23
"Sometimes we break so beautiful,
and you know you're not
the only one."
― Wildfire, SYML
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Alzarmi all'alba non fu difficile. Avevo trascorso una notte per lo più insonne: ogni volta che mi addormentavo ricadevo in una spirale di incubi in cui qualcuno a cui tenevo se ne andava, senza che potessi fare nulla, spesso in un gioco di luci di fuochi d'artificio. Poi mi svegliavo di colpo, mi ripetevo che non era successo nulla, e mi rigiravo nel letto.
Continuai così finché decisi di non volermi più addormentare e aspettai l'alba, che giunse accompagnata da pensieri opprimenti e immagini che avrei preferito la mia mente non avesse creato.
Mi avvolsi nella mia coperta e abbandonai il dormitorio, come avevo fatto tempo prima, nell'oscurità e nel silenzio delle prime ore del mattino. Raggiunsi il tetto. L'aria era ferma, carica di tensione. L'odore pizzicante del carburante mi raggiunse le narici. Camminai lungo il bordo come una sentinella di guardia, scrutando con attenzione le piste illuminate dalle luci di segnalazione. La falce di luna era cresciuta in una metà grigio brillante come il mio Alphard, mentre un alone rossastro si diffondeva a macchia d'olio all'orizzonte.
Quando i miei occhi trovarono quel che stavo cercando, mi fermai. Erano tutti allineati su due piste parallele, sedici cacciabombardieri dell'Arma uno dietro l'altro, a coppie. Uno stormo di falchi pronti a spiccare il volo. Proprio in quel momento accesero i motori e il rombo ruggente mi raggiunse le orecchie. Mi accovacciai a terra, concentrando meglio lo sguardo. Non ero altro che un'ombra in quell'angolo del tetto, nessuno mi avrebbe mai visto. E solo per qualche istante, avvolta da quell'oscurità, mi sentii al sicuro.
Decollarono due a due, inizialmente solo quattro, e volarono in cerchio sopra la Base per qualche minuto, forse in attesa dell'autorizzazione finale. Le loro sagome nere erano a mala pena riconoscibili contro il blu del cielo ancora notturno: se riuscivo a distinguerle era per lo più grazie alle luci rosse e verdi sulla punta delle ali e bianche sotto la fusoliera. Uscirono poi dal cerchio e proseguirono verso Nord, accelerando. Inaspettatamente, spensero tutte le luci e diventarono un tutt'uno con il cielo. In quel momento ne decollarono altri quattro che subito spensero le luci a loro volta e seguirono i compagni. E via di seguito tutti gli altri.
Li osservai o, meglio, li ascoltai allontanarsi verso le montagne, mentre il giorno nascente colorava le nuvole all'orizzonte in uno spettacolo cromatico che non avrebbe mai smesso di stupirmi. Anche quando i caccia furono spariti, decisi di non andarmene.
Continuai a guardare l'alba, odiandola e amandola, bellissima e irriverente. Perchè comunque sarebbero andate le cose, il sole non avrebbe mai smesso di sorgere.
Dopo aver trascorso la mattinata con Aryan e Polaris, nel primo pomeriggio raggiunsi il parcheggio dove avevo lasciato l'Alphard l'ultima volta, senza alcun vero scopo. Ispezionai visivamente le ruote del carrello e le ali, non perchè fosse necessario, ma perchè avevo bisogno di concentrare la mente su qualcosa di specifico. Era l'unico modo che avevo per tenere le redini dei miei pensieri. Come mi aspettavo, non trovai alcun danno.
Mi arrampicai poi dentro la cabina di pilotaggio e mi sistemai sul sedile senza chiudere il tettuccio. Spolverai la pulsantiera con un panno, studiai ogni tasto e leva come fosse la prima volta che li vedevo e in fine mi lasciai andare contro lo schienale, sospirando, impugnando la cloche e perdendo lo sguardo davanti a me.
Avrei voluto decollare. Da lassù tutti i problemi sembravano così insignificanti. Alzai lo sguardo, immergendomi nell'azzurro. Nonostante tutto, mi dissi, il cielo sarebbe sempre stato là a darmi il benvenuto a casa.
Rimasi nascosta nella cabina di pilotaggio per quasi un'oretta, finchè una voce da terra non parlò all'improvviso.
"Hai deciso di rimpiazzare la lavanderia?"
Mi voltai di colpo e abbassai lo sguardo. Kaiden mi guardava con le braccia incrociate ai piedi dell'Alphard. Tutti i pensieri che avevo cercato di allontanare si riversarono violentemente nella mia testa. Kaiden. Devi dirglielo prima che sia troppo tardi. La lista. La guerra. Sbattei le palpebre. Cosa mi aveva chiesto? Ah, sì, la lavanderia.
"Volevo cambiare aria," mi uscì.
Risposta stupida, ma non potei rimangiarmela. Mi alzai in piedi e mi aggrappai alla scaletta che scendeva dalla cabina di pilotaggio, per poi saltare giù, sull'asfalto, davanti a Kaiden.
"Come sapevi che ero qui?" chiesi.
