18

You can't wake up,
this is not a dream.
You're part of a machine,
you are not a human being.
― Gasoline, Halsey

Tirai la cloche, cabrando all'improvviso, per poi rollare a sinistra e ricercare l'assetto di volo in posizione di caccia alle spalle del Novilunium. Ma quando completai l'operazione, dell'altro aereo non c'era più ombra.

“Ancora troppo lenta,” mi ripetè la voce di Kaiden nel casco. “Ti avrei preso. Riprova.”

Sospirai di frustrazione e ritornai alla velocità prestabilita. Era da giorni che lavoravamo sulle tecniche di combattimento in volo. Mi piaceva l'idea di creare le migliori strategie di attacco, ma la pratica stava risultando molto più complessa del previsto.

Kaiden mi inseguiva sul Novilunium e io dovevo riuscire a togliermi dal suo mirino e prendere la sua posizione di inseguimento. Ma a ogni tentativo, il Novilunium pareva svanire nel nulla.

Ci riprovai. Ancora e ancora. Tiravo la cloche, rollavo, e quando mi sarei dovuta trovare in posizione d'attacco mi ritrovavo da sola. Poi il Noviluniim ricompariva alle mie spalle.

“Presa di nuovo.”

“Oh, accidenti!” sbottai all'improvviso. “È impossibile, ci proviamo da ore!”

“Riprova,” non sembrava turbato dal mio tono.

“Non cambierà nulla, sto facendo tutto giusto e non cambierà nulla!”

Seguì qualche istante di silenzio. Le praterie scorrevano sotto di noi.

“Forse è questo il problema.”

“Cosa?”

“Che stai facendo tutto giusto.”

Sospirai, “Non sono dell'umore per gli indovinelli.”

“Ti rivelo un segreto,” concesse, con il tono di chi sta per dire qualcosa che in realtà sanno tutti. “Se non bari, vuol dire che non ti stai impegnando abbastanza.”

Corrugai la fronte, “Ma che-?”

“Viriamo indietro e riprova.”

Obbedii, ma trovai un altro fallimento. Ritentai tre, quattro volte. Non avevo cambiato nulla nella mia tecnica e non capivo perchè o come Kaiden insinuasse che dovessi barare Poi all'improvviso mi venne un'idea. Dopo l'ennesimo fallimento, invece che tornare alla velocità prestabilita, la superai. Soltanto un pizzico, ma la superai. Così poco che forse non se ne accorse. E quando la distanza tra il Novilunium e l'Alphard fu appena maggiore, allora tirai la cloche.

Seguii il Novilunium con lo sguardo mentre mi tuffavo all'indietro e non lo persi finchè non mi ritrovai alle sue spalle. Istintivamente portai il pollice sul tasto della cloche che avrebbe liberato i missili, ma non lo premetti. Comunque durante gli addestramenti eravamo disarmati.

“Woohoo, sì!” esclamai di soddisfazione, e io non ero una che esclamava spesso.

“Brava,” confermò Kaiden, per poi tornare subito al mio inseguimento con una facilità disarmante.

Mi ritrovai ad assaporare quel complimento esplicito che non avevo mai ricevuto da lui prima. Il fatto che l'avesse detto significava che la mia impresa era stata da fuochi d'artificio e immediata promozione.

“Sono contento che ce l'hai fatta oggi,” aggiunse. “Da domani ti seguirà un altro pilota per un po'.”

Tutta la mia felicità calò drasticamente.

“Ah,” deglutii. “Cioè, certo. Okay.”

E mi tornò in mente quando poco tempo prima era sparito per una settimana senza alcun preavviso.

“Come l'ultima volta?” provai.

“Probabilmente,” poi cambiò improvvisamente argomento. “Hanno aperto un nuovo ciclo per l'esame di armi. Non ho visto il tuo nome sulla lista.”

Lo stomaco mi si annodò leggermente.

“Non mi sono iscritta,” ammisi con qualche senso di colpa.

“Dovresti, sei ancora in tempo. Se non lo fai non potrai ricevere la promozione anche se sai pilotare.”

“È da molto che non ripasso. Non mi sento pronta.”

“Non puoi aspettare per sempre. Tra cinque giorni, quando torno, raggiungimi nell'hangar dodici come l'ultima volta. E iscriviti.”

Non era un invito, ma un ordine. Riuscii a reprimere la tentazione di chiedergli come mai ci tenesse così tanto a darmi una mano, ma la domanda che tirai fuori alla fine fu diversa.

“Dove andrai nei prossimi giorni?”

Per alcuni istanti non giunse risposta, poi parlò.

“Tu pensa a volare, Alphard. Torniamo indietro e riprova.”

Anche quella volta non ebbi scelta. Rollai a destra e tornai indietro.

