7

"Do you dare to look him
right in the eyes?
Oh, 'cause they will
run you down,
down 'til the dark."
― Way Down We Go, Kaleo

Atterrando, mi sbilanciai in avanti e sprofondai nel fango malleabile fino alle ginocchia. Allungai le mani in avanti per non cadere di faccia e rimasi quasi del tutto intrappolata.

Ero abbastanza sicura di aver superato la metà del percorso, ma il dolore che mi attraversava ogni singola fibra muscolare mi fece seriamente dubitare che sarei arrivata al fondo.

Aryan era caduto poco più avanti di me, ci eravamo lanciati in quella palude da un'altezza di circa tre metri, dopo aver scalato una parete ripida e sconnessa aggrappandoci a una rete di corde. Mi ritrovai incapace di muovermi. Avevamo già corso e nuotato per diverse centinaia di metri e le mie gambe non ne volevano più sapere.

«Non ce la faccio,» boccheggiai.

«Sì che ce la fai,» mi giunse la voce di Aryan. «Muoviti lentamente, una gamba alla volta!»

Attorno a noi, altri nostri compagni cadevano nel fango o si liberavano e riprendevano a correre. Sentivo la terra umida come una morsa stretta attorno alle mie gambe.

«Fai come me, una gamba alla volta ed esci fuori!» ripetè Aryan.

Alzai lo sguardo su di lui e vidi che pian piano era riuscito a liberarsi, ormai si trovava quasi in ginocchio sul manto marrone. Mi aggrappai al fango con le mani e, non avendo altra scelta, smossi lentamente prima una gamba, poi l'altra, in modo alternato, trattenendo il fiato a ogni movimento, finchè non riuscii a strisciare fuori. Prima che potessi lasciarmi cadere a terra, distrutta, un paio di mani mi afferrarono e mi tirarono in piedi.

«Ci sei, hai visto?» mi confermò Aryan, sostenendomi. «Andiamo avanti.»

Lo guardai con leggera disapprovazione e presi un respiro, «Non dovresti aiutarmi, stai perdendo tempo.»

«No,» mi disse con sicurezza. «Non me ne importa del punteggio finale. Preferisco prendere un voto basso piuttosto che perdere un'amica.»

Rimasi in silenzio, lasciando che quelle parole mi riecheggiassero nella mente. Era la seconda volta che quel ragazzo mi coglieva di sorpresa. Non seppi cosa rispondere, non ero brava come lui con me parole, ma provai un profondo senso di gratitudine. Incontrai i suoi occhi che avevano lo stesso colore della nostra uniforme, circondati da ciuffi castani scompigliati e umidi. Scossi leggermente la testa e accennai un sorriso, mentre insieme ci spingemmo ad andare oltre.

Dopo una breve corsa con le gambe pesanti come macigni, ci ritrovammo sul bordo di un precipizio. Dieci metri più in basso, l'acqua di un piccolo fiume in piena scorreva lenta. Alcune funi erano legate a un palo accanto a noi, mentre le altre estremità erano saldate ad un'alta arcata di cemento sull'altra sponda, un po' più in basso. L'obiettivo sembrava essere quello di appendersi e giungere dall'altra parte, dove vidi una bandiera bianca che indicava la fine del percorso.

«Se questa dev'essere la mia fine,» cominciai con tono drammatico, avvicinandomi al palo. «Così sia.»

Sentii Aryan ridere leggermente, ma onestamente non ero così sicura di star scherzando. Slegai una delle funi e Aryan ne slegò una per sè.

«Vuoi che ti tenga?» mi chiese una volta che fummo entrambi sul bordo.

«È meglio se ti aggrappi con entrambe le mani,» risposi senza guardarlo. Deglutii. «E poi sarebbe decisamente troppo romantico.»

Aryan rise più forte. E saltammo.
Afferrai la corda anche con le gambe e fu più breve del previsto. L'aria mi sollevò i capelli. Nel punto più basso, dove raggiunsi la massima velocità, sentii le mani umide scivolare e impiegai un ultimo sforzo per stringere la presa e sostenere il mio peso, ma in fine la forza centrifuga ebbe la meglio e, sfinita, mi lasciai andare, cadendo di faccia sulla sponda polverosa appena oltre il bordo. Un piede mi penzolava nel vuoto. Ma ero ancora viva.

Sentii Aryan fischiare in segno di vittoria e sapere che anche lui ce l'aveva fatta mi rasserenò. Mi sollevai a quattro zampe, tossendo, e strisciai il più lontano possibile dal fiume, per poi alzarmi in piedi per l'ennesima volta. Guardai Aryan e lui guardò me.

«Ti prego,» scossi la testa. «Ricordami perchè tutto ciò sarebbe utile a un pilota.»

