52.

Maddie

«Rispondi, rispondi», borbotto tra me e me stringendo con forza il cellulare contro l'orecchio e la coperta con l'altra mano.

Sto per arrendermi al quinto squillo andato a vuoto quando mi accoglie la voce rauca di Vic.

«Pronto?»

«Sei assolutamente certa che torni oggi, vero?» chiedo nervosamente senza perdermi in convenevoli.

«Maddie, è notte fonda, cosa fai sveglia a quest'ora?»

«Devo andare a prendere Annie, ricordi?»

«L'aereo non atterrerà prima delle nove», ribatte confusa.

«Non riesco a dormire», confesso. «E se non viene?»

«Di sicuro non arriverà con questo anticipo», ironizza e si schiarisce la voce. «Ho parlato di nuovo con suo cugino ieri sera. È tutto confermato, la accompagnerà lui all'aeroporto e, in caso di ritardi o altri imprevisti, mi avviserà immediatamente e io avviserò te», mi spiega per l'ennesima volta senza perdere la pazienza, nonostante l'ora.

Sospiro ma non dico niente.

«Vuoi dirmi cos'è che non ti fa dormire?» la sua dolcezza mi lascia di stucco. Io non riuscirei mai a non risultare acida se qualcuno mi svegliasse con una telefonata nel cuore della notte.

«Ho paura, Vic», ammetto sottovoce.

«Di cosa?»

«Di averla persa».

«Non essere ridicola, non potrebbe mai rinunciare a te, non per una discussione stupida come quella», prova a rassicurarmi.

Sospiro di nuovo. Sembra che il mio unico modo di comunicare sia buttando rumorosamente aria fuori dai polmoni. «Non ne sono convinta, non questa volta», aggiungo afflitta.

«Dov'è finita la Maddie che non si arrende mai e non si fa abbattere da niente e nessuno?» mi sprona a reagire. Ma qui stiamo parlando di Annie, non di una persona qualunque.

Non riesco a rispondere e nemmeno a fermare la lacrima solitaria che ora scende lungo la guancia fino a morire contro i capelli sparpagliati sul cuscino.

«Sono pronta a scommettere che tutto si sistemerà per il meglio. E poi, se proprio dovesse essere ancora offesa, puoi prenderla per sfinimento come hai sempre fatto», scherza riuscendo a strapparmi una risata.

Per una volta, mi auguro che lei abbia ragione e che queste ore che mi separano da Annie, passino in fretta.

Ovviamente, entro in aeroporto con più di un'ora d'anticipo rispetto all'orario del suo arrivo e passo tutto il tempo a guardare l'orologio sullo schermo dei voli in arrivo, mangiucchiarmi le unghie e battere nervosamente un piede a terra. Non so cosa aspettarmi e non sono abituata a provare questa sensazione di incertezza, così come non sono abituata ad avere paura di perdere la mia migliore amica.

E se quando mi vede prosegue dritto ignorandomi? Se mi facesse una scenata per essere venuta qui e mi urlasse che non vuole più saperne niente di me? Non ho la minima idea di come potrei affrontare un suo rifiuto.

Quando il tabellone annuncia l'atterraggio del suo aereo, la saliva mi si azzera, comincio a sudare freddo e l'ansia comincia a prendere il sopravvento. Cerco di scaricare la tensione camminando avanti e indietro senza perdere mai di vista il punto da cui dovrebbe comparire da un momento all'altro.

La vedo spuntare in lontananza pochi minuti dopo, o forse ore dopo, non lo so più, dentro di me lo scorrere del tempo non viene più misurato in secondi o minuti ma in battiti del cuore e picchi d'ansia.

Mi congelo sul posto e la osservo avvicinarsi. Ad ogni passo che fa nella mia direzione, riesco a cogliere un dettaglio in più.

I lunghissimi capelli che prima superavano la metà schiena, ora le arrivano a malapena alle spalle. E pensare che è sempre stata gelosissima dei suoi capelli e non ha mai voluto saperne di tagliarli o colorarli.

È abbronzata e, per fortuna, ha ripreso qualche chilo, era dimagrita troppo a causa degli esami finali e tutto il resto. Soprattutto, tutto il resto.

Ha gli auricolari e lo sguardo basso su quello che sembra un mp3, sembra immersa nei suoi pensieri e si accorge di me solo quando è vicinissima.

Mi sembra di vedere tutto al rallentatore: lei che alza la testa dallo schermo, gli occhi che si allargano appena quando realizza chi ha di fronte e il trolley che stava trascinando alla sua sinistra che cade a terra.

