26
“You caused my heart to bleed and
you still owe me a reason,
'cause I can't figure out why.”
― So cold, Ben Cocks
▪
“Attenzione!”
La voce che perseguitava i miei sogni peggiori sbraitò nella stanza, amplificata da un megafono, imponendo il silenzio. Il generale Dagen si fece strada tra le persone, questa volta accompagnato da un solo stratega dell'Intelligence, quasi travolgendo chiunque non si spostasse in tempo.
Eravamo meno quella volta, al quartier generale. Mancavano gli undici sopravvissuti e probabilmente qualche pilota esperto che era andato ad aiutare i compagni.
In quel momento l'ingresso principale si aprì e Kaiden Westfall entrò di fretta, seguito da un paio di ragazzi. Era la prima volta che lo vedevo dal giorno in cui aveva deciso di eliminarmi dalla sua vita. Non era cambiato. E forse fu quel particolare a farmi più male. Lo vidi pulirsi le mani sull'uniforme e immaginai avesse aiutato nei soccorsi. Il suo sguardo scorse rapidamente sulla sala, forse mi vide. Non potei dirlo con certezza. Comunque non provò a cercarmi e si sedette su un tavolo al fondo, contro la parete. Poi il generale Dagen prese a parlare.
“La prima spedizione è fallita,” esordì. “Abbiamo perso cinque velivoli e tre piloti, uno dei quali non è stato recuperabile.”
Un'esplosione di luce lampeggiò davanti ai miei occhi mentre le parole di Kaiden riecheggiavano nella mia memoria. Rabbrividii e mi concessi di lanciargli un altro breve sguardo. I suoi occhi di pietra erano fissi sul generale Dagen, indecifrabili a chiunque, quasi potesse vedergli attraverso. Distolsi lo sguardo nel modo in cui togli la mano da una pentola bollente: appena in tempo da non farti troppo male.
“Si rende dunque necessaria e improrogabile una seconda spedizione che partirà tra due giorni, prima dell'alba.”
Tutt'a un tratto gli occhi del generale Dagen bruciarono dentro i miei, ardenti come proiettili. Fu abbastanza breve perchè nessuno se ne accorgesse, ma troppo preciso per essere casuale. Istintivamemte guardai Aryan al mio fianco. Noi non possiamo andare, mi dissi. Comparve Polaris alla sua destra e lui le passò un braccio rassicurante attorno alle spalle.
“Le Forze Aree e l'Intelligence hanno formato una nuova squadriglia di sedici piloti,” il giovane stratega al suo fianco gli consegnò una lista, “Che procederò a chiamare adesso uno ad uno. Se il vostro nome non sarà chiamato lascerete la sala, altrimenti resterete. Seguiranno le specifiche di missione. Laurent Jorse, Conrad Maeve,” cominciò a leggere i nomi con la stessa veemenza con cui premeva il grilletto mentre la stanza era immersa nel silenzio più assoluto.
Aryan mi strinse un braccio e quando incontrai il suo sguardo capii il suo messaggio nascosto: sarebbe andato tutto bene. Gli sorrisi debolmente, ogni nome era un colpo di pistola.
“... Rose Eadlyn, Lawson Davis, Morgayne Weisman... ”
Vidi un ragazzo e una ragazza stringersi in un abbraccio, un giovane pilota diede una pacca sulla spalla a un compagno e gli sussurrò qualcosa. Kaiden era ancora seduto nella mia visuale perferica, mentre man mano che i nomi venivano pronunciati sempre più persone si rassicuravano l'un l'altra.
“... Shaye Sloane, Rufus Alden,” mi dissi che ormai la lista doveva esser finita. “... Alan Clyde, Kyrell Hearst, Aryan Murph,” spalancai gli occhi, “E Valyrie Wade,” mi si bloccò il respiro.
Scorsi Kaiden alzarsi in piedi.
“Cosa?” mi voltai verso Aryan.
Polaris ci guardò entrambi, sbalordita e interrogativa.
“Questi saranno i sedici piloti a partire tra due giorni, tutti gli altri lascino la sala.”
“No, ci dev'essere un errore,” Aryan era pietrificato.
Tutti i piloti e i cadetti si smossero per uscire, ancora una volta.
