54.

Per un momento penso si sia davvero fermato il tempo perché non sento nulla, non una voce, non un singolo movimento. Anche il venticello che soffiava fino a un attimo fa si è placato improvvisamente.

Riprovo più volte ma, come già anticipato a Maddie, non c'è nessuno in casa.

«Forse abbiamo sbagliato luogo. Sei sicura che la collana sia collegata a casa sua?» propone.

«Il posto è giusto. Dobbiamo cercare», ribadisco senza esitazioni.

«Tu sei pazza! Ci saranno telecamere ovunque e sensori a porte e finestre, non possiamo entrare in casa senza essere scoperte», scuote la testa allarmata.

«Non voglio entrare. Deve esserci qualcosa qua fuori».

«Qui non c'è niente. La casa è circondata dalle mura, interrotte solo dal cancello per le auto e da quello per le persone. A meno che non cada dal cielo, non c'è nessun bigliettino», ripete con presunzione senza neanche guardarsi intorno.

Non posso essermi sbagliata. Eravamo sul suo letto, ci eravamo appena abbuffati di hamburger e patatine quando ho dato la catenina ad Henri. Dove può aver lasciato il biglietto?

Passo al setaccio ogni singolo mattoncino del muro accanto a me alla ricerca di un buco o una fessura anche piccola in cui possa aver incastrato il foglio. Passo dopo passo, arrivo al cancello pedonale e lo sguardo mi cade sulla buca per le lettere.

Mi abbasso all'altezza della placca in metallo scuro e, scostandola leggermente, infilo la mano dall'altro lato nella speranza di tastare qualcosa che non sia il metallo della porta.

Mi basta muoverla appena di lato per sentire un lieve rigonfiamento proprio sotto la buca. Lo afferro per un'estremità e tiro lentamente sentendo del nastro adesivo cedere.

«Che fai? Vuoi controllargli la posta?» chiede Maddie notando la busta bianca che tengo in mano quando mi rialzo.

«Solo quella che è per me», le sorrido impertinente mostrandole la A impressa sulla carta. Lo sapevo che il luogo era giusto!

Apro la busta con impazienza e ne estraggo una foto. Ritrae un sacchetto della pasticceria della mia famiglia e un paio di bicchieri da asporto, tutto adagiato sul piumone blu scuro del mio letto. Aspetta, come fa Henri ad avere una foto della mia camera a Manchester?

«L'hai fatta tu questa foto?» accuso Maddie mentre si avvicina.

«Che c'entro io?» chiede dopo aver dato un'occhiata all'immagine.

«Chi altri può avergli procurato una foto della mia camera?» la incalzo.

«Non io», nega con convinzione. «Hai già letto la frase dietro?» tenta di distrarmi.

La guardo assottigliando gli occhi mentre lei evita il mio sguardo. Sembra sincera ma ho la sensazione che mi stia nascondendo qualcosa. Tuttavia, non ho voglia di discutere con lei, soprattutto dopo poche ore dal mio rientro in Inghilterra, voglio solo arrivare alla fine di questa giornata e lasciare le domande a domani.

Mi concentro sulle parole sul retro della foto:

Now the sky could be blue
I don't mind
Without you it's a waste of time
Could be blue
Could be grey
Without you I'm just miles away

«È ora di tornare a casa», le comunico in un sospiro dirigendomi subito verso la macchina.

«Prima però ci fermiamo a mangiare qualcosa, sto morendo di fame», alza la voce per farsi sentire allungando il passo dietro di me. Mi volto continuando a camminare all'indietro, i suoi occhi mi supplicano di acconsentire alla richiesta e non riesco a non scoppiare a ridere.

Maddie canticchia il ritornello di una canzone che sta passando alla radio mentre io leggo e rileggo le parole scritte a mano sui biglietti recuperati fino ad ora.

Non ho mai voluto farti del male.

