Capitolo 11 - Nuove scoperte

Il pulmino della scuola sfrecciò loro accanto proprio mentre si apprestavano a svoltare l'angolo, lasciandosi così alle spalle la piccola chiesetta in stile gotico che sorgeva dall'altro lato della strada.

Sul marciapiede lungo cui stavano procedendo non si scorgeva nessuno, anche se la presenza di numerosi incroci rendeva pressoché impossibile prevedere l'arrivo improvviso di qualche passante.

Avvertendo la presenza di qualche estraneo, l'anziano pastore tedesco che faceva la guardia ad una delle villette di cui pullulava il quartiere, infilò il muso attraverso le sbarre del cancello, e si mise ad abbaiargli addosso scoprendo i denti. Temprati da anni di infiniti agguati, nessuno dei due si prese nemmeno la briga di voltare lo sguardo nella sua direzione.

Alice continuò a messaggiare sullo Smartphone come niente fosse, e Alessandro non smise neppure per un secondo di tenere gli occhi rivolti verso il marciapiede, perso nei propri pensieri. In ogni caso, una volta che ebbero superato il muretto che segnava i confini della proprietà, la ragazza disattivò lo schermo del cellulare, e dopo averlo riposto nella tasca del giaccone si rivolse al fratello.

''Cos'è accaduto tra te e Marco?'' gli domandò a bruciapelo. ''Avete litigato per caso?''

Alessandro non rispose, e tenendo sempre gli occhi fissi sull'asfalto, continuò ad avanzare lungo il marciapiede.

''Ehi, mi hai sentito?'' ripeté Alice dopo qualche secondo di vana attesa. ''Terra chiama Alex''

''Ti ho sentito'' disse gelido Alessandro, senza spostare lo sguardo da terra.

''E allora?''

Le labbra di Alessandro si curvarono in un ghigno.

''E allora'' sibilò sarcastico, ''forse dovresti prendere in considerazione l'idea, che se non rispondo è perché non voglio farlo''

Alice sospirò levando gli occhi al cielo.

''Fammi indovinare, hai preso un'altra insufficienza con Ronzini, vero?''.

Sbuffò con aria rassegnata ed alzò le mani.

''Senti, con mamma veditela come vuoi, basta che non mi chiedi di coprirti. Quando è venuta a sapere che non le avevo detto nulla della pagella, s'è arrabbiata con me come se a prendere quel quattro fossi stata io''

Per l'ennesima volta Alessandro non rispose, limitandosi ad avanzare accanto alla sorella.

''Potresti almeno rispondere con un ok, sai?'' gli fece notare Alice.

Alessandro strinse i pugni.

''Ok'' ringhiò trattenendo a stento la rabbia.

Senza smettere di camminare Alice gli rivolse un'occhiata carica di stizza, ma quando capì che il fratello non ne voleva proprio sapere di incrociare lo sguardo con lei, si cacciò le mani in tasca e riprese a camminare guardando dritto davanti a sé.

''Grazie mille per l'enorme sforzo'' commentò asciutta.

Quella semplice frase fu la goccia che fece traboccare il vaso ormai stracolmo.

Mettendosi improvvisamente a correre lungo il marciapiede Alessandro staccò la sorella, e ignorando l'esclamazione di sorpresa che lei gli lanciò dietro quando si fu resa conto delle sue intenzioni, svoltò al primo incrocio disponibile, distante a malapena una decina di metri.

A quel punto proseguì sempre dritto senza mai staccare gli occhi dal suolo. Non aveva un obiettivo preciso, né una meta prestabilita verso cui convergere. L'unica cosa che gli interessava in quel momento era continuare a correre alla massima velocità consentitagli dalle gambe, nel disperato tentativo di sfogare tutta la rabbia e la frustrazione che si portava dentro.

Odiava tutto.

Le domande di Alice, i rimproveri di Marco, le interrogazioni della Cominetti, la scuola, i compagni di classe, ogni cosa. Anche sé stesso.

La pazzia che aveva compiuto la domenica precedente non se la sarebbe mai perdonata. Da allora non riusciva letteralmente a pensare a nulla che non fosse il cibo. Persino durante il funerale di nonna era stato incapace di concentrarsi, così come la gravità del momento avrebbe imposto.

Non importava quanto si sforzasse per opporsi, la fame che lo tormentava diventava sempre più intensa ad ogni giorno che passava. A causa dei continui brontolii del suo stomaco erano già tre giorni che non dormiva, e visti i precedenti la situazione sembrava solamente in grado di peggiorare.

Impossibilitato ad opporvisi, procedeva a spron battuto verso la catastrofe. Che poi questa fosse la morte o la follia restava un mistero ancora da scoprire, l'unica sua certezza era che non poteva essere fermata. Si trattava di qualcosa di spietato e ineluttabile, come lo scorrere del tempo, l'espansione dell'universo, o la morte stessa. Al pari dell'asfalto sotto i suoi piedi che...