“Non abbiamo completato il numero minimo di ore!” ribadii quello che sapevamo entrambi, non sapendo davvero che cosa fare.
“Non è possibile, ragazzi, dovete chiedere!” consigliò Polaris con urgenza.
“Muoversi!”
Mi guardai attorno, questa volta cercando Kaiden, ma non lo vidi più.
“È un errore,” ripetè Aryan, poi fece un cenno della testa a Polaris. “Vai. Ci vediamo dopo.”
Lei annuì fiduciosa e alla fine corse fuori con gli altri. Ci ritrovammo insieme a quattordici piloti esperti, alcuni lanciarono delle occhiate sconcertate alle nostre uniformi ancora rosse. Incrociai lo sguardo genuinamente preoccupato di una ragazza dai capelli lunghi e ricci e scossi leggermente la testa, ricambiando la stessa espressione. Poi il generale Dagen ci ordinò di formare una riga e riprese come fosse tutto normale.
Parlò dei giacimenti di platino, di come avremmo dovuto difenderli e quali strategie di attacco avremmo utilizzato. Saremmo decollati prima del sorgere del sole e avremmo raggiunto una base di rifornimento oltre le montagne per poi preseguire e raggiungere il confine, dove avremmo spinto gli avversari a recedere.
Non riuscii ad ascoltare con attenzione tutto il discorso. La mia mente tornava continuamente indietro a quello sguardo infiammato che mi aveva riservato, e più ci pensavo, più arrivavo a convincermi che non fosse stato un caso. Io e Aryan non potevamo ancora servire in guerra. In teoria, non avremmo potuto. In pratica, cominciai a domandarmi se tutto ciò non avesse a che fare con mio nonno. Forse smisi di respirare.
Aryan mi afferrò per un braccio e partì verso il generale Dagen, trascinandomi fuori dalla trance. Ero così sovrappensiero da non essermi nemmeno accorta che aveva finito di parlare. Pensai di fermarlo, ma non feci in tempo.
“Generale!” chiamò.
Ci ritrovammo di fronte a lui.
“Ho il permesso di parlare, signore?”
L'aria che ci separava si fece spessa. Gli altri piloti stavano abbandonando l'edificio e il silenzio era tornato. Guardò prima me, in cagnesco, con una strana scintilla negli occhi, poi squadrò Aryan e si decise.
“Permesso accordato.”
“C'è stato un errore, generale. Io e Wade non abbiamo ancora accumulato sufficienti ore di volo per poter servire.”
A quelle parole ghignò, quasi di soddisfazione.
“Cosa ti porta a credere che non veda quale uniforme vestite, giovane soldato?”
Io deglutii, Aryan tentennò. Il generale Dagen digrignò i denti e un brivido mi corse lungo la schiena.
“Oppure, stai forse cercando di ostacolare gli ordini che ti sono stati imposti dai tuoi superiori?” fu un crescendo di tono, arrivò a ringhiare l'ultima parola e Aryan indietreggiò di un passo.
“Ci sono decine di piloti molto più preparati di noi,” intervenni all'improvviso con tono fermo. “Chiamare dei cadetti è un'eccezione e se avete fatto questa scelta, abbiamo il diritto di sapere perchè. Signore,” aggiunsi, guardandolo negli occhi.
“Wade, Wade...” assaporò il mio nome con una smorfia, come fosse qualcosa di amaro. “Vedo che ancora non hai imparato. Uno spirito libero, un animo coraggioso che pensa di poter stravolgere gli schemi dell'Arma. Ma tu lo sai che cosa succede... Non è vero, Wade?”
Vidi la sua mano destra muoversi e abbassai lo sguardo per vederla raggiungere e sfiorare delicatamente il calcio della pistola attaccata alla cintura. Un gesto molto semplice.
Mossi un singolo passo indietro e rialzai lo sguardo nei suoi occhi, in silenzio. Si mise a ridere. Ne mossi un altro. E quando fui sicura che non avrebbe estratto la pistola, feci un cenno ad Aryan con la testa e ce ne andammo senza un'altra parola, accompagnati dagli sghignazzi del generale.
“Vado a cercare Polaris,” mi disse una volta fuori.