Eppure, me ne hai fatto. Lentamente e ripetutamente. E lo so che la colpa è mia perché ti ho permesso di essere importante per me al punto da potermi ferire ma non ho potuto evitarlo. Non lo so come hai fatto, H. Davvero, non lo so.

Mi hai mostrato un posto dove puoi essere ciò che sei.

È stato bello restare lì per un po' insieme, non è vero? Una manciata di brevi attimi di assurda felicità, troppo sporadici per potercisi abituare ma, allo stesso tempo, troppo intensi da poter dimenticare. Ora non so più chi sono veramente. Quella che ero prima di incontrarti o quella che sono riuscita ad essere solo con te?

Dovrei ma non riesco a lasciarti andare.

Perché non ci riesci, H? Perché non lasci che io vada avanti con la mia vita e provi ad essere felice senza di te? Sempre che io possa davvero esserlo. Forse non lo voglio nemmeno. Forse, preferisco continuare a sentire questo macigno sul petto e sapere che è stato tutto vero, se pur breve, piuttosto che dimenticare. Come faccio a dimenticarti?

Senza di te è uno spreco di tempo.

Di sicuro sai come non sprecarlo. Dopo esserci visti per l'ultima volta, non hai perso un attimo e te ne sei andato in vacanza con lei. Che significa tutto questo?

«A cosa pensi?» Maddie reclama la mia attenzione.

«Sono tutti pezzi di canzoni dei Coldplay», mi ritrovo a spiegarle, senza una ragione né un'emozione precisa.

Nella mia mente aleggia il ricordo di risate lontane, io che volteggiavo per la stanza dell'ennesimo albergo sulle note di Paradise mentre Henri mi ammirava steso sul letto con la schiena appoggiata contro i cuscini.

«Un giorno ti porterò ad uno dei loro concerti», mi aveva detto all'improvviso con la stessa intenzione di una promessa.

Io non avevo risposto, non volevo interrompere quel momento con delle stupide parole. Le mie labbra si erano allargate in un sorriso ancora più grande e avevo continuato a ballare mentre il cuore mi esplodeva nel petto ancora un po' di più.

«È un gesto dolce, no?» commenta la mia amica.

«Non lo so», sbuffo. «Non capisco a cosa serva tutto questo», ora a prevalere è l'irritazione.

«Sembra che voglia dirti delle cose», replica con una calma che solitamente non le appartiene.

«Perché? Ci siamo detti tutto e lui si è messo con Krystal, che senso hanno questi messaggi?»

«C'è un senso dietro ogni cosa, lo sai», dichiara quasi sottovoce.

«Mi sa che hai frequentato un po' troppo mia nonna in questi mesi», la accuso ironicamente facendola sorridere.

«E tu sei tornata la cinica razionale di un tempo», non lo dice con rimprovero, sembra dispiaciuta.

«Non si può cambiare ciò che si è», faccio spallucce.

«No, no, questa non sei tu, è solo la tua armatura. Vediamo se riuscirai a tenertela addosso ancora a lungo dopo aver esserti sentita così tanto leggera senza. Perché è così che ti sei sentita quando stavi con lui, vero?» mi mette con le spalle al muro con una sola semplice domanda. Dio, quanto sono patetica.

«Come sei seria. Che ne è stato della tua esuberanza e del tuo parlare senza sosta, quasi a sproposito?» mi sforzo di restare in toni più leggeri.

«In queste settimane mi sono allenata ad ascoltare e a riflettere prima di parlare», resta vaga ma nei suoi occhi noto una scintilla di malinconia. So che in parte è colpa mia, non avrei dovuto lasciarla così, senza una spiegazione e senza preavviso. Ma c'è dell'altro.

«C'entra la rottura con Tom?» le chiedo direttamente.

«Tu che ne sai?» si volta di scatto verso di me prima di riportare lo sguardo sulla strada.