Aspetta un secondo.

La pista ciclabile?

Ma in quella zona non c'era una pista.

Aveva appena rialzato lo sguardo, quando i suoi occhi si posarono sul muro di cemento scolorito verso cui stava procedendo a velocità spaventosa. In realtà, più che correrci incontro, gli sembrava di trovarsi in piedi dentro l'abitacolo di un'auto da corsa, durante una gara effettuata su rettilineo.

Cento, cinquanta, venticinque, dieci metri.

Ad ogni frazione di secondo, la distanza si dimezzava. L'impatto contro il muro sembrava inevitabile.

Cazzo!!!

Derapando sull'asfalto rossiccio della pista ciclabile, Alessandro tentò disperatamente di arrestare la sua folle corsa prima che fosse troppo tardi. A giudicare dal fumo che si levò dalle sue scarpe nel corso di quella brusca frenata, sembrava quasi che queste fossero sul punto di prendere fuoco.

Purtroppo per lui però, fu inutile. Ormai era troppo vicino per sperare di poter evitare l'impatto. Si sarebbe sfracellato. Sarebbe morto!

Cacciando un urlo di terrore Alessandro si fece scudo con le braccia e chiuse gli occhi. Presto sarebbe tutto finito.

Vi fu un boato, la sensazione di aver colpito una superficie rigida, poi i suoi piedi si staccarono da terra, e dopo un breve volo Alessandro precipitò al suolo, ruzzolando su qualcosa di umido e bagnato.

Fu sufficiente che riaprisse gli occhi per scoprire di essere steso sull'erba. Si trovava al parco, lo stesso dove aveva scoperto la sonda aliena, e attorno a lui erano disseminati pezzi di mattoni infranti e calcestruzzo. Tuttavia, prima ancora che si rendesse conto della sua esatta posizione, la cosa che lo colpì di più di tutto il resto fu un'altra.

A dispetto dei suoi tetri pronostici infatti, sembrava proprio che fosse riuscito a sopravvivere. Alla fine non era morto.

Era vivo invece. Vivo e vegeto. E si trovava al parco.

Al parco? No, non era possibile.

Il parco era troppo lontano. Non poteva essere davvero lì. Non aveva senso. Eppure...

Messosi a sedere sul prato, Alessandro volse lo sguardo alle sue spalle. Lì dove prima non si vedeva che una liscia parete di cemento, adesso c'era un muro gravemente danneggiato a cui mancavano diversi pezzi di intonaco, e in mezzo al quale spiccava una grossa breccia.

***

Sporgendosi per l'ultima volta oltre il cespuglio spinoso che costeggiava il vialetto, Alice controllò in entrambe le direzioni se stesse sopraggiungendo qualcuno, ma dopo aver ricevuto l'ennesimo esito negativo decise di averne avuto abbastanza.

Emesso un sonoro sbuffo di frustrazione, sussurrò quindi un'ingiuria all'aria, per poi mettersi a salire con rabbia la breve scalinata che conduceva all'ingresso del condominio.

Giunta in cima si avvicinò al citofono, e aveva ormai quasi pigiato il pulsante accanto al nominativo Olivieri, quando un alito di vento alle sue spalle la spinse a fermarsi. Non appena si fu voltata ci mancò poco che le venisse un tuffo al cuore.

Alessandro era proprio di fronte a lei, tranquillo e impassibile come se fosse sempre stato lì.

''Dove accidenti ti eri cacciato?'' sbottò stizzita Alice.

''Da nessuna parte'' rispose evasivo lui.

Per nulla convinta Alice sembrava pronta a replicare, ma Alessandro l'anticipò rivolgendo un cenno in direzione della porta a vetri.

''Allora, citofoni o no?''

Da lì in poi nessuno dei due disse altro, e una volta tornati in casa Alessandro non le diede certo occasione per rimediare visto che si fiondò subito dentro al bagno. Accesa la luce tramite l'interruttore a parete, chiuse quindi la porta, e dopo aver girato la chiave nella toppa della serratura, andò a guardarsi allo specchio.

La propria immagine riflessa lo fissò attraverso il vetro lucido, restituendogli una rappresentazione pressoché perfetta di quello che era il suo aspetto da oltre un anno.

Rosacea, acne, croste e pustole distribuite in maniera eterogenea su un volto che persino lui faticava a ricordare come fosse prima di quella raccapricciante trasformazione. Ciononostante, non era questo il particolare che gli interessava approfondire in quel momento.

Strappatosi il cerotto che aveva applicato la scorsa mattina sul dorso della mano destra, lo appiccicò sul bordo del lavandino, così da poter ispezionare la ferita celata al disotto.

Nonostante fosse ormai trascorsa quasi una settimana, il taglio rimaneva identico a come quando se l'era inferto. Una profonda lacerazione, non più larga di un paio di centimetri, che lasciava scoperta la carne viva sottostante. Pur non sanguinando risultava comunque difficile definirlo uno spettacolo piacevole.