Di tutta risposta annuii e, quando prese la sua strada, mi misi a correre in direzione opposta. Corsi senza fermarmi finchè non cominciai a percepire dolore alle gambe e ai polmoni e tutt'a un tratto inciampai in una sterpaglia di un campo. Caddi a carponi in mezzo all'erba e non mi rialzai, lasciando che le mie dita e le mie ginocchia si sporcassero di terra. Mi sfuggì un singhiozzo e alzai lo sguardo di fronte a me. Le montagne. Protettive, imponenti, rosee al tramonto giovane.
“No-” mi si ruppe la voce.
C'era un solo motivo per cui i nostri due nomi erano stati aggiunti a quella lista. Avevo confessato tutto ad Aryan e loro lo sapevano. Condividere il mio segreto, di conseguenza, faceva di Aryan stesso un traditore. E questa era la punizione dell'Arma.
Era arrivata la guerra. Oltre ad aver perso l'unica persona di cui avessi veramente bisogno, avevo condannato qualcuno che non mi avrebbe mai abbandonato.
Le lacrime inumidirono la terra tra le mie mani, ormai legate da catene invisibili e troppo pesanti.
Piangendo persi la concezione del tempo e, quando decisi di tornare sui miei passi, il sole era appena scomparso sotto l'orizzonte. Mi ero allontanata in realtà molto meno di quanto avessi immaginato e presto mi ritrovai a camminare tra gli edifici già illuminati, senza sapere veramente dove andare e cosa fare. Avrei dovuto preparare l'Alphard e farlo caricare di munizioni, ma mi dissi che quel lavoro potevo lasciarlo al giorno seguente.
“Wade.”
Una voce inaspettata proveniente dalle mie spalle mi fermò. Girai sui tacchi, sollevando un sopracciglio, incredula.
“Allistor?”
Ragionai velocemente e giunsi alla conclusione che non poteva avere alcun motivo di rivolgermi la parola. Mi ritrovai in allerta e lo osservai con attenzione. Aveva le mani allacciate dietro la schiena e un piccolo sorriso sincero che gli dava un'aria stranamente affabile. Assolutamente inusuale.
“Come stai?”
Strabuzzai gli occhi.
“Cosa?”
Il suo sorriso si accentuò, quasi con tenerezza.
“Si alzerà il vento freddo tra non molto. Andiamo al chiuso, parliamo un po'.”
Mi guardai attorno e mi strinsi nelle spalle, soppesando la proposta. Mi incuriosiva sapere cosa volesse Allistor Feyre da me e in effetti non trovai molte altre opzioni. Accettai.
Mi guidò verso l'hangar tre e mi fece accomodare ad un caratteristico tavolo da lavoro ricoperto di manuali, attrezzi e pezzi di ricambio. Non molto lontano da noi sostava un C-18 argenteo che immaginai essere suo, mentre poco oltre intravidi un C-12 azzurro, simile a quello di Aryan.
Mi sedetti contro lo schienale della sedia con dolce abbandono. Allistor si appoggiò al tavolo a un metro da me e incrociò le braccia.
“So che dovrai partire,” mi guardò. “E considerando quegli occhi gonfi e rossi direi che non l'hai presa bene.”
Mi trattenni dal rispondere in modo sarcastico e mi nascosi il viso in una mano, stropicciandomi gli occhi.
“Non era mai successo prima. Il fatto che l'Arma ti abbia affidato questo compito potresti considerarlo un onore,” suggerì.
Abbassai la mano e gli lanciai un'occhiata stanca e sconfitta.
Sospirò, “Il punto è che devi riuscire a fartene una ragione. In qualche modo, qualunque modo. E dunque partire con il giusto stato mentale. È fondamentale.”
“E all'improvviso senti l'urgenza di dovermi aiutare?” sollevai le sopracciglia.
Non rispose e mi sentii lievemente in colpa.
“Un tempo era Kaiden a preoccuparsi del mio stato mentale, prima di ogni volo. Ma la verità è che non ho paura di morire,” guardai il pavimento. “Ho paura di perdere le persone a cui tengo. Una di queste l'ho già persa per colpa della guerra. Non è qualcosa che posso semplicemente accettare.”