Erano passati tre giorni da quando Kaiden Westfall era scomparso di nuovo. Mi ero ritrovata a volare con lo stesso pilota sconosciuto della volta prima, un giovane mingherlino di poche parole e dal volto affilato che fondamentalmente non mi insegnò nulla di nuovo. Comunque cercai di mettere da parte lo sconforto e colsi l'occasione per raffinare la tecnica, così quando Kaiden sarebbe tornato avremmo potuto continuare dal livello successivo.

Ero sul mio letto nel dormitorio a sfogliare un manuale di combattimento aereo - soltanto per tenere i pensieri impegnati in qualcosa che non fosse Kaiden - quando un ufficiale delle Forze Aeree decise di fare il suo ingresso e distruggere il mio momento di pace. C'erano soltanto tre ragazze oltre a me, e tutte quante ci ritrovammo in allerta.

“Valyrie Wade!” chiamò.

Saltai in piedi dal mio letto e mi misi sull'attenti.

“Sono io, signore.”

La mia mente calcolò in pochi secondi tutti i possibili motivi per cui un ufficiale potesse venire a cercarmi, ma quando parlò mi resi conto di non esserci andata nemmeno vicina.

“Sei attesa al quartier generale. Visite da casa. Hai mezz'ora.”

Spalancai leggermente gli occhi e mi si bloccarono le parole in gola. Una mia compagna di dormitorio parlò per me.

“Visite?”

Mi voltai a guardarla con aria probabilmente sconvolta.

“Ce ne saranno a turni,” rispose freddamente l'ufficiale, poi gridò in mia direzione. “Hai sentito? Hai trenta minuti! Non si faranno eccezioni!”

Mi girai di colpo e annuii.

“Certo - sì, signore. Grazie, signore.”

E con ciò uscii dalla porta, senza riuscire veramente a formulare un pensiero completo. Visite da casa. Casa. Un flash mi riportò alla mente il salotto del mio appartamento a Blazar City e mi si formò un nodo alla gola. Poi mi bloccai all'improvviso, appena fuori dal quartier generale e smisi di respirare. E se ci fosse stato anche Sean? Dopotutto non potevo avere alcuna certezza di cosa fosse accaduto subito dopo la mia partenza. Era successo tutto così in fretta... Ripresi a camminare ed entrai. Un altro ufficiale mi indicò le scale e salii al piano superiore dove, seduti su due poltrone d'attesa, vidi mia madre e mio padre. Ma non Sean.

Venni travolta da un senso di delusione e nausea, ma poi mi diedi della stupida. Credevo davvero che in fondo gliene importasse qualcosa? Quanto tempo era passato? Quanti mesi? Non mi ero mai preoccupata di contarli. Mi ritrovai improvvisamente avvolta dalle braccia dei miei genitori, senza rendermene conto mi ero bloccata all'entrata della stanza.

All'inizio rimasi immobile, poi mi sciolsi appena e ricambiai l'abbraccio. Prima un po' incerta, poi stringendo più forte.

Avevo immaginato spesso quel momento, tempo prima. Ero sicura che quando avrei rivisto i miei genitori avrei sfoggiato la mia miglior maschera impassibile, proprio come il giorno in cui mi avevano portata via. Avevo immaginato anche che mi sarei infuriata con loro per non avermi mai detto la verità su mio nonno, che non mi sarei fatta mancare di mostrar loro come l'Arma mi aveva trasformata.

Non feci nulla di tutto ciò. Cercare di trattenermi non servì. Tra le braccia protettive di mia madre, le lacrime cominciarono a fluire senza freni.

“C'è una cosa che dobbiamo dirti, Valyrie,” se ne uscì poi lei, una ventina di minuti più tardi.

Ci eravamo seduti sulle poltrone e dopo essersi assicurati che stessi bene raccontai loro dell'addestramento, di Aryan e Polaris, degli esami e del volo sul mio Alphard. Mi ascoltavano orgogliosi e spaventati. Non parlammo mai della guerra. Ma a quelle parole di mia madre mi irrigidii appena sulla poltrona.

“Nonno Gennady,” dissi soltanto.

Mio padre mi fece cenno di abbassare la voce, poi alzò brevemente lo sguardo in un angolo in alto della stanza. Allora notai una telecamera.

Scossi la testa e questa volta sussurrai, “Perchè?”

“Volevamo tenerti al sicuro,” rispose, sporgendosi in avanti, con tono appena udibile. “Meno persone lo sanno e meglio è.”

“Sì, ma io! Io avrei dovuto saperlo, avreste dovuto dirmelo quando mi hanno presa!”

“Calma, Val,” s'intromise mia madre.

“Non abbiamo avuto tempo,” continuò mio padre e in effetti gli diedi ragione. “Ascoltami. L'hai detto a qualcuno?”

Persi lo sguardo altrove e mi strinsi nelle spalle, “No.”

“Qualcuno sospetta? Il nonno era molto conosciuto in questo ambiente.”

Mi passai una mano tra i capelli, poi mi studiai le unghie, prendendo tempo con un respiro profondo.

“Valyrie.”

“Sì,” scattai. “Un ragazzo, un pilota. Sa che sono la nipote di Gennady Wade. Ci è arrivato da solo,” aggiunsi in fretta.

