'abitudine. In fondo non sentiva freddo, e in più erano assolutamente indistinguibili dagli abiti che indossava di solito, tranne per il fatto che in almeno un punto dovevano restare incollati a lui.
Effettivamente questo rimaneva il suo solo limite. Poteva ricreare oggetti fin nei minimi particolari e assumere le forme più disparate, ma non era in grado di plasmare qualcosa e poi separarsene. Un vincolo di ben poca importanza, se si teneva conto del suo potenziale complessivo.
Il rombo di un aereo lontano riecheggiò sopra di lui, spingendolo ad alzare lo sguardo. Forse faceva ancora in tempo ad osservarlo.
Allontanandosi dai frammenti di ciò che restava dei blocchi di calcestruzzo, Alessandro raggiunse il punto sotto cui si apriva il grosso buco nel tetto del capannone, e si mise a scrutare lo spicchio di cielo che riusciva a scorgere attraverso di esso. Una leggera flessione delle gambe era tutto ciò che gli serviva.
Stando ben attento a calibrare la forza, compì un balzo che gli permise di colmare i dieci metri abbondanti che lo separavano dal soffitto, e passando attraverso il varco nei pannelli, atterrò con un tonfo sopra al tetto rivestito in lamiera.
Era una giornata limpida e con poche nuvole, quindi individuare l'aereo non fu affatto difficile. Si trovava già a diversi chilometri di distanza e procedeva dritto verso l'orizzonte, dove il sole aveva ormai cominciato a tramontare. Il tramonto, giusto. Purtroppo doveva tornare a casa. Dopo che aveva scoperto l'esito dell'ultima interrogazione in storia, sua madre non gli concedeva più uscite libere dopo il crepuscolo.
Consolandosi col fatto che una volta giunto il fine settimana le cose sarebbero state diverse, Alessandro diede le spalle al sole calante, per poi lasciarsi cadere dentro il buco nel tetto.
Come aveva già avuto modo di sperimentare, l'atterraggio si rivelò sorprendentemente leggero, e il suo corpo assorbì l'impatto col terreno senza alcuna difficoltà apparente. Più che un volo dal quarto piano, gli sembrava di aver saltato un paio di gradini mentre scendeva le scale.
Datosi una spolverata ai vestiti procedette fino all'ingresso del capannone e recuperò da terra lo Smartphone, che aveva appoggiato più di un'ora prima accanto al varco nel muro. A parte quello inviatogli da Marco mentre si trovava ancora sull'autobus, non sembravano esserci messaggi in arrivo.
Per fortuna, pensò lui. Di solito significava problemi al negozio o qualche altra emergenza simile.
Rassicurato dalla notizia, si infilò il cellulare nella tasca della felpa e uscì all'esterno. Esattamente come all'arrivo non c'era nessuno in vista. La strada, distante solo pochi metri dalla recinzione mezza arrugginita che circondava il capannone, appariva deserta.
Si era appena infilato nello stretto passaggio tra i pannelli di metallo, quando un richiamo improvviso lo fece irrigidire
''Ehi, tu!'' sbottò una voce maschile alla sua sinistra. ''Che stai facendo?!''
Per quanto terrorizzato, Alessandro riuscì ugualmente a voltare la testa in direzione del rumore, e ciò che vide a quel punto gli fece gelare il sangue.
Due guardie giurate in divisa stavano avanzando lungo il marciapiede a lato della strada, dirette verso di lui.
''Non puoi entrare lì'' lo apostrofò il collega di quello che aveva parlato prima. ''È proprietà privata''
Senza nemmeno perdere tempo a rispondere, Alessandro girò sui tacchi e cominciò a correre in direzione del campo incolto al termine della strada.
''Ehi, fermo!'' gli gridò dietro la guardia giurata.
Alessandro però aveva già raggiunto il confine della recinzione, e compiendo una brusca virata, scomparve dietro di essa. Essendo distanti non più di una decina di metri, i due uomini non ci misero che pochi secondi prima di svoltare l'angolo a loro volta.
Tuttavia, quando finalmente si trovarono dall'altra parte, la sola cosa che videro fu un campo incolto invaso dalle sterpaglie, che si estendeva per centinaia di metri prima di terminare di fronte alle barriere fonoassorbenti della tangenziale.
Ad eccezione dei cespugli spinosi che costeggiavano la recinzione lungo tutta la sua lunghezza, e di qualche arbusto sparso a macchia di leopardo per l'area verde, non esistevano posti in cui nascondersi, eppure di Alessandro non restava alcuna traccia.
Le due guardie erano ancora prese a fissare costernate il paesaggio brullo che gli si parava davanti, quando un movimento improvviso, proveniente da uno dei cespugli lì vicino, attirò la loro attenzione.
Non c'erano dubbi. Qualcuno si stava nascondendo tra le frasche.