"Non lo sapevo," sorrise leggermente.
Sembrava felice di vedermi. Mi si contorse lo stomaco. Come avrei fatto a dirglielo? Per il momento decisi di non pensarci.
"Ho visto un tettucio aperto e sono venuto a controllare," aggiunse poi con tono più professionale.
Mi trattenni dal roteare gli occhi, "Certo."
Osservai il panorama, sentendomi all'improvviso e inspiegabilmente più serena e felice.
"Volevo venire a cercarti," ammisi.
"Perchè?"
"Per parlare."
"Di cosa?"
Mi strinsi nelle spalle e studiai l'asfalto sotto i miei piedi, "Uhm... Non lo so. Qualsiasi cosa, in realtà."
Incontrai il suo sguardo, traspariva una certa curiosità.
"Camminiamo un po', ti va?" avanzai.
Mi parve soppesare la proposta. Poi si guardò attorno, pensieroso.
"Se hai da fare non intendo sprecare il tuo tempo," aggiunsi, forse un po' più acidamente di quanto avessi voluto.
"Non ho niente da fare se non attendere," mi guardò. "Come tutti. Camminiamo."
Mi passai una mano tra i capelli, "Certo."
Ci avviammo con passo rilassato lungo il parcheggio che sfociava in una pista e proseguimmo dritto, verso l'orizzonte sgombro, lasciandoci la Base alle spalle. Kaiden si infilò le mani nelle tasche e io mi ritrovai a guardarmi attorno, cercando di dissimulare la mia tensione.
Per i primi dieci minuti non parlammo di nulla. All'inizio cercai disperatamente un qualunque argomento di conversazione, ma alla fine mi arresi alla quiete, rendendomi conto che non fosse poi così male. Dopo tutto, avevo sempre trovato qualcosa di particolare nei suoi silenzi.
Giunti alla fine della pista, dove iniziava il campo, Kaiden alzò un braccio a indicare qualcosa e lo seguii finchè non intravidi una radura di aceri in lontananza. Fino a quel momento l'avevo sempre e solo notata dal cielo.
"Quello è il bosco di Hermes," disse.
Sollevai le sopracciglia, sorpresa.
"Si chiama davvero così?"
"No. L'abbiamo inventato io e Allistor quando l'abbiamo esplorato tre anni fa."
Lo guardai con sospetto, "È una cosa che si può fare? Esplorare i boschi attorno alla Base?"
Esitò, ponderando la domanda.
"No."
Poi mi lanciò un sorriso scaltro e io dovetti concentrarmi per non perdere l'equilibrio. Fortunatamente riprendemmo a camminare, continuammo su un sentiero nell'erba che circondava la Base e che collegava quella pista a un'altra. Mantenni lo sguardo sul bosco di aceri, senza però osservarlo veramente. La mia mente vagava altrove.
"Questa mattina mi sono alzata prima dell'alba per vedere la squadriglia decollare," dissi ad un certo punto, con tono più serio.
Kaiden si riportò le mani nelle tasche, lo sguardo basso sul sentiero.
"Perchè?"
Perchè? Quel suo modo di porre domande semplici a cui non sapevo rispondere era disarmante e meraviglioso. Aveva un potere che avrebbe potuto mettere in ginocchio anche la persona più sicura di sè al mondo.
"Non avevo alcun motivo. L'ho fatto e basta."
"Non sei il tipo di persona che fa qualcosa senza motivo."
Mi disarmò, ancora una volta, con la sua solita eleganza. Sospirai e per un istante chiusi gli occhi.
"Volevo vedere com'era. Nel caso mi dovesse accadere, un giorno... Per essere pronta."
"Non si è mai pronti."
"Sì, lo so. Ma capisci cosa intendo dire."
"Sì."
Proseguimmo in silenzio per qualche altra decina di metri.
"Li ho visti andare a Nord," dissi poi. "Oltre le montagne."
Lo vidi annuire una volta con la coda dell'occhio, allora mi girai.
"Contro chi stiamo combattendo?"
"Contro gli stessi da decenni e sempre per lo stesso motivo," fece una pausa senza distogliere lo sguardo da terra.
"Per il dominio sui giacimenti di platino al confine. Ormai quasi ogni anno firmiamo un contratto di pace per poi non rispettarlo, perdere vite umane e scriverne un altro," percepii una nota di rabbia, che nascose con un sospiro.
Tutto sommato, comunque, mi parve ben disposto a rispondere alle mie domande e io non riuscii più a frenare la curiosità.
"Il platino, perchè?"
"Armi," disse soltanto.
"Quanto impiegheranno a tornare?"
"Non più di tre giorni, se completano la missione. Altrimenti... meno."
"E in quel caso?" mi accigliai.
"Ne chiamano altri."
Sentii un tuffo al cuore, nonostante mi aspettassi già quella risposta. Rimasi in silenzio. Pian piano mi sentii trascinata nel mondo reale e nella consapevolezza di quel che stava accadendo. Ancora una volta mi parve di sentire i rintocchi di un orologio: il tempo scorreva, sfuggiva, ineluttabile.