“Come si chiama?”

“Kaiden Westfall,” alzai lo sguardo. “Mi ha mostrato delle cose. L'Arma è convinta che sia scomparso in un incidente.”

Le nostre voci erano dei bisbigli. Mia madre guardò mio padre.

“Un Westfall,” mio padre abbassò lo sguardo, mi parve nostalgico. “La famiglia dei Westfall era di Noortown, come mio padre.”

“Sì, me l'ha detto.”

“Mi parlava sempre di loro, erano stati grandi amici d'infanzia finchè lui non venne reclutato. Nessuno dei Westfall era stato preso prima.”

“Ci restano otto minuti,” sentenziò mia madre e mi strinse un braccio con una mano.

Guardai lei e poi di nuovo mio padre.

“Perchè è scappato?”

“Erano tempi bui, Val. L'esercito di Blazar è sempre stato uno dei più forti al mondo perchè il governo lo ha reso tale. Reclutano i giovani migliori per trasformarli in macchine da guerra e portarli dove serve per distruggere ogni tentativo di essere fermati.”

“Aspetta aspetta, i giovani migliori? Credevo-”

“Che il reclutamento fosse casuale? Non lo è. Non possono mettere chiunque a pilotare un caccia o reggere un'arma da fuoco, pensaci.”

Rimasi con lo sguardo perso nel vuoto mentre la mia mente processava quelle informazioni.

“Tuo nonno voleva fermare tutto questo, ma nessuno gli aveva dato ascolto, reputandolo un folle per andare contro l'Arma. Tutti coloro a cui ne parlava si allontanavano impauriti dalle conseguenze. Rimasto solo e ripudiato da molti che prima riteneva amici, non ebbe scelta.”

“Si è arreso,” conclusi, ma la mia mente in quel momento era in realtà altrove.

“Un minuto!” chiamò un'altra voce dall'entrata della stanza, dove era comparso un ufficiale.

Mi alzai in piedi e guardai i miei genitori, il mio cuore batteva più forte.

“Voi lo sapevate,” sussurrai, e quelle parole mi fecero più male di quanto avrei pensato. “Sapevate che avevo più probabilità di essere presa.”

“Valyrie.”

“No, mamma. Ditemi la verità. Io devo sapere-” mi si ruppe la voce e strinsi i denti. “Devo sapere se mi avete cresciuta per mandarmi a morire.”

“Non dire così, noi... abbiamo voluto proteggerti dalla verità.”

Mi discostai dalla mano di mia madre, “Mi avete mentito per diciotto anni.”

“Tempo!”

Mi voltai a guardare l'ufficiale che si avvicinava a grandi falcate, poi tornai sui miei genitori, indietreggiando. Mia madre si era alzata in piedi.

“Sean, lo sapeva anche lui?” chiesi ancora. “Suo padre è un ufficiale dell'Arma, quindi anche lui conosceva la verità?”

I miei genitori si guardarono con occhi velati. Un dolore mi si propagò nello stomaco.

“Ditemelo!”

“Sì, Val. Lo sapeva.”

L'ufficiale comparve davanti a me, “Tempo scaduto.”

Lo guardai, annuii una volta e mi voltai per andarmene. Senza guardarmi indietro. Senza salutare. Spalancai le porte del quartier generale stringendo i denti e mi misi a correre per scaricare la rabbia, il dolore e il rancore e tutto ciò che sentivo dentro di me e ancora non riuscivo a comprendere.

Senza veramente sapere cosa stessi facendo, mi ritrovai nel mio dormitorio a infilarmi la tuta anti-G e una volta pronta corsi verso l'Alphard sulla pista. Non ero in condizioni per volare, ma la Torre questo non lo sapeva e mi concesse l'autorizzazione. Subito dopo il decollo rischiai di perdere il controllo, ma riuscii a recuperarlo. Un dolore nel petto mi portò ad aumentare la potenza del motore finchè non infransi la barriera del suono e i miei occhi si appannarono di lacrime.

Pessime condizioni di volo. Atterrare in quello stato sarebbe stato un suicidio. Poi mi domandai se me ne importasse veramente.

Il cielo era di un arancione intenso, illuminato dal sole basso sull'orizzonte. Immaginai il modo in cui l'Alphard stesse scintillando. Trovai quella bellezza assolutamente ingiusta. Prima che decidessi di virare, una voce mi parlò nel casco.

“Blue Falcon in avvicinamento.”

Sbattei le palpebre per liberarmi dalle lacrime e guardai nello specchietto retrovisore. Un C-12 azzurro mi stava raggiungendo con cautela. Ero abbastanza sicura di aver riconosciuto quella voce nonostante il disturbo della radio. Mi schiarii la voce.

“Qui Alphard, ti ricevo,” risposi, poi deglutii. “Aryan, sei tu?”

Lo immaginai sorridermi anche se non potevo vederlo.

“Ciao, Val.”

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