«Perchè in caso di un atterraggio d'emergenza in una zona impervia dobbiamo essere in grado di cavarcela da soli,» recitò le parole che ci avevano ripetuto all'inzio.

«Grazie.»

«Adesso possiamo tagliare il traguar-» un grido mozzato squarciò l'aria all'improvviso.

Io e Aryan sbiancammo contemporaneamente.

«Polaris,» scandimmo all'unisono.

Tornammo rapidamente al bordo del fiume e guardammo di sotto. A cinque metri da noi, Polaris era immersa nella corrente lenta e possente, aggrappata a una sporgenza della parete, mentre un pezzo della corda con cui si era lanciata galleggiava flaccido e sfilacciato nell'acqua, allontanandosi.

«Si è spezzata la sua corda,» osservò Aryan con tono confuso.

In effetti parve strano anche a me che una delle corde non avesse retto. Mi domandai se non fosse stato fatto apposta.

«Dobbiamo tirarla su,» decisi immediatamente.

«Come?»

Ci guardammo attorno, osservando le altre funi, e oggetti nei dintorni, finchè entrambi i nostri sguardi non si focalizzarono su una corda decisamente lunga arrotolata per terra, sufficientemente lunga da raggiungere la nostra amica. Agimmo senza bisogno di aggiungere altro. Ci affrettammo a srotolare quella pesante fune abbandonata nel posto giusto al momento giusto e calammo una delle estremità verso Polaris.

«Afferra la corda!» le gridai.

«Che diavolo fate?!» gridò lei di rimando. «State perdendo tempo, andate al traguardo!»

Lanciai un'occhiata ad Aryan, che ricambiò, ma continuammo a srotolare la fune in silenzio finchè Polaris non si potè aggrappare in modo saldo, senza più lamentarsi. Cominciammo a tirare e lei puntellò i piedi contro la parete per tirarsi su con le braccia, rivelando più muscoli di quelli che avevo potuto notare nel dormitorio. Non avevo idea di dove stessi trovando quella forza, eppure non mollai, tirando e muovendo passi lenti all'indietro insieme ad Aryan, finchè Polaris non si catapultò oltre il bordo e quasi ricaddi a terra.

La ragazza si rotolò sulla schiena con pesantezza e ci guardò attraverso le dita di una mano, «Non so come vi sia saltato in mente, ma grazie,» ansimò.

Avevo le mani brucianti, segnate da profondi solchi rossi simili a scottature. Nonostante ciò la aiutammo a rimettersi in piedi e insieme ci voltammo a guardare il traguardo. Ci volle un attimo perchè ci rendessimo conto che tutti gli altri erano già dall'altra parte. Alla fine eravamo rimasti ultimi.

Aryan sospirò, «Merda.»

Per quel giorno non ci furono altre attività, anche le lezioni teoriche erano state cancellate. Potemmo tornare nei nostri dormitori per lavarci, riposarci e per tutto il resto del tempo nessuno venne più a dirci nulla.

Ero alla Base di Hermes da ormai due settimane e quel giorno fu il primo che potei trascorrere dormendo. Dopo essermi fatta una doccia completa e aver lasciato l'uniforme in lavanderia, mi ero abbandonata sul mio letto e avevo dormito profondamente fino all'ora di cena, completamente esausta.

Quella sera, prima di entrare in mensa, sulla bacheca appesa alla parete accanto alla porta trovammo una sorpresa ad attenderci. Erano stati affissi i risultati del test sul percorso, i nostri nomi erano stati scritti in ordine di punteggio. Si era creata una piccola folla, accalcata per leggere, tutti alla ricerca del proprio nome. Io ero rimasta indietro, preparandomi a sentire il peso della delusione una volta che avrei visto il mio nome al fondo.

Mi sentii stringere una spalla e mi voltai, incontrando lo sguardo di Polaris. C'era anche Aryan. Lei strinse le labbra in un'espressione di solidarietà e io le sorrisi perchè non seppi che altro fare.

Pian piano la folla si diradò e ci ritrovammo di fronte al cartellone appeso. Il mio sgaurdo cominciò a scrutare i nomi sul fondo e intravidi quello di Polaris, ma non trovai il mio.

«Wow,» esclamò Aryan ad un certo punto.

Aggrottai la fronte, «Mh?»

Alzò un braccio a indicare la classifica e allora lessi il suo nome e il mio, rispettivamente al quarto e quinto posto. Strabuzzai gli occhi.

«Aspetta, cosa!?»

«Wow,» ripetè anche Polaris.

«Com'è possibile?» guardai Aryan. «Abbiamo letteralmente tagliato il traguardo dopo tutti gli altri!» sottolineai.