Non so che espressione io abbia in questo momento, non capisco nemmeno quale sia il mio stato d'animo prevalente. Mi sento sospesa nel vuoto, in attesa di sapere quale sarà il mio destino perché in ballo non c'è solo la mia amicizia con Annie, c'è una metà di me che potrebbe spezzarsi per sempre.

«Ciao», pronuncio timidamente mentre si sfila gli auricolari e ripone tutto in tasca.

Sulle sue labbra si forma un enorme sorriso e prima che possa davvero realizzare cosa stia succedendo, mi butta le braccia al collo e mi stringe a sé.

«Come facevi a sapere che sarei tornata oggi?» mi chiede, ancora incredula, scostandosi.

«Credevi davvero di riuscire a scappare da me? Se anche arrivassi al polo nord io troverei il modo di tenerti d'occhio».

Mi sorride di nuovo, gli occhi le diventano lucidi mentre mi osserva per degli istanti che mi sembrano lunghissimi. Abbassa lo sguardo come fosse imbarazzata, poi torna a fissarmi.

«Non vedevo l'ora di rivederti, mi sei mancata», sussurra prima di abbracciarmi ancora.

Il cuore mi si riempie di gioia, la sento entrarmi nelle vene come un'iniezione ed espandersi per tutto il corpo. Il senso di sollievo prende il posto dell'ansia e della paura che mi hanno accompagnata nell'ultima ora e, in generale, negli ultimi due mesi. Sono così sopraffatta dalle emozioni da non riuscire a trattenere le lacrime.

«Mi dispiace», piagnucolo sciogliendo l'abbraccio. «Non volevo dire quello che ho detto, non lo penso davvero. Ho esagerato, ti sono stata troppo addosso e non ho capito quanto stessi male...»

«Non importa», mi interrompe prendendo ad asciugare le mie guance.

«No, Annie, invece importa. Sono stata insensibile e asfissiante e ho rischiato di perderti per una cosa che neanche mi riguardava», oltre che dispiaciuta sono arrabbiata con me stessa per aver superato ogni limite e aver continuato imperterrita ad insistere nonostante lei mi chiedesse di fermarmi.

«Non dire sciocchezze, non potresti perdermi nemmeno se lo volessi. Sei praticamente mia sorella», continua a sorridermi prendendomi le mani. «Ti chiedo scusa anche io, non volevo assolutamente dire che sei facile, intendevo che non ti fai mai troppi problemi o paranoie e ti ho sempre invidiato per questo perché sai quanto per me sia difficile lasciarmi andare», vedo una lacrima formarsi all'angolo dei suoi occhi ma lei non ama farsi vedere fragile o commossa e si ricompone subito.

«Ok, basta scuse», concludo. «Andiamo ora, devi raccontarmi un sacco di cose».

Voglio sapere tutto: cosa ha fatto, cosa ha mangiato, dov'è stata, chi ha conosciuto.

Recupero la sua valigia da terra e insieme ci dirigiamo verso l'uscita.

«Non ti facevo così sentimentale», mi prende in giro Annie poco dopo. La colpisco leggermente a un fianco trattenendo una risata, poi le circondo le spalle con un braccio godendomi finalmente la sua vicinanza.

«Andiamo, la macchina è da questa parte», le indico le scale alla nostra destra.

«Sei venuta fin qui da Manchester in macchina?» domanda meravigliata.

«Sono venuta a prenderti. Si è mai visto qualcuno che va a prendere qualcun altro in treno?»

«Me ne devo andare via più spesso, se questa è l'accoglienza», ironizza.

Questo non è niente, vediamo se la penserà allo stesso modo alla fine della giornata.

Arriviamo alla mia auto che stiamo entrambe ridendo di gusto. Tra noi è ricominciato tutto in maniera naturale, come se non avessimo mai litigato e lei non se ne fosse mai andata.

«Ti dispiace se facciamo una velocissima deviazione al mio dormitorio?» domanda chiudendo lo sportello. «Ho lasciato il caricabatterie del cellulare in stanza e credo che ne avrò bisogno per quando sarò di nuovo a casa».

Forse, oggi la fortuna è a mio favore: dovevo inventare una scusa per portarla nella sua camera e invece me l'ha chiesto lei stessa.

«Non c'è problema ma intanto puoi riprendere questo», apro il vano portaoggetti e le porgo il suo cellulare, quello che ha lasciato a casa prima di scappare. «Ho pensato che ti sarebbe potuto servire, nel caso avessi voluto, non so, chiamare la tua famiglia. L'ho caricato ieri sera quindi puoi utilizzarlo da subito, se vuoi».

