12

Let the sky fall,
when it crumbles
we will stand tall,
face it all together.
― Skyfall, Adele

I tre giorni precedenti all'esame finale trascorsero immersi in un apprendimento intenso e frettoloso di tutte le materie del programma di studi. Le lezioni erano terminate e anche le sessioni di preparazione fisica erano state messe in pausa così che potessimo dedicarci interamente ai libri.

Avendo iniziato a studiare in anticipo mi trovai avvantaggiata: ripassai ogni argomento, insistendo particolarmente su quelli più complessi ed entrando nello specifico in quelli che invece riuscivo a gestire meglio. Ogni tanto rispondevo a qualche domanda di aerodinamica o sistemi di bordo che mi poneva Polaris e la sera mi rifugiavo sul tetto con Aryan per ripetere più e più volte le procedure fondamentali, i motori, la metereologia aeronautica e la navigazione.

“È una pazzia sostenere un esame del genere con solo tre giorni di preavviso, soprattutto per chi non aveva ancora iniziato a studiare,” confessai l'ultima sera ad Aryan mentre eravamo sul tetto.

Una pila disordinata di libri aperti e appunti era accatastata accanto a noi e ormai eravamo troppo stanchi per ripetere qualunque argomento. Persino i venti sembravano non avere più alcun senso logico.

“Vero, ma c'è un motivo se ci hanno smistato nelle Forze Aeree e non nell'Esercito di Terra. Secondo loro ne siamo in grado.”

“E magari lo siamo. Magari qualcuno è abbastanza furbo da riuscire a passare l'esame studiando in tre giorni, ma quello studio sarà davvero sufficiente per volare in sicurezza?”

“La precedenza del volo viene data a chi ottiene un punteggio alto, ricordi? Tutti gli altri avranno tempo di ripassare, ma voleranno più tardi.”

Annuii in silenzio, la mia mente era persa in una confusione di pensieri poco lucidi. Era una notte particolarmente calma, la temperatura era perfetta e le stelle in cielo sembravano più numerose, ma forse perchè non eravamo mai rimasti fino a così tardi prima.

“Tu sei pronta?” mi chiese.

Quella domanda sembrò nasconderne molte altre. Sapevamo entrambi quale importanza nascosta avesse quell'esame per me. Sbuffai e mi nascosi il volto nelle mani, per poi coricarmi a terra.

“In questo momento mi sembra di non sapere nulla,” ammisi con tono esausto. “Mi sta esplodendo la testa.”

“Allora te lo dico io: sei pronta. Sai tutto. Ora devi soltanto dormire e domani farai scintille.”

Sospirai, “Vorrei che avessi ragione.”

Aveva ragione. Dopo una lunga dormita che mi ricaricò di tutta l'energia che avevo perso nei giorni precedenti, quell'esame fu come rivedere un vecchio amico. Non trovai ostacoli, se non qualche dubbio minore, ma riuscii a risolvere ogni problema e rispondere ampiamente a ogni quesito. Uscendo da quell'aula mi sentivo talmente leggera da credere di aver già spiccato il volo.

I risultati arrivarono il giorno successivo e, quando lessi il mio nome in cima all'elenco, non nascosi la mia gioia. Nonostante non fossi mai stata una persona affettuosa, mi ritorvai a saltare al collo di Aryan accanto a me e lui non esitò a ricambiare il mio abbraccio. Ridevamo entrambi, totalmente euforici. Anche lui aveva fatto un punteggio niente male, posizionandosi appena terzo. Significava che saremmo stati tra i primi a volare e quell'idea mi dava emozioni che non credevo sarei più stata in grado di provare.

Il giorno della cerimonia di passaggio l'aria della Base pareva quasi più allegra. Con il superamento dell'esame era giunto il cambio dell'uniforme: era il momento di indossare la divisa rosso amaranto che mi avrebbe contraddistinta come cadetto pronto a volare. Io e le mie compagne ci disfammo della divisa verde intrisa di fango seccato e paure, con la sensazione che quel gesto segnasse un nuovo capitolo della nostra vita, e ci infilammo quella rossa che invece profumava di novità, coraggio e aspettativa.