«Il lavoro di squadra,» una voce calma e ben nota rispose alle nostre spalle e ci voltammo di scatto, ritrovandoci di fronte a Kaiden Westfall. Ci guardò entrambi. «L'altruismo. Aiutare un compagno. Tutto ciò vale molto più della velocità. L'obiettivo non è in quanto si arriva al traguardo, ma in quanti.»

Pensai di ringraziarlo per aver risposto alla mia domanda, ma quella breve esitazione mi costò l'occasione e fu Aryan a rispondere.

«Grazie,» disse con un tono pacato che non era assolutamente da lui.

Immaginai dovesse essere ancora spaventato per quel che era capitato al nostro compagno diversi giorni prima. Avrei voluto aggiungere qualcosa, ma la mia mente sembrò improvvisamente svuotata di qualunque contenuto. E quando il suo sguardo incontrò il mio, smisi definitivamente di provarci. In realtà fu molto breve e alla fine annuì una volta, per poi voltarsi e entrare in mensa.

«Voi l'avete sentito arrivare, per caso?» chiese sottovoce Polaris.

Io non risposi e Aryan neppure.

Dopo cena mi ritrovai nuovamente sul mio letto nel dormitorio, ma questa volta assorbita nella lettura di uno degli spessi manuali di volo che ci avevano consegnato a lezione. Avevo cominciato a leggere quel libro ogni sera da ormai una settimana, un po' perchè mi aiutava a mettere a tacere i pensieri, un po' perchè comunque prima o poi avrei dovuto studiarlo per l'esame teorico finale.

Riprendeva molti degli argomenti che vedevamo in classe, avevo già finito di leggere riguardo i motori a turboventola del C-3, l'aeroplano che avremmo imparato a pilotare, ed ero quasi a metà della sezione dedicata a tutti i comandi gestibili dalla cabina. Sembravano a centinaia.

Da una parte provavo un certo timore verso quella quantità enorme di informazioni che avrei dovuto apprendere, ma dall'altra stavo iniziando a non veder l'ora di volare. Tra un addestramento e l'altro ci capitava spesso di assistere a decolli o atterraggi di quelle macchine incredibili e ogni volta non potevamo fare altro che fermarci a guardare con il fiato sospeso. I propulsori ruggivano così forte da far tremare ogni cosa. Durante il decollo sprigionavano tutta la loro potenza fino a librarsi nel cielo mentre, nell'atterraggio, il carrello si posava sulla pista con la delicatezza di una piuma.

Il solo pensiero che un giorno sarei stata io a pilotare quei mostri perfetti mi dava un brivido di adrenalina e mi faceva sentire un po' meno la fatica. Potevo solo immaginare cosa significasse volare, ma sembrava una sensazione magnifica. Forse, in fondo, ne sarebbe valsa la pena. O forse, semplicemente, non potevo permettermi di pensarla diversamente. Perchè ormai la mia vita era quella.

La luce del dormitorio era ormai spenta ed era soltanto quella filtrante da fuori ad illuminare debolmente le nostre brandine. Quasi tutte le mie compagne stavano cominciando ad addormentarsi, mentre io avevo il lenzuolo fino alla vita, il libro appoggiato alle ginocchia e le pagine illuminate da una piccola torcia delle dimensioni di un palmo di mano.

Avevo da poco cominciato a sentire dei tuoni lontani di un temporale in arrivo e mi stavo lasciando cullare da quel suono che avevo sempre amato. Riuscii a trovare la mia pace interiore in quell'angolo di dormitorio, tra le pagine di un manuale di volo, alla luce di una torcia. Quasi mi stavo dimenticando del percorso di quel mattino, dei dolori ai muscoli, di tutti i problemi.

Forse, dopo tutto, non mi era andata poi così male.

Una luce rossa d'emergenza prese a lampeggiare in modo allarmante sopra la porta del dormitorio, catturando la mia attenzione, e il mio cuore accelerò il battito.

«Cosa-» lo sussurrai, ma non ebbi il tempo di terminare qualunque cosa stessi per dire perchè una sirena quasi assordante prese a risuonare nell'intero edificio.

Tutte le mie compagne si alzarono a sedere e saltarono giù dal letto. Io abbandonai il libro sulle coperte e mi alzai in piedi, ma non seppi davvero cosa fare.

«Che cos'è?» chiese una voce, cercando di farsi sentire sopra la sirena.

«Cosa sta succedendo?» gridò un'altra dall'altro capo della stanza.

La ragazza più vicina alla porta del dormitorio la aprì e subito si affacciò uno dei ragazzi, mentre gli altri uscivano in corridoio, ma nessuno aveva davvero l'aria di sapere come muoversi.

«È l'allarme d'emergenza!» gridò.

«Che tipo di emergenza?» rispose qualcuno.

«Emergenza bombardamento! Caccia nemici in avvicinamento, la Base è sotto attacco!»

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