16
"Wish that I could slow things down.
I wanna let go,
but there's comfort in the panic
and I drive myself crazy."
― Heavy, Linkin Park
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Ero sempre stata molto brava a escludere i sentimenti e i pensieri scomodi dalle situazioni potenzialmente stressanti e pericolose e fu esattamente ciò che feci. O almeno, ci provai. Dopotutto se volevo sopravvivere a un volo oltre la velocità del suono non potevo permettermi di avere altro per la testa.
Uscendo dall'hangar venni travolta dall'assordante rombo di un elicottero in decollo proprio sopra la mia testa. Era così vicino che lo sentii rimbalzarmi nel petto, quasi gareggiando con il battito del mio cuore. Alzai lo sguardo all'ombra nera che si stagliava in controluce, come a voler entrare nel sole. Venni percorsa da un brivido, poi sentii un colpo leggero sul braccio e Kaiden mi sorpassò, lanciandomi un'occhiata.
"Andiamo," mi incoraggiò.
Chiusi gli occhi per un istante, prendendo un respiro profondo e ricercando la concentrazione che sembrava dovermi sfuggire da un momento all'altro, poi lo seguii.
La tuta anti-G che indossavo sopra la divisa era compatta e pesante, mi stringeva il busto e le gambe quasi come un'armatura e mi obbligava a camminare con la testa più alta e le spalle più dritte. A ogni passo percepivo il suo peso e mi ricordavo quanto fosse pericoloso quello a cui stavo andando incontro. I giochi erano finiti. L'aria mi accarezzò il viso quasi a invitarmi e per un secondo mi si strinse lo stomaco.
Spostai il grosso casco con la maschera dell'ossigeno dalla mano destra alla sinistra per potermi asciugare il sudore, chiedendomi se sarei stata in grado di gestire quell'improvviso cambio di difficoltà. Comunque, pensai, non potevo tirarmi indietro e presto l'avrei scoperto.
Raggiungemmo una delle piste più lunghe e lontane dal centro. Kaiden camminava di fronte a me in silenzio, con passo molleggiato e sicuro - indossava una tuta identica alla mia - e mi ritrovai a chiedermi a cosa stesse pensando. Ma poi no, distolsi lo sguardo dalle sue spalle e mi guardai attorno, decisa a rimanere concentrata. Stavamo camminando lungo una schiera di C-12 dalle sfumature più varie. Erano grossi almeno il doppio del C-3 su cui avevo imparato a volare, ma feci del mio meglio per non lasciarmi intimidire.
Cercavo di non pensare a nulla, nella mia testa non visualizzavo altro che diagrammi e procedure.
Quando ci fermammo i miei occhi si posarono su una fusoliera grigio perla dai lineamenti aggressivi e aerodinamici che solo un falco reale avrebbe potuto sfoggiare. Scorsi lo sguardo sul profilo alare tagliente come una lama, provando a immaginare come avrebbe infranto la barriera del suono, fluido come una coltellata.
"Questo è il jet C-12 che ti è stato assegnato e sarà soltanto tuo per il periodo a venire," dichiarò Kaiden. "Il nome è Alphard Cinque Zero Uno."
Mossi qualche passo per avvicinarmi, incapace di scollare lo sguardo da quelle linee che parevano brillare alla luce del sole.
"Alphard," assaporai, ripetendolo a me stessa.
Mi pareva un nome strano per un aeroplano, aveva un non so che di antico e all'improvviso mi parve di averlo già sentito da qualche parte. Forse - mi illuminai - l'avevo letto di sfuggita su uno degli articoli di giornale relativi all'incidente di mio nonno. Mi voltai a guardare Kaiden e incontrai il suo sguardo attento.
"Alphard? Era l'aereo di..."
Un angolo della sua bocca ebbe un guizzo.
"Gennady Wade," completò. "Non mi sarei aspettato niente di meno da te."
Abbassai lo sguardo, obbligandomi a sorvolare quel complimento celato, poi lo guardai di nuovo.
"Ma perchè?"
"Il modello è lo stesso, ma è stato migliorato. Non c'è nulla di cui tu ti debba preoccupare."
Aggrottai le sopracciglia.
"Non è quello che ti ho chiesto. Voglio dire, perchè proprio questo modello?"
"Non è mia la decisione," si mise sulla difensiva, forse cogliendo il mio turbamento. "Wade era un grande pilota e tu porti il suo nome. Dovresti essere orgogliosa di pilotare un velivolo che tutti riconoscevano come suo."
Lo scrutai in silenzio, per qualche motivo quelle parole mi avevano creato un turbamento che subito non riuscii a spiegare. Poi tutt'a un tratto le parole di Allistor mi risuonarono nella mente. Ci voleva un discendente di Wade per farti parlare con qualcuno. Allora me ne resi conto, lo stomaco mi si contorse in modo inaspettato. Se era tanto gentile con me rispetto che con gli altri era soltanto per via del mio nome. Nient'altro.