Nel frattempo avevamo raggiunto l'altra pista e avevamo voltato per tornare verso la Base. La fine del viaggio, il ritorno alla realtà. Solo allora mi resi conto che, per un minuscolo istante, mi ero dimenticata di tutto. Mi ero ritrovata in una dimensione senza spazio nè tempo, in mezzo a un campo, con lo sguardo catturato da una foresta di aceri e Kaiden al mio fianco. Avevamo parlato della guerra, sì, ma non l'avevo sentita reale, non era qualcosa che mi riguardava, come fosse stato soltanto racconto a cui non prendevo parte. Un'illusione della mente per un istante di pace, forse.
Mi ritrovai in bilico sull'orlo di un precipizio e percepii una vertigine. Quasi ironico, pensai vagamente, da parte di una che volava a chilometri di altezza.
Senza rendermene conto avevo rallentato leggermente, Kaiden camminava ora un pizzico davanti a me. Lo guardai. L'aria gli smosse i ciuffi scuri, a cui il sole donava dei riflessi ramati. Li notai solo allora. Tutt'a un tratto, ogni istante insieme a lui mi scorse davanti agli occhi, fin da quando avevo messo piede nell'Arma. Il primo incontro sull'elicottero, i primi addestramenti, i test. I consigli nell'hangar dodici. Il volo. La lavanderia. I piccoli momenti. Gli sguardi di cui nessuno oltre a noi avrebbe mai saputo. Per tutto quel tempo non avevo fatto altro che aiutarlo a riaggiustare i pezzi, senza nemmeno saperlo.
Le sirene avrebbero potuto rimettersi a suonare in qualunque istante. E io avrei perso l'occasione di riparare un cuore infranto. Il suo cuore infranto. Non potevo permettermelo.
I miei piedi si fermarono sull'asfalto come due macigni pesanti, quando eravamo già arrivati in fondo alla pista. Ascoltai il battito accelerato del mio cuore, senza sapere quando fosse iniziato. Sentii le mie mani farsi gelide.
Kaiden si accorse della mia assenza al suo fianco e si voltò, lanciandomi un'occhiata interrogativa. Che cosa gli avrei detto? Deglutii, cercando di darmi sollievo alla gola secca e priva di parole.
"Tutto bene?" strinse le sopracciglia.
Continuai a guardarlo in silenzio. Cercai disperatamente di dare ordine alla tormenta di pensieri nella mia testa e presi un respiro. Misi insieme qualche frase. E alla fine scelsi di dire la verità.
"Ti devo dire una cosa importante," cominciai, lasciando andare l'aria.
A quel punto Kaiden si voltò completamente verso di me. Mi parve allo stesso tempo incuriosito e in allerta, ma nell'insieme tranquillo.
"Okay," disse.
Abbassai lo sguardo, rendendomi conto che sarebbe stato più difficile del previsto. Lo guardai di nuovo.
"Ti prego di non interrompermi finchè non avrò finito," richiesi.
"Okay."
Presi un altro respiro. E così come sull'Alphard spingevo con forza la manetta per decollare, in quel momento feci lo stesso con le parole.
"Non so come dirtelo, quindi lo dirò e basta. Da mesi ormai, non riesco più a vederti come chiunque altro. Non so perchè sia successo e nemmeno come. Non cercavo nessuno, eppure eccoti qui e all'improvviso significhi molto di più di quanto avrei potuto immaginare. Quasi ogni giorno, da mesi, non aspetto altro che parlare con te. Scambiare due parole in volo o a terra e dimenticarmi di tutto il mondo in quel poco tempo. Vedi, io credo di provare qualcosa per te. Più di un semplice rapporto professionale. E lo so che l'Arma non concede tempo ai sentimenti e lo so che il tuo cuore appartiene a qualcun altro e che questo probabilmente non cambierà nulla. Ma almeno ora so che lo sai. Dovevo dirtelo."
Mi sentii svuotata. Avevo riversato tutto quello che mi turbinava dentro, riuscendo per la prima volta a trovare le parole giuste. Per tutto il tempo il mio sguardo era rimasto fisso su una pietruzza più chiara sull'asfalto accanto ai suoi piedi, tanto che la mia vista periferica si era appannata. Le mie ultime parole aleggiavano ancora in mezzo a noi.
Lentamente alzai lo sguardo, volevo vedere quale effetto avessero avuto su di lui. Non mi aspettavo alcuna risposta. Volevo soltanto che lui sapesse e tanto mi bastava.
Avevo recapitato il messaggio. Ora stava a lui decidere cosa farne.
Finalmente pronta, lo guardai negli occhi. Non stava muovendo un muscolo. Non battè ciglio. Mi parve quasi di percepire l'eco delle mie parole che rimbalzavano nella sua testa. Un centinaio di emozioni si rincorsero sul suo viso. Non se lo aspettava. L'avevo colto alle spalle, indifeso, impreparato.
Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Nessuna risposta pronta questa volta. La richiuse. I suoi occhi brillarono.
L'avevo disarmato.
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