Ma allora come mai non sentiva dolore?

E perché non si era fatto niente al parco?

Come diavolo faceva a correre così?

Ad Alessandro sembrava di essere finito in uno di quei sogni assurdi che faceva ogni tanto. Niente aveva senso. Resisteva agli scontri frontali contro pareti di cemento senza riportare un graffio, e poi non riusciva a guarire da una minuzia simile?

Anche se bisogna considerare il fatto che quel taglio se l'era procurato prima di diventare...qualsiasi cosa fosse diventato.

Dunque avrebbe dovuto tenersi la ferita per sempre?

Sarebbe stato costretto a convivere con quella maledetta fame fino alla fine dei suoi giorni?

La sua unica consolazione, se così la si voleva chiamare, era che considerando come questa andava evolvendosi, non avrebbe dovuto attendere ancora a lungo prima di giungere a quel punto.

Il fungo gli aveva dato il potere di correre più veloce di una Ferrari, ma per contropartita si ritrovava intrappolato in una condizione che con tutta probabilità l'avrebbe condotto alla morte. E come se non bastasse, non riusciva più nemmeno ad andare in bagno.

Proprio un bell'affare.

Insomma, i dolori dovuti al pestaggio glieli aveva fatti scomparire. Perché non succedeva lo stesso anche col resto? Che se ne andasse al diavolo la super velocità, a lui bastava guarire dalla rosacea! Se non altro, i tormenti di quella notte sarebbero quantomeno serviti a qualcosa. Invece, nulla di nulla su quel fronte.

Dannazione, perché non poteva avere una faccia normale?

Veramente significava chiedere troppo?!

Domande senza senso, frutto della fame e della confusione che gli regnava in testa. Quesiti inutili a cui nessuno avrebbe risposto. Anche se era difficile non pensarci. Chissà che aspetto avrebbe avuto poi. Sarebbe stato curioso di scoprirlo. Tuttavia, poteva sempre immaginarlo.

Aveva appena finito di concepire quel pensiero, quando un vigoroso brontolio si levò dal suo stomaco, e un istante dopo accadde l'inspiegabile. Mentre stava ancora fissando il proprio riflesso nello specchio, questo mutò radicalmente, al punto da risultare pressoché irriconoscibile.

Adesso Alessandro non guardava più lo stesso volto con cui da tempo aveva imparato a convivere, ma qualcosa di completamente diverso.

Ciò che avrebbe voluto essere e non era stato mai. Un ragazzo normale con la pelle pulita e priva di imperfezioni.

Troppo sconvolto per parlare, Alessandro spalancò la bocca in un grido muto, mentre i suoi occhi fissavano allibiti l'inconcepibile spettacolo che si trovavano davanti. A dispetto della sua apparente logicità, il dubbio che gli balenò improvvisamente nel cervello si rivelò così angosciante da mettere i brividi.

E se per caso stesse ancora dormendo?

''Alex, hai finito?''

La voce di sua sorella lo fece sussultare per lo spavento.

Quando voltò lo sguardo verso la porta chiusa, l'espressione sbigottita che fino ad un attimo prima aveva impressa sul volto era già stata sostituita da una rabbiosa.

''Che vuoi?!'' chiese acido.

''Ti devo proprio rispondere?'' ribatté Alice sprizzando sarcasmo.

Alessandro prese un profondo respiro. Doveva calmarsi.

''Tra poco'' promise ammorbidendo il tono.

Tornato a concentrarsi sullo specchio, Alessandro rimase immobile ad ammirare la propria immagine riflessa, chiedendosi se ciò a cui stava assistendo fosse reale o meno. Ad ogni modo, non gli era concesso restarsene chiuso lì finché non l'avesse scoperto. Presto sarebbe dovuto uscire e lui non poteva farsi vedere da Alice e dalla madre in quello stato.

Cosa diavolo avrebbero pensato vedendolo così?!

Abbassate le palpebre Alessandro si concentrò a fondo, tentando di ripetere all'inverso lo stesso processo mentale che l'aveva condotto fino a quel punto. La nuova faccia che aveva appena ricevuto doveva tornare ad essere butterata come al solito.

Uno, due, tre, quattro...speriamo non sia permanente...cinque

Alessandro riaprì gli occhi, e non gli ci volle che un istante per rendersi conto che avesse funzionato.

Il volto che vide nello specchio era lo stesso di sempre. Così brutto e ripugnante da farglielo detestare. Risolto quel problema, sollevò il braccio destro e diede un'occhiata alla ferita che aveva sul dorso della mano. Magari avrebbe funzionato anche per quella.

I colpi che sentì sulla porta lo richiamarono con violenza alla realtà.

''Alex, sul serio, devo entrare!'' sbottò Alice spazientita. 

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