"Porto il suo nome, è vero," convenni con tono appena velenoso, poi lo guardai negli occhi. "Ma se mi rivolgi la parola soltanto per questo motivo, puoi anche smettere subito. Io non sono lui."
Mi studiò in silenzio per qualche istante, come valutando che parole usare. Il mio cuore aveva deciso di battere più velocemente, mentre un senso di delusione e curiosità si mescolavano dentro di me. Mi si avvicinò senza mai distogliere lo sguardo e mi ritrovai a domandarmi vagamente dove fosse finito il Kaiden sfuggevole di un tempo. La luce riflessa dalla corazza perlacea dell'Alphard gli brillò negli occhi, regalandogli sfumature ambrate che illuminarono la notte del suo sguardo. Per un istante pensai stesse per gridarmi in faccia, poi mi chiesi se stesse per baciarmi, ma in fine accennò uno dei suoi sorrisi irrealmente gentili.
"Non lo sei."
Spostai lo sguardo di lato e trattenni un sospiro che avrebbe rivelato troppe debolezze. Cercai le parole e rimisi insieme i pensieri, poi scossi la testa.
"È per questo? È per questo che il generale Dagen ce l'ha tanto con me?"
"È probabile. Wade non piaceva a tutti. Soprattutto..."
"Soprattutto?" incalzai.
"Be', dal momento che ha iniziato a esprimere le sue opinioni contrarie all'Arma e al reclutamento. Nessuno ne ha mai saputo molto. E dopo di che è scomparso."
Qualcosa dell'espressione sul mio volto sembrò catturare la sua attenzione, mi studiò così intensamente che mi sentii rimpicciolire nonostante l'impostazione della tuta. Parlò di nuovo.
"Io credo... che tu sappia qualcosa."
Fu quasi un sussurro, come se volesse nascondere quelle parole ad altre persone, ma sulla pista eravamo soli. Risposi con lo stesso tono di voce.
"È quello che mi piaceva credere." Non gli lasciai il tempo di pensare oltre e accennai all'Alphard, "Non dovremmo volare?"
Lo presi alla sprovvista. Lui cercò di nasconderlo, ma io lo notai lo stesso. Raddrizzò le spalle e si tirò leggermente indietro, tornando al suo solito assetto da pilota.
"Per quanto il C-12 sia un modello piuttosto indulgente, si tratta comunque di un bimotore a getto," cominciò come nulla fosse. "Questo significa che è più reattivo ai comandi e può accelerare in modo più rapido. Il che potrebbe darti l'impressione di non riuscire a stare dietro all'aereo o, come piace dire a me, che sia lui a tenere i comandi. Non devi lasciare che succeda," me lo disse molto seriamente.
Poi proseguì, "Questa volta non sarò tuo copilota, ma solo un semplice passeggero. Non avrò comandi. Entrambe le nostre vite sono nelle tue mani," mi superò e si diresse verso l'aereo.
Non riuscii a trattenermi, "E tu ti fidi di me?"
"Io mi fido," si voltò indietro, "Dell'istinto di sopravvivenza umano."
Mi regalò un sorriso scaltro e tornò sui suoi passi.
Presto mi ritrovai compressa all'interno della cabina di pilotaggio. Non riuscivo a capire se fosse più piccola del solito o se fosse la mia tuta ad essere più ingombrante, comunque la sensazione risultò opprimente. Forse erano entrambe le cose.
Il sedile a cui ero legata da quattro cinture era eiettabile, ciò significava che se avessi premuto un grosso pulsante rosso vicino alla cloche, una serie di piccole esplosioni avrebbero spinto me e il mio sedile fuori dal velivolo rompendo il tettuccio di vetro sopra la mia testa e in automatico si sarebbe aperto un paracadute, il tutto nel giro di un paio di secondi. Mi augurai di non doverlo mai fare.
Con la visiera scura del casco abbassata sugli occhi e il resto del viso nascosto dietro il respiratore che mi faceva assomigliare a una grossa mosca, tutto il mondo attorno a me scomparve. Mi sarei anche facilmente dimenticata di Kaiden alle mie spalle se non mi avesse continuato a parlare nell'interfono del casco per darmi istruzioni, consigli e rassicurazioni. In effetti mi resi conto di quanta sicurezza riuscisse a conferirmi semplicemente parlando, e all'improvviso ebbi paura del silenzio.
"Ricordati di essere gentile," mi disse prima del decollo. "Inizia delicatamente, poi spingeremo al massimo. Dovete fare conoscenza."
Quando la Torre mi diede l'autorizzazione, il ruggito dei reattori mi vibrò fin nello stomaco e mi ritrovai in aria ancora prima di potermene rendere conto. Per i primi istanti mi parve che l'aereo precedesse tutte le mie mosse e a ogni tocco della cloche impennava e picchiava quasi senza controllo, l'altimetro saliva e scendeva come un'altalena.
"Più delicatezza," insistè Kaiden. "Accarezzalo appena. Ricordati che questa macchina è fatta per volare, non serve forzarla. Ora comincia ad accelerare. Ai C-12 piace la velocità."