Mi ero liberata dai pesi che mi tenevano bloccata a terra e avevo indossato le ali che mi avrebbero permesso di librarmi nel cielo. Proprio come quel passerotto fuori dalla mia finestra a Blazar City, molto tempo prima.

Per la cerimonia era stato allestito un piccolo palco nel cortile del quartier generale, addobbato e circondato da bandiere e stendardi che sventolavano il lupo alato dell'Arma. Erano tutti presenti, dal primo all'ultimo pilota, ogni studente, istruttore o generale. Noi cadetti eravamo una macchia color rosso sangue in mezzo alla folla mentre il comandante delle Forze Aeree aveva preso posto di fronte al microfono sul palco.

Mentre elencava tutta la serie di prove a cui eravamo stati sottoposti e si congratulava con noi per essere arrivati fino a quel punto, lanciai uno sguardo ad Aryan al mio fianco. Il rosso scuro dell'uniforme gli faceva risaltare il verde degli occhi e per un attimo mi parve di vederli davvero per la prima volta. Era un verde timido, in base alla luce poteva ricadere nel castano da un momento all'altro. Si voltò a guardarmi e ci scambiammo un sorriso d'intesa, poi Polaris Kellen comparve inaspettatamente in mezzo a noi e mi domandai se non fosse saltata fuori dal pavimento. Mi scostai di lato.

“Staremo qui a sentire discorsi tutto il giorno? È la centesima volta che sentiamo ripetere lo stesso copione,” esordì sottovoce.

“Ciao Polly,” salutò Aryan.

Corrugai la fronte senza farmi vedere, come l'aveva chiamata?

Come mi hai chiamata?”

“Polly,” ribadì Aryan, poi sollevò le sopracciglia. “Non ti piace? Preferisci... Pol? Laris? Siralop?”

Polaris mosse un passo verso di me e mi pestò un piede, ma non si scusò e io non dissi nulla, osservando in silenzio. Ero certa che non se ne fosse nemmeno accorta.

“No, uhm. Polly va benissimo,” concesse.

Incontrai poi il suo sguardo e le porsi una serie di domande silenziose che lei liquidò con un'occhiataccia indignata, per poi tornare a guardare il piccolo palco, e io feci lo stesso. Mi impegnai a nascondere un piccolo sorriso.

Il comandante stava lasciando la parola a un vecchio in alta uniforme con due folti baffi marroni sotto al naso. La quantità di stellette e strisce di riconoscimento sulla divisa catturò la mia curiosità.

“Accidenti, quello è il capo di stato maggiore Raze Quillan!” esclamò qualcuno in un sussurro alle mie spalle.

E infatti l'uomo si presentò proprio con quel nome. Ero sicura di averlo già sentito da qualche parte prima, mi domandai dove e la risposta mi giunse presto da Aryan.

“È il tizio che ci ha fatto il discorso registrato prima del test di smistamento,” disse.

Mi tornò subito in mente: la mia testa pesante contro il finestrino del pullman e un ragazzo molto irritante seduto al mio fianco. Sembrava passata una vita intera.

“Ci aveva mandato i suoi migliori auguri,” aggiunse Polaris calcando le ultime due parole con amarezza.

“Che gran bastardo.”

Il generale Quillan ripetè sommariamente quel che aveva già detto il comandante e tutti gli altri prima di lui, aggiungendo qualche accenno all'onore e la gloria di servire lo Stato di Blazar, sottolineando la particolare forza e prontezza del nostro esercito rispetto a quelli nemici. Ascoltammo le sue paorle con più attenzione del solito, nessuno fiatò. Il discorso della guerra era qualcosa che tra di noi cercavamo di evitare, era un pensiero che si insinuava nella mente la notte ed era difficile liberarsene. Mi chiedevo se saremmo mai stati veramente pronti e alla fine mi piaceva convincermi che sì, quando la chiamata alle armi sarebbe arrivata, prima o dopo, sarei stata pronta.