«Davvero hai pensato che durante la mia assenza non mi sarei informata sul tuo conto? Una tale mancanza di fiducia mi offende», metto un piccolo broncio che subito si trasforma in una linguaccia. «Che è successo?» aggiungo poi tornando seria.

«Era cambiato qualcosa, mi sembrava che fosse tutto sbagliato, che tutta la mia vita avesse preso una piega strana. Tu non c'eri mentre lui mi stava sempre addosso, o almeno così lo percepivo. Avevo bisogno di tempo per pensare, per ritrovare un equilibrio e mi sono convinta che lui fosse un ostacolo e...»

«Sei troppo orgogliosa per dirgli che hai sbagliato», concludo la frase per lei.

Maddie non controbatte, mi fissa per un paio di secondi e nel suo sguardo leggo rimpianto e tristezza. Non l'ho mai vista così.

«Tranquilla, ci penso io a te», le stringo il braccio come incoraggiamento. Farò in modo che si chiariscano, a costo di costringerli con la forza. Ma sono sicura che non servirà, non con Tom almeno.

«Intanto pensiamo a te», annuncia accostando davanti a casa mia.

Mi prendo qualche minuto per osservare la facciata dell'edificio a mattoncini marroni mentre Maddie tira fuori la mia valigia dal bagagliaio.

I dieci passi dal marciapiede al portone mi sembrano un centinaio. Un enorme senso di panico mi attanaglia lo stomaco e mi tormenta. Perdo più tempo del necessario per prendere le chiavi di casa dalla tasca esterna della valigia. Ho paura di cosa leggerò negli occhi della mia famiglia dopo il modo in cui me ne sono andata. Non riuscirei a sopportare l'idea di averle ferite o deluse.

Quando finalmente entro, capisco dall'assenza di luci accese e di rumori che non c'è nessuno e che il confronto è rimandato a più tardi. Il profumo di biscotti e thè, invece, non manca mai. Prendo un grosso respiro e mi sfugge un sorriso. Non c'è niente come il profumo di casa.

Salgo le scale per raggiungere la mia camera un po' più velocemente del normale, voglio concludere il prima possibile questa specie di percorso a tappe. E vedere cosa trovo alla fine.

Appena apro la porta, l'immagine del bigliettino recuperato poco fa mi si ripropone davanti dal vivo.

Sul mio letto ci sono davvero due bicchieri e un sacchetto, posizionati esattamente come nella foto. Sollevandoli, mi accorgo che sono pieni di caffè e biscotti, proprio ciò che ci aveva portato mia nonna l'unica volta in cui Henri è stato qui. L'unica volta in cui gli ho confessato i miei sentimenti, anche se usando parole opposte.

Attaccato al sacchetto c'è un biglietto, questa volta la foto ritrae una panchina in legno circondata da vasi di fiori e piante di tutti tipi. Impossibile non riconoscere all'istante quel luogo.

«Quella non è la serra del signor Wilson?» chiede Maddie accanto a me.

Non posso che annuire e farmi sopraffare dai ricordi di quella nottata folle: prima il concerto con Maddie e Ashley, poi il mio sgattaiolare fuori casa di nascosto in piena notte solo per stare con lui, le confidenze scambiate su quella panchina, la corsa per scappare da Marlon che ci inseguiva ringhiando, il primo bacio contro il muro di uno dei vicoli lì vicino.

«Sappi che mi sento ancora tradita per aver portato Henri nel nostro posto segreto». Ora riconosco la mia amica.

«Ma se ci hai portato Tom!» ribatto divertita.

«Ormai il posto era contaminato tanto valeva sfruttare la cosa a mio favore».

Scuoto la testa ridacchiando e mi concentro sul messaggio dietro l'immagine.

Steal my heart and hold my tongue
I feel my time, my time has come
Let me in, unlock the door
I never felt this way before

Hai ragione, H. Non mi ero mai sentita così prima di allora. E non so se mi ci sentirò mai più.

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Ci siamo quasi ragazzi, ci siamo...

Z.

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