Tentenna un po' prima di prenderlo, come se non riconoscesse quell'oggetto e ne fosse spaventata. Se lo rigira tra le mani, indecisa sul da farsi. Non so davvero come abbia fatto a stare senza per due mesi, io impazzirei dopo solo mezz'ora.

«Hai detto a qualcuno che sarei tornata oggi?»

«No», mento, «ma credo che tua nonna abbia capito. Quella donna sa sempre tutto senza che tu le dica niente. Mi inquieta un po', a volte», spero di distrarla buttandola sull'ironia. Non posso permettere che scavi più a fondo, si rovinerebbe tutto.

«Già. Ti ricordi quando a sei anni ti eri convinta che fosse in grado di leggere nel pensiero perché riusciva sempre a capire se eri arrabbiata, triste o felice e per quale motivo?»

«Non ha mai smesso di indovinare i miei stati d'animo. Sono tuttora convinta che abbia dei poteri magici», ribadisco con decisione.

«Mi è mancata da morire, mi siete mancati tutti», si lascia sfuggire sottovoce.

«Non andartene mai più in quel modo, ti prego», non riesco a tacere. Non c'è traccia di ilarità nella mia voce, solo angoscia. Sono stati due mesi assurdi, il mondo andava avanti come al solito ma per noi era tutto diverso, senza di lei i colori sembravano più spenti e il tempo scorreva troppo lento.

Annie annuisce e torna seria perdendosi nei suoi pensieri. Allaccio la cintura e metto in moto, il silenzio che si crea mi massacra le orecchie e il cuore ma lascio che le cose si evolvano senza troppe interferenze da parte mia.

«Non volevo farvi preoccupare, avevo bisogno di staccare da tutto e stare da sola. Non voleva essere una punizione per voi ma una cura per me», riprende diverse miglia dopo, non riuscendo più a nascondere i sensi di colpa.

«Ne è valsa la pena?» è questo che conta, a questo punto.

«Sì», conferma raggiante, un sorriso che le arriva anche agli occhi.

«Allora cosa stai aspettando a raccontarmi ogni dettaglio?» le strappo un altro sorriso rallegrando così l'atmosfera mentre imbocco l'autostrada.

In meno di un'ora arriviamo al suo dormitorio. I corridoi sono praticamente deserti, la maggior parte degli studenti è tornata a casa per la pausa estiva e quelli che seguono corsi extra non sono ancora rientrati dalle lezioni pomeridiane.

Sembra ieri quando sono entrata qui per la prima volta per vedere la stanza di Annie e invece sono già passati più di tre anni. Certe volte mi spaventa la velocità con cui il tempo corre; di questo passo domani mi sveglierò e saremo entrambe sposate con tanto di prole e cane.

Scaccio subito il pensiero scuotendo la testa e raggiungo la mia amica un paio di passi più avanti, ferma davanti alla porta della sua camera mentre armeggia con la serratura.

Quando riesce finalmente a farla scattare e spalanca la porta, si blocca sull'uscio a fissare il pavimento. Si china a raccogliere un foglio e lo scruta con attenzione.

Mi avvicino per capirne di più e scopro che si tratta di una foto di un albero.

«Cos'è?» azzardo a chiedere ma lei non risponde.

Continua a guardare l'immagine finché una scintilla le illumina lo sguardo, come quando all'improvviso trovi la soluzione ad un enigma.

Volta il foglio quasi per caso e l'intuizione avuta pochi istanti prima trova conferma nelle parole impresse sul retro. Il suo respiro accelerato all'improvviso ne è la prova.

I never meant to cause you trouble

I never meant to do you wrong

Well if I ever caused you trouble

I never meant to do you harm

«Maddie, puoi accompagnarmi in un posto?» chiede senza spostare lo sguardo dal pezzo di carta che ha tra le mani, sembra quasi in trance.

Eccoci, il viaggio vero, per lei, comincia adesso.

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Credo che mi serviranno uno o due capitoli in più del previsto.
Scusate se vi ho dato info sbagliate ma dovendo ancora scrivere le parti finali, non mi rendo davvero conto della loro lunghezza finché non le ho terminate.
Comunque, il finale è dietro l'angolo, non c'è da pazientare troppo a lungo.
Intanto godiamoci il viaggio.
Annie riuscirà a goderselo?

Z.

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