Incontrai poi il suo sguardo serio. C'era qualcosa nei suoi occhi che mi portò a pensare che in realtà sapesse già ogni cosa. E se fosse stato Kaiden stesso a chiedergli di assicurarsi che stessi bene? Era possibile? In fondo Allistor era l'unica persona di cui Kaiden si fidasse oltre a me. Un'immagine di loro due nel Bosco di Hermes mi lampeggiò davanti agli occhi. Mi alzai in piedi, studiandolo.
“Tu sai qualcosa?”
A quella domanda, la sua espressione seria venne rimpiazzata da un'aria esageratamente interrogativa.
“Cosa dovrei sapere?”
Esitai, cercando di vedere attraverso quella maschera e capire se Kaiden gli avesse parlato, quasi sicura di aver fatto centro. Poi lui continuò.
“Se c'è qualcosa che vuoi dirmi, comunque, sai di poterti fidare di me.”
Ero abbastanza sicura che in nessun'altra occasione sarebbe stato così disponibile. Forse sapeva qualcosa, ma nonostante ciò voleva sentire la storia da me.
“A questo punto non ho più niente da perdere,” mi strinsi nelle spalle.
Allistor fece un cenno con la mano per invitarmi a parlare, allora tornai a sedermi e, dopo aver preso un respiro profondo, mi decisi a cominciare. Partii dal principio, pronunciando le stesse parole che avevo utilizzato con Aryan e che ogni giorno si ripetevano come un mantra nella mia testa. Gli raccontai la nostra storia senza mezzi termini, senza maschere e senza paura, sorprendendomi ancora una volta per come erano andate le cose.
Soltanto un mese prima non mi sarebbe mai balenato per la mente che in futuro mi sarei trovata a parlare dei miei sentimenti ad Allistor Feyre. Mi parve così ironico che, in un angolo recondito della mia coscienza, mi scappò quasi da ridere.
Alla fine del mio racconto, Allistor prese posto su uno sgabello accanto a me.
“Non nascondo di aver immaginato che stesse succedendo qualcosa di simile,” ammise con una cautela quasi paterna. Poi sospirò, “Kaiden è un ragazzo fragile, Wade. Molto più di quanto lasci vedere. Tempo fa ti avevo detto di fare attenzione, se non sbaglio.”
Annuii, “Sì, ricordo. Ma allora non avevo idea di che cosa stessi parlando. Adesso... un po' di più.”
“Hai capito la storia del cosmonauta, alla fine?”
“Argh, quella dannatissima storia del cosmonauta!” scattai, sollevando le mani per aria. “Non... No! Cosa diavolo dovrebbe centrare adesso?!”
“Tutto quanto, Wade. Se la comprendessi forse ti sarebbe tutto più chiaro.”
“Spiegamela, allora.”
“Non si può spiegare. Devi continuare a pensarci e un giorno te ne accorgerai.”
Roteai gli occhi, “Oh sì, quando sarò morta me ne accorgerò eccome.”
Allistor ignorò la mia ultima osservazione e riprese.
“Alcune ferite si rimarginano, altre sembrano dover restare per sempre. Kaiden sta ancora cercando di rimettere insieme i pezzi e tra la guerra, i ricordi e chissà cos'altro che gli passi per la testa non è riuscito a gestire quell'ondata di emozioni. Credo, insomma, che questo spieghi la sua reazione.”
“D'accordo, ma la guerra non è arrivata soltanto per lui,” mi scaldai leggermente. “C'era un motivo se ho fatto quel che ho fatto, sono anche io una persona, anche io ho le mie lotte interiori, non è questo a scusarlo.”
“Non ho mai detto che sia scusato.”
Mi passai una mano tra i capelli e alla fine lo guardai nel modo in cui si guarda l'ultima speranza.
“Tu lo conosci meglio di chiunque altro. Che cosa dovrei fare?”
“Lo conosco, ma non so cosa stia succedendo dentro la sua testa. Devi dargli del tempo, Wade. Perchè tutti i pezzi tornino al loro posto.”
Mi alzai in piedi e sospirai, ora fissando il vuoto.
“Tempo,” ripetei. “L'unica cosa che non ho.”
Allistor non ebbe nulla da aggiungere e presi il suo silenzio come il permesso per andarmene. Fuori dall'hangar venni investita da un'ondata di aria gelida.
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