Un movimento laterale nella folla colse la mia attenzione e mi voltai di tre quarti per vedere Kaiden Westfall unirsi al gruppo di piloti dall'uniforme argentea che ci circondava, aveva preso posto accanto ad Allistor Feyre che ascoltava il discorso del generale Quillan con le spalle troppo dritte e un'espressione troppo orgogliosa. Kaiden, al contrario, mi parve vagamente annoiato, il volto forse persin più rabbuiato del solito e lo sguardo perso in chissà quali pensieri. Mi domandai se stesse ascoltando minimamente.

“Val,” mi sentii chiamare in un sussurro appena udibile.

Spostai lo sguardo su Aryan alla sinistra di Polaris. L'imbarazzo di essere stata beccata a fissare Kaiden sfumò non appena accennò con la testa al palco e tornai a concedere la mia attenzione a Raze Quillan.

Non era più solo, un altro generale era comparso alla sua destra, accompagnato da un pilota che non avevo mai visto. Il generale reggeva con una mano un vassoio coperto di velluto su cui erano adagiate decine di spillette luccicanti. Venni presa da una strana sensazione che mi contorse lo stomaco e per qualche motivo mi ritrovai a osservarlo meglio. Fu forse lo sguardo o, più probabilmente, la cicatrice. L'aria smise di entrarmi nei polmoni. Era l'uomo che mi aveva puntato la pistola alla testa.

Percepii l'inizio di un brivido e allacciai rigidamente le mani dietro la schiena, ma non riuscii a evitarlo del tutto. Tornai a cercare lo sguardo rassicurante di Aryan e lo trovai subito, mi fece cenno di tenere la bocca chiusa e di respirae. Ci provai, guardando ovunque tranne che verso il palco.

I miei pensieri si erano interrotti, bloccati come un cerbiatto abbagliato dai fanali di un'auto. Il colpo del proiettile così vicino alla mia testa tornò a riecheggiare tutto attorno a me. Mi ero impegnata così tanto a dimenticarlo che non ero più sicura se si trattasse della realtà o di un incubo, ma il sudore freddo che imperlava la mia fronte era sicuramente reale. Mi passai una manica dell'uniforme sul viso.

Sentii il capo di stato maggiore annunciare che lui stesso e il generale - il cui nome mi suonò più o meno con Dagen - avrebbero premiato ciascuno di noi, segnando il passaggio da cadetti semplici a cadetti aspiranti piloti.

In qualche modo mi ritrovai a seguire i miei compagni, muovendo un passo dopo l'altro, salimmo una scaletta e poi ci ritrovammo ad avanzare più lentamente, di fronte a tutti, mentre a ognuno veniva consegnata una spilla. Soltanto avvicinandomi riuscii a vederle meglio, erano dorate e sembravano rappresentare un cucciolo di lupo senza ali. Mi dissi che le ali gli sarebbero cresciute ben presto e all'improvviso fu il mio turno.

Sentii il mio nome chiamato nel microfono, poi tutto calò nel silenzio. Mossi un passo avanti e mi ritrovai di fronte al generale Quillan e il generale Dagen, distinsi chiaramente un ghigno sul suo volto, ma continuai a non guardarlo con impegno. Il pilota prese una spilla e me la appuntò sul braccio destro, sotto la targhetta col mio nome.

Alla fine i due generali mi salutarono con una mano alla fronte e io ricambiai il saluto, sollevata e contenta di potermene finalmente andare e pensando al cielo che ora mi aspettava davvero. Quando, prima che potessi proseguire, il generale Dagen parlò.

“Sei ancora viva, Wade. Sono colpito.”

Mi fermai prima di muovere un altro passo e, dopo essermi ripetuta quelle parole, mi decisi a guardarlo dritto negli occhi, senza battere ciglio. Lo faceva apposta. Voleva spaventarmi, voleva provocarmi, prendersi gioco di me. Si aspettava una reazione da parte mia ed era pronto ad agire di conseguenza. Decisi di fare l'unica cosa che mi venne in mente. Lui era armato, ma io avevo un'arma molto più potente.

Sorrisi.

Prima in modo solo accennato, poi un poco di più. Vidi il suo ghigno scivolare via come nulla. E con la stessa facilità mi voltai e me ne andai, i miei passi riecheggiarono più forte di qualunque colpo di pistola.

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