Aveva ragione. Smisi di provare a lottare contro l'Alphard e, anzi, assecondai la sua aerodinamicità accelerando man mano. Mi accorsi che era un po' come andare in bicicletta: andando piano si tende a sbandare a destra e sinistra, a una certa velocità invece si potrebbe quasi togliere le mani dal manubrio.
Staccai le mani dai comandi e non accadde nulla. L'aereo continuò a sfrecciare dritto e rapido come una saetta. Ma poi per amor proprio li ripresi, sentendomi un pizzico più euforica di prima.
"È il momento," mi informò. "Te la senti?"
Sospirai, "Sì."
Stavo volando così in alto che il cielo sopra di me risultava molto più blu del solito azzurro chiaro del primo pomeriggio. Guardando fuori non vedevo altro che strati nuvolosi sfilacciati, di quel che era a terra non distinguevo quasi nulla. Nessun gheppio volava così in alto. C'ero solo io. E presto mi sarei fatta sentire.
"Adesso."
Spinsi al massimo. L'accelerazione che sentii non fu diversa dalla rincorsa che si prende per entrare in autostrada e pian piano non me ne accorsi più. Fuori dal vetro non distinguevo nulla. Tutto ciò che mi mostrava la velocità crescente erano gli indicatori.
"Zero e ottantacinque Mach," lesse Kaiden ad alta voce.
"Novanta."
"Novantacinque."
"Novantotto. Ci sei."
Trattenni il respiro.
"Un Mach."
La struttura tremolò appena.
"Uno e tre."
Corrugai la fronte, "Ci... sono?"
"Stiamo viaggiando più veloci del suono. Uno e cinque," mi parve di cogliere una nota divertita nella sua voce.
"Tutto qui?"
Lo sentii ridacchiare.
"Tutto qui. Siamo quasi due volte più veloci del suono."
"Credevo..."
"La prima volta è spesso deludente," affermò senza una piega. "Ma sicuramente da terra hanno sentito un bel colpo."
Quella notizia mi rallegrò.
"Il brutto arriva ora. Devi rallentare. Tieniti forte."
Quando l'accelerazione cessò, la sensazione fu di essermi improvvisamente schiantata contro qualcosa di enorme: per istinto chiusi gli occhi e cacciai un urlo. Ero totalmente sospinta in avanti, soltanto le cinture stavano evitando che ricadessi sui comandi. Quando riaprii gli occhi la frenata non era ancora finita e la spinta non cessava, la stretta mi aveva bloccato l'aria nei polmoni. Arrivai a domandarmi se ci fosse un guasto nell'aereo, ma all'improvviso finì, circa trenta secondi dopo, e ripresi il controllo del volo al pelo. Virai e tornai indietro.
Quando scesi dal mio aeroplano, una volta parcheggiato, non me ne andai via subito. Il sole all'orizzonte gli regalava una sfumatura dorata che sembrava farlo brillare di luce propria. Sollevai una mano a sfiorare la fusoliera, era fredda e la mia mente tornò lassù. Avevamo infranto la barriera del suono. Per un istante eravamo stati avvolti da un cono di nebbia e il boom sonico aveva riecheggiato nel cielo della Base. Stavo sorridendo.
"Stai sorridendo."
Mi voltai quasi di scatto, colta di sorpresa. Per qualche motivo ero convinta che Kaiden se ne fosse andato.
"È bellissimo," ammisi.
"L'Alphard?"
"L'Alphard, volare. Tutto quanto."
Per un attimo mi parve che il suo sguardo fosse pieno di tenerezza e apprensione, mi guardò nel modo in cui si guarda un cucciolo ingenuo.
Non lo sei.
"Non ti sei chiesta da dove provenga il nome Alphard?" cambiò argomento senza preavviso.
Mi strinsi nelle spalle, "In effetti, sì. Non mi sembra un nome comune."
Le sue labbra si incurvarono un pizzico.
Non lo sei.
"Alphard è una stella dell'Idra. Una gigante arancione, molto luminosa. Si vede bene nel cielo notturno."
Lasciai che quelle parole si imprimessero nella mia mente e guardai di nuovo il mio jet. Mi scappò un sorriso. Poi tornai su di lui.
"Come fai a sapere sempre tutto?"
Allacciò le mani dietro la schiena e imitò un'aria altezzosa che non mi tramsesse altro che simpatia.
"Be', sono del Nord."
Non riuscii a credere che l'avesse detto veramente.
Non lo sei. Quelle tre parole continuavano a ripetersi come un mantra nella mia testa. Se non era per via del mio nome che mi riservava quelle attenzioni, allora per cosa?
Mi scappò da ridere e mi avvicinai per dargli una pacca amichevole sul braccio, scuotendo la testa. Forse si irrigidì appena al mio contatto, ma non ci diedi peso e continuai a camminare lungo la pista. E non ci volle molto perchè comparisse al mio fianco.
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