55.

Comincia a fare buio quando arriviamo di fronte a casa del signor Wilson. Si intravedono, da dietro la tenda della finestra della loro cucina, le ombre di lui e sua moglie che preparano la cena. Marlon poltrisce silenziosamente sullo zerbino davanti al portone ma noi sappiamo che il suo fiuto è sensibilissimo e non possiamo sottovalutarlo.

«Ok, dobbiamo trovare un modo per entrare senza svegliare Marlon», avverto Maddie dopo che ha spento il motore dell'auto.

«Impossibile! Quella canaglia è sempre pronta ad attaccare», borbotta masticando uno dei biscotti contenuti nel sacchetto trovato in camera mia. «Serve un diversivo».

«Hai qualche idea?»

Allarga le labbra in un ghigno malefico, alza le sopracciglia e comincia a sventolarmi il sacchetto di biscotti sotto il naso.

«Pensavo li avessi portati per te».

«Un paio per me, il resto per la belva. Sai bene quanto gli piacciono i dolci», ridacchia in un tono che ricorda quello delle streghe dei film.

«Se ci scopre il signor Wilson siamo finite, sa essere più feroce del suo rottweiler».

«Basta fargli assaggiare i biscotti e addolciamo pure lui».

Ci avviciniamo al cancello guardandoci intorno ma senza dare troppo nell'occhio, l'ultima cosa che vogliamo è sembrare delle male intenzionate e allarmare i vicini.

«Mentre io creo un diversivo con i biscotti, tu vai sul retro e recuperi il biglietto. Però fai presto, soldato, ché non ho molte munizioni», mi esorta serissima.

Scuoto la testa allontanandomi, sembra di stare in un film di guerra.

Cammino tenendo la schiena bassa per restare coperta dalla fitta staccionata in legno che delimita il giardino e il più silenziosamente possibile supero il cancelletto laterale.

Raggiungo la struttura in vetro ed entro da una delle finestre senza grossi problemi, quello che però non mi aspetto è non trovare la panchina.

Penso che la stanchezza del viaggio mi stia giocando brutti scherzi. Strofino gli occhi e mi guardo intorno con più attenzione ma di lei nessuna traccia.

Provo a raggiungere il punto in cui era posizionata l'ultima volta che sono venuta e passo in rassegna tutto ciò che c'è in quella zona, spostando o alzando vasi e attrezzi da giardinaggio alla ricerca di qualunque cosa assomigli ad un biglietto.

Vado avanti per diversi minuti ma all'ennesimo fallimento, mi lascio andare ad un gemito di frustrazione. Alzo la testa e guardo dalla parte opposta della serra alla ricerca di un indizio, un'idea, qualsiasi cosa per risolvere la situazione e la vedo al di là del vetro. È stata portata fuori e messa in un angolo dall'altra parte del giardino. Ovviamente, per arrivarci, devo attraversare il prato perfettamente visibile dalle finestre della casa e non c'è niente dietro cui possa nascondermi.

Marlon inizia improvvisamente ad abbaiare. Mi volto verso il cancello d'ingresso, dove dovrebbe essere Maddie, ma dalla posizione in cui mi trovo, non riesco a vedere niente.

Sento delle voci in lontananza, mi sembra di riconoscere quella del signor Marlon, le altre sono troppo basse. Non ho tempo né modo di verificare cosa stia succedendo, devo raggiungere quella panchina alla svelta.

Sgattaiolo fuori dalla serra da dove sono entrata e, anziché tornare indietro, comincio a correre nella direzione opposta col cuore in gola e il terrore di essere scoperta che mi fa tremare le gambe.

Do una rapida occhiata a tutta la superficie di legno della panchina passandoci sopra la mano senza risultato. Anche sullo schienale, sia davanti che dietro, non c'è traccia di fogli o biglietti. Rimane solo la parte sottostante la seduta, dopodiché è veramente finita.

Poggio le ginocchia sull'erba morbida e mi sporgo di lato per guardare l'unico lato non ancora esplorato. Nessun biglietto.

Tuttavia, su una delle assi al centro c'è una specie di custodia quadrata molto sottile con del nastro adesivo scuro su tutto il perimetro.

«Grazie mille ancora. Buona serata», sento Maddie pronunciare ad alta voce.

Credo sia una specie di segnale. Non posso restare qui un secondo di più.

Strappo via senza troppa cura l'oggetto dal fondo della panchina e corro il più velocemente possibile via da quel punto scoperto.

Oltrepasso il cancelletto come un razzo e subito mi abbasso a nascondermi dietro lo steccato. Giusto in tempo, la signora Wilson apre la porta sul retro un secondo dopo e comincia a trafficare in veranda. Preferisco non soffermarmi ad osservarla e tornare alla macchina senza voltarmi indietro.

«Finalmente! Stavo per venire a cercarti», mi accoglie Maddie in tono di rimprovero.

«C'è stato un imprevisto», mi limito a dire. «Tu con chi stavi parlando? Ti ho sentita salutare».