Il tipo sulla destra, un uomo dall'addome prominente e il collo incassato nelle spalle, portò subito la mano alla fondina appesa alla cintura, ma il collega lo fermò prima che potesse estrarre l'arma.
''Tranquillo, non ti facciamo niente'' annunciò ad alta voce.
''Infatti, vogliamo solo farti qualche domanda'' gli fece eco l'altro, senza però staccare la mano dalla fondina.
''Avanti, esci fuori''
Non appena ebbe terminato di rivolgere quell'appello il cespuglio si mosse di nuovo, e mentre i due uomini attendevano coi muscoli tesi che l'intruso venisse allo scoperto, un grosso gatto rossiccio dalla pelliccia tigrata sbucò fuori dal riparo, e zampettando con passo sicuro andò a sedersi sull'erba alta, proprio di fronte alle guardie.
Colto totalmente alla sprovvista, il tipo grasso rimase immobile a fissare il piccolo felino. A giudicare dall'espressione sul suo volto, sembrava essere caduto in stato di shock.
''Vuoi chiedergli i documenti?'' gli chiese il collega in tono scherzoso.
L'uomo sbuffò in preda alla frustrazione, e seppur con evidente riluttanza, rimise la sicura alla fondina.
''Ma dove cazzo è andato a finire?'' sbottò alzandosi sulle punte dei piedi, per vedere più lontano di quanto gli permettesse la bassa statura.
''Dici che ha fatto il giro?''
''E come, scavando sotto terra?'' ribatté l'altro scettico. ''Manco Usain Bolt è così veloce''
''Magari si è nascosto da qualche parte in mezzo ai rovi'' ipotizzò il collega, mentre si sistemava il berretto da baseball sulla testa. ''Andiamo a controllare?''
La guardia sembrò rifletterci sopra, ma dopo aver rivolto un'ultima occhiata al campo illuminato dai colori del tramonto, scosse la testa.
''Nah, lasciamo perdere'' rispose stizzito, facendo un gesto sprezzante col braccio. ''Tanto era solo un drogato''
Si girò tornando sui suoi passi, anche se prima di seguirlo il collega decise di trattenersi ancora qualche istante, giusto il tempo di incrociare lo sguardo col gatto che continuava a scrutarlo in silenzio.
''Ciao micio'' sussurrò facendogli l'occhiolino.
Il gatto rimase impassibile al suo posto, standosene seduto sull'erba ad osservare i due uomini che si allontanavano, e quando la coppia ebbe svoltato l'angolo, un largo ed innaturale sorriso gli increspò il muso da felino.
Il viaggio di ritorno fino a casa non fu un'esperienza piacevole.
Si trattò di qualcosa di semplicemente fantastico.
Era pur sempre vero che doveva ancora abituarsi a correre su quattro zampe, ma grazie alle prove effettuate nei giorni precedenti l'impresa non si rivelò eccessivamente complessa. Dopotutto, rispetto alla forma da lupo, (senza alcun dubbio quella che amava di più, essendo il suo animale preferito), non esisteva poi molta differenza.
L'unico elemento che lo turbava un po' era la taglia. Non si poteva negare infatti, che il mondo visto da trentacinque centimetri d'altezza apparisse parecchio diverso, anche se risultava altrettanto vero, che lo sfrecciare attraverso giardini, strade e marciapiedi, in quella forma così diversa da quella a cui era abituato, gli procurò un piacere indescrivibile.
Si sentiva potente, veloce e soprattutto libero come non credeva di essere mai stato prima.
Lo adorava. Lo adorava al punto che quando giunse in via Turati fu quasi dispiaciuto di dover riprendere l'aspetto consueto. Purtroppo per lui però, non aveva scelta. Ormai il sole stava per tramontare, e a meno che non intendesse trascorrere il resto della vita in forma di gatto, non gli conveniva disobbedire ad Elisa.
Nascostosi dietro uno dei grossi cespugli di ortensie che affollavano le aiuole sul retro del condominio dove abitava, riacquistò dunque sembianze umane, e dopo una rapida sistemata ai capelli si preparò a tornare a casa. Stava per mettere piede sul vialetto che circondava l'edificio, quando un dubbio improvviso si fece largo nella sua mente.
Era proprio sicuro di non aver dimenticato qualcosa?
Un'espressione di puro panico si materializzò sul suo volto nell'istante stesso in cui incominciò a riflettere.
Lo Smartphone!!!
In preda al terrore si cacciò subito la mano nella tasca della felpa, e a quel punto non ebbe certo bisogno di ritirarla per capire cosa fosse accaduto.
Abbassate le palpebre ed estratto il pugno chiuso lo sollevò quindi davanti alla faccia, per poi allentare leggermente la presa su di esso. Mentre osservava la cascata di microscopici frammenti argentati che precipitava verso l'erba, Alessandro emise un profondo sospiro.
Polvere di stelle
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