«Ho finito i biscotti e il cane ha cominciato a mugolare così i padroni si sono affacciati dal portone e mi hanno vista accovacciata ad accarezzare Marlon. Ho dovuto improvvisare, così ho finto di aver perso il mio cane e ho chiesto loro se l'avessero visto»

«L'hanno bevuta?»

«Certamente! Per chi mi hai preso?» si volta risentita per la mia poca fiducia e accende il motore. «Hai trovato il biglietto alla fine?»

«No, ma ho trovato questo», le mostro la custodia. Solo ora noto la solita A impressa su uno dei due lati, entrambi neri.

Ignorando il continuo chiedere cosa sia di Maddie, faccio scattare la chiusura lungo il bordo e apro l'oggetto a metà, come fosse un libro, rivelando al suo interno un cd.

Lo infilo subito nel lettore cd dell'auto in uno strano stato di ansia ed eccitazione che mi fa agitare sul posto.

In pochi attimi, una musica familiare si espande dalle casse. La riconosco già dalle prime note ma quello che mi sorprende è sentire una voce diversa dall'originale, la sua voce.

Come up to meet you, tell you I'm sorry

You don't know how lovely you are

Mi immobilizzo fissando il numero dei secondi che cambia sul display dell'autoradio. Maddie mi lancia delle occhiate restando stranamente in silenzio ma non le presto attenzione.

I had to find you, tell you I need you

Tell you I set you apart

Tell me your secrets, and ask me your questions

Oh, let's go back to the start

Come ogni volta, la sua voce mi fa venire la pelle d'oca. Ma è cosa canta che mi uccide.

Questa è molto di più di una semplice dedica e non ha scelto questa canzone solo perché adoro i Coldplay. La canta intendendo ogni singola parola, sta parlando a me.

Tell me you love me, come back and haunt me

Oh and I rush to the start

Running in circles, chasing our tails

Coming back as we are

Nobody said it was easy

Oh it's such a shame for us to part

Nobody said it was easy

No one ever said it would be so hard

I'm going back to the start

La musica termina ma io non riesco a muovermi né a dire niente. Sento solo il battito forsennato del mio cuore riempirmi le orecchie. Vorrei che fosse possibile tornare indietro nel tempo, tornare all'inizio. Poi, però, penso che rifarei tutto esattamente allo stesso modo e mi ritroverei sempre qui, con la speranza che qualcosa possa cambiare e la consapevolezza che i nostri mondi non sono compatibili.

«Tutto ok?» Maddie mi stringe appena il braccio per ricordarmi dove siamo.

«Sì», pronuncio in un bisbiglio ancora avvolta dalla fitta nebbia dei miei pensieri.

«Che si fa ora?»

«Si torna all'inizio», ripeto le parole della canzone.

«Scherzi, altre quattro ore di macchina per tornare a Londra non me le faccio», protesta animatamente riuscendo a strapparmi un sorriso.

«No, niente Londra».

Parcheggiamo davanti alla pasticceria mentre i lampioni si accendono lungo tutta la via. La saracinesca è ancora alzata ma le luci sono spente e il cartello sulla porta è girato sul lato del CHIUSO.

Maddie apre bocca per commentare ma lo squillo del suo cellulare la interrompe.

«È mia madre», alza gli occhi al cielo come invocasse un aiuto divino. «Mi sono dimenticata di dirle che non rientro per cena. Mi terrà al telefono almeno mezz'ora, tu intanto vai avanti, ti raggiungo appena posso». Si allontana rispondendo e mi sembra di sentire le urla di sua madre da qua.

Visto che l'ingresso è chiuso, provo a passare dal retro, non sapendo con esattezza se cercare un altro bigliettino o qualcos'altro.

Le mie intuizioni si rivelano giuste anche se di sicuro non mi aspettavo di trovare lui.

È appoggiato al muro, con le lunghe gambe avvolte da jeans neri attillati stese in avanti e le caviglie incrociate, le mani dietro la schiena incastrate tra i mattoncini e la t-shirt bianca, il viso rivolto verso il basso a guardarsi le punte degli stivaletti da cui non si separa mai, neanche in piena estate.

Sembra in posa per un servizio fotografico per quanto è dannatamente bello.

Prendo un grosso respiro tentando di placare il mio cuore che ha già preso a galoppare e mi fermo all'inizio del vialetto, vicino ai bidoni della spazzatura dietro cui si era nascosto la prima volta che l'ho incontrato.

Devo restargli lontana per non perdere la lucidità.

Lui alza lo sguardo su di me e, staccandosi dal muro, mi accoglie con un sorriso, uno di quelli per cui le sue fan scoppierebbero a piangere. Uno di quelli per cui io correrei ad abbracciarlo se le cose fossero diverse.

«Hey». Mi guarda con dolcezza, sembra felice di vedermi, cosa che mi fa piacere e arrabbiare allo stesso tempo.

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